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Autore: nobodyishopeless    30/06/2014    4 recensioni
Arianne ha diciasette anni e paura del cancro. Arianne ha una cotta per Mattia che inizialmente ignora, ma quando lo verrà a sapere se ne approfitterà. Andrea è amico di Carlo, il fratello di Arianne, Andrea ha ventisette anni e ha perso la testa per Arianne che non sembra accorgersene.
-Dal primo capitolo-
Era l’Italia corrotta, era l’Italia dell’insoddisfazione e della rivolta, era l’Italia dell’afa estiva che appiccica i vestiti ai corpi, era l’Italia del futuro invisibile, era l’ Italia della tecnologia, era l’Italia della crisi, era l’Italia delle canzoni dei Modà ad ogni Sanremo, era l’ Italia degli amori sbagliati, era l’Italia dei giudizi continui. Era l’Italia in cui vivevo i miei diciassette anni.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Image and video hosting by TinyPic “Tu eri sempre presente. In ogni idea. In ogni decisione. E se qualcosa non è di tuo gusto, io la cambierò.”
—        Il grande Gatsby

Capitolo XIII.

Arianne.
 
Mi aggiravo per i corridoi dell’ospedale come un fantasma, avvolta nel mio pigiama verde smeraldo con la flebo attaccata al braccio e le babbucce bianche, ormai sporche. Mi trovavo ricoverata da tre settimane e la vita dell’ospedale era a dir poco noiosa, a parte i miei attacchi di vomito frequenti, non sentivo grandi problemi al mio fisico, tuttavia ne ero certa, ero solo all’inizio della chemioterapia e Andrea mi aveva avvisato del lungo itinerario che avevo di fronte. Era sabato mattina, le nove circa e non avevo voluto fare colazione, probabilmente mi aspettava una sgridata di Andrea quando sarebbe entrato in turno, la caposala era una grande pettegola, mi aveva detto che aveva promesso al dottor Proterra di tenermi d’occhio. Guardandomi intorno afferrai il mio pacchetto di sigarette che tenevo nella tasca dei pantaloni del pigiama. Uscii nel cortile sentendo la pelle pizzicare per il fresco della mattina di inizio autunno. Ad ogni respiro una nuvola di vapore si formava a pochi centimetri dalla mia bocca. Tirai fuori una camel e me l’accesi con l’accendino rosso che era quasi finito, avrei dovuto chiedere a mia sorella di portarmene un altro al più presto. Aspirai sentendo i polmoni gonfiarsi e il sapore del tabacco inondare la mia bocca, non avevo molte occasioni di fumare, anche perché Andrea non voleva, l’ultima volta si era veramente molto arrabbiato, i suoi occhi si erano quasi infiammati ed è stata la prima volta che mi ha urlato contro.
-Non capisco se tu sei sorda, o solo stupida… se le cose che dico non le senti proprio o non le vuoi sentire!- sentii esclamare alle mie spalle dalla voce rauca e dura del mio dottore, il fumo mi andò di traverso e iniziai a tossire, lanciai la mia sigaretta per terra e la spensi in fretta e furia con la suola della scarpa da tennis, tanto ormai mi aveva sgamata! Sospirai e poi mi voltai lentamente facendo ondeggiare i pochi capelli che mi erano rimasti in testa.
-Non le voglio sentire.- risposi io sofferente.
Andrea sospirò rumorosamente e si avvicinò di qualche passo a me.
-Cosa succede Arianne?- mi chiese posandomi una mano sulla spalla.
-Quanto durerà ancora?- chiesi a mia volta deglutendo sentendo tutto lo stress delle ultime settimane piombarmi addosso.
-Non molto…- sussurrò lui avvicinandosi ancora -… te lo prometto.- mi assicurò poi dopo aver notato la mia espressione statica di stanchezza.
Lasciai che mi abbracciasse restando protetta dalle sue braccia forti, mi sentivo al sicuro con lui, il nostro rapporto si era stretto un sacco da quando ero stata ricoverata. Spensi il mozzicone della sigaretta nel posacenere. Lui si allontanò di qualche passo.
-Dai andiamo.. ti porto a fare un giro.- mi propose con un gran sorriso porgendomi la mano.
Cedetti a quel meraviglioso sorriso, afferrai la sua mano e  mi lasciai trascinare in pronto soccorso. Adoravo quando mi faceva fare quei giri, mostrandomi il suo mondo, il mondo ospedaliero era un mondo affascinante, ogni tanto avevo visto anche cose davvero spiacevoli, ma non mi aveva mai davvero sconvolto. Andrea mi portò nella sala d’attesa in cui stavano numerosi pazienti in attesa della chiamata, poi ci spostammo in accettazione.
