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Autore: NurJahan98    30/06/2014    3 recensioni
La storia, semplice, nuda e cruda, di una ragazza che affrontando la sua adolescenza, inizia a crescere e maturare, iniziando a fare le sue prime esperienze di vita ed intrecciando il suo destino con quello dell'amore.
Leggere per credere.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Lysandro, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1- I SUOI OCCHI


La mattina seguente si svegliò molto presto.
In verità, aveva dormito al massimo un paio d'ore ed i segni della sua insonnia erano ben visibili sul suo volto, che scarno lo era già di suo.
Diede uno sguardo alla sua immagine riflessa sullo specchio, era come mamma l'aveva fatta.
Si vide brutta.
Un cadavere.
Un ammasso di carne.
Vuota non è la parola esatta, ma è la prima che viene in mente.
In realtà era fin troppo piena.
O meglio, la sua testa lo era.
Osservò a lungo il suo colorito pallido, gli occhi neri dallo sguardo vitreo, i capelli rossi, poi arancioni, poi biondi.
Il fisico leggermente tozzo a causa della sua altezza.
I seni piccoli, due palline perfette.
La pancia un po' sporgente, come gonfia.
Le cicatrici sulle gambe.
Ed avrebbe potuto continuare all'infinito, non fosse che non aveva voglia di soffermarsi su ogni piccola imperfezione, quelle evidenti erano già abbastanza. In realtà, non le importava poi molto dei suoi difetti: tutti ne hanno.
Solo, le piaceva ripetersi chi fosse e com'era, ogni mattina.
Tutti dovrebbero farlo.

Ciao, sono John, imprenditore americano e padre di famiglia di giorno, stupratore di bimbette di notte. Un inguaribile pezzo di merda.

Sì, il mondo sarebbe decisamente un posto migliore.

Così, dopo aver infilato pantaloncini e maglietta decise di truccarsi.
Quando ebbe finito, le occhiaie erano solo un lontano ricordo sotto il correttore e l'eyeliner nero.
Non sono io, pensò
E le andava bene così.
Prese "Il giovane Holden" ed uscì di casa.
Non aveva una meta.
Semplicemente, voleva perdersi.
Guardarsi intorno e non conoscere nessuno.
Stare un po' da sola.
Non ci volle molto prima che si perdesse del tutto, il suo senso dell'orientamento non era dei migliori ma a sua discolpa quella zona non la conosceva ancora bene. Erano trascorsi pochi mesi dal trasloco, prima abitava dall'altra parte della città e non è roba da poco, quando si parla di una grande città.
Camminava da un bel po' quando sentì un odore salmastro, a lei già familiare.
Sorridendo tra sè e sè svoltò l'angolo, quella sarebbe stata l'ultima viuzza che avrebbe percorso per quel giorno.
Sapeva già quello che avrebbe visto.
Ma poi lo vide, e fu mille volte meglio.
Il blu.
Le onde.
Il sole.
Un mantello azzurro.
Cristallino.
Infinito.
Il Mare.
Per un breve istante, qualcosa sembrò illuminarsi nel suo sguardo, ma subito si spense.
A parte qualche famigliola non c'era molta gente in spiaggia a quell'ora del mattino, ma preferì comunque cercare un posto più isolato.
Passeggiò sul lungomare per un po', fino a notare che proseguendo per qualche metro tutto iniziò a diventare più grigio, più logoro.
Era evidente che quella parte era stata costruita in un periodo antecedente all'altra, e nemmeno di poco.
Persino le spiagge sembravano farsi sempre più deserte, più strette, divorate dall'acqua, abbandonate.
Iniziò a scendere quelle che ormai erano soltanto uno scheletro di ferro arrugginito e cemento grezzo, finchè per poco non si ritrovò in mare.
La superficie cristallina ne lasciava intravedere il fondale roccioso, era abbastanza profondo.
Della sabbia che presumibilmente prima occupava quello spazio, non restava neppure il fantasma.
Era stata completamente inghiottita, ma in compenso regalava una vista che seppur deprimente risultava poetica.
Le piaceva quel posto.
Una volta liberatasi delle scarpe, si adagiò sulle scalette lise dalle troppe mareggiate, i piedi a mollo.
Il cielo si inscurì di colpo e le nubi cariche d'acqua sovrastarono la spiaggia. I raggi cercavano di divincolarsi ed alcuni sfuggivano alla presa, dando vita ad una splendida luminescenza. Sembrava di trovarsi all'interno di un' icona sacra, ma probabilmente di lì a poco sarebbe arrivato un tremendo temporale estivo.
Estrasse il libro dallo zainetto, poi continuò a frugare finchè non trovò un tritino ed una bustina di plastica. Prese il filtrino e le cartine lunghe e si rollò una canna. L'accese e cominciò a fumare.
Non lo faceva spesso, anzi, quella probabilmente era la terza o quarta volta volta che provava. Dopotutto, che male c'è a rilassarsi ogni tanto?
Poi c'erano quel posto e quel paesaggio così bello, e lei voleva guardare.
Era il suo nuovo chiodo fisso.
Voleva guardare il mare e voleva guardare le nuvole, ma per davvero.
Senza pensare alle fogne o all'inquinamento, alla pesca illegale nelle zone protette, alle scorie radioattive, alla formula H2O, alle scie chimiche, al ciclo dell'acqua, ai nembi ed ai cirrocumoli, agli altostrati, all'atmosfera o a qualsiasi altra merda le avessero ficcato in testa.
Anzi, voleva guardare il mare senza pensare nemmeno che fosse mare.
E ci stava riuscendo.
Sentì delle voci lontane farsi sempre più vicine, riuscì a distinguere delle risate e dei saluti, in mezzo a tante parole che apparivano confuse e senza senso.
Poi vide che un gruppetto stava proseguendo oltre continunando la conversazione, mentre un ragazzo si staccò dalla comitiva e sedette sul muretto sopra di lei, strimpellando qualcosa alla chitarra.
Presumibilmente attirato dall'odore d'erba troppo forte, non ci mise molto prima di girarsi verso Victorique.
Aveva i capelli rossi, ma non fu quello a colpirla.
Perchè, nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono  notò che i suoi occhi erano color antracite, la stessa tonalità di quel cielo plumbeo sopra le loro teste.
Proprio come quel cielo, ebbe la stupida impressione che un tempo fossero azzurri, ma adesso carichi di lacrime e pronti per la tempesta.
Un giorno sicuramente si sarebbero  rischiarati.
Mica come i miei, pensò.
Intanto continuava a sostenere calma quel contatto visivo.
   
 
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