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Autore: _Ella_    01/07/2014    4 recensioni
È sfinito, letteralmente, e fa male l’orgoglio ammetterlo, ma è così teso che non riuscirebbe a riposare neppure volendo: riesce a sentire tutti i rumori della foresta, i suoi sussurri, i suoi respiri, il battito delle ali ed il verso dei gufi che si preparano per la caccia, lo strusciare delle vipere e dei serpenti nell’erba alta che li circonda, il ronzio delle zanzare. Forse è solo la notte che è troppo silenziosa ed è troppo vuota, ed ha sempre bisogno che qualcuno la riempia con pensieri e ricordi e sensazioni – quelli di Kurapika lo terrebbero sveglio per altre cento, mille o infinite ore di buio.
[Leorio/Kurapika accennata]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kurapika, Leorio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Come foglie d’autunno
 
 
Hanno camminato decine e decine di minuti nel buio dell’isola Zebir, prima di trovare un posto abbastanza sicuro dove fermarsi per passare la notte. Kurapika è esausto, e poggia la schiena contro il tronco di un albero, lasciandosi scivolare seduto in terra con un grosso sospiro, come una foglia secca al soffiare del vento.
Quando aveva deciso di percorrere la carriera da Hunter, e soprattutto quando aveva deciso di affrontare l’esame, sapeva bene che non sarebbe stato neppure lontanamente semplice. Aveva deciso di fare affidamento sulle sue abilità – aveva deciso di fare affidamento sul suo odio, come ha fatto tutti i giorni della sua vita da anni a quella parte – ed era sempre stato così concentrato da non avere mai il tempo per scoraggiarsi. Mai fino a quel momento, non prima di incontrare Hisoka sul suo cammino durante la Quarta Prova.
Mentre beve l’acqua che Leorio gli ha offerto, si rende conto di non essere neanche lontanamente forte quanto basta per raggiungere i suoi obbiettivi: se la feccia del Ragno fosse forte quanto se non più dell’Illusionista, lui non avrebbe chance di farcela. L’idea di morire con l’odio che gli corrode il cuore riesce davvero a spaventarlo – neppure la morte riuscirebbe a dargli pace, l’ultimo respiro sarebbe l’urlo di chi cerca ancora vendetta.
È davvero buia la notte lì sull’Isola, fredda, inquietante. Sapere che mancano ancora tre giorni alla fine della prova riesce a sfinirlo più che affrontare la prova stessa.
«Ehi, Kurapika». Leorio gli si siede accanto, facendo un gran baccano. Spera davvero che non ci sia nessuno nei paraggi, perché altrimenti li avrebbero già localizzati. «Farò io il primo turno per la notte».
«Non importa» dice, tenendo il tono basso e gli occhi puntati alle foglie degli alberi che sono intorno (loro, almeno, non sono abbastanza morte da cadere). «Non riuscirei a chiudere occhio, ora come ora».
È sfinito, letteralmente, e fa male l’orgoglio ammetterlo, ma è così teso che non riuscirebbe a riposare neppure volendo: riesce a sentire tutti i rumori della foresta, i suoi sussurri, i suoi respiri, il battito delle ali ed il verso dei gufi che si preparano per la caccia, lo strusciare delle vipere e dei serpenti nell’erba alta che li circonda, il ronzio delle zanzare. Forse è solo la notte che è troppo silenziosa ed è troppo vuota, ed ha sempre bisogno che qualcuno la riempia con pensieri e ricordi e sensazioni – quelli di Kurapika lo terrebbero sveglio per altre cento, mille o infinite ore di buio.
Leorio adesso sghignazza, gira il viso per fissarlo beffardo. «Cosa c’è? Hisoka ti ha spaventato?».
«Non è questo» smentisce, e probabilmente è la serietà con cui l’ha detto a zittirlo. Kurapika si stupisce tutte le volte che Leorio lo guarda come se sapesse, come se capisse. Ha sempre sperato che la sua calma e la sua freddezza potessero ingannare gli altri, rendendolo ai loro occhi la persona tranquilla e riflessiva che in parte è – ma è quello che nasconde il lato più importante, quello più pesante, quello più gravoso, che a volte spaventa persino lui stesso.
