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Autore: Angeline Farewell    04/07/2014    4 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sette.

 

L’imbarazzo non era stato contemplato quando avevano deciso di poter dividere un appartamento e pochi metri quadri senza problemi. Non era stato contemplato perché nessuno immagina davvero possa succedere l’impensabile, certe cose capitano sempre agli altri, figurarsi, perché preoccuparsi?

Chris non si era preoccupato, Tom non si era preoccupato, la settimana passata a casa con Diana aveva dato loro più che ampi motivi per non dover temere catastrofi di alcun tipo. Non era stato necessario nemmeno discutere di regole e limiti, si erano dimostrati stranamente molto simili persino nelle abitudini e nelle idiosincrasie. O comunque nessuno dei due trovava quelle dell’altro abbastanza fastidiose da risultare insopportabili, si erano adattati benissimo, in modo fin troppo naturale alla nuova routine, e senza dover scendere a troppi compromessi.

Andava tutto bene.

Poi però ci si era messo di mezzo Branagh, si era messo di mezzo Freddie, si erano messi di mezzo la solitudine e lo stress, la frustrazione di un lavoro che aveva accettato senza reale voglia, forse l’inadeguatezza provata in un teatro che nemmeno sembrava tale (1).

Il Donmar era piccolo e non puzzava di vecchio e di legno, non metteva soggezione con tendaggi pesanti e quinte labirintiche, e quando aveva provato a prendere in giro Tom al riguardo se n’era pentito amaramente, perché più che irritarlo gli aveva dato il là per una lezione socio-architettonica che proprio non avrebbe voluto sentire. Ma tant’è, aveva imparato che Tom era anche quello, una maestrina nell’anima, la vera sorpresa era si fosse stupito tutti avessero creduto volesse diventare un insegnante.

Non ricordava nemmeno quale fosse stata l’occasione di una simile confidenza – ce n’erano state molte, quasi sempre giunte inattese da ambo le parti -, ma Chris ricordava di essersi morso la lingua per non ridere dell’evidente frustrazione di Tom, perché lui non ci aveva proprio mai pensato a quel tipo di carriera. Eppure sarebbe stato adatto, sicuramente più del suo insegnante di inglese al liceo che gli aveva fatto odiare la letteratura tutta da Chaucer in poi: Tom gli parlava dei suoi autori preferiti come se stesse raccogliendo idee per scriverne lui stesso, aveva la peculiare capacità di avvincere con un linguaggio ricercato che non suonava mai falso o forzato o pomposo, solo naturale. Chris non glielo avrebbe probabilmente mai detto, ma gli piaceva tantissimo starlo ad ascoltare, persino quando tiravano troppo tardi la sera prima di una levataccia l’indomani. Non glielo avrebbe detto perché già di norma era complicato riuscire a farlo tacere per più di pochi minuti di fila.

La verità era l’imbarazzo fosse cominciato in un momento preciso e lo sapevano tutti e due. Anche se, sul momento, probabilmente non avevano registrato il fatto come un evento imbarazzante, insomma davvero imbarazzante: era stata tutta colpa di Freddie se, settimane dopo, lo era diventato sul serio. A ripensarci, Freddie era responsabile persino della causa dell’incidente. Sì, era tutta colpa di Freddie.

La sera della festa per l’inaugurazione del nuovo appartamento avevano festeggiato troppo e bevuto anche di più. Niente di strano, stavano facendo festa, erano felici, avevano bisogno di scaricare le tensioni accumulate per via del lavoro, erano settimane Chris non si ritrovasse circondato da suoi coetanei senza nessun altro pensiero se non quello di non pensare per niente. Era stata una bella sensazione.

Avevano bevuto fino a notte inoltrata, poi uno dei seri professionisti – quello che aveva ancora la cravatta al collo e non legata intorno alla testa – si era ricordato di guardare l’orologio e dell’appuntamento che avrebbe avuto l’indomani, innescando una reazione a catena di boooh meritatissimi prima, e di defezioni strategiche poi, perché l’indomani sarebbe stato giorno lavorativo un po’ per tutti.

Solo Emma, Freddie, Charlie e Joy si erano fermati un po’ più a lungo per dar loro una mano a dare alla casa un aspetto meno post apocalittico, ma alla fine avevano rinunciato tutti, troppo stanchi e ubriachi per riuscire a combinare davvero qualcosa.

Quindi Chris e Tom si erano ritrovati da soli sul divano a fissare la parete di fronte a loro in stato quasi catatonico. Ma nemmeno un bicchiere di troppo poteva far tacere davvero Tom.

