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Autore: in venere veritas    30/06/2014    2 recensioni
Ero al limite. Vagavo da sola per la strada, di notte. Non avrei più rivisto i miei genitori.
Poi arrivo una macchina e che mi portò fino al migliore detective.
Senza di lui non avrei mai saputo la verità. Senza di lui probabilmente non sarei viva.
Senza di lui non avrei mai incominciato ad amare veramente.
è stato la mia benedizione e dannazione insieme.
Elle...
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Naomi Misora, Nuovo personaggio, Watari
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Ciao a te che sei rimasto incuriosito dalla mia storia. Io sono in venere veritas, e questa è la mia prima storia su Death Note.
La mia storia sarà incentrata sul rapporto tra Cassandra Murray (a cui si deve il punto di vista) e quel gran genio di Elle.

P.S.
Questa mia storia, l'avevo già postata uno o due anni fa, ma poi l'ho abbandonata dopo poco per mancanza di ispirazione/voglia/tempo ecc.
Qualche giorno fa l'ho riletta e mi è venuto in mente di fare qualche modifica per renderla più interessante.
Detto questo ti lascio al primo capitolo!
 
Se continui così m’innamoro.
 
Mi sono allontanata tanto dalla festicciola di Joffrey, talmente tanto da aver raggiunto l’autostrada.
Cammino barcollante e con la testa che pesa e gira. Sì Cassie cara, hai davvero bevuto troppo.
Seguo la linea centrale bianca sull’asfalto dell’autostrada, sono talmente fuori che fingo che sia un filo e io un equilibrista.
Rido a quanto io non sia in grado di mantenere l’equilibrio.
Il mio vestito nero si alza sulle mie cosce magre ad ogni movimento che compio con le gambe.
È un vestito corto che lascia la schiena scoperta, al contrario della parte frontale. Era uno dei miei preferiti, e anche uno dei pochi che erano sopravvissuti all’incendio di due mesi fa.
Nella mano destra tengo le scarpe nere con il tacco trasparente; potevo apparire come se galleggiassi in aria. A tracolla tenevo una pochette minuscola. Il contenuto? Top Secret!
Sento arrivare in lontananza una macchina, e dopo poco l’asfalto nero pece sotto i miei piedi s’illumina.
La macchina arriva dietro di me. Non abbastanza veloce, però.
Sono pazza? Risposta affermativa.
I miei polpacci scoperti ed esili sentono il calore della macchina che si ferma dolcemente a pochi metri da me inchiodata in un punto.
Non mi giro. Aspetto gli insulti o le squallide avances di colui o colei che si trova all’interno del veicolo, poi sento la portiera aprirsi. Sarà di sicuro qualche disgustoso omuncolo.
«Miss Murray.», mi chiama una voce gentile e mi giro verso essa.
Mi si riducono gli occhi in due fessure a causa delle luci della macchina.
La persona a cui appartiene la voce si avvicina a me.
È un signore con i capelli bianchi tirati all’indietro e i baffi (anch’essi bianchi) ben curati e il viso scavato, che mette in risalto gli zigomi alti.
Porta un paio di occhiali dalla montatura leggera e dalle lenti tonde, ed indossa la giacca e la cravatta. Sì insomma; un perfetto maggiordomo inglese.
«Miss Murray, la prego di entrare in macchina. A quest’ora della notte è disdicevole per una signorina andare in giro da sola.», dice. Ha gli occhi gentili e la voce piena di premura.
Mi muovo meccanicamente all’interno dei veicolo.
Mi siedo dietro, c’è più spazio per sdraiarsi. «Lei chi è?», chiedo.
Lui entra in macchina, mette in moto il mezzo e appena parte mi risponde. «Il mio nome è Watari. Non si preoccupi non le farò del male, la sto solo portando in un luogo sicuro.»
Non mi metto a fare altre domande. Ho la testa che mi scoppia e le palpebre pesanti.
Crollo, facendo un viaggio onirico dell’orrore fatto di fiamme e fumo.
 
