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Autore: bellamysguitar    28/06/2014    0 recensioni
Emma è innamorata di Nicola, suo vicino di casa nonché suo caro amico. Un giorno però, dopo tanto tempo è costretta a fare i conti con i suoi sentimenti per troppo tempo nascosti, ma soprattutto con Nicola. Dalla storia: "Ritroverei il suo volto fra mille, anche più. Quei tratti così definiti, quel suo costante modo di mordersi le labbra e quegli occhi, quegli occhi più unici che rari, occhi che solo lui ha. Conosco fin troppo bene quegli occhi, vispi ma contemporaneamente cupi, occhi di chi sembra aver visto il mondo intero ma che cerca ancora la sua casa. Forse è dai suoi occhi che è partito tutto, o meglio, che il mio mondo, la mia normalità si è completamente disfatta, cadendo in mille pezzi, pezzi rimasti a terra e mai raccolti."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Allora, come hai detto che ti chiami?" la situazione è abbastanza strana, forse fin troppo.
Avete presente quei momenti imbarazzanti in cui ci si ritrova a parlare chiaramente davanti a tutto il pubblico - in questo caso tutti i quarti della scuola - presente?
Ecco, questo momenti rientra perfettamente nella lista.
"Emma, Emma Nardin" rispondo cercando di non far trapelare alcuna agitazione, emozione o qualsiasi altra cosa io provi. In effetti non so come mi senta in questo momento: insomma, mi basta guardarmi intorno per vedere l'aula magna trapelare di gente, chi più interessato e chi meno, ovviamente, ma tutti che sono comunque propensi a fissarmi.
"Bene Emma, raccontaci del tuo primo amore" dice quel tipo strano che mi trovo davanti, microfonato e vestito tutto d'un pezzo. Come se poi potessi raccontare seriamente davanti a tutta la scuola del primo - ma anche ultimo - amore.
Guardo di sfuggiata Caterina, la mia storica migliore amica, che mi guarda perplessa dal basso della sua sedia, accanto a quella di Lucia.
Nemmeno a Caterina sa la storia del mio primo amore, o meglio, nessuno, a parte me, è a conoscenza di quell'amore. E di raccontarlo davanti a tutti, soggetto della prima cotta compreso, non mi va proprio.
Guardo tutti i presenti, almeno quelli di cui posso scorgere il volto, da lassù.
Quel tipo mi guarda impaziente di sapere la mia storia.
"Allora, cosa aspetti a raccontarci?" cerca di sollecitarmi, ma la voglia di parlare per me è pari a zero, se non inferiore.
"Non penso sia il caso" cerco di divincolarmi, ma il tipo scuote violentemente la testa.
"Eh no carissima, ora che sei qui devi raccontarci" parte un boato proveniente dagli alunni del quarto presenti, che, come quel tipo, aspettano che io comincio a parlare.
"Beh..." non posso permettermi di raccontare a tutti quella storia. Ne va della mia integrità!
Fra tutti gli alunni seduti davanti a me cerco solo un volto, quello di Nicola. Non mi ci vuole molto a trovarlo, anni e anni di esperienza mi precedono.
Ritroverei il suo volto fra mille, anche più. Quei tratti così definiti, quel suo costante modo di mordersi le labbra e quegli occhi, quegli occhi più unici che rari, occhi che solo lui ha.
Conosco fin troppo bene quegli occhi, vispi ma contemporaneamente cupi, occhi di chi sembra aver visto il mondo intero ma che cerca ancora la sua casa.
Forse è dai suoi occhi che è partito tutto, o meglio, che il mio mondo, la mia normalità si è completamente disfatta, cadendo in mille pezzi, pezzi rimasti a terra e mai raccolti.
Tutto è cominciato undici anni fa, quando ho conosciuto Nicola.
Allora ero solo una bambina, avevo sette anni e l'unica cotta che avessi mai avuto era stata per Leonardo DiCaprio, un classico insomma. Non avevo idea di cosa significasse avere una "cotta" per un bambino, insomma, qualcuno come me.
L'unica cosa di cui mi importava in quel periodo era solo giocare con le bambole e, come ogni bambina che si rispetti, odiavo i bambini. Nicola sarebbe dovuto rientrare fra gli "odiati", ma così non è stato.
La prima volta che ci siamo rivolti la parola le nostre mamme stavano avendo un'animata chiacchierata davanti al condominio, il nostro condominio. Un condominio composto da otto miseri appartamenti, un posto tranquillo insomma. Lui al primo piano, io all'ultimo, ma eravamo sempre sotto lo stesso tetto.