“Credo qualcuno abbia fatto sesso sul mio letto.”

“Dai?”

“Uh-uh.”

“…”

“Credo di essere troppo sbronzo per preoccuparmene davvero.”

“E io sono troppo sbronzo per dirti di cambiare le lenzuola.”

“…”

“…”

“Ma lo hai appena fatto.”

“Oh.”

La morale della favola è fossero davvero troppo ubriachi per pensare lucidamente e che nessuno aveva cambiato le lenzuola di nessun letto – fosse davvero stato usato o meno da occupanti abusivi – perché a letto non ci era arrivato nessuno dei due: Chris si era svegliato la mattina dopo per le deboli gomitate di Tom che cercava di liberarsi, dato che lo teneva incastrato tra la spalliera del divano e il suo corpo.

E sulle prime non aveva saputo cosa fare, troppo confuso per i postumi della sbornia, infastidito dai raggi del sole che filtravano dalla tenda che non avevano accostato bene la sera prima, persino seccato per l’essere stato svegliato mentre dormiva comodamente. Solo dopo si era reso conto del perché era tanto comodo ed aveva cominciato ad entrare nel panico.

“Andiamo Chris, devo andare in bagno, fammi alzare.”

Erano state le parole che avevano stroncato sul nascere ogni imbarazzo, perché avevano cominciato a ridere come stupidi della situazione e di loro stessi. Si erano rialzati e Chris aveva ringraziato la sua buona stella che la situazione non si fosse trasformata in una catastrofe, ma solo in un episodio buffo, magari da evitare di raccontare. Avevano preso qualche pillola di analgesico, bevuto litri su litri d’acqua, poi ripulito casa lentamente, senza fare movimenti bruschi.

Chris non si era chiesto perché era sembrato Tom avesse sempre da fare in un’altra stanza tutta la mattina, perché non erano andati a correre insieme dopo pranzo, perché avessero parlato pochissimo. Non aveva mai visto Tom sbronzo o con i postumi di una sbronza, non poteva giudicare se quello fosse o meno il suo comportamento normale, e aveva comunque i suoi sintomi cui badare. Ed il sollievo per lo scampato pericolo era stato troppo forte perché qualcosa potesse inoculargli il seme del dubbio.

Andava tutto bene.

E così erano passate settimane senza che nessuno dei due parlasse più dell’accaduto, l’atteggiamento di Tom era tornato quello di sempre già dall’ora di cena, quella sera stessa, ergo Chris era stato ulteriormente rassicurato.

Le riprese di Triangle sarebbero terminate entro pochi giorni quando aveva costretto Tom a mantenere la sua promessa e portarlo con sé in teatro, ed era stata solo una delle tante altre volte in cui l’aveva seguito.

All’inizio era rimasto in disparte occupando uno dei sedili posteriori della platea. Dopo le prime presentazioni frettolose nessuno aveva più badato a lui, troppo presi da prove da cui Chris non riusciva a staccare gli occhi. L’unico attore famoso su quel palco era Kenneth Branagh, eppure il livello medio degli altri non era da meno. Tom non gli sembrava fosse da meno.

Chris non conosceva il dramma che stavano mettendo in scena, non poteva dire nemmeno di conoscere Checov, ma dai dialoghi si rendeva conto persino lui della difficoltà del testo e delle interpretazioni.

Teatro e cinema erano mondi simili quanto il Sole e la Luna, il cinema viveva palesemente di luce riflessa.

Quando l’aveva detto a Tom, quella sera tornando a casa, però, l’aveva sentito ridere del suo confronto ammirato.

“Però si corre per raggiungere la Luna, giusto?”

Ed aveva avuto ragione. Lui per primo sgomitava tra la folla in gara in quella competizione che ammetteva tutti a gareggiare, ma segava le gambe dei più.

L’estate era volta al termine in fretta, il caldo aveva lasciato il posto a pioggerelle insistenti e gocce sottili come spilli, Chris aveva terminato di girare anche le ultime scene, Tom alternava picchi di eccitazione a scoramenti abissali in vista della prima di Ivanov, e davvero Chris non riusciva a capire come facesse a reggere lo stress ogni volta.

Il suo manager gli aveva suggerito di non tornare subito in Australia, che avrebbe avuto più opportunità di procurargli provini interessanti a Londra che non a Sydney, e Chris era stato più che lieto di dargli retta, nonostante la nostalgia di casa non voleva perdere nessuna opportunità.

Poi, però, ci si era messo di mezzo anche Freddie. Di nuovo.