 
Sento di stare per svegliarmi. Ho dormito su qualcosa di troppo confortevole dell’interno di una macchina. Apro piano gli occhi.
Una finestra dalle grandi vetrate filtrava molta luce che si diffondeva per tutta la stanza arredata con un design moderno ma modesto. Sembra la stanza di albergo.
La porta si apre, ed entra Watari che spinge con le mani inguantate un piccolo carrello che trasporta cibo. «Buongiorno Miss», mi saluta con un sorriso cordiale vedendomi sveglia.
Io ancora sdraiata e mezza addormentata non rispondo. «Le ho portato la colazione.»
Mi tiro su piano a sedere. Cibo.
Pone il carrello con le vivande a un lato del letto e l’odore arriva impetuoso alle mie narici.
Nausea. Mi si chiude lo stomaco e stringo forte i denti.
«Non conoscendo i suoi gusti le ho portato di tutto un po’», confessa.
Mi sforzo un poco per ricambiare un sorriso di ringraziamento.
Tiro via le coperte, scoprendo così le mie gambe magre e appoggio i miei piedi a terra sentendo il freddo del parquet. Mi guardo, ho una camicia da notte addosso.
«Che cosa gradisce di più Miss?», mi chiede sorridendomi.
Guardo il carrello, vi era davvero di tutto: the, caffè, aranciata, frutta, briosches, biscotti, marmellata.
Allungo le braccia, non mi piace essere servita e riverita.
Dopo il tragico incidente dei miei genitori, voglio fare tutto con le mie braccia e le mie gambe fino a quando vivrò.
Prendo la teiera dell’acqua calda e la verso in una tazza grande, poi la bustina da thè ai frutti di bosco e la immergo. Mentre aspetto che l’infuso si espanda e l’acqua prenda l’aroma chiedo a Watari chi chiede della mia presenza.
«Quando ti ho visto, ho capito che sei troppo gentile e beneducato per essere un pervertito che racimola ragazza sbandate come me per strada», gli spiego.
Fa un piccolo inchino. «La ringrazio per le parole Miss.»
«Non sono una Miss.», gli dico sorridendo.
Watari fa un cenno col capo di assenso. «Avrà la sua risposta in soggiorno. La prego di vestirsi. Nell’armadio ci sono molti indumenti che può mettere. Adesso devo andare. Il soggiorno è infondo al corridoio.»
Lascia la camera.
Rimango sola con quel banchetto sotto gli occhi. Non avrei toccato cibo. Bevo la bevanda calda.
Terminata mi tiro su in piedi e mi guardo attorno.
Il mio vestito è su una sedia mi dirigo verso di esso. Mi prende una vertigine, mi si annebbia la vista e cado a terra.
Non perdo conoscenza. Mi sdraio e metto le gambe in alto poggiandole sul letto.
Guardo con la coda dell’occhio il carrello.
Non avrei toccato cibo.
 
