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Autore: wwwww    29/06/2014    2 recensioni
Makoto e Rin si sono trasferiti a Tokyo insieme per frequentare l'Università. Tutto va alla grande, più o meno, a parte l'enorme, imbarazzante e innominabile problema di nome Haruka.
{MakoRin}
29/06/14 Aggiunto secondo capitolo. In breve, il mattino dopo.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caldo. Makoto. Makoto ovunque. Il suo petto contro la schiena, un braccio attorno e uno sotto il collo, il suo respiro tra i capelli; ancora la sensazione delle sue labbra, della sua lingua contro la sua.
Il ricordo della sera prima tornò pian piano, riempiendogli la mente come fosse liquido. Si sentì di nuovo così immensamente stupido. E poi il bacio, i baci, tanti baci.
Ne voleva ancora.
Rin si cullò nel tepore dell’altro il più possibile, nella penombra del mattino autunnale.
Poi gli venne freddo alla punta del naso. Si rintanò ancora di più sotto le coperte, ancora più vicino a Makoto.
Doveva assolutamente andare in bagno. Ignorò stoicamente. Non voleva alzarsi, non voleva andarsene, non voleva che finisse.
Ci pensò la sveglia, dalla sua stanza due muri più in là. Soffocò un grugnito di protesta nel cuscino.
Makoto si mosse appena. I pochi peli rimasti sulla schiena di Rin si rizzarono tutti. Makoto… si ricordava? Certo che sì, non aveva bevuto o altro. Non si sarebbe rimangiato le parole, vero? Non era da lui, però…
«Rin» sussurrò, la voce arrochita e impastata dal sonno, stringendolo a sé più forte di quanto avrebbe fatto da completamente sveglio.
Non poté impedirsi di sorridere.
La sveglia continuava a suonare, lontana ma insopportabile.
Si rassegnò e si voltò verso Makoto. Era meraviglioso. La guancia spiaccicata contro il cuscino, gli occhi aperti a malapena che faticavano a metterlo a fuoco, le labbra secche. Stupendo.
Voleva baciarlo, però il suo alito sapeva di bufalo bagnato.
«Buongiorno» mormorò, attento a non soffiargli sul viso. Lo baciò piano sulla guancia morbida.
Makoto ignorò turbe varie sull’alito mattutino e lo baciò sulla bocca, accarezzandogli i capelli.
Era così morbido e umido e caldo. Si strinse a lui, inarcando la schiena percorsa da un tremito.
Il volume della sveglia aumentò di almeno una decina di decibel. Non poteva più rimandare.
Controvoglia si alzò, e in quel momento Makoto gli prese la mano. Bloccato sul posto, lo guardò baciargliela, proprio sulla nocca del medio, e ricadere tra le coperte senza lasciarla.
Voleva buttarsi lì con lui e non riemergere mai più, ma il dannato arnese non demordeva.
Makoto deglutì e si stiracchiò, sconfitto.
«Spegnila, per favore» mugolò infastidito.
Ridacchiò e lo baciò sulla fronte, mormorandogli piano “scusa”, prima di decidersi a uscire.
Saltellò fino alla sua camera, impaziente e infreddolito, e spense la sveglia con un pugno. All’improvviso, la sua stanza gli sembrava triste e grigia. Voleva tornare da Makoto. Le scarpe da ginnastica che spuntavano da sotto l’armadio, però, lo riportarono alla realtà: doveva andare a correre, ma non ne aveva per nulla voglia.
Però non poteva saltare un pezzo di allenamento.
Voleva tornare da Makoto.
Sospirando profondamente, si cambiò i pantaloni, infilò una felpa più grossa e districò il lettore mp3 da dentro la borsa. Se avesse fatto in fretta, forse sarebbe potuto tornare, ributtarsi a letto con Makoto e ricominciare da dove avevano interrotto la sera prima.
Tornò nell’altra stanza per salutare. Makoto, vagamente sveglio, sonnecchiava su un fianco arrotolato in tre strati di coperte.
«Vai a correre?» chiese, mentre Rin era perso a rimirarlo.
«Sì, mi dispiace, io…»
«Vengo con te» annunciò, alzandosi a sedere.
«Ma… non corri da mesi, e fuori fa freddo.»
«Voglio venire con te» rinunciò a cercare le ciabatte da sotto al letto – probabilmente erano rimaste vicino al divano la sera prima - e si alzò, guardandolo dritto negli occhi.
Voleva baciarlo così tanto. Lo fece.
Makoto si staccò troppo presto e sparì in bagno.
Sospirando, Rin andò a preparare un minimo di colazione.

«Pronto?»
«Sì»
«Sicuro? Fa freddo sul serio, e…»
«Sono sicuro. Andiamo, Rin»
Quanto gli piaceva sentirgli dire il suo nome.

