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Autore: MikiBarakat96    04/07/2014    1 recensioni
Dal quarto capitolo
La mia fronte gli andò a sbattere giusto sul mento, provocando dolore sia a me che a lui.
"Aho!", esclamammo entrambi all’unisono, toccandoci le parti lese.
Alzai gli occhi, pronta a scusarmi con il poveretto che avevo urtato, quando gli occhi celesti del biondo… Luke, incrociarono i miei e rimasi letteralmente a bocca aperta, non riuscendo più a pensare a qualcosa da dire.
"Ehi, tu sei quella che era seduta nella front row!", esclamò.
Wow, aveva una bella memoria.
"G-già", risposi sentendo le guance andarmi in fiamme sotto il suo sguardo. "Quella vicino al moro un po’ brillo", aggiunsi.
Ridacchiò, e per tutta risposta sentì il cuore accelerare i suoi battiti. "Non ho mai visto qualcuno così coinvolto in una mia esibizione", disse continuando a sorridere.
______
Dal tredicesimo capitolo
"La solitudine è brutta, Jen, Michael è spaventato dal pensiero di poter tornare ad essere da solo, senza nessun amico, e questa paura lo fa essere geloso e lo spinge ad odiare tutto ciò che potrebbe portarti via da lui".
"Come Luke", annuii.
"Nuovi amici vogliono dire che quelli vecchi potrebbero essere lasciati da parte".
Niente dura per sempre.
Pensai tristemente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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28 Luglio 2009
Una settimana.
Era passata solo una settimana, solo sette giorni da quando i miei genitori erano morti, ma per me era come se il tempo non fosse passato affatto, ero rimasta ancora con la mente a quel momento, quando la polizia aveva bussato alla porta di casa, ed io, un po’ impaurita, avevo aperto ritrovandomi davanti la faccia pallida e nervosa di un poliziotto che, con la voce tremante, mi aveva detto di andare con lui, senza riuscire ad avere il coraggio di darmi subito la notizia. Una parte di me in quel momento, aveva capito che c’era qualcosa che non andava, ma non avrei mai immaginato che non avrei mai più rivisto i miei genitori, le persone che mi avevano cresciuta con amore, quelle che mi coccolavano quando ero triste, che mi spronavano quando non ero abbastanza coraggiosa per affrontare le cose; quanti litigi, quante discussioni, quante ore di rabbia sprecate. Se solo avessi saputo prima cosa sarebbe successo, avrei reso ogni giorno con loro il più bello, ma la vita è imprevedibile, la morte ti viene a prendere senza che tu sia d’accordo, senza che tu abbia il tempo di realizzare che non vivrai più, che non sarai più nessuno, sarai solo nulla, silenzio, buio, solo le persone care ti terranno in vita con il ricordo, finché la morte non prenderà anche loro.
Nessuno dovrebbe vivere con l’ansia che quello potrebbe essere il suo ultimo giorno, ma dopo che la vita mi ha portato via le persone più care che avevo, ho deciso di cogliere sempre il momento e godermi ogni giorno, perché niente dura per sempre, le cose cambiano che noi lo vogliamo o no; o almeno, questo è quello che ho iniziato a pensare dopo essere tornata a vivere.
La mattina del 28 luglio, il giudice emanò la sua sentenza, e mi affidò a mio zio, il fratello di mia madre, che abitava con la famiglia a Sydney e che era l’unico dei miei parenti che si era offerto per portarmi a casa con loro, per badare a me. Chi avrebbe voluto in casa una quattordicenne traumatizzata che non parlava e non mangiava da una settimana e stava solo ferma a fissare il vuoto? Certamente non tutti quei parenti sparsi per l’Australia che non avevo mai visto in vita mia. Zio Albert forse lo avevo visto qualche volta, ma ero piccola e non me lo ricordavo proprio. Se si era offerto di badare a me allora voleva dire che era stato molto legato alla mamma, se no per quale altro motivo avrebbe voluto farmi far parte della sua famiglia? Visto che –come avevano detto altri miei parenti- molto probabilmente se continuavo a non mangiare sarei morta anche io nel giro di forse neanche un mese.