 
Dopo essermi lavata e vestita esco dalla stanza lasciando il letto disfatto e i vestiti che prima erano nell’armadio tutti a terra. Erano fin troppo sobri, così rimisi il mio.
Percorro il corridoio e arrivo al soggiorno. Avete presente il vuoto totale?
è uno spazio ampio con grandi finestre e l’unica cosa che c’è, è un divano posto davanti a un tavolino basso.
Watari è accanto girato di spalle che porgeva una fetta di torta a qualcuno che evidentemente era seduto sul divano.
Faccio un passo e Watari si gira subito e mi vede. «è arrivata.», dice a colui o colei seduto sulla poltrona. «Avvicinati.», dice quella persona.
Guardo Watari che mi rassicura con lo sguardo. Mi avvicino e vedo un’altra poltrona delle stesse fattezze della prima, vuota. Intanto Watari lascia il soggiorno.
Mi siedo e vedo la persona davanti a me. È un ragazzo. Non so precisare bene l’età. Ha i capelli corvini e lunghi. Ha il viso inclinato verso il basso, non gli vedo gli occhi. Siede in una posizione tanto strana quanto scomoda da tenere.
Alza il capo, mi guarda con occhi neri, distanti e attenti segnati da copiose occhiaie.
«Benvenuta Cassandra Murray, sono un detective e sto indagando per l’omicidio dei suoi genitori.», dice dando una cucchiaiata alla torta gelato che teneva in mano.
Mi manca il respiro. Sono stordita da quella semplice frase. «I miei genitori sono morti in un incendio. È stato...»
«Un incidente?», termina lui con voce atona.
«Sì.»
«No.», dice prendendo un'altra cucchiaiata.
Lo guardo stranita. «Il referto della polizia ha detto che è stato un incidente domestico.»
«Già, peccato che non c’era nessun fuoco o perdita di gas. Dalle indagini che ho attuato è emerso la presenza i residui di una bomba programmata per le dodici e trenta orario in cui lei doveva essere a casa.»
Ho il battito cardiaco accelerato. «Era per me?»
«I suoi genitori dovevano presenziare a un convegno a Buckingham Palace alle quattordici e trenta. Una telefonata improvvisa avvenuta nel primo mattino, li informava che il convegno era stato anticipato per l’una del pomeriggio. Avrebbero entrambi terminato il loro turno al dipartimento per le undici. Si sono diretti a quella che era casa sua per prendere dei documenti, e come hanno messo piede in casa è iniziato per loro il conto alla rovescia. Se il convegno non fosse stato anticipato. I suoi genitori sarebbero ancora vivi.»
Sintetico. Preciso. Logico e tanto doloroso.
Sapere di essere la causa della morte di uno dei tuoi cari è il dolore più atroce.
Rimango in silenzio, dopo un po’ lo spezza lui, «Dov’eri alle dodici e trenta?»
Lo guardo truce. «Pensa sia stata io?»
«No.», mi risponde Ryzaki ma aspettando comunque una risposta.
Abbasso lo sguardo verso le mie dita lunghe e scarne. «Avevo un esame che terminava alle dodici meno un quarto, ma chi finiva prima poteva lasciare l’istituto prima. Uscii pressappoco alle undici e trentacinque insieme a un mio compagno di corso, di nome Joffrey B. Siamo andati a casa sua, e poi quando sono tornata alla mia, il fuoco era già stato spento.»
Prese l’ennesima cucchiaiata. «Lo so.»
Alzo leggermente il tono della voce irritata. «Perché me lo ha chiesto allora?»
«Ti avevo detto che non pensavo fossi stata tu.», dice indicandomi con il cucchiaio.
«Ad ogni modo, per la tua sicurezza è meglio che rimani qui.»
Abbozzo un mezzo sorriso. «Pensa che io possa essere d’aiuto nelle indagini?»
Adesso quel cucchiaio se lo pose alle labbra pallide e piene come per pensare. «Sì, potrebbe essere un’idea.»
Rido. «Ok, la sua idea non è quella che io partecipi alle indagini.»
«Mi complimento per la sua attenzione. La mia idea è quella di proteggerla, e per farlo deve restare sotto sorveglianza.», si spiega.
Scuoto la testa e i miei capelli biondi seguono il mio movimento. «Declino gentilmente l’offerta.»
Mi fissa senza battere ciglio. «Là fuori c’è qualcuno che vuole ucciderla.»
«La mia risposta è sempre la stessa. La ringrazio di tutto, ma ora devo proprio andare.», dico e mi alzo per andarmene.
Ho lui dietro la schiena, ancora seduto sul divano. «Non sai badare a te stessa.»
Mi giro verso di lui. Non si scompone. Non si gira. Sono irritata. «Cosa?»
«Non ti offendere, ma dal modo in cui Watari ti ha trovata ieri notte non mi ha dato l’impressione che tu possa cavartela.», afferma con una lieve ilarità nella voce.
«Senta Signor Detective, io non devo tenerla presente di quello che faccio della mia vita.», dico seccata.
«Non solo non ti prendi cura di te, ma sei anche permalosa.», continua con più ilarità.
Non mi piace essere derisa. Scoppio. «Senta, mi faccia un favore e se ne vada al diavolo!»
«Non prima di aver chiuso questo caso.»
Mi precipito fuori da quel soggiorno e ritorno nella stanza in cui mi sono risvegliata a passo spedito.
Non lo sopporto. Non lo sopporto. Non lo sopporto.
Non potevano affidare il caso a un detective più simpatico?
Apro la porta, il letto era stato fatto e i vestiti che avevo tirati fuori erano di nuovo nell’armadio.
Cercai nei cassetti la mia pochette, ma non c’era non la trovai. Inizio a dare di matto.
Bussano alla porta. «Sono Watari.»
Lui saprà di certo dove sia. «Entra.»
La porta si apre ed entra mortificato. «Signorina Cassandra, la prego di scusare i suoi modi. Non intendeva di certo offenderla.»
Le mie mani continuano a svuotare i cassetti. «Watari, scusami ma non mi interessano le sue scuse, vado via di qui.»
«Signorina, è molto pericoloso per la vostra persona.»
Ho perso tutto. Non ho niente. Che importanza ha?
«Watari, sai dov’è la mia pochette?», fingo di non averlo sentito.
Si tortura le mani. «Non mi è permesso dirglielo.»
Le mie mani si bloccano. Mi alzo e lo guardo. «Perché?»
«Suo ordini.»
Presi un respiro profondo, misi le mani sui fianchi. «Watari, so che sei al suo servizio e mi scuso per essere scortese, ma io ho bisogno della mia pochette.»
Face un lieve inchino. «Lei non si deve scusare di niente. È comprensibile nella sua situazione. Ma se devo essere sincero non so dove lui l’abbia messa.»
Lui. Lui!
«Watari..»
«Chiamami pure Wammy», mi dice lui cortese e con un sorriso.
«Ok, Wammy.. lui chi è?»
Mi guarda in maniera strana, poi tossisce un poco. «Lui è il miglior detective del mondo.»
Il miglior detective del mondo?
Scoppio in una sonora risata. «Andiamo, sono la figlia di quelli che erano i migliori poliziotti dell’FBI. Il miglior detective è Elle!»
Apre la bocca. «Esattamente.»
Io rimango di stucco. Elle.
Il miglior detective del mondo, per il caso dei miei genitori.
Lui entra senza chiedere permessi. «Permalosa, la rivuoi questa?», disse tenendo con due dita la mia pochette.
«Tu sei Elle?», chiedo io ancora sbalordita.
«Finalmente mi dai del tu.»
«Tu sei Elle?», insisto irritata.
«Tu sei Cassandra?»
Lo guardo fisso negli occhi. Lui ricambiava con lo sguardo vuoto.
Allungo il braccio verso di lui e apro la mano. «Dammi la pochette, per favore.»
«Rassegnati. Non te ne andrai da qui. E non insistere.», dice e fa per andarsene.
Spacciata.
Sono spacciata.
Non posso andarmene.
«Aspetta.. mi ha dato della permalosa?!»


 
  
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