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Autore: Marra Superwholocked    30/06/2014    3 recensioni
Catherine conosce gli Angeli Piangenti, sa di cosa sono capaci. Eppure, a volte, la curiosità è più forte dell'istinto di sopravvivenza...
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angeli Piangenti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tocco dell'Angelo

 


Catherine odiava sistemare il suo armadio, figuriamoci fare il cambio di stagione. Sua madre tentava sempre di farla ragionare, incitandola a riordinare quello specifico angolo della sua cameretta, ma fu sempre tutto inutile: le piacevano i vestiti che venivano chissà come infognati sotto o dietro a tutti gli altri.
«Mamma, dove hai messo... Ah, nulla, trovata!» Sfilò abilmente dalla colonna instabile di magliette ben stirate una maglia di cotone leggero, nera e con la stampa di uno dei suoi gruppi rock preferito: gli AC/DC. Di lì a poco sarebbe arrivata la sua sis' – diminutivo di sister –, l'amica più grande di due anni che conosceva sin dai tempi del primo anno di scuola materna.
Nel rimettersi in piedi, Catherine buttò un occhio sui suoi poster della Marvel e di Doctor Who. Un simpatico David Tennant alzava il suo sopracciglio, mentre Matt Smith appariva serio e turbato. Poi la ragazza sentì scricchiolare il ginocchio destro, operato poco tempo prima e che giorno dopo giorno allenava per recuperare la giusta massa muscolare. Assicuratasi che quel rumore inizialmente sinistro non fosse un avvertimento di pericolo, la diciassettenne scacciò dalla mente i pensieri negativi che la assillavano sin da quando i medici l'avevano dimessa dall'ospedale. Si infilò la maglietta, le ciabatte e partì alla ricerca del cellulare. Lo trovò abbandonato sul morbido bracciolo del divano mentre squillava. Sullo schermo, il nome della sua amica: Marilena.
Catherine si precipitò sul balcone e salutò Marilena oltre la giungla di piante allineate sul bordo. «Wu-uh! Adesso ti apro!» Tornò nell'ambiente caldo di casa sua e sgattaiolò verso la porta oltrepassando il computer collegato alla tv e già pronto sulla finestra dell'episodio di Sherlock che dovevano guardare insieme.


