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Autore: MiaBonelli    30/06/2014    0 recensioni
Amore e passione si susseguono in un subbuglio di emozioni, ricordi e di nuove esperienze.
E' una storia che lega vari generi letterari, a partire dal fantasy all'azione, dall'avventura all'amore, dalla realtà alla finzione.
Fatemi sapere quel che ne pensate, in modo tale che io possa pubblicarvi il seguito.
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Viveva in un piccolo antro di una caverna, così esile eppure così forte e sorprendentemente bella, amante delle sensazioni più pure, più genuine: Callia Rosalium. Nome davvero strano per una ninfa, eppure lei ancora non sapeva di essere quel che era davvero, lo sospettava si, ma le circostanze non le permettevano di accertarlo.
La caverna, dov'essa abitava, ben poco visibile ad occhio nudo, situata nei pressi di una cascata, era interamente ricoperta di edera rampicante e rose selvatiche, per non parlare del fatto che, seppur quel luogo fosse poco illuminato, vi cresceva ogni tipo di pianta mai conosciuta. Callia vagava nei boschi, ridente e sempre sorpesa dalle novità che ogni giorno le si presentavano davanti. Una volta sorprese librarsi in aria, una marea di farfalle dai colori più vivaci, fin ad allora nascoste in un prato di lavanda,ne rimase talmente colpita, da rimanere in quella distesa per ben tre giorni, in attesa che quelle fragili creature tornassero a depositarsi su quei fiori così profumati, eppure, eppure la sua attesa fu vana. Un altro giorno fu la volta dei cincillà, che volando sopra di lei, non esitarono un solo attimo prima di depositarsi sul suo grembo poggiandovi dentro un mazzetto di clivie, dal colore inconfondibile, quasi sull'arancio scuro, andando a sfumarsi un un giallo chiaro.
Quel giorno indossava un abito di petali di rose rosse, e mentre il vento le carezzava dolcemente i capelli, lei, in armonia con ciò che la circondava, camminava nei pressi della cascata, sfiorando delicatamente il filo d'acqua scrosciante quasi fosse un arpa. Rise. E quel riso si trasformò in una dolce melodia che si fuse in un'unica entità con il vento e l'acqua. Poteva esserci qualcosa di più meraviglioso? Si. L'amore. Ma Callia, l'ingenua e innocente Callia, ben poco poteva immaginare che, all'infuori del suo mondo perfetto, ci fosse qualcosa di più bello e di più profondo del silenzio notturno o del suono scrosciante della pioggia amazzonica.
Saltava da un sasso all'altro divertendosi a inseguire e a giocare con gli animali. Si meravigliava ogni qual volta che, al suo passaggio, sbocciavano fiori dai colori dell'arcobaleno.
Oh ma vi può essere un amore così crudele da non lasciarvi pace nell'anima, da offuscare il cuore quasi a voler stoppare il volo innocente di un'acquila? Un amore così profondo da non riuscire a respirare, così violento da farti svenire? Un amore così crudele da far in modo che perfino i fiori, perfino le stelle ne siano ammagliati? Quest'amore nient'altro è se non l'amore introvato di Callia. Ma lei, lei è così ingenua da non rendersene nemmeno conto. Lei non sa nemmeno lontanamente il significato dell'amore, perchè per lei l'amore è passione. Passione per ciò che è reale, passione per un sorriso o per una goccia d'acqua. E' passione la libertà di un volo, l'ululato di un lupo, il ruggito di un leone, il cinguettio degli uccelli.
La passione per qualcosa che si può toccare, sentire sulla propria pelle.
Eppure sentiva, che qualcosa le mancava in quella vita, sentiva di non essere completa. Poi ricordò. Ricordò nella sua mente il dolore straziante alla morte del suo amato. Ricordò quando fu trafitto da una lancia e lei non potè far nulla. Fu allora che divenne una ninfa. La ninfa dei fiori. Alla morte del suo amato s'era sentita soffocare, di una morte struggente e di un dolore disumano e non riusciva a non fissare quei suoi occhi verdi che sorridevano all'eventualità ormai più che chiara, quasi ad accettare ciò che gli era stato riservato dal fato. Ricordò solo allora che erano passati ben cent'anni da quel giorno. S'erano promessi di ritrovarsi anche dopo la morte, in qualsiasi luogo. Solo che lei non era ancora morta. La sua natura di ninfa non glielo permetteva. S'era trasformata in una tale creatura colma di gioia solo per evitare di morire dal dolore, perchè l'amore è crudele a tal punto da toglierti la vita, i sogni.
Il suo nome era James, James Bullok. Ora se lo ricordava. Ricordò solo il momento precedente alla sua morte, quando lui, sorridente le stava venendo incontro, col sole che tramontava alle sue spalle, e le nubi ormai si diradavano dopo un acquazzone. L'odore della terra umida e della vita che rinasce, dei fiori che sbocciano e dell'atmosfera che li circondava, faceva sembrare il tutto un po' troppo romantico.
Ricordò il suo sorriso, il sorriso sincero che ogni uomo che ama una donna dovrebbe avere. Quel sorriso che le aprì il cuore la prima volta che lo vide.