La loro routine era praticamente perfetta: si svegliavano, prendevano qualcosa per colazione prima di andare a correre in posti sempre diversi – Tom conosceva angoli di Londra che, da solo, non avrebbe mai visto – e poi ognuno si dirigeva alle rispettive attività. Che, da un po’ di tempo a quella parte, tendevano a sovrapporsi: perché Chris aveva poco da fare da che le riprese erano terminate, a volte si vedeva per pranzo con i nuovi amici che si era fatto grazie alle riprese o a Tom e Freddie, prendeva il tè con Diana, si vedeva con il suo manager per fare il punto della situazione e discutere di eventuali nuovi progetti, ma non aveva mai davvero nulla da fare. Quindi era capitato sempre più spesso, semplicemente, seguisse Tom alle prove.
Nessuno badava più a lui, nessuno si chiedeva più chi fosse o cosa volesse, era stato registrato come presenza costante ma innocua, e relegato nel dimenticatoio.

Poi un pomeriggio, a casa di Diana, aveva trovato anche Emma e l’immancabile Freddie. Emma era un po’ giù di morale per via della laurea imminente che le stava togliendo il sonno e si notava: era terribilmente dimagrita, sembrava spenta e priva di energie, Freddie e Diana tentavano di tirarle su il morale inutilmente.

Era stata in quell’occasione che Freddie gli aveva passato una busta con un’espressione strana, una busta bianca di quelle da lettera.

“Le ho sviluppate qualche giorno fa, sono molto belle.”

Conteneva le foto che aveva scattato a lui e Tom fino a quel momento.

Forse l’errore era stato guardarle insieme.

Era ottobre inoltrato e Ivanov era in scena da quasi un mese. La prima era stata un successo – ovviamente. Chris aveva visto le prove, non aveva mai avuto dubbi al riguardo – di pubblico e critica, e Chris era riuscito persino a conoscere il signor Hiddleston, fino a quel momento figura mitologica intravista tra le righe dei discorsi dei suoi figli. Era un uomo già in là con gli anni, molto più grande di Diana, alto e sottile come Tom, e , a vederlo, non avresti mai pensato quell’espressione sempre vagamente beffarda fosse la maschera di un generale di ferro. Capiva perché Tom ed Emma fossero sempre un po’ tesi quando c’era lui, sospettava avrebbe spiato la stessa reazione in Sarah, se fosse stata lì.

Ma era autunno inoltrato, il cielo scuriva presto e di sera cominciava a far freddo, pioveva sempre più spesso e Tom, dopo la messa in scena, era sempre troppo eccitato ed allo stesso tempo stanco per poter dormire o fare qualunque altra cosa.

Così Chris aveva tirato fuori le foto mentre erano seduti sul divano con un’ultima birra davanti ad un programma comico di seconda serata. Non era stata la prima foto ad impensierirlo, nemmeno la seconda o la terza. Erano state tutte le altre, che mostravano in fondo la stessa cosa: non si era mai accorto di quanto lo spazio personale, tra loro, fosse un concetto relativo. Si rese conto in quel momento, anzi, che erano seduti fin troppo vicini.

Ma, come per l’incidente post-sbronza, Tom aveva scorso velocemente i rettangolini coloranti, glieli aveva passati e gli aveva dato la buonanotte, troppo stanco per proseguire la serata.

Come se non fosse successo nulla, e Chris pensò una volta di più che stava immaginando tutto. Non si spinse a chiedersi cosa esattamente stesse immaginando, che significato inesistente stesse dando a quegli scatti che li vedevano sempre troppo vicini.

Tom gli piaceva, erano amici. Poteva arrivare a dire fosse come un altro fratello, ormai. Quindi stava evidentemente dando troppo peso a… qualunque cosa Freddie avesse inteso sottintendere passandogli quelle foto. Come aveva già detto: tutta colpa di Freddie.
A Tom non avevano dato fastidio, Tom non aveva dato nessun significato particolare a quegli scatti, era evidente, anche se sembrava lo evitasse, anche se non se la sentiva più di andare a correre insieme tanto spesso, se usciva la mattina senza svegliarlo e di sera preferiva andare a letto appena tornato dal teatro. Chris doveva piantarla di rimuginare sul nulla: doveva trovarsi seriamente qualcosa da fare per occupare il tempo.

Forse sarebbe stato meglio tornare a casa, sua madre gli chiedeva già da un po’ quando l’avrebbe fatto.

Poi però Tom una mattina l’aveva convinto ad uscire a correre anche sotto la pioggia insistente di fine ottobre, l’aveva portato fino al Regent’s Park e gli aveva chiesto di andare con lui in teatro, quella sera.

