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Autore: D a k o t a    04/07/2014    6 recensioni
Una OS klaroline un po' particolare: E se Caroline avesse scatenato la maledizione del cacciatore, come sarebbe andata?
Partecipante al contest " With ears to see and eyes to hear [Multifandom]" di M o k u s h a_
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Klaus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Loro dentro una stanza e tutto il mondo fuori.
Klaus i rumori della notte li conosceva bene. C’era l’incessante strombazzare delle auto, il frusciare del vento, a volte il ticchettio della pioggia e poi c’era il fastidioso bussare alla sua porta.
Ma quello non era un rumore della notte, era un rumore di quella notte che gli impediva di gustare a pieno il silenzio. Quello con cui aveva vissuto per mille anni dal  momento in cui si era reso conto che tutti -Elijah, Rebekah, la sua famiglia- lo avrebbero irrimediabilmente abbandonato tranne lui. Il silenzio, quel vuoto intorno che sembrava a volte beffardo ridere di lui alimentando e sfamando i suoi fantasmi del passato.
Si distrasse sospirando deciso quasi ad andare ad uccidere l’incauto visitatore. Aprì la porta di casa, sbuffando e rifiutando il suo primo impulso nel riconoscere la figura bionda davanti a sé.
I capelli di grano e gli occhioni blu - quelli che gli rimembravano il dolce rumore delle onde del mare - inondati di lacrime, e il battito del cuore della ragazza, che gli ricordava invece  quello di un colibrì,- di quel colibrì, il loro colibrì,  quello di cui avrebbe parlato solo con lei e di cui si era maledetto l’attimo dopo di aver parlato- lo avevano colto alla sprovvista.
“Ho ucciso un cacciatore. Volevo salvare Elena.”
Tremava Caroline, e la sua voce apparve un sussurro insicuro tanto che Klaus pensò che sarebbe bastato soffiare per sentirla scricchiolare come una foglia e come una foglia cadere, ma era Caroline. Avrebbe dovuto essere dubbioso visti gli ultimi trascorsi con Silas ma lei era Caroline, lo poteva intuire dal modo in cui cercava di tenere ferma la voce e di non farla tremare, per orgoglio. Per non mostrarsi debole davanti a lui.
“Risolveremo tutto. Mi prenderò cura di te finché non troveremo il prossimo cacciatore.”
A Caroline la sua voce sembrò gentile e avvolgente come l’abbraccio più dolce del mondo. Non sapeva dove andare e si era morsa la lingua più volte quando si era trovata di fronte quell’unica opzione, visti i Salvatore troppo impegnati a far tornare la sua migliore amica in sé con le sue emozioni e a scommettere su chi per primo sarebbe riuscito a comporre la melodiosa canzone che costituiva la sua umanità. Chiedere aiuto al suo nemico non doveva essere nemmeno un’ opzione e si era immaginata il suono della risata sprezzante di Klaus davanti alla sua richiesta di aiuto, ma se l’era solo immaginata,  ed era grata per questo. Per quella determinazione e sicurezza che aveva sentito nella sua voce.
“Va bene.”
L’Ibrido pensò che se stava gracchiando debolmente e obbedendo stava davvero male e non vedeva l’ora che tornasse ad urlargli contro, a farlo andare su tutte le furie, e lui a promettersi mentalmente che l’avrebbe uccisa e poi  ritrovarsi a rimandare sempre al giorno dopo, e quello dopo ancora.
“Ti accompagno a casa. Prendi lo stretto necessario, e poi torniamo qui.”
Caroline annuì piano. Sembrava un ordine, ma il tono utilizzato da Klaus tradiva preoccupazione e premura. Se prima la sua voce le era sembrata un abbraccio in cui perdersi dentro, ora l’aveva presa come una doccia fredda. Lei non voleva morire. Aveva sempre collegato la morte allo stridere dei freni della macchina di Tyler che l’aveva portata, indirettamente, al suo attuale stato di “non-vita”. Forse era arrivato il momento di non essere più “non-morta” ma essere “morta”… Deglutì, con lo sguardo perso. Klaus le prese il volto fra le mani.
“Non ti succederà nulla, Caroline.”