Dodici minuti e ventisette secondi dopo, stando al cronometro di Rin, erano di ritorno. Makoto era forte, ma era effettivamente fuori allenamento e non riusciva a stargli dietro.
«Scusami» riuscì a dire, ansimando.
Rin ingoiò l’impellente impulso di dirgli “te l’avevo detto”.
«Tu continua pure, non preoccuparti per me» gli sorrise gentile nonostante il fiatone.
Voleva baciarlo. Voleva baciarlo fino a non respirare più. Invece rimase impalato di fronte a lui, incapace di smettere di guardarlo.
«Torna a letto» si scollò dal palato. Gli uscì molto più brusco di quanto volesse. Era un idiota.
Sentì Makoto ridere piano alle sue spalle mentre correva via.

Ricontrollò l’orologio. Erano passati a malapena due minuti dall’ultima volta che l’aveva fatto. Oh, al diavolo. Trenta minuti di corsa bastavano. Ventisette, lo corresse la sua testa con un tono spaventosamente simile a quello di Rei. Si strappò le cuffie dalle orecchie (tanto nessuna canzone era adatta al momento) e tornò indietro.
Makoto, Makoto, Makoto. I suoi occhi, le sue labbra, il gemito basso che gli aveva strappato la sera prima, la pelle del suo fianco sotto le sue dita, quanto era bello e vero il suo sorriso.
Chissà se era tornato a letto. Forse stava preparando il the, appoggiato al piano di fianco ai fornelli mentre guardava il bollitore come faceva sempre. Poteva arrivare, abbracciarlo da dietro, baciargli il collo…
Contrariamente alle sue aspettative, l’altro era seduto al tavolo della cucina dietro ad una tazza di the. Gli sorrise, ma non come sorrideva prima. Era… preoccupato?
Che cosa ho fatto. Era stato fuori venti minuti, non poteva avere già combinato qualcosa.
Non rispose al bentornato dell’altro, buttò a terra vari strati di giacche e si precipitò da lui. Che doveva fare? Voleva toccarlo, prendergli le mani, accarezzargli il viso, qualcosa, ma non era sicuro fosse la cosa giusta. Un pensiero errante subito scacciato gli diceva di sederglisi in braccio. Non fece nulla di tutto questo e rimase impalato di fianco al tavolo.
«Che è successo?»
Makoto alzò gli occhi dal the, esitante; sembrava cercare le parole.
No. Per favore, no…
«Io… ho pensato a… noi e… credo dovremmo dirlo ad Haruka»
«Cosa? Perché?» che c’entrava Haruka? L’avevano chiarito la sera prima che… merda, Haruka. Aveva sbagliato credendo che stesse con Makoto, ma se avesse indovinato qualcosa per una volta nella sua vita, e ad Haruka piacesse davvero Makoto? L’aveva creduto fino alla sera prima, dopotutto. Non voleva, non voleva davvero ferirlo. Quindi Makoto aveva fatto lo stesso ragionamento, a parti inverse? Non capiva comunque l’urgenza di dargli la notizia di… di cosa, esattamente? “Abbiamo chiarito che nessuno di noi sta con te, quindi abbiamo passato una serata a baciarci e abbiamo intenzione di continuare per il tempo a venire”?
Makoto lo guardò dibattersi tra i suoi pensieri, prima di rispondergli.
«Voglio essere sicuro che Haru non abbia nulla in contrario e…»
«E se l’avesse?» non voleva essere così aggressivo, non voleva davvero «cosa farai, mi mollerai e torneremo a far finta di nulla come prima?»
«Rin, calmati!» l’aveva rimproverato, come un bambino cattivo. Si vergognò da morire e chiuse la bocca, preferendo guardare l’angolo del tavolo che l’espressione di Makoto.
«Scusami» bofonchiò, ad un volume appena udibile «è solo che non…» non trovava le parole.
Come e più di lui, Makoto non voleva ferire Haruka. Makoto non voleva ferire nessuno, piuttosto si sarebbe fatto carico di tutto senza un lamento, ed era questo che lo preoccupava. Se Haruka davvero non fosse stato contento, che fine avrebbe fatto? Sarebbe rimasto con lui comunque o avrebbe lasciato perdere? La base di tutto era sempre la stessa: chi era più importante tra di lui e Haruka. Per quanto fosse abbastanza sicuro dei sentimenti che Makoto provava per lui, non se la sentiva proprio di poter uscire vincitore contro l’altro.
Makoto chinò il capo a sua volta.
«Credo solo che essere onesti sia la cosa migliore per tutti» disse, calmo.
Forse aveva ragione, e mettere subito in chiaro le cose avrebbe risparmiato sofferenze ed incomprensioni a tutti, però aveva una paura tremenda.
«E va bene» capitolò. Makoto gli sorrise, felice che avesse capito, e tutto gli apparve più roseo per un momento. Poi andò a fare la doccia e tutto continuò come qualsiasi altra mattina.

