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Autore: _Rebecca    30/06/2014    0 recensioni
Giacomo si alza, si asciuga le lacrime e mi comincia a guardare, poi sorridendomi dolcemente si avvicina a me e mi fissa negli occhi, le sue labbra morbide continuano a chiudersi e ad aprirsi, come se volessero dire qualcosa, ed esitanti da quelle labbra escono parole che nessuno mai mi aveva detto.
« Ti amo Elisa » Mi pietrifico all’istante e lo guardo negli occhi, con le mie guance che divampano di rossore poi lui continua « e sinceramente non riesco più a pensare di vivere una vita senza di te, quindi ti prego, resta, fallo per me, fallo per noi. » Mi prende le mani e si avvicina.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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« Se fossi un colore, quale sarebbe? »
« Arancione. »
« Perché? »
« Perché è un colore che attira, ma se lo guardi bene, capisci che ti nasconde qualcosa, è un colore che inganna. Come te Eli. »
« Capisco. »
« Io invece che colore sono? »
« Tu sei viola. »
« Viola? »
« Sì, viola. Il viola è un colore che è caldo e freddo allo stesso tempo, cambia secondo la quantità di rosso o di blu che ci metti:  se c’è più rosso è caldo, se c’è più blu è freddo. Come il viola dell’aurora: poco prima del sorgere del sole sembra che la notte non voglia dare spazio al giorno e il cielo diventa violaceo, tu sei come quel viola, un po’ caldo e un po’ freddo. »
Giacomo si volta dalla mia parte e comincia a fissarmi con aria confusa, probabilmente si starà chiedendo se quel genere di viola mi piace o meno, ma prima che possa aprire bocca, gli rispondo
« Mi piace quel viola. »
Sorride « E a me piace l’arancione »
Contraccambio il sorriso, mi prende la mano e la bacia con delicatezza, facendo quasi sembrare che il mio sorriso sia un onore.
« Che gentleman che sei. »
« Suvvia, per così poco. » Tenta di avvicinarmi ma mi allontano prima che possa fare mosse avventate.
In questo caldo pomeriggio di luglio ogni minimo contatto rischia di liquefarmi all’istante. I binari del treno sono talmente roventi che se un uccello ci si appoggiasse sopra diventerebbe un pollo arrosto.
« Dunque cosa farai una volta arrivata lì? » Mi chiede Giacomo, avvilito dal fatto che parto.
« Prima di tutto andrò dai miei, il resto si vedrà. » Anch’io sono triste di andarmene, mi sono abituata a questa città, ma l’affitto qui è troppo caro e se vado avanti così, finisce che mi ritrovo in mezzo alla strada. Giacomo mi ha invitato più volte a stare da lui, ma non me la sento di andare e soprattutto non voglio illuderlo.
« Mi raccomando, casa mia è sempre aperta. »
« Non avevo dubbi. » Ridiamo entrambi per mascherare la tristezza della situazione. Conosco Giacomo oramai da cinque anni e abbandonarlo così mi rende davvero infelice, e così anche lui. Siamo sempre stati buoni amici e ogni tanto, più che altro quando eravamo ubriachi (o almeno io lo ero), capitava quella nottata di sesso che si sa, ogni tanto non guasta.
« Devi proprio partire, Eli? » Mentre me lo dice i suoi grandi occhi chiari si riempiono di lacrime che, conoscendolo, non tirerà fuori finché non sono lontana dalla sua vista.
« Non continuare ad insistere, come non ho cambiato idea quest’ultimo mese non la cambierò di certo adesso. » Mi giro per non guardarlo, o meglio, mi giro per non fargli vedere i miei occhi lucidi e le mie lacrime rigarmi le guance.
Restiamo in silenzio per qualche minuto, nessuno dei due vuole dire una parola perché qualsiasi cosa potrebbe farci cominciare a piangere come due bambini. Siamo tristi, ma sia io che Giacomo siamo troppo orgogliosi per volerlo dimostrare, quindi ci limitiamo al silenzio.
Silenzio. Odio il silenzio perché parla di più delle parole stesse. Stare in silenzio significa che sei un debole e che il tuo orgoglio è più forte di te ed io sono fatta così : debole. Per quanto la mia sicurezza possa farmi sembrare forte io sono debole. Giacomo ha ragione a dire che sono l’arancione, perché io inganno sempre il prossimo, indipendentemente da chi. Io ho quell’aria di sicurezza e dolcezza ,aggiungiamoci un piccolo alone di mistero, che mi rende quasi irresistibile, ma non appena ti avvicini e scopri chi sono ecco sparire in un attimo tutti e tre i requisiti. Io non sono dolce, non sono sicura e non sono nemmeno misteriosa. La prima persona che se n’è accorta è per l'appunto Giacomo.
