Avevo un desiderio.
Un sogno così forte e tuttavia così semplice, da ricordare il canto delicato delle ghiandaie imitatrici.
Volevo crescere e, un giorno, avere una famiglia.
Questa era l’unica cosa che desideravo davvero.
Mi rendevo conto di quanto fosse assurdo ed egoistico questo mio pensiero: crescere dei bambini in un mondo dove i ragazzi come me vengono mandati in arene a morire per niente, non è l’idea più geniale della storia.
Ma io desideravo lo stesso avere una famiglia mia, un giorno. Raccontare le storie ai miei bambini e cantar loro tante ninna nanne, come faceva mia madre con me e i miei fratellini, prima della Mietitura.
Prima che gli Hunger Games ci separassero.

Mi dispiace tanto.

Avrei voluto amare.
Donare il mio cuore a qualcuno e crescere dei bambini, insegnando loro i valori, quelli veri.
Avrei detto loro che le cose davvero importanti sono la famiglia, i desideri e la felicità.
Avrei mostrato loro la finzione che sta alla base di Capitol City, insegnando che non sono le scarpe, i trucchi e le parrucche, le ricchezze più grandi che devono albergare nel cuore delle persone.
Li avrei amati, come mia mamma ha amato me.
Come Katniss ama sua sorella.
… Immagino di non poter più esaudire questo desiderio.
Un altro tributo, un’altra vittima di questo orrendo sistema, ha già deciso per me.
Non tornerò mai più nel Distretto 11. Non vedrò più la mia famiglia.
Non canterò più.

«Canta per me Katniss.»
Solo le ultime parole che riesco a sussurrare, prima di chiudere gli occhi e lasciarmi andare.

Mi dispiace mamma. Non sono riuscita a tornare da voi.
Spero che un giorno, tu riesca a perdonarmi.
Ti voglio bene.