La sua voce era pastosa, rassicurante, l’unica  aggradante melodia che Caroline sarebbe stata in grado di ascoltare in quel momento ma vi era dell’altro.
Ben celata, custodita in una cassaforte di acciaio e protetta da una chimera pronta a ruggire e a ringhiare, quelle parole nascondevano una promessa.
Perchè, se non le sarebbe successo nulla, sarebbe stato solo perché lui non avrebbe mai permesso che le succedesse nulla.
E la parola “Mai” aveva il ritmo de “Le mille e una notte”, sapeva di essenziale, impalpabile, infinito ma soprattutto di eterno.
Perché, questo erano quelle parole silenziose che si muovevano a passi felpati verso il suo cuore: Una promessa mai davvero pronunciata ma in qualche modo sentita e compresa, forte e chiara alle sue orecchie per l’eternità.
***
Caroline era seduta in cucina con  una tazza di caffè fra le mani mentre Klaus era impegnato a prepararle il letto  nello stanzino, in cui  a suo tempo aveva ospitato Elena. Poteva sentire il fruscio delle lenzuola pulite mentre lui le sistemava. Caroline sospirò, chiedendosi cosa si provava ad essere amati da lui e maledicendosi il secondo dopo per esserselo chiesto. Quella era una domanda che nemmeno doveva sfiorarle la mente. Lui era un mostro, aveva ucciso Elena, aveva…
“Come hai potuto, Caroline?”
Crash.
Il rumore della tazza di caffè che si infrangeva rovinosamente per terra. Elena e i suoi capelli neri, lunghi. L’espressione impassibile.  I suoi occhi da gatta ridotti a una fessura. Le sembrava quasi di sentire il suo respiro contro la sua pelle a pochi centimetri dal viso.
“Non c’era altra scelta, Elena! Ti avrebbe ucciso, ci avrebbe ucciso!”
A Klaus, così preso a rendere la stanza di Caroline più accogliente possibile, quelle urla piene di dolore, disperazione e rabbia parvero lacerare i timpani. Si ritrovò in sala ancor prima di deciderlo, e la visione che gli si ritrovò davanti era orribile, agghiacciante.
 La sedia a terra, senza una gamba.
E la gamba, quella mancante, nelle mani della ragazza.
 “Sei un mostro, Caroline! ”
Le urla di Elena erano  incessanti, persistenti e forti e Caroline cominciò a pensare che avesse ragione. Era un mostro, perché si era rifugiata fra le braccia di un uomo che odiava, perché aveva ucciso e aveva goduto nel farlo, nel sentire i loro lamenti pietosi. Guardò il paletto che aveva in mano. Non avrebbe fatto male.
Un crack solo. Un dolore sordo, muto.
“Caroline, non c’è nessuno qui. Mettilo subito giù. Subito
A Klaus quella sue stesse parole sembravano un’eresia da debole e da perdente perché forse avrebbe dovuto essere lui stesso a finirla, ad infilare nel cuore quel paletto, a sentire quel crack, così che anche l’ultima persona, l’unica a cui aveva fatto conoscere Nik tacesse per sempre.
Ma non l’avrebbe fatto. Non l’avrebbe fatto, perché aveva bisogno di lei che le ricordasse di Nik. Aveva bisogno di lei che le ricordasse che poteva essere salvato, e che persino quella messa in scena ridicola sulla redenzione tanto osannata da Elijah aveva un senso.
A Caroline invece la voce di Klaus ricordò un’ancora. Tutto ciò a cui attaccarsi ed Elena, il demone che gridava dentro di lei sembrava quasi più lontano, più distante e più confuso quando l’Ibrido pronunciò il suo nome come se fosse la cosa più delicata del mondo, da proteggere e custodire, per poi scandire quel “Subito” imperioso, molto simile a un ordine, molto di più di quello che Caroline in altre condizioni sarebbe stata disposta ad accettare, ma in questa –se non fosse lui- quasi lo avrebbe ringraziato
Perché aveva bisogno che parlasse, che la guidasse con la sua voce come un cane pastore guida un cieco, perché per qualche dannatissima e sconosciuta ragione quando parlava tutto ciò che c’era di brutto scompariva. E lo detestava per questo.
