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Autore: Agapanto Blu    05/07/2014    5 recensioni
[Considerabile come un Missing Moment della mia One-Shot "Respiro" (AkaKuro) ma del tutto indipendente, comprensibile anche senza aver letto l'altra.]
MIDOKURO ai tempi della Teiko ambientata subito dopo la comparsa della seconda personalità di Akashi, l'Imperatore.
***
Tetsuya tremava ed era qualcosa che Midorima non era abituato a vedere, così come il suo viso distorto in un’emozione qualsiasi. Il fatto che a spezzare la sua maschera fosse poi un’espressione di paura, peggiorò il tutto.
***
ATTENZIONE: TENTATIVO DI NON-CON, NON descritto e soprattutto NON riuscito.
"Dedicata a" e "scritta per": ely_scorpioncina :)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shintarou Midorima, Tetsuya Kuroko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La parte del perdente

 
 
Il suono morbido e ovattato, appena udibile, della rete del canestro che si muoveva accogliendo gentilmente la palla si spanse delicatamente per la palestra vuota, ma solo per un momento prima che il rumore dei rimbalzi della sfera lo coprisse con cattiveria.
Midorima Shintarou si sistemò gli occhiali sul naso e sospirò, poi voltò la testa verso la porta d’uscita della palestra principale, nella zona Est della Scuola Media Teiko.
Erano passati almeno venti minuti da quando Kuroko Tetsuya aveva perso le staffe e, dopo aver afferrato Akashi Seijuro per un braccio, aveva trascinato il capitano fuori dall’edificio. Le grida di quella litigata si erano sentite nitidamente all’inizio, perciò Midorima, per una sorta di rispetto, si era spostato a tirare a canestro nella metà del campo opposta alla direzione in cui gli altri due giocatori si erano diretti e si era posizionato solo al limite della linea dei tre punti, anziché allenarsi su quella della metà campo come faceva di solito.
Ora, però, iniziava a sentirsi a disagio. Né Kise né Murasakibara si erano presentati all’allentamento e Aomine neanche a parlarne. Ad essere precisi, proprio le assenze dei tre giocatori e soprattutto l’indifferenza del capitano nei confronti del problema erano stati i motivi della rabbia del sesto giocatore fantasma. Anche il verde si era trovato irritato da questa storia e dal fatto che ad Akashi, nonostante il suo ruolo, non sembrasse importare, ma la reazione di Kuroko lo aveva notevolmente sorpreso. Certo, era già capitato di vedere il piccolo fantasma scontrarsi per motivi di idee con il gigantesco Murasakibara, ma anche allora la sua irritazione veniva svelata solo dalla nota nella voce e da una lieve ombra sulla fronte. Quel giorno, il numero quindici aveva davvero perso la calma e il suo viso si era arrossato per la rabbia mentre i suoi pugni si stringevano e tutto il suo corpo iniziava a tremare. Midorima ne era rimasto profondamente scosso e anche per questo esitava ad andare alla ricerca dei due compagni: non era sicuro di volersi intromettere in una litigata che probabilmente attendeva da giorni di essere consumata.
Però, venti minuti…
Gli pareva di aver sentito la voce, parecchio alterata, di Akashi qualche tempo prima e quell’evento più unico che raro lo aveva notevolmente inquietato. Da un po’, comunque, c’era silenzio, almeno alle sue orecchie, quindi forse poteva azzardarsi a dare un’occhiata fuori…
Il tiratore della Generazione dei Miracoli si stava ancora domandando cosa fare, mentre raggiungeva con lentezza il pallone tirato poco prima, quando la voce del coach che, dagli spalti, chiamava Akashi a gran voce decise per lui.
“Vado a cercarlo.” si offrì, voltandosi e raggiungendo la porta con una lieve corsetta. Non che ci fossero altri candidati per il compito, effettivamente.
Uscì dalla palestra con uno strano misto di sollievo ed ansia nel petto. Da una parte, si sentiva molto meglio dopo essersi deciso a far qualcosa; ma, dall’altra, la situazione che lo aspettava era tutto meno che usuale dal momento che né Akashi né Kuroko erano soliti litigare con altri e pertanto lui non era molto sicuro su come comportarsi di fronte ad una faida tra i due.