 Ero nella macchina dei miei zii, raggomitolata in uno dei due sedili posteriori, con le gambe scheletriche strette al petto e lo sguardo perso fuori dal finestrino, che osservava il caldo sole Australiano che splendeva rallegrando le giornate di tutti, tranne che la mia.
Seduto vicino a me c’era mio cugino Ashton , visibilmente in imbarazzo a stare vicino ad una completa sconosciuta che da quel giorno avrebbe vissuto a casa sua e per giunta gli avrebbe anche fregato la camera! Probabilmente già mi odiava.
Se i nonni fossero stati ancora vivi tutto quello non sarebbe successo, ma purtroppo la morte aveva portato via tutto quello che avevo di più caro, ed ora mi ritrovavo da sola, con degli sconosciuti per i quali sarei stata solo un peso, a vivere in una nuova città, lontano da casa, lontano dai miei amici, lontano da mamma e papà, dal loro ricordo, dalle loro tombe, l’unica cosa fisica che mi era rimasta di loro.
Durante tutto il viaggio verso Sydney, i miei zii parlottarono tra di loro e mi raccontarono qualcosa di Sydney, delle sue spiagge, di tutti gli amici che mi sarei fatta nella nuova scuola… mi presentarono l’idea di una nuova vita tutta rosa e fiori che io non vedevo affatto, non riuscivo neanche ad immaginarmi in una nuova scuola, ad affrontare lo studio, nuove persone da conoscere… non avevo voglia di farlo, non volevo fare più nulla, ormai, volevo solo che il mio petto smettesse di far male, volevo che il pizzicore agli occhi finisse, volevo che il mio cervello smettesse di ripetersi le parole che un poliziotto –non quello che aveva bussato alla porta di casa- mi aveva detto con gli occhi pieni di compassione, volevo urlare che non volevo andarmene da Brisbane, volevo smettere di sentirmi così dannatamente sola, volevo non avere più uno sguardo apprensivo puntato addosso, volevo mamma e papà e la spensieratezza, i problemi, le preoccupazioni che un’adolescente come me dovrebbe avere.
Rimasi tutto il tempo del viaggio in silenzio, cosa che non sconvolse per nulla i miei zii, anche perché non parlavo da una settimana con nessuno, neanche con me stessa, era come se i miei pensieri si fossero bloccati a quella notte e non riuscissero ad andare avanti. I medici mi avevano fatta visitare da uno psicologo sperando che almeno a lui potessi dire qualcosa, ma non avevo aperto bocca neanche con lui, non per fare un torto a qualcuno, ma solo perché non ci riuscivo, non ero abbastanza in me per formulare frasi, mi sembrava una cosa difficile da fare, rimanere in silenzio invece era così facile.
Quando arrivammo a destinazione, scesi dalla macchina con movimenti lenti, con la paura che da un momento all’altro quella poca forza nei muscoli che mi era rimasta, mi abbandonasse e i muscoli decidessero che non mi avrebbero più sostenuta finché non avessi avuto la forza di mettere qualcosa in bocca.
Il bagagliaio era pieno della mia roba, lo zio, la zia e Ashton fecero varie volte avanti e indietro per portare tutto sopra, e non mi permisero di aiutarli, così, appena scesa, presi la borsa e mi diressi dentro il palazzo bianco a tre piani, dove la zia Lysa mi portò al secondo piano, al loro appartamento, e dopo avermi aperto la porta, mi lasciò sola mentre lei tornava giù ad aiutare lo zio.
L’appartamento era abbastanza ampio, pulito, immacolato, con l’angolo cucina subito alla sinistra della porta, separato da un muretto che somigliava ad un bancone dei locali dove puoi andarti a prendere da bere. Superata la cucina, ti ritrovavi nel salotto con tre divani bianchi di pelle, posti davanti ad un’enorme libreria che arrivava fino al soffitto, con scaffali e cassetti, di tutte le dimensioni. Alle spalle dei divani c’era il tavolo da pranzo, di vetro, con sei sedie intorno, ed una scrivania con sopra un computer portatile ultimo modello.