Lasciò cadere il paletto per terra che atterrò con un rumore sordo, mentre Klaus si avvicinò cautamente a lei per non spaventarla. La vide fissare intensamente un punto della stanza.
“Voleva uccidermi. O forse volevo uccidermi.”
Klaus sorrise dolcemente mentre la spingeva verso la stanza che le aveva preparato e le indicò il letto mentre lei era ancora in uno stato di trance. Era così coraggiosa, la sua Caroline. Una vampira poco più che bambina alle prese con allucinazioni spaventose e Klaus era sicuro di non aver  udito nemmeno il rumore di una lacrima. Rimase sulla soglia della porta, deciso a lasciarla nella sua intimità.
“Certo amore. Il mio attaccapanni verrà a soffocarti nel sonno. Buona notte, tesoro.”
Il tono di Klaus era squillante e canzonatorio e cercò di mascherare un sorriso che sembrò contagiare la ragazza. Perché amava vederla sorridere, e desiderava al più presto ascoltare il dolce rumore della sua risata argentina e luminosa. Poteva un suono essere “luminoso”? La risata di Caroline gli aveva insegnato che sì, poteva esserlo.
“Fammi finire, idiota. Volevano uccidermi, o volevo uccidermi…poi ho sentito la tua irritantissima voce, e sembrava che loro, le altre voci, non le sentissi più quindi anche se mi mangerei la lingua a morsi, piuttosto che chiedertelo ma…Rimarresti un altro pochino?”
Quella richiesta giunse a Klaus come un balbettio insicuro e imbarazzato, e l’Ibrido si sentì felice. Se in qualche modo la sua presenza aiutava, sarebbe stato il suo acchiappasogni –o meglio, acchiappavoci- personale. Però nel frattempo, avrebbe potuto prenderla un po’ in giro. Si sedette sul suo letto senza toccarla, per non invadere i suoi spazi.
“Sarei felicissimo di allietarti con la mia irritantissima voce, tesoro.”
Lei emise un brontolio stizzito, assumendo un cipiglio imbronciato e ricordando a Klaus una bambina capricciosa prima di esplorare con gli occhi la stanza che lui aveva creato per la sua sicurezza. Era una stanza piuttosto anonima tranne per il quadro che albeggiava su una parete e che sembrava ritrarre una Parigi piovosa. Caroline alzò un sopracciglio sospirando prima di fare una domanda all’Ibrido.
“Che cos’è?”
“La meta per la nostra luna di miele, tesoro.”
La ragazza gli lanciò un’occhiata omicida e scettica. Perché l’unica cosa che teneva a freno le sue allucinazioni era la voce di quell’essere insopportabile? Perché non Tyler?
“Com’è Parigi?”
L’Ibrido si fece serio davanti a quella domanda timida cercando parole cangianti con cui rispondere che potessero arrivare dritto al cuore della giovane.
“ Parigi è il rumore delle brioches calde quando le addenti la mattina, il gorgogliare delle acque della Senna e il ticchettio dell’orologio della cattedrale di Beauvais. Un giorno, appena usciremo di qui, vedrai tutto questo…”
Fu la prima di tutti le notti, che fra una gomitata e l’altra, passarono seduti insieme a imparare tutto ciò che c’era da sapere sull’altro e piano piano si riscoprirono a provare piacere in quella insolita compagnia in quell’angolino lontano dal mondo, dai giudizi e dalle malelingue altrui, privo di condizioni e aspettative o accuse dal mondo esterno. Erano solo due persone intrappolate nel vuoto, dove il tempo si era magicamente fermato, l’universo aveva cessato di esistere, che semplicemente, si ascoltavano a vicenda.
 
Una settimana dopo.
Qualcosa la turbava.  Klaus lo aveva capito nel momento in cui aveva sentito il rumore della serratura che scattava. Qualcosa nei suoi occhi era spento e nonostante fosse stato lì per due ore, lei non gliene aveva ancora parlato. Così aspettò pazientemente. Era paziente quando si trattava di lei, perché sapeva che era la sua occasione di essere felice, e cosa erano davanti alla felicità agognata i minuti, le ore, gli anni ed i secoli?
