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Autore: Targaryen    27/06/2014    5 recensioni
La mia personale interpretazione di una delle tante visite di Vincent alla grotta dei cristalli.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucrecia Crescent, Vincent Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dirge of Cerberus
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Senza fine
 
 
Vincent


Entro, di nuovo. Di nuovo penetro questo muro di oscurità, e di nuovo squarcio il velo delle mie memorie. Abbandono il presente, e ritorno laddove la mia anima è ancora prigioniera. Non voglio vivere, ma non mi è concesso morire, e passo dopo passo mi lascio sommergere dai ricordi e dal dolore che li accompagna. Il dolore …  lo voglio, lo bramo, ne ho bisogno. Non ho altro modo per sentirmi vivo, nient’altro ormai mi lega a questo mondo. Solo il dolore, e tu che ne sei la fonte.
L’aria è immobile, pesante. I miei passi disturbano il silenzio mentre procedo lungo la galleria che conduce a te. Una stanza scavata nella pietra, una luce, il principio e la fine di tutto.
Qualcuno dice che l’amore non è mai troppo, ma si sbaglia. A volte lo è e distorce la realtà, costringendoci ad accettare ciò che non si dovrebbe. Eppure anche chi ha amato troppo non vorrebbe mai non averlo fatto. Non importano gli errori commessi, non importa il tormento, non importa il rimorso … nulla importa quando il suo volto ti accoglie alla fine del cammino.
Mi fermo e mi appoggio alla parete. Le dita di metallo scalfiscono la roccia, e lasciano segni leggeri che si aggiungono a quelli che hanno tracciato in passato. Chiudo gli occhi, e faccio mio il respiro gelido che mi lambisce la pelle. Spero quasi che inizi a scorrere nelle mie vene, e che mi impedisca di sentire.
Perché sono qui? Perché non riesco a lasciarti?
Un brivido mi attraversa, e sensazioni non umane conquistano ogni fibra del mio corpo. Lui si agita, graffia la mia anima e ruggisce. Avverto l’eco della sua furia, del suo odio nero e della rabbia che brucia.
Per un istante rivedo me stesso, celato al mondo nella mia prigione di tenebra. Rivivo l’agonia del mio sonno di fuoco e di sangue. Dolore senza fine, follia nella mente, la morte che non giunge. Decenni trascorsi, il mio tempo congelato in un grido di dolore e, fuori, il tempo che scorre. La mia dannazione, la mia punizione per non averti salvata.
Con uno sforzo di volontà sollevo il capo e costringo al silenzio la sua voce.
Qualcosa si muove nell’ombra, alle mie spalle. Le dita della notte si lasciano sfuggire un ricordo, uno spettro bianco che non appartiene a questo mondo, e che si staglia contro il rosso della mia colpa. Il viso pallido, spento, e gli occhi alieni. Mi osserva. Non c’è più pazzia nel suo sguardo, non c’è accusa, solo tristezza … una tristezza senza fine, che pare risucchiare la vita verso abissi di un verde che abbaglia. E’ qui per ricordarmi che ho fallito anche con lui.
Non mi volto, non più ormai. I miei occhi non scorgerebbero nulla. Avanzo e ti raggiungo.
Come sempre accade, i cristalli che proteggono il tuo sonno trafiggono il mio cuore e mi ricordano che vive ancora. Un tempo ho creduto ci fosse un limite alla profondità delle ferite, ma ora so che non è così.
Cammino a capo chino, attento a non frantumare le fragili concrezioni che affiorano dal terreno, e mi siedo dinanzi a te.
Alzo lo sguardo, e di nuovo la tua immagine mi accoglie: un corpo diafano, occhi chiusi, braccia raccolte come in preghiera e la teca di cristallo che ti avvolge. Acque trasparenti dormono immote ai tuoi piedi, quasi un tappeto di brina deposto da una mano misericordiosa, e intorno le tenebre.
“Lucrecia”, ti saluto, la voce bassa, un sospiro fatto di parole mai dette, che incontra l’acqua da cui ti innalzi e vi si infrange, turbando la quiete di questo luogo.
Sorrido tra me.
Ancora, dopo anni, mi sento un intruso, una macchia rossa su di un quadro dipinto in toni di grigio, un’ombra nera che sporca il candore delle vesti che hai scelto per il tuo ultimo viaggio.
“Perdonami”, ripeto, e la grotta risponde con la tua voce.

