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Autore: lovethewayoulie    01/07/2014    3 recensioni
Eccomi con questa nuova one shot, non mi resta che augurarvi buona lettura!:)
""Oliver? Che ci fai qui?.. Hai bisogno di qualcosa?" chiese, con la voce impastata dal sonno. Di cosa aveva bisogno? Se l'era domandato tante volte, mentre con passo strascicato e colpevole, quella notte, si era diretto solo ed esclusivamente da lei. Aveva pensato al suo viso, ed era stato quello a guidarlo. Poi capì.".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno sa cosa lo portò davanti a quella porta, una notte tranquilla a Starling City. Nessuno seppe dire quale involontario impulso nervoso fece attivare i muscoli delle gambe fino a condurlo in quella stretta via, su cui si ergeva quel semplice condominio. Eppure, era una notte come tutte le altre. Il buio era calato, avvolgendo ogni edificio e ogni albero come una coperta morbida e calda, interrotto solo da qualche luce sfrecciante di macchine guidate da ubriachi. Le stelle brillavano luminose intorno alla luna, rivolta a viso pieno verso la terra, sorridente senza nessuna ombra. L'aria profumava di autunno e inquinamento, mentre sotto i suoi piedi si infrangevano foglie morte, abbandonate a sé stesse. Osservava quella porta, decidendo se fosse appropriato suonare quel campanello, o sfuggire semplicemente via, come tante altre volte aveva fatto. Qualcosa dentro di lui era scattato, una molla invisibile, e i suoi muscoli si erano irrigiditi per resistere alla tentazione, fallendo miseramente. Così, aveva suonato e, prima che potesse cambiare idea, la porta si era aperta. Era bellissima. Quegli occhi, oh si che occhi!, spalancati per la sorpresa, riuscirono ad aprire un varco squarciando la sua pelle, entrando fin nel profondo della sua anima buia. 
"Oliver? Che ci fai qui?.. Hai bisogno di qualcosa?" chiese, con la voce impastata dal sonno. Di cosa aveva bisogno? Se l'era domandato tante volte, mentre con passo strascicato e colpevole, quella notte, si era diretto solo ed esclusivamente da lei. Aveva pensato al suo viso, ed era stato quello a guidarlo. Poi capì. Finalmente la verità si districò davanti ai suoi occhi come un filo precedentemente attorcigliato, e lui capì.
Bastarono quelli occhi perché lui si sentisse giusto nel mondo, a casa sua, come non si era mai sentito in nessun altro posto. Bastarono quei capelli profumati e morbidi che ti invogliavano, senza un pizzico di malizia, ad affondarci tutte le dita della mano. Bastarono quelle guance rosee, quasi paffutelle e bastarono quelle labbra, naturali senza nessun artificioso colore. Bastarono quelle poche cose, per far si che quella notte potesse cambiare il corso della storia di due semplici umani. E bastarono affinché lui capisse che aveva un bisogno, più grande della sua stessa vita, di lei. Varcò la soglia, invogliato da un gesto gentile di lei, e si posizionò in mezzo alla stanza, rischiarata dalla luce dei lampioni che filtrava dalle tende. Poi si girò, guardandola con quello sguardo che riservava solo a lei e lei soltanto e si avvicinò, una mano che chiedeva aiuto, già protesa verso la sua salvezza.