Sapeva che ciò che le passava per la testa non era nulla di troppo serio, perché quando una voce cominciava a tormentarla, aveva la mania di avvicinarsi a lui che cominciava a parlare dell’Europa, dei posti dove sarebbe stata un giorno, per alleviarle la sofferenza. E lei ascoltava mentre la paura se ne andava silenziosa com’era arrivata e  si addormentava, mentre lui continuava a parlare. La sua voce calda e rassicurante era diventata la sua ninnananna preferita.
La guardò, seduta sul bordo del letto e la sentì emettere un gemito. Caroline sentiva l’esigenza di parlare con lui e allo stesso tempo era spaventata dall’avviare il discorso nel modo sbagliato.
“C’è qualcosa che non va, tesoro?”
La sua voce profonda e invitante la colse alla provvista e Klaus la sentì quasi saltare spaventata. Aggrottò le sopracciglia, sorpreso. Forse la questione era più grave di quanto immaginasse. Posò il carboncino con cui stava abbozzando lo schizzo, prima di posare gli occhi sulla ragazza.
“Ho avuta un’altra allucinazione questa mattina.”
Era un sussurro spezzato e Klaus si toccò la barba rada prima di capire quale orribile verità celassero quelle parole. Il salto che aveva fatto Caroline quando era entrato nella stanza. Immediatamente tutto si fece chiaro.
Bum.
Il rumore del cuore dell’Ibrido che cadeva a terra sarebbe stato simile a un “bum”.
“Sono stato io, non è così? La tua allucinazione, riguardava me?” Il suo tono era amaro come la più amara delle spremute e peggiorò quando lei annuendo gli diede conferma. “Se la mia presenza non ti aggrada Caroline, me ne andrò.”
“Non essere stupido, non voglio che tu te ne vai.”
La ragazza scosse la testa candidamente cercando  fargli bere il fatto che non l’avesse ferita e che la sua voce, la sua nuova ninnananna, la sua nuova canzone preferita non fosse stata fredda, inquietante e sardonica e che le sue parole gentili fossero diventate lame affilate. Una perfetta colonna sonora per un film d’orrore, dunque.
“Caroline, l’unica ragione per cui sono rimasto è stata farti sentire a tuo agio. Ho palesemente fallito.”
Il fastidio che gli provocava dover andarsene era simile a quello dello stridere di un gesso contro la lavagna ma nulla in confronto a quello di aver fallito con Caroline. Di aver peggiorato la situazione anziché migliorarla. Lui faceva sempre questo con le persone a cui voleva bene o diceva di voler bene. Le annientava. Le distruggeva. Ma l’amava troppo per fare questo anche a lei.
“L’allucinazione su di te non mi spaventa in quel modo. So che non mi farai del male.”
Cosa sentivano le sue orecchie? Lei lo stava sottovalutando?
Klaus le avrebbe detto che non era vero. Le avrebbe detto che lei per lui non significava niente e l’avrebbe morsa, tutto questo mentre Nik emetteva un sospiro sofferente nel vedere agire quella diapositiva di sé stesso, venendo oscurato.
“Come ti ho spaventato?”
Quella, era invece la domanda posta con urgenza da Niklaus.
“Mi hai detto che non valevo niente. Che ero solo un altro modo per arrivare ad Elena. Che ti annoiavi con me e che ti saresti interessato ad altre donne.”
(Tralasciò ciò che aveva detto sul suo essere inferiore ad Elena e sulla sua insignificante esistenza, e sul consiglio che le aveva dato, essendo così inutile da doversi solo suicidare. Non era importante, era qualcosa a cui il vero Klaus  non avrebbe mai pensato, solo una manifestazione delle sue insicurezze. Ciò che l’aveva spaventata era che poteva essere vero. Lui poteva annoiarsi di lei. Lei poteva essere superflua per lui. Era il suo timore più segreto, la ragione per cui non avrebbe ceduto alle sue avances.)
“Ha pensato che era… i-io  ero reale?”
La vampira spalancò gli occhi, cogliendo questa sfumatura della sua voce. Credeva di averle ascoltate tutte ed analizzate una ad una ma questa le mancava. Quella insicurezza, quel balbettio insicuro che assumeva le forme di una domanda.
“Mi sono spaventata. Ho pensato a come sarebbe andata se tu mi avessi cacciata via, una settimana fa.”