 
Lucrecia


“Vincent …”
Sei tornato, torni sempre. La tua voce mi ridesta e i ricordi iniziano a fluire attraverso me. Frammenti di passato, dispersi tra le maglie del tempo, seguono il suono che ha interrotto il silenzio e lentamente, uno dopo l’altro, ricompongono la trama dei miei giorni. Di nuovo li lascerò andare quando tu ti alzerai e mi volgerai le spalle, ma ora li richiamo a me perché voglio ricordare.
Fa male ricordare, fa così male che sentirei il cuore fermarsi se solo battesse ancora, ma non importa. Sei l’unica ragione che mi spinge a rammentare chi sono e cosa ho fatto. Non ho altro modo per raggiungerti, non ho altro modo per implorare il tuo perdono.
Ti vedo attraverso queste palpebre abbassate, e per una volta vorrei perdermi nei tuoi occhi di fuoco.
Non è colpa tua, grido senza voce, è solo mia. Non hai fallito, ho fallito io. Non ti sei allontanato da me, l’ho fatto io. Preda del rimorso per le mie passate colpe, ho soffocato il mio amore e ho distrutto la nostra vita. Mia era la scelta, e tu l’hai rispettata.
Provo a comporre parole, ma le labbra non si muovono e solo la roccia sembra raccogliere i miei pensieri. Vibra e l’aria risponde, sussurrando.
“Mi dispiace …”
Mi dispiace, Vincent, mi dispiace per il coraggio che non ho avuto. Mi dispiace per aver scelto la via più facile, e per non essere stata in grado di scacciare i fantasmi di quel giorno.
L’ombra di tuo padre, morto a causa mia, ha avvelenato ogni nostro incontro, e la mia inconfessabile paura di farti del male mi ha spinto a cercare lui. Lui, il mio espediente, la mia più grande vergogna e il mio errore peggiore. Colui che avrei dovuto evitare come il più nero dei mali, colui che ha usato la mia ambizione per strapparmi mio figlio e che ha giocato con la mia debolezza. Eppure, ancora una volta, la colpa è solo mia. Io gli ho concesso di farlo, io ho permesso alla sua mano di piantarti una pallottola nelle carni, io gli ho consentito di dilaniare il tuo corpo sul freddo metallo … io, solo io. Non ho voluto vedere, non ho voluto lottare.
Il tuo ultimo respiro ha scacciato infine la mia codardia, ma il nostro tempo era ormai scaduto.
Non volevo perderti, e ti ho dato una vita che non è vita. Pur di tenerti in questo mondo ti ho donato Chaos, e ti ho privato della pace che solo la morte può portare.
Nessun riposo per te, nessun oblio in cui annegare e dimenticare.
E per me, a punizione del mio crimine, il permanere della coscienza all’interno di questa teca di cristallo, che imprigiona un corpo che come il tuo non può morire.
Ma tu, a differenza di me, puoi ancora vivere.
Vivi, Vincent. Dimentica me e dimentica noi. Perdona te stesso per la colpa che credi di dover scontare. Mio è il peccato e mia deve essere la pena.
Cerco di parlare, ma l’eco ripete senza sosta due parole che non saranno mai abbastanza e che forse non comprendi. Due parole che non ti ho mai detto, e che non potrò mai dirti.
Il tempo scorre, lento. I miei sforzi sono inutili, così come lo è la redenzione che rincorri. E’ questo tutto ciò che rimarrà di noi? Rimpianti, desideri mai realizzati e il silenzio della pietra e dei cristalli?
Ti alzi. C’è una luce nuova nel tuo sguardo, ma non è la luce che vorrei.
“Lucrecia …”, sussurri.
Hai udito, Vincent? Hai udito questa volta?
Abbassi il capo e ti volgi, incamminandoti verso l’uscita e svanendo inghiottito dal buio.
Le pareti vibrano di nuovo, ricovero della mia disperazione.
“Vincent …”
Non hai udito, non ti fermi e non torni indietro, ma mi rifiuto di abbandonare la speranza. Non mi resta altro e la prossima volta, forse, capirai.
Il suono dell’acqua che ritorna all’acqua è l’ultima cosa che sento, prima che il silenzio di nuovo mi avvolga. Lacrime, le chiamiamo, ma in fondo sono solo frammenti che il nostro cuore abbandona lungo il cammino. Con inesorabile lentezza i pensieri si sfaldano e i ricordi diventano labili. Si allontanano da me, ma qualcosa permane.
Vincent Valentine … è intorno al tuo nome che ricomporrò ancora me stessa quando tornerai.
  
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