Quel giorno me ne stavo attaccata alla coscia di mia madre, cercando di nascondermi e guardando quel bambino un po' sdentato dai capelli nerissimi e gli occhi verdi.
Ero stata timida all'inizio, ma per me è stato amore a prima vista. Da quel momento non so più riuscita a dimenticarlo, nonostante gli anni passati a guardare altri ragazzi, a cercare in persone improbabile tutto ciò che vedevo in lui.
Ci ho provato tante volte, senza mai riuscirci veramente.
"Sa" comincio a parlare al tizio che mi guarda, insieme a tutti i compagni "il primo amore non si scorda mai, in tutti i sensi. Dall'incontro con il mio primo amore sono passati tanti anni, ma me lo ricordo come se fosse ieri. Insomma, non l'ho mai dimenticato" cerco di spiegarmi, sperando che quella piccola confessione gli basti, ma mi basta guardare i volti incuriositi dei miei compagni per capire che vogliono saperne di più.
"Non ho mai raccontato a nessuno di questa storia, non so per quale motivo, come se volessi tenermi la bellezza di quello che allora era solo un bambino tutta per me" dico e punto la sguardo su Nicola che, stranamente, sembra interessato al mio discorso.
Sorrido, sperando in un certo senso che lui lo noti.
Lo guardo e voglio che capisca che sto parlando di lui.
"Il primo amore è certamente quello che più importante, a mio parere, sotto tutti i fronti. Perché quando ci si prende quella prima cotta, è veramente difficile capire di cosa si tratti, io stessa dopo tanto tempo ancora non l'ho capito" dico. Guardo i visi delle persone intorno e stranamente se ne stanno tutti in silenzio, a fissarmi come degli imbecilli, pronti forse a sentire cos'altro ho da dire.
"Sì, sappiamo tutti cos'è il primo amore, ma vorremmo sentire la tua storia" dice il tizio facendo annuire tutti i presenti in aula magna.
"Quello che avevo da dire l'ho detto" cerco di convincerlo, ma a quanto pare non sembra funzionare, visto che scuote la testa.
"Ma non ci hai detto come hai conosciuto questa persona, cosa provavi, se hai mai provato a dirglielo, insomma, non ci hai raccontato niente" e non ho alcuna intenzione di farlo.
"Mi permetta, ma non sono affari suoi" rispondo per le rime, in fondo tutto ciò che ho passato per e con Nicola, non è affare di nessuno, se non mio.
Nicola mi guarda con uno sguardo interrogativo. Quanto vorrei potergli dire tutto, dopo tutti questi anni, quanto vorrei potergli dire che di tutte le altre persone non mi è mai importato niente.
Dopo aver detto quella fatidica frase, scendo da quel piccolo palchetto, dirigendomi immediatamente al di fuori dell'aula magna.
Mi chiudo la porta alle spalle, cercando di darmi una calmata, ma sembra non funzionare.
Quel tizio vestito da sfigato mi ha fatto ricordare nel giro di cinque minuti tutto ciò che ho passato negli anni con lui.
Tutto, da quando da bambini giocavamo insieme, passando per le gite in bicicletta per la campagna di Salgareda, arrivando ai batticuori infiniti, gli sguardi, i sorrisi e poi quei "ciao, come stai?" fin troppo convenzionali.
Nicola è parte di me, da troppo tempo ormai.
Mi appoggio alla parete, cercando di risolvere i miei complessi interiori, cercando di dare fine al peggio.
"Tutto bene?" sento dire da una voce non lontana da me.
"No" rispondo, voltandomi. Potrei dire di poter toccare il cielo con un dito, potrei dire di sentirmi completa in un momento, ma niente avrebbe senso.
Nicola è davanti a me.
"Ti ho visto parecchio scossa, prima. C'è qualcosa che non va? Me ne puoi parlare, se ti va" mi dice lui, come se io potessi veramente parlargli dei miei problemi esistenziali.
Da piccoli facevamo grandi discorsi, parlavamo di tutto, di come non sopportassimo i nostri genitori, dei torti che molte volte ci facevano gli altri amici, di calcio, di musica, di scuola, ma mai d'amore.
"Nico, non penso sia il caso" ecco la frase più ripetuta nell'ultima mezz'ora. Fantastico!
"Perché?"