E  quelle parole a Caroline costarono parecchio perché fra le righe vi era un bisogno incondizionato di lui e non solo della sua voce, che le garantiva sonni tranquilli. Di lui, in tutte le sue sfaccettature.
“Pensavo che le mie attenzioni ti infastidissero.”
C’era accusa e diffidenza palpabile e primordiale nelle parole dell’Ibrido. Nessuno poteva abbindolarlo e non poteva permettere che Caroline si prendesse gioco di lui.
“Pensavo che fossi interessato a me solo perché non ti obbedivo.”
Insicurezza.
Tutto ciò che tradiva quella frase. La sua paura di non essere abbastanza per nessuno, di essere un patetico diversivo come lo era stata per Matt. La sua canzonetta ascoltata fino a dimenticare Elena, e poi messa da parte. Ecco cos’era stata per lui.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
Eccolo nella sua voce il sibilo della speranza, una speranza cauta, che faceva “sssss” come avrebbe fatto un serpente infimo  per cercare di adularlo.
Caroline strinse i palmi delle mani finché le nocche non le diventarono bianche e un delizioso color rosso le colorò le guance.
“Come ti sei comportato con me , durante questa settimana” sorrise, finalmente rilassata. “Non sono sicura che me lo merito”
Klaus allungò il pollice sulla sua guancia sorridendo, per spazzare via il suo imbarazzo.
“Ti meriti molto di  più di questo, dolce Caroline.”
La linea che aveva disegnato con il dito sulla sua guancia sembrava formicolare e chiedere maggior contatto fisico. Era come se le sue stesse parole avessero fatto far “clack” al cancello che teneva a freno le sue emozioni,  che ora sembravano rincorrersi e prendere casa negli occhi azzurri di Klaus.
L’attenzione di Klaus passò dagli occhi acquamarina di Caroline alle sue labbra. I polmoni dell’Ibrido smisero di prendere aria mentre la tirava a sé, avvicinandosi. L’atmosfera nella stanza divenne carica e insostenibile mentre i loro cuori battevano a ritmi frenetici.
Thump. Thump. Thump.
Caroline saltò al suono di un pugno che sbatteva contro la loro porta, invadendo la privacy del loro angolo di Paradiso.
“Caroline?” La voce graffiante  di Elena - la vera Elena -risuonò nella stanza “Io e Bonnie volevamo solo sapere se stai bene o se hai bisogno di qualcosa”
“Entra”
Si fece strada verso la porta un po’ infastidita, e l’Ibrido rise perché non era infastidita dalla situazione in cui si erano trovati ma dall’interruzione. Il fuoco della passione ardeva, crepitando negli occhi di entrambi. Klaus sapeva che il loro momento era finito per quella volta, ma era sicuro che ce ne sarebbe stato un altro. Caroline dovette reprimere una risatina, quando arrivata alla porta sentì un borbottio confuso dell’Ibrido. Qualcosa come “Quella maledette doppelganger rovineranno sempre la mia vita.”.
 
 
 
Due settimane dopo
Caroline si sedette sul letto dondolando dolcemente le ginocchia, mentre Klaus era andato in un’altra stanza a prenderle del sangue. Era passato del tempo dal loro “quasi-bacio” e nonostante non ci fosse stato un “bacio”, il loro rapporto era diventato sempre più intimo e confidenziale.
“Hai ucciso un altro essere umano.”
Gli occhi di Caroline volarono rapidi nella direzione da cui proveniva la voce. Alaric.
La sua sola vista, dopo tutto ciò che aveva passato a scuola, le creava dolore.
“E’ stato un incidente!”
“Un incidente? Che scusa vuoi trovare per aver falciato una vita, Caroline?”
La figura era sprezzante e Caroline stava male. Quante volte si era sentita dire quelle parole? Quanto male erano capaci di farle, ogni volta?
Indietreggiò istintivamente.
“Oh, se solo avessi un po’ di verbena da infilare in quella tua bella bocca fino a quando non la smetterai con queste patetiche scuse! Tu. sei. un.mostro!