Akashi, in fondo, era il capitano e lui il suo vice, ma Shintarou doveva ammettere con sé stesso che, quella volta, era Kuroko ad avere ragione. Sempre che di ragione la Generazione dei Miracoli potesse ancora parlare, ormai.
Fuori dalla palestra sembrava un mondo totalmente diverso. Al freddo si sostituiva il calore del sole pomeridiano che avvisava l’arrivo della primavera, all’eco dei rimbalzi il rombo delle auto sulla strada oltre i muri del giardino. Non c’era nessuno in giro, erano ormai le tre e tutti gli altri studenti dovevano essere tornati a casa da un pezzo.
Midorima camminò lentamente verso sinistra. Aveva sentito la lite dei due provenire da lì, poco prima, ma ora il silenzio era davvero pesante e lo confondeva: che si fossero allontanati per non essere sentiti?
Voltando la testa a destra e sinistra per trovare i compagni, il ragazzo per poco non urlò quando Akashi spuntò all’improvviso dal vicolo tra il lato sinistro della prima palestra e l’edificio della seconda, quella riservata ai ragazzi provenienti dalla Seconda e Terza Squadra.
“Shintarou.” commentò questo freddamente, sollevando un sopracciglio di fronte al nervosismo del suo braccio destro.
“Ti cerca il coach…” borbottò questi sbuffando e aggiustandosi gli occhiali sul naso per nascondere con la mano la propria espressione scioccata.
“Lo so. Ho sentito.”
Midorima abbassò la mano per incrociare gli occhi di Akashi. Metà oro e metà rubino, da quando il colore delle iridi del capitano era cambiato anche il suo comportamento era diventato totalmente diverso. Certo, Seijuro aveva sempre avuto una predisposizione per il comando, un atteggiamento e una voce da tiranno in erba vestito di velluto morbido, nonché un’inclinazione notevole al sadismo, ma da allora era come se ognuno di quei tratti, che bene o male lo rendevano unico e che gli altri membri della Generazione dei Miracoli avevano imparato ad accettare e a ben volere, si fosse corrotto, ingigantito e decomposto, quasi tinto di nero. Akashi era diventato un’altra persona, incurante degli altri e indifferente a chiunque non servisse ai suoi scopi, e Midorima doveva ammettere che, in alcuni casi, qualcosa in quel viso lo aveva spaventato. E quel qualcosa, che il tiratore ancora non aveva ben identificato, era di nuovo lì, annidato sul fondo dell’occhio giallo, minacciosamente scintillante.
Shintarou sentì uno spiacevole brivido corrergli lungo la schiena.
“Dov’è Kuroko?” chiese, la voce bassa.
La luce in fondo all’occhio dorato di Akashi si intensificò per un secondo prima di calmarsi, un cane che torna a languire nella propria cuccia, ma il capitano non mutò espressione.
“Ha deciso di andare via.” rispose, come nulla fosse, oltrepassando il compagno per dirigersi verso la palestra, “Puoi andare a casa anche tu a questo punto, Shintarou.”
Gli occhi verdi di Midorima si sgranarono tanto da iniziare a tremare mentre lui rimaneva lì, immobile e inerte mentre Akashi se ne andava, a fissare un vuoto che minacciava di inghiottirlo.
Anche…Kuroko? Anche lui aveva mollato? Davvero?
I pugni gli si strinsero contro la sua volontà.
No, non era da lui. Non si era mai arreso in vita sua per quanto riguardasse il basket e non avrebbe iniziato a farlo allora, ne era certo! Ma allora, cosa…?
Midorima si voltò. La sua spalla sinistra, da bravo mancino, si mosse per prima, facendo ruotare il corpo su se stesso per fronteggiare il vicolo da dove Akashi era sbucato. La sua idea era di girarsi, inseguire il rosso, fermarlo e costringerlo a dirgli cosa fosse accaduto tra lui e il ragazzo fantasma, ma i suoi occhi, attraverso le lenti, colsero un qualcosa che lo fermò a metà del gesto.
Mentre la sua sola mano sinistra fasciata di bende rimaneva sospesa verso Seijuro, quasi di volontà propria, il resto del suo corpo si paralizzò leggermente proteso in avanti mentre iridi verdi si fossilizzavano su una scarpa bianca priva di stringhe e una caviglia mingherlina altrettanto pallida che spuntavano da dietro gli enormi bidoni della spazzatura per ‘il verde’, con erbacce e fronde che fuoriuscivano dal coperchio rendendo ancora più difficile intuire cosa vi fosse nascosto dietro.