Fiori, quadri e pezzi da collezione decoravano il grande salotto/sala da pranzo, rendendolo bellissimo. Girando a destra ti ritrovavi in un corridoio lungo e pieno di foto di famiglia, che conduceva alla stanza di Ashton, che sarebbe stata anche la mia, la camera degli zii, e due bagni, uno rosa ed uno blu.
Rimasi a fissare la casa immersa nel silenzio, finché lo zio Albert, con una spallata, non aprì la porta visto che le mani erano occupate a tenere uno degli scatoloni pieno zeppo di vestiti.
<< E il primo è andato >>, disse lo zio posando lo scatolone affianco alla porta.
Dalla porta entrò anche la zia, con due scatoloni in precario equilibrio uno sull’altro, dati i tacchi vertiginosi che davano qualche problema a zia Lysa per quanto riguardava l’equilibrio. << Oh cielo! >>, esclamò quando, forse per l’ennesima volta, lo scatolone di sopra stava per scivolare e cadere a terra.
Mi avvicinai alla zia e presi lo scatolone più in alto, che riconobbi essere quello che conteneva il mio computer portatile, quindi se fosse caduto sarebbe stato un dramma! O almeno la me di prima ne avrebbe fatto un dramma, ma questa nuova Jennifer? Le sarebbe importato qualcosa di uno stupido computer?
La zia Lysa mi sorrise grata. << Grazie Jennifer >>, disse prima di posare lo scatolone che ancora teneva in mano, vicino all’altro portato da zio.
Le rivolsi un cenno della testa. Non capivo perché non avessero voluto il mio aiuto, stavano facendo una faticaccia immane a portare su le mie cose, perché non avrei dovuto aiutarli?
Prima che potessero impedirmelo, uscì dalla casa e scesi frettolosamente le scale per dirigermi alla macchina, dove Ashton stava tentando di sollevare la scatola gigante con dentro tutti i miei libri, che erano abbastanza da impedire a mio cugino di riuscirli a sollevare con facilità.
Mi avvicinai a lui e lo aiutai a sollevare la scatola –che pesava un quintale!- prendendola dal lato opposto rispetto a lui.
Mi guardò leggermente perplesso. << Dovresti essere su >>, mi disse.
Con la gola che mi doleva per tutto il tempo passato a non parlare, gli dissi, quasi sussurrando: << L-la roba è mia… mi sembra giusto che sia anche io a portarla >>.
La faccia di Ashton divenne una maschera di sorpresa per il fatto che, anche se lo avevo fatto in modo quasi impercettibile, avessi parlato.
<< Okay >>, acconsentì, e insieme, iniziammo a portare la scatola al piano di sopra e così facemmo con le altre rimaste, tornando a muoverci in silenzio.
Quando tutta la mia roba fu radunata nell’ingresso della sala, la zia mi spronò a portarla nella mia nuova camera, nella quale Ashton mi portò; era più grande di quella che avevo a casa, era ordinata e piena di poster nella parte della camera più vicina alla porta, dove, attaccato al muro c’era un letto ad una piazza, affiancato da un comodino con sopra libri e cd. Dall’altra parte della stanza, c’era un altro letto, probabilmente il mio, con vicino un altro comodino, spoglio. Nel resto della camera c’erano due armadi di cui uno pieno ed uno vuoto, una scrivania con un computer portatile, uno stereo ed una chitarra classica.
Per tutta la giornata sistemai la mia roba, silenziosamente, cercando di concentrare tutti i pensieri nelle mie azioni e non nel vuoto che avevo nel petto che si faceva sempre più largo ogni ora che passava, ogni ora che rivivevo quella scena, ogni ora che il mio cervello realizzava sempre di più che mamma e papà non c’erano più e non ci sarebbero mai più stati.
Finito di mettere a posto, mi rannicchiai sul mio nuovo letto, con la faccia rivolta verso la finestra, posizionata proprio sopra al letto, dalla quale riuscivo a vedere il cielo tingersi dei colori chiari del tramonto. Mi concentrai su quei colori, sulle nuvole paffutelle che si muovevano e pensai a tutte le cose belle di Sydney che dovevo assolutamente andare a vedere.