Scandì ogni parola mentre lei si rannicchiava in un angolo, tentando di difendersi. Non ce la faceva più, quelle parole erano come frustate e si sentiva come quella volta a scuola. Stava tremando incontrollabilmente e come se i ricordi non fossero già abbastanza sconvolgenti, doveva tener testa alle cose orribili che le stava dicendo. Si premette le mani sulle orecchie per scacciarlo via, per non sentire di più, mentre scivolava lungo la parete accovacciandosi per terra.
Caroline sentì qualcuno afferrarle il braccio e tirarlo decisamente, ma delicatamente, lontano dalle sue orecchie. Lei gridò, spaventata. La sua risposta a  tutto, in quel momento, era la paura. Cercò di tirarsi via, aiutandosi con il braccio libero, ma la stretta era più forte. Poi eccola, il suono più bello che Caroline conoscesse.
Non una voce, ma la voce.
Carezzevole e inconfondibile, quanto ammaliante e rassicurante, così rassicurante da volerci abitare dentro.
“Shh. Va tutto bene. Va tutto bene. Sono io” Quando parlò lei smise subito di lottare. ”Va tutto bene, sei al sicuro. Chi era adesso?”
Erano le stesse parole, quelle che aveva pronunciato quando l’aveva salvata da Alaric, e i brutti ricordi sembrarono scivolare via. La tirò fuori dall’angolo, aiutandola a tirarsi in piedi.
“ Alaric” La sua voce era coperta dalle lacrime ed ovattata, e Klaus pensò che avrebbe potuto affogarci. “So che non era lui sul serio, ma non riuscivo a smettere di pensare a quel giorno a scuola.”
Lui sospirò, tirandola contro il suo petto. Era la prima volta che la vedeva piangere e le accarezzò la schiena mentre lei affondava il viso nella sua spalla.
Voleva solo che smettesse di piangere perché non aveva sentito rumore più assordante di quello delle sue lacrime.
Quella fu la prima notte in cui rimase a dormire con lei. Non era previsto, non voleva forzare la sua presenza. Ma mentre lui la consolava e lei traeva conforto dalle sue braccia e dalle sue coccole, il tempo aveva perso significato. Si era calmata e lei lentamente si era rilassata contro di lui. Passarono ore, in piedi in quel modo. Klaus di tanto in tanto le stampava un bacio delicato sulla fronte. Nessuno dei due voleva lasciare andare l’altro. Ad un certo punto si erano spostati del letto, ed entrambi erano scivolati in un sonno tranquillo.
Caroline si svegliò sulla sua cassa toracica dove poteva sentire il suo cuore battere, e le sue braccia avvolte intorno alla sua vita. Ma non c’era imbarazzo, non c’era timidezza. Si erano salutati, felici e contenti, lui le aveva teneramente baciato la guancia e avevano fatto colazione con alcune sacche di sangue. E così, erano scivolati in un altro giorno ed era stato commesso il passo che li aveva portati in una fase diversa del loro rapporto. Lui non l’aveva toccata più dopo quella notte ma non importava. Il passo era stato fatto, il confine era stato attraversato, avevano varcato quella linea fra amicizia e qualcosa di più e nessuno si sarebbe più guardato indietro.
 
20 giorni dopo
“Penso che quando uscirò di qua potrei fare un viaggio, per festeggiare la mia ritrovata libertà.”
Caroline giocava con la matita con il quaderno in mano, quello che gli aveva fornito lui per sfogarsi e che usavano per passare il tempo, insieme. Klaus le lanciò un’occhiata intensa, ricambiando il sorriso.
“Penso che sia una splendida idea, tesoro. Dove?”
L’Ibrido si maledisse per esserselo chiesto. In un modo o nell’altro, non ci sarebbe stata con lui, e allora cosa gli importava? La gelosia, un nuovo sentimento stava ballando un tango ritmato dentro di lui.
“Non  lo so. Non sono mai stata da nessuna parte. Dove proporresti?”
Klaus rimase perplesso mentre lei radiosa si aggiustava i capelli mettendosi a sedere sul letto e mettendo da parte il quadernino. Voleva dirle che l’avrebbe portata ovunque, se solo avesse voluto. A Parigi, a Roma, a Tokyo. Tutto suonava così grande e immenso e vertiginoso.
“America o Europa?”