«Mary! Tutto bene?» Catherine abbracciò la sua sis' subito dopo aver chiuso il cancello.
Qualche chiacchiera e piccoli gossip mentre risalivano le scale ed erano pronte per l'episodio. Risero alle battute e ai strani comportamenti del protagonista; scaraventarono qualche popcorn in aria durante le scene di suspense; invocarono i nomi dei due sceneggiatori sulla sigla finale.
«Devo proprio andare» disse Marilena prendendo le sue cose. Un paio di baci sulle guance dell'amica e un Ci sentiamo su facebook detto in un inglese molto stentato. Si diresse verso l'uscio mentre salutava la madre di Catherine, che richiamava la figlia per delle faccende che doveva sbrigare al posto suo.
Giunta in strada, Marilena tornò a casa guardando distrattamente l'orologio. Quasi ora di cena. Un centinaio di metri e cinque rampe di scale dopo, era al sicuro.
Catherine, invece, venne incaricata dalla madre di prendere due birre dalla cantina e di andare a comprare una Coca Cola al minimarket del centro storico. Per non complicarsi la vita, decise di scendere subito in cantina per recuperare le birre e metterle da parte: successivamente, sarebbe tornata lì con la Coca Cola per poi risalire velocemente in casa. Meno tempo passava in cantina col buio, meglio era.
Clic. L'interruttore della luce scattò, vibrò, infine si stabilizzò. Catherine raggiunse la porta della sua cantina e ne aprì il lucchetto. I cardini emisero la loro consueta risata da bambini. Lei, ormai, ci era abituata, ma quella volta le sembrarono diversi, lontani. Pensando fosse solo frutto della sua fervida immaginazione, si addentrò sicura, recuperò le bottiglie, richiuse la porta e uscì spedita dalla cantina, lasciando in cima alle scale le birre. Dopodiché, si diresse verso il centro storico con le monete che le suonavano in tasca.
Il minimarket non era molto distante da casa sua, tanto che in meno di cinque minuti aveva già in mano la bibita gassata comprata gelata per la cena ed era già di ritorno.
Non erano ancora riusciti a riparare il citofono, pertanto Catherine dovette usare le sue rumorose chiavi. La madre la scorse dalla piccola finestra della cucina, la vide percorrere il breve sentiero che, dal cancello, portava alle cantine e poi tornò alle sue verdure.
La ragazza mise giù la Coca Cola ed aprì velocemente la porta che tanto odiava. Un respiro profondo. I suoi occhi vedevano solo buio. Accese con scatto fulmineo la luce con l'interruttore alla sua destra. Le sue pupille si adattarono pian piano alla luce fredda delle cantine. Coraggio, si disse: le birre sono proprio ai miei piedi. Puntò gli occhi giù, in cima alle scale, ed ebbe un tuffo al cuore: le due bottiglie, che poco prima facevano da guardia nel loro regno, erano sparite. Oh, cacchio, di nuovo: i loro vicini di casa avevano visitato le cantine ed avevano colto l'occasione al volo. Birre gratis! E Catherine dovette riaffrontare le sue paure.
Prese tutta l'adrenalina che aveva in corpo e premette nuovamente l'interruttore per far durare più a lungo la luce. Deglutì. Avanti, Cathy, non devi aver paura di nulla. La porta appena oltrepassata si spostò di qualche millimetro, mossa dalla corrente del vento che avvertiva tutti dell'arrivo di un grosso temporale. Cigolò, ma Catherine cercò di non farci caso. Sudava freddo: i suoi tentativi di non pensare a quelle creature furono vani.
Gli Angeli.
Angeli Piangenti.
La diciassettenne deglutì di nuovo, incapace di pensare ad altro che non fosse una statua dai denti aguzzi e artigli affilati, pronti a squartare le carni delle loro vittime. Un brivido le percorse la schiena e le fece tremare il piede destro, il primo a terminare la scalinata. Giù anche il sinistro.
Benché sapesse che gli Angeli Piangenti fanno parte della fantasia di una mente geniale, sadica e diabolica come quella di Steven Moffat, Catherine non provava nessuna emozione se non terrore puro.
I corridoi delle cantine formavano una T e lei si trovava nella parte più lunga. Girò a destra e aprì la prima porta alla sua sinistra. Cercò l'interruttore. Un lampo lacerò il cielo, una luce troppo accecante per essere lontana.
La cantina piombò nel buio.
Clic. Nessun cambiamento.
Un rombo assordante fece trasalire la ragazza, che aveva ancora la mano appoggiata sull'interruttore.
Sospirò, poi un altro lampo percorse le cantine. Alle spalle di Catherine si intravide, oltre l'angolo che portava al corridoio d'uscita, lo scorcio di un'ala. Le cantine tornarono nel buio più totale.
La ragazza ripensò a quando aveva aperto la porta della sua cantina. Vi era stato silenzio. In compenso, avvertì la “risata dei cardini” solo dopo averci pensato. Una, due, tre volte. Sempre più vicina. Alla quarta volta, Catherine fece scivolare la mano in tasca , afferrò il cellulare e ne accese la piccola torcia. Si girò e la puntò dritta davanti a sé. E le si gelò il sangue nelle vene.
Un Angelo era pietrificato a due metri da lei, appena oltre l'angolo, mentre ai suoi piedi giacevano dei putti. Paffuti, grassocci. Letali. L'Angelo non mostrava né denti né artigli, segno che non era lì per fame. Puntava un dito nella sua direzione. Sorrideva.
Catherine sentì un'altra risata, la quinta. «Mary, smettila di scherzare!» Ma quella non sembrava la risata camuffata di una ventenne: riecheggiava, le entrava invadente in testa, la persuadeva a distogliere lo sguardo.
La sesta risata la portò a voltarsi.
La torcia del cellulare mostrava un altro paio di putti stesi a terra. Catherine, però , non ebbe nemmeno il tempo di vederne la lunga ombra proiettata sul pavimento ruvido che la sua ombra sparì, portandosi con sé anche la proprietaria, in un tempo remoto qual è il 1812.

   
 
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