“A Ken hanno affidato la regia del nuovo progetto della Marvel.”

“Dai? Wow! Girerà il nuovo Iron Man?”

“No, un nuovo franchise a quanto sembra, non mi ha detto molto.”

La pioggia era diventata intanto meno ostinata, solo un’acquerugiola fastidiosa e nulla di più. Avevano costeggiato lo zoo e si erano incamminati lentamente lungo il Boardwalk, probabilmente diretti verso il teatro all’aperto, Tom si dirigeva sempre verso il teatro e il lago.

“Mi ha detto di presentarmi ai provini per la parte principale, dice che secondo lui potrei andare bene.”

“Ma è grandioso, è una notizia incredibile!”

Chris non ci aveva pensato su due volte prima di prenderlo per un braccio e tirarlo verso di se in un abbraccio che era durato troppo a lungo, ma era stato ricambiato solo a metà.

“Mi ha detto di provarci, non che la parte è mia.”

“Sono sicuro che andrà benissimo, avete già lavorato insieme, ti conosce e sei incr - ”

“Vorrebbe che ci provassi anche tu.”

“Cosa?”

“Vorrebbe che ci provassi anche tu. Non so cosa ha in mente, te l’ho detto.”

“Ma… Ma avremo parlato un paio di volte al massimo, non credevo nemmeno si ricordasse della mia esistenza e -”

“Certo che se n’è ricordato, non dire sciocchezze. E di te gli avevo già parlato io, sa chi sei e cosa fai.”

“Ma…”

“Stasera prima delle prove dovresti parlarci.”

Avevano proseguito in silenzio per un po’. Aveva smesso di piovere, ma il cielo rimaneva scuro e pesante, e si erano lasciati lo zoo alle spalle, sempre più vicini all’Inner Circle.

Chris aveva cominciato a pensare a cosa potesse voler dire quel provino per la sua carriera. La Marvel aveva praticamente riportato in vita la carriera di un attore giudicato finito dai più, ma Robert Downey Jr. non era solo vizi e stravaganze, era anche qualcuno che era arrivato vicino all’oscar due volte di più di quanto avesse fatto lui, poteva anche valere il rischio.

E aprire un nuovo franchise poteva essere rischioso, perché scegliere un esordiente? Però Branagh aveva chiesto a lui e Tom di fare il provino, forse non volevano un volto troppo riconoscibile.

Già. A lui e Tom.

Chris si chiese se non fosse stato quello il motivo dello strano comportamento di Tom nei giorni precedenti. Avrebbe avuto senso, più del disagio procurato da un unico evento vagamente imbarazzante e qualche foto nemmeno così compromettente. Cui lui non pensava più di certo.

“Le cose non diventeranno strane, tra noi, giusto?”

Non sapeva perché avesse sentito il bisogno di chiedere, né a cosa si riferisse in particolare, se al vagheggiato provino per una major hollywoodiana, alla loro convivenza, a foto chiuse in un cassetto per non essere mai più riguardate.

Tom era rimasto in silenzio ancora qualche secondo osservandolo pensieroso, poi era scoppiato a ridere.

“Strane? E perché mai, tu avrai anche il fisico da supereroe, ma sono io quello sostanzialmente raccomandato, cosa dovrei temere?”

E gli aveva dato un colpetto con la spalla prima di cominciare a correre e lasciarlo indietro.

“Ehi! Questo è sleale!”

Quando erano tornati a casa, molti chilometri, risate e chiacchiere più tardi, Chris guardava Tom asciugarsi i riccioli completamente zuppi con un asciugamani e fingeva di pensare solo all’incontro che avrebbe avuto di lì a poco con Kenneth Branagh, e a nient’altro.
Non certo che fosse tutta colpa di Freddie.

 

 

 

 

 

Note:

(1) Il Donmar Warehouse, oggi adibito a teatro, era in origine – come suggerisce il nome – un vecchio magazzino di stoccaggio. Fornito di circa 270 posti, non ha un vero è proprio palcoscenico né un sipario.

 

Qualcuno forse saprà che mi diletto a disegnare. XD Qui e Qui, chi vuole, potrà trovare la fanart che ho dedicato alla mia storia.

Per chiunque stia leggendo, non so se la prossima settimana riuscirò ad essere puntuale con l'aggiornamento, probabilmente no. -.- Se qualcuno è interessato, però, ho tradotto una nuova one-shot (Thorki-BuckySteve): tanto per non perdere la mano. ^^'

 

   
 
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