Non ci furono parole, era un accordo segreto da rispettare, ma solo l'istinto e il desiderio. Un desiderio così forte da far male, da scuotere il corpo fin nelle profondità delle sue viscere, fino a rianimarlo. Così, due labbra si unirono in quel appartamento, esigenti, vogliose, umide di sentimenti nascosti. Fu una guerra a tutti gli effetti, uno scontrarsi di lingue e denti, morsi e carezze. Baci sul collo, brividi mal trattenuti, l'accapponarsi erotico della pelle. Intrecci di mani calde, bollenti, esploratrici di nuove terre sconfinate che non vedevano l'ora di conoscere. Fruscii di inutile tessuto lanciato a terra, gesti dettati dall'istinto, come quelli di un predatore all'attacco. Si poteva sentire l'odore di corpi nudi, sudati ed eccitati, pronti ad accogliersi come una madre accoglierebbe suo figlio tra le braccia. E poi carezze da togliere il fiato, da far perdere la ragione e mettere in subbuglio l'intero organismo. Lei non aveva mai ricevuto quelle piccole attenzioni, lui non le aveva mai date-dalle altre donne era attratto dalla fisicità, era solo questione di possesso. Ma per la prima volta era diverso. C'era qualcos'altro. Con urgenza, quei due corpi si unirono, fondendosi come oro liquido. 
E insieme furono un sogno non distinto.
Furono anime rischiarate da luce nuova.
Furono fulmini e tempesta in una notte dal cielo stellato.
Furono tutto, ma niente allo stesso tempo.
 
Così come era entrato, silenzioso se ne andò, lasciando una parte della sua anima in quel letto, accanto alla donna che aveva sempre saputo di amare.
 
Quando lei, la mattina si svegliò, trovò il letto infelicemente freddo e vuoto, senza quel calore umano di cui si sarebbe beata in eterno. Tutte le sue certezze furono risucchiate in un vortice uscito dalla terra, per poi scomparire. Lacrime salate e amare scesero dai suoi occhi.
~~~~~~~
4 mesi dopo...
 
"Stai bene? È da tanto che non ci sentiamo."
 
Oh, Diggle. Il suo caro amico, nonché ex soldato dal cuore buono. Si preoccupava sempre per Felicity, aveva paura che non si curasse più di sé stessa da quando Oliver se n'era andato. Ora anche di più da quando aveva scoperto che nel suo grembo stava crescendo una creatura vivente. Felicity lesse il messaggio e, sospirando, rispose:
 
"Digg è passato solo un quarto d'ora da quando non ci sentiamo! Non chiedermi come sto, sai già la risposta..."
 
Felicity sapeva che John Diggle non si meritava il suo isterico comportamento. Nessuno lo meritava. Ma non poteva mentire e se avesse realmente risposto alla domanda del suo amico l'avrebbe fatto, rifilandoli un fasullo: "Sto bene.". Diggle aveva ragione a preoccuparsi, infondo. Lei non faceva che vomitare cibo e lacrime, e poi lacrime e cibo ancora. Non mangiava più, non aveva fame. E quando mangiava lo faceva per colmare quel vuoto che nessuno avrebbe mai più potuto riempire. Non sentiva niente, era solo più un corpo senza anima, in grado di respirare sì, ma incapace di provare amore. Tranne per quella creatura che le cresceva ogni giorno di più nella pancia, per quella sì che provava amore. Un amore impossibile da scalfire o cancellare, proprio come quello che aveva dato 4 mesi fa al padre del bambino. 
Prese la chiave dal fondo della sua borsetta e la mise nella toppa, aprendo la porta di casa. Era semibuio, esattamente come quella notte. Ed esattamente come quella notte una figura, a lei fin troppo famigliare, era immobile in mezzo alla stanza. Non appena sentì i passi della donna, Oliver si girò, rivelandole un volto scalfito da sconfitte, battaglie, dolore e sofferenza. Non l'aveva mai visto così. Mai. Vederlo così le spezzò ancor di più il cuore, ma poi la furia ceca della rabbia prese il possesso di lei. Si avvicinò e alzando la mano gli tirò uno schiaffo. Lui non reagì, restò immobile, senza nessuna espressione sul volto. Poi ne arrivò un'altro e un'altro ancora. Uno, due, tre... Non gli contò. Gli schiaffi che riceveva sul viso non facevano male, ma quelli che riceveva al cuore, quelli, beh, erano terribili. Ma se lo meritava, dopo quello che le aveva fatto. Dopo un tempo indefinito la rabbia scemò e lasciò il posto a un pianto liberatorio, così forte da scuoterla in mille singhiozzi.