E quegli occhi che sorridevano insieme alla bocca. Occhi dal colore indistindibile. Occhi che si mimetizzavano nei prati, occhi che sembravano far parte del mare oppure occhi che entravano in contatto col colore etereo del cielo. Sembrava che al cambiamento del suo umore corrispondesse il cambiamento del tempo.
E quelle fossette. Quelle fossette perennemente incise nel suo volto eternamente sorridente. Ricordò la sua morte e il suo ultimo addio, sussurrato sulla punta delle mie labbra che si univano alle sue in un ultimo bacio, bacio salato, condizionato dalle lacrime ininterrotte. Voleva estrarre quella lancia dal corpo di lui e conficcarsela nel cuore ma lui la fermò, sorrise, ma la fermò, quasi a volerle dire che è così che doveva andare, che non era ancora la sua ora e che era contento di morire sapendo che lei era salva, le fece promettere di essere felice, con la mente libera e il cuore leggero. E ha mantenuto la sua promessa. L'ha mantenuta finchè, dopo immense battaglie dell'anima, è riuscita a ricordare il dolore. Il dolore impavido e indifferente le straziò l'anima e le divorò il cuore. E la gelida mano della marte arrivò a stringerle la gola, togliendole l'ultimo soffio di vita, ma lei non aveva più paura. Sorrise un'ultima volta guardando il tramonto. Finalmente avrebbe rivisto il suo amato, l'avrebbe baciato e abbracciato. Dopo cent'anni l'avrebbe fatto suo.
E come se il vento più non fosse nulla, solo vuoto o forse un abbraccio eterno, e gli occhi del suo amato ormai lontani nei suoi pensieri non esitarono a cercar ragione di questo rimpianto, poi una dolce melodia. Mani forti la presero per la vita, e una leggera e delicata giravolta le sciolse la fulva chioma.Tra foglie d'autunno svolazzanti come fiocchi di neve, si sentiva in una bolla d'acqua mentre una lenta danza accompagnava i suoi pensieri. Un piccolo passo, un segno del cammino e poi il volo. Quel volo per cui aveva tanto sognato e che mai è stato realizzato fino a quel momento fatale. E questa volta ce la fece. Toccò il suolo coi piedi nudi e un fremito d'emozione percorse il suo corpo-Ce l'ho fatta! - Urlò al cielo mentre veniva trascinata in una danza sfrenata tra rose dai colori più accesi, mentre i piedi accarezzati lievemente dalle foglie, non smettevano più di danzare, inseguendo un sogno.Si muoveva agile, come se danzasse tra soffici nubi bianche, inseguendo il suo amore che ormai distante e direi quasi irragiungibile, si distingueva tra le foglie oltre il lago. Sorrise sollevata e ancor volteggiando l'inseguì come il sole fa con la luna, ma nulla va come previsto.
Lo chiamò, ma egli non rispose, non si voltò nemmeno a guardarla, come se la sua sol voce fosse inudibile e il suo corpo invisibile. Sentiva la sua veste color porpora, frusciare al contatto della terra ma nulla pareva sfiorare l'udito del suo amato. Poi una risata squillante e un susseguirsi di voci. La sua voce e quella di una donna. Cominciò a correre, rischiando d'inciampare, ma non le importava più nulla. Non capiva perchè, perchè non la sentisse. Poi li vide insieme, seduti a fare picnick sulla copertina che gli aveva regalato per il loro anniversario. S'avvicinò e li sentiì ridere, lì, proprio dove s'erano giurati amore eterno, dietro all'albero delle mandorle.Sentì il suo viso bagnarsi di lacrime, il suo volto etereo sbiancò ma loro ancora non la vedevano. Aveva ormai smesso di ballare e come ogni volta che stava per raggiungere il suo sogno, quello veniva infranto. Sospirò andandosi a sedere vicino a lui, e poggiando il capo nel suo grembo chiuse gli occhi. Poi silenzio improvviso e aprendo gli occhi non gli vide più. Si guardò intorno, urlando al cielo il suo nome, ma il cielo impietoso, con quel suo turchese acceso, l'osserva dall'alto e non le dava retta. Chinò il capo piangendo.
Non riusciva a capacitarsene. Le mancavano le sue lezioni di danza e le sue ramanzine. Sorrise. Ricordò lui s'inginocchiò ai suoi piedi porgendole un mazzo di fiori di lavanda, giurandole eterno amore e chiedendole di fare altrettanto. Una lacrima e poi nulla più, era sconfitta. Arresa. E il dolore, più forte di lei, le dilaniava l'anima e il cuore. Perchè non l'aveva vista? Perchè non era corso da lei?
E così facendo abbassò lo sguardo nel lago per osservarvi la sua figura riflessa, ma così non fu. Lei non c'era. Era il nulla. Non vedeva nulla. E forse dopotutto era quello il punto. Si osservava ma non s'impegnavo a vedersi. Era morta inseguendo il suo amore dopo cent'anni ma la sua morte era vana perchè lui non l'aveva aspettata, l'aveva dimenticata. S'alzò,dolorante, trafitta a morte, per quanto possibile fosse, e s'avviò verso la piccola caverna scomparendovi dietro, alla ricerca del sogno perduto. Alla ricerca del sogno del suo amato.

  
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