-Ehi principessa di oncologia, come te la passi? È da molto che non vieni quaggiù.- mi salutò allegramente Giulio, il centralinista dell’accettazione.
-Se non viene è perché non sta bene Giulio.- rispose Andrea al mio posto.
-Questo vuol dire che stai meglio?- domandò lui passando lo sguardo da Andrea a me.
-Mi sento più in forma.- risposi sorridente.
Ad un tratto il clima tranquillo del pronto soccorso mutò, un’infermiera con indosso un camicie asettico giallo e un’aria ansiosa arrivò all’accettazione.
-Dottor Proterra , è pieno di turni scoperti e mi serve un dottore, sta arrivando un’ambulanza con un ferito grave, incidente stradale.- lo informò la donna.
Andrea lanciò un’occhiata all’ora.
-Tra quanto arriva?- domandò con un tono di voce leggermente preoccupato.
-A momenti.- rispose la donna.
-Arianne va in camera, tornerò a controllarti dopo.- mi ordinò
-Se vuoi posso aspettarti qua.- sussurrai io guardandolo in faccia.
-Ti ho detto di andare in camera.- mi gridò brusco infilandosi un camice come quello dell’infermiera.
-Ok..- risposi rassegnata e piuttosto colpita dal tono con cui si era rivolto a me, non mi aveva mai parlato così. Mi trascinai per i corridoi portandomi dietro la flebo, che fra l’altro era quasi finita. Andai in sala ascensori e aspettai qualche istante prima che ne arrivasse uno, appena le porte si spalancarono entrai e mi resi conto solo dopo di aver interrotto due specializzandi che pomiciavano soli nell’ascensore.
-Ehm buongiorno.- disse imbranato il ragazzo cercando di apparire normale.
Mi morsi il labbro inferiore per non scoppiare a ridergli in faccia, quanto li invidiavo però, avrei voluto avere anche io una vita normale, il massimo dei loro problemi era di essere beccati a sbaciucchiarsi in ascensore, sul posto di lavoro.
-Oh fate pure come se non ci fossi.- dissi maliziosa inarcando le sopracciglia.
-Uhm… quinto piano?- domandò lui indicando con il dito il bottone del piano di oncologia.
Annuii.
-Si nota molto vero.- sussurrai abbassando gli occhi sulle mie mani, notando i fili della flebo attaccati al polso.
-No… beh un po’.- rispose sempre lui.
Sospirai.
-Non siete proprio in grado di mentire o dire bugie.- replicai sentendo il suono dell’arrivo dell’ascensore. Prima che potessero rispondere uscii dall’abitacolo trascinando con me la flebo. Oncologia era un reparto davvero triste, ma con i pazienti era come una grande famiglia, stavamo combattendo tutti la stessa battaglia e spesso ci prestavamo la forza a vicenda. Se c’era una cosa che mi faceva stare bene era andare nell’ala ovest del reparto, dove vi era oncologia pediatrica. E fu quello che feci anche quella mattinata. Mi piaceva leggere le storie ai bambini, era divertente e loro mi adoravano.
Arrivai nella sala grande in cui i bambini giocavano o guardavano i cartoni animati in compagnia delle infermiere e dei genitori talvolta. Appena entrai un saluto di gruppo mi diede il benvenuto.
-Ciao Arianne.- gridarono in coro alcuni bambini.
-Ciao piccoli.- ricambiai il saluto sorridendo.
-Arianne, Arianne… oggi ci leggi Hansel  e Gretel?- mi domandò Luca, un bambino di sette anni con la leucemia.
-No, oggi leggerà Cenerentola!- esclamò Rachele, un’ altra bambina malata di leucemia di cinque anni.
-Facciamo così, prima leggo Hansel e Gretel e poi Cenerentola, ma le leggo una volta sola è chiaro?- dissi mettendo le cose in chiaro fin da subito, spesso i bambini mi costringevano a ripetere la storia tre o quattro volte ed era troppo pesante persino per me che con i bambini non avevo problemi.
Mi sedetti al centro del tappeto e i bambini si sedettero a mezzaluna intorno a me.
-Però vogliamo le voci.- mi avvisò Rachele.
-Va bene.- accettai consapevole che mi divertiva più a me che a loro fare le voci buffe.
Ad un tratto notai che mancava uno  dei miei ammiratori più sfegatati.
-Ma Alberto non c’è?- domandai poco prima di iniziare.
-L’infermiera dice che è diventato un angelo.- mi confidò Adriana, una bambina di dieci anni.
Il mio cuore subì un brutto colpo a quella notizia, era sempre triste conoscere i bambini che se ne andavano troppo presto, avevano ancora fatto così poche esperienze, ma dovetti mettere via la mia tristezza per distrarre gli altri bambini, era ancora più importante prenderli con le favole in quei momenti, in modo che non pensassero che sarebbe potuto capitare anche a loro un domani forse non troppo lontano.
 
Andrea.
 