Caroline rifletté attentamente e sorrise al tono da impiegato in un’agenzia di viaggi utilizzato da Klaus. Voleva andare il più lontano possibile, assolutamente.
“Europa. E Al sole. Mi manca così tanto.”
Annuì, con aria da esperto. Amava l’Europa, così differente di stato in stato, e così caratteristica nel cibo, nella musica, nell’architettura. La visione di Caroline in un posto che valesse quanto valeva lei per Klaus era paradisiaca.
“Direi ovunque in Francia, in Italia, in Spagna. Ce ne sono molte altre ma queste sono le destinazioni più soleggiate, signorina Forbes.”
Caroline ridacchiò. Il suo tono era tecnico e allo stesso tempo civettuolo come non mai. La faceva arrabbiare e ridere contemporaneamente. Sarebbe diventata matta, se lo sentiva.
“Mhh…Parigi o Roma?”
Caroline stava riflettendo ad alta voce, con tono pensoso, e un sorriso si disegnò sulle labbra dell’Ibrido. Quel sorriso naturale, non un ghigno, che riusciva a strappargli solo lei.
“Che ne dici di Tokyo?”
La prese in giro, con tono scherzoso e lei rise tirandogli dietro il quadernetto imbarazzata, rimembrando la loro conversazione civettuola, di un po’ di tempo prima. Continuò a riflettere, quasi canticchiando “ambarabaciccicoccò”, per scegliere fra le due.
“Trovato! Roma.” abbassò lo sguardo per sparare la richiesta “Vuoi venire a farti un giro con me?”
Klaus alzò la testa strabuzzando gli occhi, sentendo quelle parole che soddisfacevano il suo più grande desiderio.
Essere accettato.
Essere amato.
Un nuovo inizio.
Era quasi titubante, perché non poteva crederci che ciò che aveva ambito per mille anni potesse racchiudersi in quella piccola vampira insolente.
“Mi piacerebbe molto, tesoro.”
Lui le prese il viso e le sollevò il mento per depositare un bacio dolce ma casto. Con un sospiro, Caroline si chinò verso di lui con l’intento di approfondire il bacio ma Klaus l’allontanò, pur tenendole il viso con il pollice. Non aveva fatto rumore il loro bacio, era stato silenzioso. Infondo, Klaus, aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di meraviglioso dentro il silenzio.
“Cosa c’è di sbagliato?”
L’aveva allontanata. Lei aveva provato  a baciarlo e lui l’aveva allontanata. Caroline era ferita per quel rifiuto. Non gli era forse piaciuto? Non aveva forse emozionato lui quanto aveva emozionato lei?
“Sbagliato? Assolutamente niente.”
Non poteva essere sbagliato l’attimo di silenzio che corrispondeva all’incontro delle loro labbra. Era stato l’attimo di silenzio più giusto, invece. Il riscatto per tutti gli altri di attimi di silenzio. Quelli che precedevano il suono sferzante della frusta di suo padre contro la sua schiena.
“Allora perché ti sei staccato?”
“Perché stai attraversando qualcosa di stressante e sconvolgente. E’ stato un momento molto difficile per te  e non voglio approfittarmene.” Lasciò cadere le mani che aveva a coppa sul suo volto intorno alla vita di Caroline “Quando succederà, se succederà, voglio che succederà per le ragioni giuste e non perché sei stressata, Caroline. Altrimenti avrei soggiogato te, mesi fa.”
Caroline rimase a bocca aperta, incapace di dire nulla. Perché era vero. Con lei, lui non aveva mai scelto la strada facile. Non l’aveva mai costretta a fare niente, mai. Era sempre stato - nel suo modo contorto - molto corretto, perché voleva costruire qualcosa con lei, qualcosa di concreto. Un futuro. E perché la rispettava troppo per approfittarsene in quel momento, e l’insicurezza per il bacio mancato sfiorì, sostituita dall’emozione.
“Dovrei credere che hai finalmente sviluppato la morale?”
Piccola, dolce, Caroline e quella sua mania di prenderlo in giro. Gli era mancata così tanto vederla ridere e comportarsi con quella irriverenza.
“Solo per te.”