"Quattro mesi Oliver! Quattro lunghissimi mesi in cui sei scomparso e io... Io avevo paura che fossi morto!" urlò, puntandogli il dito al petto. Lui non rispose.
"Ti rendi conto di cosa ci hai fatto passare? Eri irraggiungibile! Sei un bastardo, lo sai, vero? LO SAI?!" 
Oliver sospirò.
"Mi dispiace." disse solamente, come se servisse a espiare le sue colpe.
"Ti dispiace? E dovrei ringraziarti perché ti dispiace?! Sai come sono stata? Sai cosa ho provato senza di te?! Come ti sei permesso di venire da me quella notte, scoparmi e poi andartene, lasciandomi incinta?!" Quelle parole furono come lame d'acciaio che si conficcarono sotto la sua pelle, nella carne e infine nel profondo della sua anima. Era stato un mostro, se ne rendeva conto, e un vigliacco schifoso ad essere fuggito nuovamente sull'isola, quando in verità fuggiva dai suoi stessi sentimenti. Se ne vergognava. Ma di tutto questo, una cosa aveva più importanza di qualsiasi altra cosa.
"Sei... Sei incinta?" chiese, deglutendo pesantemente. Non era pronto a questo, non lo era davvero. Non voleva un bambino, non l'aveva desiderato, ma quella notizia lo scosse nel profondo, inumidendo di lacrime i suoi occhi blu. Consapevolezza. Amara e terribile consapevolezza, era quello che sentiva realmente. Lei lo fissò, senza dire una parola, facendo vagare la mano sul suo ventre. 
"È maschio o... O femmina?" chiese, cercando di regolare l'emozione nella sua voce.
"È maschio." rispose semplicemente lei. Calò un silenzio opprimente.
"Me ne prenderò cura." Oliver lasciò che i suoi pensieri li scivolassero sino alla punta della lingua, fino a essere sputati, diventando reali. Cercò di avvicinarsi, ma lei si allontanò, come scottata dal suo tocco.
"Non è quello che desideri veramente e io non sono certo il tipo di importelo, Oliver. Ora vattene." sibilò velenosa quanto ferita.
"Ma..."
"Vattene, Oliver! Ho detto di andartene!" urlò nuovamente. E Oliver, senza dire più una parola se ne andò, senza più girarsi.
 
~~~~~~
Tre mesi dopo...
 
 
Oliver non era ancora ritornato al covo. Non riusciva più a farlo. Il senso di colpa lo attanagliava in morsi al petto come una bestia feroce e lui si accasciava, ogni volta, dolorante. Diggle e Roy era gli unici, insieme a Felicity, a saperlo di nuovo in città, ma loro, dopo un'iniziale insistenza, non fecero più domande. Semplicemente restarono ad aspettarlo, lavorando al covo come se lui fosse sempre lì a proteggerli-a proteggere la sua città. Avrebbero aspettato e sapevano che un giorno la porta si sarebbe aperta e il Vigilante, vincitore delle più spietate battaglie, sarebbe apparso e avrebbe detto:"E ora di tornare al lavoro, ragazzi!". Aspettavano in silenzio, i fedeli compagni dell'eroe. 
Felicity non lavorava più, né andava al covo. Troppi ricordi, troppe sensazioni. Usciva il necessario, anche solo per fare una passeggiata e Oliver era lì, sempre. La osservava da lontano, per accertarsi che stesse bene, pronto a intervenire al minimo pericolo. Nessuno doveva toccare lei e il bambino, era pronto a uccidere per proteggerla.
Un giorno, dopo tante settimane di agonia nel vederla lontano da sé, non riuscendo più a sopportare quel peso, cedette alla tentazione. Entrò in casa sua attraverso il balcone-causa forza dell'abitudine - inserendosi poi nella sua camera da letto. Si tolse i vestiti, rimanendo nudo e si mise nel letto di Felicity, coperto solo da un lenzuolo. Quando la donna rientrò in casa, sembrò non accorgersi della sua presenza. E lui non si fece vedere, aspettò in silenzio ascoltando il rumore dell'acqua scrosciare nella doccia. Aspettò anche quando lei entrò, i capelli umidi, avvolta in un accappatoio. Bellissima. Solo allora lei si accorse della sua ombra e l'istinto le fece spalancare la bocca e lanciare un urlo. 