Gli allenamenti erano durati talmente tanto che svariati universi erano nati e finiti nel frattempo. Non faceva altro che pensare a Makoto, e a quello che avrebbe detto o non detto Haruka. Durante la giornata era passato dall’estraniarsi completamente – quando pensava alla sera prima, Makoto che lo baciava, le sue braccia, la sua pelle, il suo sorriso - a impegnarsi con tutte le sue forze, quando pensava a quello che avrebbero dovuto dire ad Haruka e alle conseguenze, senza vie di mezzo tra le due condizioni. La cricca dei fondisti l’aveva preso in giro più del solito, ma li aveva ignorati. A metà di una vasca gli era venuta in mente la schiena di Makoto, a quanto gli sarebbe piaciuto sentire i muscoli e la pelle liscia sotto le dita, sotto le labbra, e si era schiantato contro il bordo.
Il viaggio in metropolitana durò qualche era geologica. L’intero contenuto del suo mp3 faceva improvvisamente pena, come le chiacchere dei suoi vicini di posto.
Quando uscì corse a casa, recuperando qualche minuto di corsa saltato la mattina. Makoto lo aspettava sull’ingresso. Era nervoso anche lui, anche se provava a nasconderlo. Rimase impalato sulla soglia alcuni secondi, indeciso se abbracciarlo o meno. Non desiderava altro da quella mattina – da tutta la vita – ma non gli sembrava la cosa giusta. Si limitarono a fissarsi, impacciati e confusi. Poi Rin lasciò perdere e andò a occuparsi della cena, per scoprire che Makoto l’aveva già comprata al take-away all’angolo. Era un angelo.
Esitante, Makoto gli disse che una videochiamata era il metodo migliore, per lui, e si era accordato con l’altro.
Mangiarono parlando del più e del meno, come qualsiasi altra sera, e aspettarono che arrivasse l’ora giusta per connettersi.