Caroline non sapeva bene come comportarsi davanti alle sue manifestazioni d’affetto e si limitò a emettere un sospiro acuto, seguito da un brontolio.
“Farai meglio a farmi fare una bella vacanza a Roma, Signor Mikaelson.”
“Lo farò.”
Lo avrebbe fatto. Sarebbe stato una vacanza fantastica all’insegna della rinascita e dell’amore. Le avrebbe fatto godere una vacanza da regina, perché lei era la sua di regina.
 
 
 
Un mese dopo
La maledizione stava davvero buttando giù Caroline. Per quanto cercasse di essere ottimista stava cominciando a sentire la tensione dovuta alla guerra psicologica contro le sue allucinazioni. Era stata una tortura lenta e crudele.
Quella, in particolare, era stata una brutta giornata. Ma Klaus, come sempre era stato lì a confortarla con la sua voce. Aveva addirittura suonato il pianoforte per lei, solo per allietarla un po’ con della musica. Poi le aveva sussurrato delle parole d’affetto con tono tenero e lui era stato ancora una volta tutto ciò per cui non si era arresa. In quel preciso momento era rannicchiata su di lui, stringendo  la sua mano, mentre era addormentata. Il braccio di Klaus invece cingeva i suoi fianchi, rispondendo a un insolito istinto protettivo.
Driiin.
Un suono improvviso e acuto svegliò Klaus, precisamente lo squillare del telefono. Scese dal letto rispondendo, sotto gli occhi assonnati e spenti di Caroline. Lo vide parlare per qualche minuto, prima di tirare giù.
E quando tirò giù, aveva il sorriso più luminoso che Caroline gli avesse mai visto fare.
“Stiamo per andare a Roma, tesoro.”
Lo aveva annunciato con tono e solenne, forte e chiaro alle orecchie della ragazza. La speranza, quella che sembrava perduta, era fortissima nel petto di entrambi.
“Davvero?”
Le parole di Caroline erano un sussurro felice, incredulo. I suoi occhi spalancati, di nuovo luminosi. Klaus le posò un bacio sulla guancia, emozionato e scosso quanto lei.
Perché, tutto ciò che gli bastava per essere felice, era vederla felice.
“Quando sei pronta partiamo. E’ finita, Caroline.”
Aveva parlato con tono morbido e lento guardandola negli occhi perché capisse che era sincero e che non era una della sue allucinazioni a prendersi gioco di lei. Lo stupore albeggiava dentro l’animo della ragazza.
“La maledizione è sparita? Davvero sparita? Seriamente?”
Klaus sorrise sistemandole una ciocca di capelli mentre si lasciava andare a gridolini felici. Era orgoglioso di lei. Chiunque  al posto suo si sarebbe arreso per non soffrire più. Ma non lei. Lei  così piccola ma la con la forza del vento lottava come una guerriera ed era stata premiata per questo.
“Il potenziale cacciatore ha ucciso la sua prima vittima pochi minuti fa, Caroline.”
Caroline sospirò di sollievo. Niente più allucinazioni, niente più lacrime, ma non niente più lui. Era vero, lei aveva lottato ma solo perché qualcuno aveva deciso di darle qualcosa per cui lottare.
“Non mi hai detto che stavi controllando qualcuno.”
Non era un’accusa la sua, solo il tentativo bambino di cercare di distrarsi e bilanciare la miscredenza e la felicità.
“Mi dispiace, tesoro, ma non potevo sopportare di vederti delusa, nel caso non avesse funzionato.”
“Tu sei incredibile, lo sai?”
Caroline lo raggiunse, afferrandolo per le spalle. L’Ibrido sorrise e per un attimo tacque prima di ribattere e farla arrabbiare, come di routine.
“Sono la creatura più potente su questo pianeta.”
La ragazza lo colpì sonoramente sulla spalla ridacchiando, prima che tutto tacque quando le labbra dei due si incontrarono godendosi la bellezza di quel nuovo attimo di silenzio che simboleggiava un nuovo inizio. Insieme.


 

Note dell’autrice.
Ciao! Questa OS nasce per un contest sui cinque sensi, molto intrigante. Io devo mettere in evidenza l’udito. Spero che vi sia piaciuta e che lasciate una recensione!
Bacio,
Desy.
   
 
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