La prima sera che ci incontrammo fu quando lavoravo ancora al vecchio bar “Caffè e quant’altro”. Quella sera Giacomo entrò con un gruppo di amici, ma lui era quello che si notava di più. Essendo cameriera e dovendo servire i tavoli, quella sera mi “toccò” andare proprio al suo. Gli amici di Giacomo erano strani, non erano e non sono tuttora, come lui. Loro sono alti sì, ma sono magri, quasi anoressici e notevolmente brutti di viso. Sembrano i nerd che si vedono in televisione. Giacomo invece no, lui è bello, molto bello, decisamente bello: Alto, spallato, un fisico da mozzare il fiato, occhi verdi chiaro ed i capelli castani dal taglio scompigliato. Sì, Giacomo è sicuramente  il mio tipo, o almeno era quello che pensavo quella sera : stavo appunto servendo il suo tavolo quando un altro gruppo di ragazzi entrò nel bar, erano i soliti bulletti stronzi che ci provavano con qualunque cosa, bastava che respirasse. Quella sera ebbi la pessima idea di mettermi in ghingheri, tanto per vedere come stavo, e quei ragazzi beh, hanno reso bene l’idea che ero una vera gnocca. Quando presi le ordinazioni al tavolo di Giacomo dovetti per forza andare anche a quello dei bulli, in quel momento uno di loro mi disse:
« Ciao bella, che ne dici se più tardi tu ed io ci facessimo un giro sulla mia Porsche? Non ti dispiacerà, te l’assicuro » e la sua mano tentò di infilarsi sotto la gonna, cosa che, ovviamente, io gli impedii.
« Mi dispiace ma sono impegnata più tardi, facciamo un’altra volta, anzi facciamo mai che è meglio. »
I suoi amici cominciarono a sbeffeggiarlo ridendo come pazzi, il ragazzo si girò verso di me infuriato e umiliato, cominciò a farfugliare qualcosa, poi mi disse quel che voleva da bere e me ne andai. Servii il tavolo di Giacomo, che continuava a sorridermi e guardava con sguardo sospetto il ragazzo, poi servii quello dei bulli, che ancora ridevano in faccia all’umiliato. Nel momento in cui mi stavo girando, quest’ultimo mi afferrò un braccio e disse sotto voce « Hai fatto una cosa sbagliata. Me la pagherai, puttanella » Lo guardai e scoppiai a ridere, spudoratamente, poi me ne andai.
Alla chiusura, il mio capo Edo mi salutò come al solito e io mi diressi verso la mia macchina blu, quando all’improvviso sentii una voce provenire da dietro di me « E’ il momento del riscatto, troietta » e due braccia mi presero forte, una sulla bocca per non farmi urlare mentre l’altra mi teneva ferme le braccia. L’uomo mi spinse dentro una macchina e chiuse dietro di sé la portiera. Quando mi girai per vedere chi fosse era il ragazzo del bar, quello che rifiutai. Ero spaventata e non sapevo come reagire, poi il ragazzo cominciò a tentare di toccarmi e mi tirò più di uno schiaffo. Nel momento in cui stavo per cedere dal dolore, ecco che sentii il finestrino rompersi e la portiera aprirsi. In un attimo non vidi più il ragazzo bullo sopra di me, un suono di dolore veniva dal marciapiede, un urlo e silenzio. Poi finalmente, riuscii a vedere il mio salvatore, era Giacomo.
« Adesso è tutto finito, non credo che quel maiale si farà più rivedere. » mi offrì la sua mano per aiutarmi ad uscire « Sei conciata parecchio male, vuoi andare in ospedale? » accettai l’aiuto e la strinsi con forza, uscii dalla macchina e, per la prima volta, mi misi a piangere. Piangevo per lo spavento, non per il dolore. Giacomo non poté fare a meno che abbracciarmi e dirmi che era tutti finito, che non dovevo più preoccuparmi. In quel momento amai Giacomo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Quella sera restai a dormire a casa sua, per non rimanere sola, mi offrì una birra (che bevvi più che volentieri) e cominciammo a parlare, per ore ed ore, senza smettere. Da quella sera, Giacomo è il mio migliore amico.
   
 
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