Finalmente Haruka comparve nel rettangolo prima nero della videochat.
«Allora?» esordì, nel solito tono indifferente.
«Ti connetti con quarantacinque minuti di ritardo e tutto quello che sai dire è “allora”?» lo accolse Rin, spazientito, prima che Makoto potesse intervenire.
«Ero in bagno»
Balle. Haruka sapeva a malapena usare il cellulare, probabilmente aveva impiegato dieci minuti solo per trovare il tasto di accensione. Makoto lo sapeva bene quanto lui – dopotutto, prima di partire per Tokyo era stato lui a spiegargli come usare il suo portatile nuovo di zecca, regalo dei suoi pressoché inesistenti genitori – e intervenne prima che potesse rinfacciarglielo.
«È tanto che non ci si vede, Haru»
«Mi avete fatto uscire dalla vasca solo per questo?»
«Magari sentivamo la tua mancanza, razza di ingrato»
«Sei sempre così sentimentale, Rin»
«Oi, brutto…»
«Non cominciate subito, per favore – si inserì Makoto, rassegnato.
Gli altri due si fissarono in cagnesco, ma lasciarono perdere.
Calò un silenzio strano.
In fondo in fondo, sotto i diciassette strati di ansia e disagio che si portava addosso da quella mattina, gli faceva piacere vedere Haruka. Aveva i capelli più lunghi, ora che nessuno gli ricordava di tagliarseli. Ricordava l’eroe di un romanzo romantico.
Guardò di sottecchi Makoto, che però sembrava cercare le risposte ai suoi problemi esistenziali sulla tastiera. Haruka invece lo fissava apertamente. Sembravano bambini che aspettano il permesso della mamma.
«Quindi?»
«Non preoccuparti, Haru, non è successo nulla, o, meglio sì, è successo qualcosa e…» Makoto lo guardò i cerca d’aiuto.
«Dobbiamo dirti una cosa, io, noi…»
«Ecco…»
Haruka li guardava giudicante.
Sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie, la testa piena di panico bianco e bisogno assoluto di toccare Makoto. Gli prese la mano. Si guardarono davvero per la prima volta da ore. Ogni singola parte di Makoto gridava aiuto.
Sospirò profondamente.
Uno strappo netto e via. Tre, due, uno…
«Stiamo insieme» sputò fuori.
L’aveva detto.
Makoto gli strinse forte la mano. Poteva sentirlo sorridere, ma non aveva la forza di alzare gli occhi.
«Finalmente ci siete arrivati»
Cosa?
«Cosa?» esclamarono all’unisono, straniti. Haruka si limitò a guardarli. Non capiva quasi mai cosa stava pensando, e adesso non ne aveva proprio idea. Non gli sembrava deluso, o geloso. Era sempre stato possessivo quando si trattava di Makoto, ma questa volta sembrava solo vagamente seccato e qualcosa di indefinibile se non come meno distaccato o qualcosa del genere. Il cerchio bianco di paura nella sua testa iniziò piano a sciogliersi in caldo sollievo.
«Per questo la scorsa estate facevate di tutto per non rimanere contemporaneamente nella mia stessa stanza?» continuò.
Porca miseria, se n’era accorto. Sembrava sempre così distaccato dalle questioni personali, anche se in realtà non lo era per nulla, e ogni volta lo spiazzava. Chissà cosa aveva pensato di loro. Guardò Makoto, che a sua volta guardava Haruka allarmato.
«Scusa se ti abbiamo coinvolto nelle nostre faccende» gli fece un sorriso piccolo, privato e pieno di affetto, e Rin si sentì escluso. Quei due riuscivano a dialogare silenziosamente nonostante i pixel selvaggi. Sarebbe stato geloso, se non fosse stato anche così tanto sollevato.
Alla fine Haruka sospirò.
«Non capisco perché lo abbiate detto solo a me. Nagisa e Gou sarebbero entusiasti di saperlo. Credo ci abbiano scommesso sopra»
«Mia sorella cosa?» la sua sorellina, traviata dal quel demone biondo. E dire che era così innocente da bambino. Si sarebbe vendicato in qualche modo.
«E credo che Rei sarebbe entusiasta di darvi ogni genere di consiglio»
Makoto fece uno strano singulto, come se gli fosse andato di traverso qualcosa.
Haruka li stava prendendo in giro, era un buon segno, oltre all’unico motivo per cui non gli rispondeva a tono.
Le sue dita erano sempre intrecciate a quelle di Makoto, così strette che non le sentiva quasi più. Gliele accarezzò con l’altra mano, tirandole più vicine.
«E, Rin» Haruka tornò serio (serio davvero, non comicamente serio come prima) «Vedi di comportarti bene»
Avvampò, e Makoto con lui.
«Ma per chi mi hai preso!»
«Haru!»
«Adesso è tardi, vado a dormire. Buonanotte» troncò la conversazione di netto, lasciandoli spaesati davanti allo schermo nero. Dovevano aspettarselo, era andato ben oltre la sua dose di sociabilità quotidiana.
Rimasero inebetiti davanti al computer, la mano di Makoto ancora tra quelle di Rin.
Era improvvisamente stanco, e felice.
«Quindi» interruppe il silenzio. «tanta preoccupazione per farci prendere in giro»
«Non direi davvero che…»
«Oh, lo so, lo so. Abbiamo anche avuto la sua benedizione, più o meno»
Rimasero immobili un altro po’. Poi Makoto tolse la mano dalle sue e lo abbracciò stretto, sorridendo più luminoso del sole. Rin ispirò profondamente e sprofondò il viso nel suo petto.
Finalmente. Finalmente. Era così caldo e meraviglioso e ne voleva di più.
Raccolse tutto il coraggio e l’euforia del momento, e gli chiese:
«Ieri sera, non avevi parlato di esercitarci?»
Makoto rise piano.
Andava tutto di nuovo bene, non c’era più un problema al mondo. Solo loro due.









Note:
Pensavo di aver finito, con questi due, ma idee varie mi giravano in testa e le ho buttate giù. Ci ho messo una quantità di tempo inumana anche per i miei standard, ma ce l’ho fatta e già questo mi rende felice. Volevo anche rendere omaggio alla mia amata MakoRin prima che la prossima stagione la distrugga. Il che non è detto, eh, ma non si sa mai e sono sensibile su ‘ste cose.
Per parlare di qualcosa di più tecnico, come forse avrete notato ho un problema: ripeto i nomi dei personaggi un’infinità di volte. Questo perché chiamarli con i colori dei capelli non mi piace (e poi, di che cavolo di colore sono i capelli di Makoto? Castarde? Verdano? Marrerde?), così come altri riferimenti vari all’aspetto fisico. Di altri modi me ne vengono in mente pochi e non mi piacciono comunque. Spero di non aver reso tutto troppo pesante, ho fatto quel che ho potuto.
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta del mio lavoro (forse è solo perché è l’una di notte), spero abbiate gradito anche voi.
Aggiunta del 13/07: la mia migliore amica mi ha fatto sentire questa canzone e la sensazione che mi dà è la stessa che ho cercato di descrivere. Mi dispiace solo averla sentita per bene solo dopo aver fatto la mia super ricerca musicale per una canzone da cui trarre un titolo decente.
 
  
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