"Oliver! È questo il modo di entrare in casa della gente? Da dove sei entrato?" chiese, senza ragionare, provocando uno sguardo di scetticismo da parte dell'uomo.
"Oh certo, tu non sei come gli altri." esclamò sarcastica, per poi ammutolirsi improvvisamente. Era imbarazzata e le sue guance erano arrossite quando si erano soffermate sul corpo nudo protetto solo da uno strato di leggero cottone. Ma poi si ridestò.
"Che ci fai qui nel mio letto, nudo, come se ne avessi il diritto? Mi pareva di essere abbastanza chiara sul fatto che non ti volessi più vedere." disse fredda, irraggiungibile come Oliver non l'aveva mai sentita. Si alzò, senza preoccuparsi della sua nudità e si sedette al bordo del letto.
"Perdonami." sussurrò a testa bassa, rassegnato all'amore che riscuoteva le sue membra. Felicity sussultò. Non si sarebbe mai aspettata un Oliver implorante il suo perdono. Lacrime uscirono inavvertitamente dai suoi occhi, senza poterle trattenere. 
"Sono stato sull'isola, in questi mesi. Sono ritornato lì per riordinare le mie idee, per sfuggire ai miei stessi sentimenti che continuavo a negare. Ma non ce la facevo più, non resistevo all'impulso di vederti e di toccarti, di averti con me. Quando sono tornato, la notizia della tua gravidanza mi ha sorpreso, devo ammetterlo, ma... È ciò che desidero. Ne sono sicuro. Avere un figlio con te sarebbe stupendo e... Mi fido di te così tanto da essere sicuro che riuscirai a fare di me un ottimo padre.... Ti amo, Felicity." rivelò, non smettendo di guardarla negli occhi. E lei, nelle iridi blu dell'uomo, vide solo sincerità e amore. Le stava parlando con il suo cuore in mano. Oliver le prese dolcemente il viso tra le mani e lo avvicinò alle sue labbra, baciando e cancellando le sue lacrime, una ad una, continuando a ripetere:"Mi dispiace. Perdonami, ti prego." e lei lo perdonò, ogni minuto di più. Poi lui fece una cosa che la sorprese: le aprì l'accappatoio e giunse le mani sul suo ventre sporgente di ormai sette mesi. L'accarezzò lentamente e poi la baciò nel punto dov'erano prima posate le sue mani.
"Il nostro bambino." sussurrò orgoglioso, con una leggera inclinazione di commozione nella voce. Lei infilò una mano nei suoi corti capelli, morbidi ma irti allo stesso tempo.
"Ti amo anch'io, Oliver."
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice:
*me sventola la mano per non svenire*, ho bisogno d'acqua gente!! Qua fa caldo!! Che dire, magari mi trovassi un Oliver nudo in casa a dirmi ti amo ♡.♡ Si lo so, me lo posso solo sognare! Invidio Felicity, lo ammetto u.u Chi non vorrebbe essere lei? Ehm... Ehm... Spero che vi piaccia, l'ho partorita (ci sta in questo contesto) riguardando vecchie foto Olicity e in una notte mi sono messa a scrivere e... Tatatabum eccola qui!! Spero vi piaccia e...
Oliver: Mi hai descritto come un perfetto idiota innamorato, ora non sono più un macho man!!
Zitto!, lo sappiamo già che sei un idiota :')
Scusate per l'intromissione ^^
Ringrazio la mia beta Nakia per il supporto e per la correzione e ringrazio tutti quelli che la leggeranno e l'apprezzeranno. Un bacione ♥ 
 
 
 
  
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