Ashton entrò nella camera e non me ne accorsi, troppo intenta a pensare a quello che vedevo. Mi accorsi della sua presenza quando sentì il letto piegarsi sotto il suo peso, e sobbalzai, non aspettandomi che qualcuno sarebbe venuto da me.
Lo fissai chiedendogli silenziosamente perché si fosse seduto vicino a me, e lui, come risposta, mi mostrò un vassoio, con sopra una fetta di ciambellone metà bianco e metà nero, ed un bicchiere riempito con del succo di frutta. << Mamma ha fatto il ciambellone, sarebbe un peccato non mangiarlo >>, mi disse Ashton guardandomi con gli occhi verdi che mi supplicavano di mangiare qualcosa.
Guardai la fetta di ciambellone non avvertendo nessun richiamo da parte del mio stomaco, così, tornai a guardare le nuvole.
Sentì Ashton sospirare e posare il vassoio sul comodino non più spoglio. << Lo so che… non ci conosciamo bene e che ci saremmo visti si e no tre volte da quando siamo nati, ma ci terrei a conoscerti, anche perché ora sei quasi come una sorella per me, e dovremmo condividere la stanza e potrebbe essere un’esperienza divertente se solo mettessi qualcosa nel tuo stomaco così da… restare… qui >>.
Con il “qui” probabilmente voleva dire “in vita”, ma perché sarei dovuta rimanere “lì” se non avevo più nulla, perché continuare a vivere senza mamma e papà?
In quella settimana varie volte mi ero sentita dire che se avessi continuato a non mangiare sarei morta, e l’unica cosa alla quale pensavo quando udivo quelle parole era che non me ne sarebbe importato nulla, con la morte non avrei più sofferto, sarei stata felice, sarei stata con mamma e papà. A chi mai avrebbe fatto dispiacere?
<< Se dicessi anche qualche parola non sarebbe male >>, continuò imperterrito Ashton con tono dolce e rivolgendomi un sorriso che avrebbe fatto impazzire le ragazze della mia età.
<< Mi starebbe bene anche un “vattene via” >>, disse ridacchiando. << O anche un “vai al diavolo Ashton” >>, si strinse nelle spalle.
Lo guardai mentre mi osservava speranzoso. Aveva un sorriso davvero grande e solare, ti faceva venir voglia di stringerlo forte e di volergli tanto bene. Gli sorrisi, quasi inconsciamente, sentendo i muscoli della faccia dolermi per quell’improvviso sforzo che gli stavo facendo fare.
Il suo sorriso si ampliò ancora di più, rivelandomi una schiera di denti perfetti, e gli occhi gli si illuminarono per la felicità.
Il vederlo sorridere mi riempì di una strana sensazione che mi sembrava di non provare da tanto, mi riempì di allegria.
<< Non… >>, provai a dire, ma avevo la gola secca e la voce rauca.
<< Prova con questo >>, mi propose Ashton porgendomi il picchiere di succo di frutta.
Lo presi e bevvi, all’inizio lentamente, poi iniziai a bere sempre più velocemente mano a mano che il mio corpo si svegliava e sentivo la sete bruciarmi la gola. Finì il succo in meno di un minuto sentendo di volerne altro e volere soprattutto dell’acqua.
Ashton rise della mia espressione, che doveva essere stupita e quasi famelica per tutta quella sete che mi ero accorta di avere. << Te ne vado a prendere un altro >>, mi disse prendendo il bicchiere dalle mie mani ed alzandosi per dirigersi verso la porta.
<< Grazie >>, gli dissi, e questa volta la mia voce suonò più forte, ma sempre con una vena di tristezza che dubitavo se ne potesse andare con un bicchiere di succo.
Lui si girò e mi rivolse ancora il suo grande sorriso, poi uscì dalla stanza.
Era strano tornare a parlare, era come se fosse una cosa che non avessi mai fatto prima.
Ora che avevo sentito la sete bruciarmi la gola, iniziai a sentire il mio stomaco vuoto che chiedeva stancamente del cibo, e seguendo quel bisogno, mi allungai a prendere la fetta del ciambellone, e non appena ne misi in bocca un pezzo, sentì il sapore scoppiarmi in gola e aprire ancora di più il mio stomaco affamato e bramoso.
