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Autore: Ombra8    02/07/2014    8 recensioni
Mi domando come potessi essere convinto che mi sarebbe bastata un’estate per abituarmi alla tua assenza.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Sorseggio questo caffè mentre ti osservo dalla sala relax.
Sei tornata da pochi giorni in servizio e già hai recuperato buona parte degli arretrati.
Non ti fermi. Non ti arrendi.
Ammiro la tua devozione. La tua tenacia.
Mi domando come potessi essere convinto che mi sarebbe bastata un’estate per abituarmi alla tua assenza. Per smettere di pensarti costantemente, ininterrottamente.
E di come , durante l’arco dei tre mesi, i miei sentimenti nei tuoi confronti fossero cosi contrastanti, cosi diversi.
 
 
A giugno ti amavo.
Con ardore e paura.
La notte mi svegliavo urlando il tuo nome. Rivivevo nei miei incubi il tuo sparo.
Il ricordo del tuo sangue tra le mie mani mi faceva sobbalzare nel sonno. Guardavo, nella penombra della mia camera da letto, le miei mani e mi accorgevo che ciò che le rendeva umide in realtà era soltanto sudore.
E allora mi tranquillizzavo perché realizzavo che eri al sicuro.
Stanca, nervosa, dolorante.
Ma in un letto d'ospedale e non stesa su un prato di un cimitero.
Cosi trascorrevo le mie notti.
Dopo gli incubi mi alzavo e vagavo per lo studio.
Alle volte quando sentivo l’esigenza di esternare le mie paure scrivevo.
Annotavo la tua mancanza. Annotavo le mie fantasie.
Immaginavo ad occhi aperti il momento in cui avresti chiamato.
Mi avevi chiesto del tempo ed io, per una ragione che ancora oggi non concepisco, te l’avevo concesso.
Mi sono auto convinto che fosse normale. Essere sparati da un cecchino non capita tutti i giorni. Neanche a te che sei un super poliziotto.
 
 
 
A luglio eri il mio pensiero costante.
Ero impaziente. L'attesa mi stava logorando.
La voglia di chiamarti, di piombarti in casa era irrefrenabile.
Alle volte uscivo di casa con l'intenzione di passeggiare e riordinare un po’ le idee per i libro.
E mi ritrovavo sotto casa tua.
Il mio corpo, completamente in modo autonomo, mi conduceva da te.
Alzavo lo sguardo verso le tue finestre, con la speranza di poterti vedere e rassicurarmi sulle tue condizioni.
Speravo che per un inspiegabile forza del destino tu guardassi verso il basso, ti accorgessi di me e mi invitassi a salire.
Alla terza volta di quella mini gita nel tuo quartiere,il tuo portiere,quasi come se volesse giustificarsi, mi disse che eri partita.
Immaginai che fossi con Josh da qualche parte, magari che fossi andata al mare.
Provai delusione e una profonda tristezza.
Mi mancava il tuo sorriso. Mi mancava il luccichio dei tuoi occhi.
Quando tornai a casa mia figlia notò il mio stato. Non disse nulla ma appoggiò le chiavi della casa negli Hampton sul bancone della cucina.
Due giorni dopo avevo lasciato New York.
 
Trascorrevo le giornate al mare con il portatile e la musica nelle orecchie.
Il mio aspetto lasciava a desiderare ma dovevo pensare a finire il manoscritto e non approfittare troppo della benevolenza di Gina che con sorpresa mi aveva concesso una piccola proroga per la consegna. Pensai che fare appello a tutto il mio charme l’avesse convinta. O forse no.
Forse le avevo fatto pena.
 
 
Cosi l’estate passò: tra il manoscritto, le passeggiate e la presenza di Alexis.


Al solo pensiero di te provavo amarezza, fastidio e un po’ di  odio.
Già odio perché non riuscivo a smettere di pensarti. Non riuscivo a smettere di amarti. Anche se eri sparita. 
Te ne eri andata strappandomi la voglia di amare. Di sorridere. Di guardare negli occhi le persone. Soltanto per la dannatissima paura di poter trovare una somiglianza con i tuoi.
Mi mancavi. 
Punto.
 
A settembre ero rientrato. Abbronzato e sbarbato. Avevo indossato il mio miglior sorriso ed ero tornato ad essere il solito papà/figlio/scrittore rompiscatole.
Lo dovevo a mia madre e a mia figlia che silenziosamente mi avevano supportato e sopportato. 
La settimana successiva al mio rientro ci sarebbe stata la presentazione di Heat Rises. Dovevo rendermi presentabile.
 
Quel martedì c’era gente ovunque. Una fila interminabile.
 Avevo quasi una paralisi al viso per tutti i sorrisi.

I complimenti erano sempre gli stessi. Le dediche anche. 
Avevo bisogno di una pausa. La mia faccia, la mia mano e il mio umore la richiedevano.
Stavo per scusarmi dell’interruzione, quando mi venne consegnato un altro libro.

Lo presi senza alzare lo sguardo e dissi:
“A chi lo dedico"?
"A Kate..puoi dedicarlo a Kate".

 
Ti guardai negli occhi. Stupito. E poi con aria quasi scocciata.
Cosa ci facevi li?.


Ma eri viva. Respiravi. E stavolta mi guardavi negli occhi. Non come se fosse l'ultima volta. Mi guardavii come a chiedermi silenziosamente perdono.
 
 
Sono passati 4 giorni da quel momento. Abbiamo risolto il caso della giovane ragazza. 
Continuo a sorseggiare questo caffè e ti guardo silenziosamente.
E sorrido. Sei ancora li con una montagna di fogli da firmare. Sbuffi e picchietti con la penna sulla scrivania.
Penso che un giorno ci riuscirò. 
Riuscirò a chiederti di darmi un appuntamento. Di quelli che vorresti organizzare cose mega-galattiche per fare colpo ma che poi tutto si ridimensiona ad un cinema al chiuso; ad un film divertente e al buio della sala ,spettatore dell’ imbarazzo o dell’indecisione sul prenderle la mano oppure no
Riuscirò a baciarti senza che nessuno ci disturbi. Per il solo motivo di poter conoscere il tuo gusto. Di poter giocare con le tue labbra morbide che sono un misto di lucidalabbra e frappè.
Riuscirò a dirti che ti amo. Te lo ripeterò fino alla nausea. Cosi che tu non lo possa dimenticare mai.
 
"Castleeeeeeeee..la smetti di sognare ad occhi aperti e mi porti il caffè! Argh...odio i rapporti”
 
Mi ridesti dai miei pensieri.
Per un attimo ho dimenticato che dovevo prepararti la tua dose di caffeina.
Ahia… sei sempre la solita tiranna.  
 
"Arrivo Beckett". 
  
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