"Non potresti capire" a tutti sembra semplice parlare, ma io a dirgli ciò che provo per lui ci ho provato una miriade di volte, senza riuscirci mai. Non penso che lui abbia mai sospettato niente, nonostante io gli sia stata appiccicata tanto. Forse pensa che io mi comporti come una buona amica, probabilmente.
"Non lo puoi sapere se non me ne parli" dice, invitandomi a parlare. Non ha tutti i torti, in fondo.
"Sei mai stato innamorato?" gli chiedo, trovando la forza di guardarlo negli occhi.
"Probabilmente"
"Beh, ecco, io lo sono da parecchi anni, e magari tu potresti pensare che lo sono da due anni, ma no, lo sai da quanto lo sono? Da sette anni. Sette lunghissimi anni. Prima era una cotta, poi ho capito cos'era" gli dico con tutto l'isterismo che ho in corpo e lo vedo sorridere.
"L'amore è una cosa bellissima!" mi risponde, non capendo forse dove voglio arrivare a parare.
"Sì, ma non quando te lo porti dietro per così tanto tempo. Sai, è un peso insostenibile. E' un peso che vorrei tanto togliermi, ma non ci riesco. Insomma, ogni santa volta mi prende quel batticuore convulso, un batticuore che mi toglie il fiato e mi impedisce di dire qualsiasi cosa sensata." lui annuisce, sembra capire.
Più lo guardo e più mi convinco di ciò che provo. I suoi occhi sembrano parlare.
"Non posso dirti di provare a dirglielo, so che è difficile, ma dovresti dirglielo così, senza pensare, facendo finta che sia un tuo amico, qualcuno che non ti faccia battere il cuore, insomma" mi rincuora, sorridendo leggermente. Mi fa bene parlare con lui, nonostante il mio problema principale abbia il suo nome.
Cerco di sorridergli anche io, per quello che riesco a sorridere ovviamente.
"Grazie" gli sussurro, essendogli grata per non avermi fatto troppe domande.
"Figurati" mi dice, voltandomi le spalle ed incamminandosi verso l'aula magna.
Agire senza pensare. Agire e basta. Far finta di parlare ad un amico. Dimenticarsi per un attimo dei batticuori, dei tremolii, dimenticarsi per un attimo di tutto.
Un respiro per svuotare la mente.
Il cuore che batta spasmodicamente. Sembra che voglia uscire dalla gabbia toracica.
Niente pensieri.
"Nicola aspetta!" lo chiamo io, si gira lentamente, istanti che sembrano infiniti, come in un film.
Mi guarda con uno sguardo interrogativo, aspetta che io parli.
E' arrivato il momento.
"Hai presente quel ragazzo di cui ti stavo parlando prima?" dico, cercando di tenere la mente ben salda sul mio obiettivo, senza pensare a nient'altro.
"Certo" dice lui tranquillo, al contrario di me.
Prendo ancora un bel respiro "Sei tu" gli dico.
Lo vedo irrigidirsi di colpo.
Non emette parola.
Ho fatto una cazzata, una cazzata troppo grande.
"Ecco, te l'ho detto" dico, abbassando lo sguardo, non avendo più il coraggio di guardarlo in faccia.
Ciò che è fatto è fatto.
Sento le lacrime pungermi gli occhi, desiderose di uscire. Non glielo posso permettere.
Nicola non parla. E' difficile che lui non parli. Ho fatto un casino.
"Ora capisci perché mi sono tenuta dentro tutto? Proprio perché volevo evitare questo. Mi dispiace" riesco a dire, con la voce che trema. Riesco ad alzare lo sguardo ed a guardarlo. Ha lo sguardo fisso su di me, non l'ho mai visto così.
"Perché non mi hai mai detto niente? Perché non me l'hai fatto nemmeno capire?" dice lui. Mi sembra che siano passate ore dall'ultima volta che ha parlato.
"Perché non volevo rovinare tutto" dico, forse quella è la verità, forse no. Ho sempre avuto paura di parlargli perché ho sempre pensato di non essere abbastanza per lui.
"Dovevi dirmelo" dice, chiaro e conciso.
Mi sento a pezzi. Il mondo mi è caduto sopra quando meno me l'aspettavo.
"Nico, ora hai il diritto di non parlarmi più, hai il diritto di far finta che io non esista. Sapevo che l'essermi innamorata di te sarebbe stato solo un grandissimo errore, mi dispiace" non sono riuscita a trattenere le lacrime. Escono, indipendenti dalla mia volontà. Voglio andarmene e non tornare più.