Quando Ashton tornò con una bottiglia d’acqua, avevo già divorato la fetta di ciambellone, che si affrettò a rimpiazzare con un’altra e un’altra ancora, finché non mi ritrovai sazia e mi sentì… bene, per quanto fosse possibile quando hai un enorme vuoto nel petto.
Ashton passò tutta la sera a cercare di farmi parlare, a chiedermi cosa mi piacesse, cosa no e raccontandomi cosa invece piaceva a lui. Era un chiacchierone e mi dava l’aria di una persona che riesce ad attaccare briga con tutti, perché è sempre gentile, educato, simpatico e terribilmente dolce. Il modo in cui rideva era qualcosa di adorabile e ti portava a ridere con lui.
Ad un certo punto, assumendo un’espressione seria, mi disse: << Sai… lo so perché fino ad oggi non hai mai mangiato, anche io quando è morta la nonna non volevo più mangiare, non ne vedevo la ragione, ed ero troppo triste, troppo amareggiato per mangiare >>, mi raccontò immerso nei ricordi. << Ma con il tempo ho capito che… la nonna non avrebbe mai voluto vedermi così, ero piccolo, giovane, non potevo rinunciare a tutto, lei non lo avrebbe voluto, quindi mi sono fatto forza e ho ricominciato a vivere portandomi sempre il suo ricordo nel cuore e vivendo per lei >>.
Fissai gli occhi sulla coperta bianca del letto, sentendo quel fastidioso pizzicore agli occhi che precedeva sempre le lacrime.
<< So che perdere i genitori è una cosa totalmente diversa, ma… neanche loro vorrebbero che tu ti riducessi in fin di vita per loro, loro vorrebbero vederti continuare la tua vita e affrontare tutto >>.
Sentì le lacrime rigarmi il viso. << E… se la vita senza loro fa schifo e io non volessi viverla? >>, chiesi sopprimendo un singhiozzo.
<< Magari la vita ha in serbo per te qualcosa di speciale e se te ne andassi potresti perdertelo >>, sorrise dolcemente. << Sii forte Jen, con il tempo il dolore si attenuerà, devi solo avere pazienza e voglia di lottare, per loro, per te stessa >>.
Tirai su con il naso. Le sue parole mi trafiggevano il petto per quanto erano giuste. << Lo so che hai ragione… >>, singhiozzai tornando a guardarlo negli occhi, << ma è difficile e fa davvero tanto male >>.
Mi abbracciò, stringendomi forte, mentre io mi lasciavo andare ad un pianto disperato, liberando tutta la mia tristezza.
<< Lo affronteremo insieme Jen, io sono qui per te, ce la faremo, un passo alla volta >>, mi disse continuando a stringermi a sé e ad accarezzarmi la schiena.
Non avevo idea del perché mi stesse dicendo quelle parole, non ci conoscevamo neanche, ma tra cugini c’è sempre un affetto speciale ed io mi sentivo così felice nel sapere che c’era qualcuno accanto a me, che non ero così sola come pensavo.
Parlare con Ashton mi aveva fatto capire che il dolore sarebbe sparito non se avessi continuato a non mangiare, a non parlare e a starmene da sola, sarebbe sparito ed io avrei ricominciato a vivere, solo se avessi avuto il coraggio di andare avanti.
Il paradiso poteva attendere, io volevo vivere.
 
 
 Hiiii! :D

Salve a tutti, questa è la prima FF che scrivo sui 5SOS, e spero davvero che possa piacere, perchè ci sto lavorando sodo XD. I primi capitoli sono un po' noiosi, perchè presentano la storia, quindi pubblicherò i primi due insieme. Vi sarei grata se continuaste a leggere nonostante questi primi due capitoli potrebbero sembrarvi noiosi :) dopo migliora... almeno spero xD.
Le recenzioni sono ben accette :)
Questa è la prima volta in cui scrivo una storia e la pubblico contemporaneamente, speriamo bene! ahaha :D prometto che sarò puntuale nel pubblicare i capitoli ;)
Un bacio! 

Miki*

 
 
  
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