Kurapika vorrebbe davvero essere una persona come un’altra. Vorrebbe essere quel ragazzo che era anni fa, il dodicenne che ha lasciato la sua casa per vivere delle avventure degne dei romanzi più belli, quello che sperava di ritornare per incontrare il suo migliore amico e raccontargli qualsiasi cosa avesse visto o fatto («Pairo, ho trovato un dottore che può guarirti, potrai venire con me nel mondo esterno»). A volte si chiedeva se oltre che più facile non sarebbe stato meglio morire con tutti gli altri.
«Sai» la voce di Leorio è più bassa, ormai ha smesso di guardarlo. Sembra estremamente concentrato a fissare i fili d’erba, come se stesse cercando le parole che non trova. «Ci ho messo un po’ per superare la morte del mio amico» si gratta la nuca, visibilmente imbarazzato. «Mi ricordo com’era quando ancora non mi davo pace che fosse successo e… mi spiace, Kurapika. Dev’essere dura… almeno credo, ecco…».
Sospira, poggiando la nuca all’albero e socchiudendo gli occhi. La verità è che l’astio e l’odio e la disperazione sono l’unico mezzo con cui sia riuscito a riempire quel vuoto di disperazione che si è creato dopo la morte della sua famiglia e dei suoi compagni.
«Non voglio parlarne».
Perché dovrebbe tirare fuori tutti gli scheletri dall’armadio? Perché mai dovrebbe dargli l’occasione di vederlo versare lacrime inutili per tutti i suoi fantasmi del passato? Quanto aveva pianto sperando fosse solo un incubo – più, o meno che desiderare di svegliarsi morto?
La mano di Leorio si posa sulla sua spalla, la stringe, riportandolo alla realtà. «Ehi, calmati» dice e lo guarda, continuando a tenere stretta a presa per infondergli quella sicurezza che si sente mancare sotto i piedi.
Annuisce, mordendosi la bocca e nascondendo lo sguardo sotto la frangia. «Ho paura di non farcela» ammette – cosa se ne farà di tutto l’odio avanzato? Uccidere la Brigata è davvero il modo giusto per liberarsene? Se non bastasse?
«Tsk, sai che roba, quella ce l’hanno tutti» gli dà una carezza ai capelli, provando a sorridergli.
Kurapika ricambia il sorriso, riesce persino a sbuffare una risata. «Per gente come te potrebbe non esserci speranza».
«Bastardo!» Leorio ringhia, poi lo fissa, ride e scuote la testa. «Sei  tornato in te, finalmente» e sorride, soddisfatto.
Probabilmente Kurapika ha sentito un “mi eri mancato” smangiucchiato tra le labbra, ma non ne è sicuro. Quello che è certo è che adesso potrebbe tranquillamente riuscire a dormire, perché Leorio gli sta tenendo la mano: non ci sono più incubi.




 


Uhm, beh, che dire.
Partendo col fatto che non pubblico una storia da... mesi, mi sembra davvero assurdo aver ripreso con una shot su HxH che forse non mi soddisfa nemmeno (non che non ne sia contenta, ma è la prima volta che inciampo in questo fandom, e fa sempre un po' paura intrufolarsi in qualcosa di nuovo senza conoscere bene il territorio).
Tralasciando il fatto che il cuore mi piange ancora per l'episodio 135, dalla settimana scorsa mi sono messa a rivedere tutta la versione del 2011 da capo per la 3 o la 4 volta, e mi sono detta che non potevo non scrivere qualcosa su HxH, perché è il primo e vero amore della mia vita incontrato i tempi che faceva su Italia 1, che è tutto dire.
Dopo questo blablabla (fuck, sono nervosa), spero che la shot sia piaciuta e, soprattutto, sarò contentissima se arriveranno critiche o consigli, perché a livello di scrittura non sento ancora del tutto miei questi personaggi, quindi mi piacerebbe renderli più IC.
Alla prossima, spero
<3
   
 
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