Lo sorpasso andando verso chissà quale meta sconosciuta, convinta che questa sarà l'ultima volta. Convinta che il mio primo amore abbia finalmente visto la fine. Doveva succedere prima o poi.
Raggiungo la mia classe vuota e mi siedo al mio banco, cercando di non pensare al casino che ho combinato.
Andava tutto bene prima, ma poi mi sono lasciata trasportare dalle emozioni, da una speranza inesistente. E sono qui. Ancora viva.
La giornata scolastica finisce in fretta e l'unica cosa che ora voglio è tornarmene a casa e forse non uscire più. Vorrei tanto potermi dimenticare di lui in un istante, vorrei che tutto scomparisse velocemente, ma non posso e probabilmente nemmeno voglio.
Mi sbrigo a scendere dall'autobus con le cuffie ancora nelle orecchie, con quella canzone fin troppo importante per me, che ripete "lost and insicure, you found me, you found me".
Non voglio che nessuno faccia domande sulla mia faccia smunta, sul mio evidente umore.
Cammino a passo veloce per la via prima di casa, da sola.
Penso a Nicola, come sempre. Penso alla espressione fredda dopo avergli confessato tutto. Vorrei poter tornare indietro.
Arrivo davanti alla porta del condominio che, come al solito, è rimasta semplicemente appoggiata anziché chiusa. La spingo leggermente per poi entrare nel condominio, pronta a fare la prima rampa di scale quando sento qualcosa che mi tira senza troppa pressione dalla spalla sinistra.
Nemmeno il tempo di voltarmi che mi ritrovo faccia a faccia con Nicola, forse più rilassato di prima, forse con le idee più chiare.
Ho appena la forza di togliermi gli auricolari per sentire se ha qualcosa da dire, ma non dice niente.
Non posso aver rovinato tutto in questo modo.
Nicola mi guarda ma continua non dire niente. La sua mano dalla spalla ora se ne sta appoggiata sul mio gomito, senza lasciarlo per un attimo.
Vorrei morire. Preferirei morire piuttosto che sopportare tutto questo. Ho rinunciato a lui confessandogli i miei sentimenti.
E' vicino a me, forse troppo, ma sento o forse so di aver comunque rovinato qualsiasi cosa ci fosse prima.
Non mi ha ancora parlato.
Vorrei tanto che lo facesse, quanto vorrei mi guardasse e mi dicesse "è tutto ok, è tutto come prima". Non m'interessa di piacergli, voglio solo che tutto torni come prima.
"Non avrei dovuto dirtelo" riesco a sussurrare a malapena. Vorrei piangere, vorrei fare tanto, ma non riesco a fare niente.
"Sì che avresti dovuto invece" mi risponde lui ed il mio cuore ricomincia a battere. Finalmente ha parlato.
Mi guarda dritto negli occhi, senza distogliere lo sguardo, senza paura.
Gli sorrido, senza motivo. Devo sembrare proprio una stupida.
"Perché?" gli chiedo, senza ottenere risposta. Lui mi guarda e dopo tanto tempo torna a sorridere.
Un attimo ed il mio cervello si riempie di domande. Domande che vengono annullate da un gesto semplice, uno scatto, una frazione di secondo.
Sì, una frazione di secondo e sento le sue labbra sulle mie. Se ne stanno ferme, come immobilizzate dalla colla più potente mentre con la sua mano stringe la mia.
Le nostre labbra si staccano per un istante, per poi ricercarsi di nuovo, questa volta cercando di più. Ed in un istante quel bacio si approfondisce, le nostre lingue si cercano. Questo è uno di quei baci che toglie il fiato.
Ci stacchiamo, dopo minuti, ore o forse anni.
Lo guardo cercando di capirci qualcosa, felice allo stesso tempo. Quanto avevo aspettato quel momento.
"Che significa questo?" gli chiedo e lui sorride.
"Significa che se me l'avessi detto prima, ti avrei anche baciata prima" sorride ed io non posso far a meno di scoppiare in una sonora risata. Dopo tutto c'è anche del buffo in tutta la situazione.
"Quindi?" gli chiedo ancora, sorridendo.
"Quindi penso che tu mi piaccia" e sorride anche lui, tenendomi ancora stretta la mano nella sua. Rido ancora, rido gioiosa, rido perché questo è il mio momento, quel momento tanto aspettato.
 
  
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