Il turno in pronto soccorso mi aveva messo a dura prova, si trattava di un caso delicato, ma non urgente, una ragazza era stata investita mentre andava in vespa al lavoro, aveva riportato un trauma cranico e un ematoma sub durale, che però si era assorbito in poco più di un’ora. Mi tolsi i guanti e ripensai a come avevo risposto ad Arianne poche ore prima, ero stato troppo brusco, lo sapevo, tuttavia era una reazione dovuta semplicemente allo stress della situazione in cui mi ero trovato. Andai a pranzare diretto in mensa, cercai di fare più velocemente possibile. Dopo il pranzo mi diressi nella stanza di Arianne, ma una volta entrato notai il letto sfatto, la flebo staccata e un paio di fogli del suo quaderno accartocciati, ne presi uno e lo distesi era tutto scarabocchiato, i tratti di penna nera non formavano alcuna parola, alcun disegno o alcun segno comprensibile ai miei occhi, probabilmente aveva avuto uno scatto di collera, la prova della mia tesi fu anche il vassoio del pranzo rovesciato a terra, il piatto di pasta era schizzato vicino alla finestra spandendo tutto il contenuto, la caraffa e il bicchiere erano vuoti accanto a terra gettai in malo modo che navigavano in una pozza d’acqua. Mi morsi il labbro inferiore e mi passai una mano tra i capelli. Dove poteva essere finita Arianne? Rimasi a riflettere per qualche istante, finché l’idea non mi colpì la mente. Come un fulmine schizzai fuori dalla stanza incrociando uno specializzando che stava entrando nella stanza di Arianne.
Salii le scale più in fretta che potei fino ad arrivare alla scala antincendio che portava al tetto. La mia intuizione non era sbagliata, infatti non appena misi piede sul tetto notai la figura della ragazza slanciata in camicia da notte mi stava davanti. Deglutii e dopo qualche istante mi avvicinai a lei a passi lenti.
-Ari…- la chiamai lanciando quel soprannome a mezz’aria, notai un suo sospiro profondo non appena mi ci avvicinai.
-Quando finirà tutto questo Andrea?- sussurrò in un soffio la ragazza stando innanzi a me senza neanche voltarsi, lo faceva spesso e mi chiedevo come sapesse con certezza che ero io quello che stava alle sue spalle.
-Finirà presto… te lo prometto.- la rassicurai accarezzandole la spalla. La mia mano fu presto raggiunta dalla sua. Mi aspettai che si voltasse,  ma non lo fece rimase ferma con lo sguardo fisso sui tetti degli edifici accanto alla struttura ospedaliera. Le poche ciocche di capelli che le erano rimaste in testa erano lisce e lunghe fino alle spalle, in alcuni punti la ragazza aveva iniziato a diventare pelata e la pelle lucida spuntava come un sasso in mezzo a un prato verde.
Inalai il suo odore che sebbene contaminato da farmaci era quello fresco di sempre.
-Alberto è morto.- mi confessò in un singhiozzo.
-Alberto chi?- domandai preoccupati.
-Il bambino di oncologia pediatrica.-  mi chiarì lei.
Mi morsi il labbro, sapevo che lei andava spesso dai bambini per giocare con loro e speravo che non scoprisse della morte del bambino con la leucemia fulminante, io e il mio collega Daniel avevamo fatto l’impossibile per salvarlo, ma non era bastato a quanto pare.
 Strinsi il fragile corpo di Arianne.
-Mi dispiace Arianne.- le sussurrai all’orecchio incastrando il mento sulla sua spalla e stringendola forte a me. Notai il suo corpo aderire al mio in modo perfetto, si asciugò  quelle poche lacrime che le erano rimaste sulle guancie. Non riuscivo a smettere di guardare la pelle bianca e compatta. Ad un tratto vi posai le labbra sopra baciandole il collo delicatamente, la sentii irrigidirsi e il suo respiro aumentare, sbirciai i suoi occhi, erano spalancati, le labbra semiaperte erano piegate in una smorfia piacevolmente sorpresa facendomi sperare per il meglio. Dopo un po’ Arianne si voltò fissandomi negli occhi.
Marrone contro marrone.
Rimase a fissarmi con le labbra semiaperte, le mie mani avvolsero il suo mento toccando anche le guance e mi sorpresi di quanto erano fredde, avvicinai il suo volto al mio e la baciai come da troppo tempo volevo faro, diedi sfogo a una buona parte del mio amore tramite quel bacio, sentendo le sue labbra che sapevano di medicine, e in quel momento realizzai che era lei la mia medicina.

 
 
My corner:
Ciao a tutti scusate per il ritardo, ma prima non ho potuto aggiornare, è da molto che sto scrivendo questa storia e il mio entusiasmo non è calato nel scriverla, come non è calato il vostro nel seguirla, almeno spero. Grazie se siete arrivati fino a qua e grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli, a presto,Mar. 
 
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