Midorima avrebbe scommesso il proprio oggetto fortunato del giorno sul fatto che nessuno, nessuno, del club di basket avesse caviglie così sottili e pelle così chiara, tranne uno. Solo uno.
“Kuroko!” esclamò, scattando in avanti.
 
“Kuroko!”
L’Imperatore voltò la testa di lato, una mano già sulla maniglia della porta della palestra, per poter seguire con lo sguardo la figura alta del suo vice correre nel vicolo.
Peccato. Aveva davvero sperato che Shintarou se ne andasse per poter finire il proprio discorso con Tetsuya appena dopo aver discusso con il coach, ma pazienza.
Ci sarebbe stata un’altra occasione, sicuramente.
L’Imperatore Akashi sorrise tra sé e sé ed entrò in palestra senza più degnare d’attenzione i compagni.
 
“Kuroko!”
Midorima fece di corsa i sette passi che lo separavano dal bidone, spostò con malagrazia i rami che spuntavano dal coperchio, ma si fermò di scatto di fronte allo spettacolo che lo accolse.
Tetsuya tremava ed era qualcosa che Midorima non era abituato a vedere, così come il suo viso distorto in un’emozione qualsiasi. Il fatto che a spezzare la sua maschera fosse poi un’espressione di paura, peggiorò il tutto.
Rannicchiato su sé stesso con le ginocchia al petto che continuavano a scivolare sulla strada per il tremore, il piccolo fantasma aveva i capelli azzurri arruffati e le guance arrossate quanto gli occhi, lucidi e fissi sul vuoto. C’era un grosso segno cremisi sul lato sinistro del suo viso, tanto scuro da lasciar intuire la promessa di un livido dopo di esso, e le labbra solitamente sottili erano gonfie, ma non nel modo naturale che segue i baci, erano come…tumefatte. C’era anche un piccolo taglio all’angolo destro e una linea scarlatta e sottile colava da esso fino al mento bianco. Le braccia nascoste in grembo non smettevano di tremare.
Midorima non riusciva a credere ai suoi occhi.
Akashi…?!
Kuroko si accorse di lui in quel momento e alzò lo sguardo sulla sua sagoma allo stesso modo di qualcuno svegliato nel bel mezzo di un incubo. Le iridi azzurre spiccavano contro la sclera arrossata ed erano pieni di terrore, terrore puro e denso, come pece.
“Kuroko!” Midorima ripeté il suo nome perché fu l’unica che il suo cervello seppe elaborare sul momento e intanto il suo corpo si gettava in ginocchio a terra a fianco al compagno e allungava le mani verso di lui per aiutarlo.
Prima che potesse raggiungerlo, l’altro ragazzo si rannicchiò ancora più su se stesso, di scatto, e portò le braccia al di sopra del viso come per proteggersi. Non disse niente, ma la paura permeava ogni suo gesto.
Fu allora che Shintarou scoprì dove fossero finite le stringhe delle scarpe dell’amico: gli avvolgevano strette e rudi i polsi, legandoli assieme.
Per un attimo, uno solo, anche le mani di Midorima tremarono.
Poi però lui scosse la testa e il suo sguardo, ora fermo, si fissò di nuovo su Tetsuya.
“Kuroko, aspetta!” cercò di allungare ancora le mani verso di lui, ma il fantasma si ritrasse.
L’azzurro iniziò a scuotere la testa. Le sue mani si muovevano come se stesse tentando di tapparsi le orecchie ma i polsi legati glielo impedivano. Chiuse gli occhi e nascose il viso chinandolo ancora di più, appiccicandolo alle ginocchia andando a infilare le braccia tra le cosce e il ventre. Sembrava un riccio, ma non aveva aculei che lo difendessero e Midorima lo sapeva.
Ad eccezione di Kise, Tetsuya era il più fragile di tutti loro.
“Kuroko!” ripeté, l’ansia nella sua voce stava crescendo, “Kuroko!”
Le sue mani corsero alle spalle del più piccolo. Questi cominciò a dimenarsi, agitato e spaventato, ma Midorima non lo lasciò scappare, avvolse le braccia attorno a quel corpo mingherlino e lo tirò contro il proprio petto poi lo bloccò lì e attese.
Tetsuya si dimenò ancora e ancora e ancora, incapace di fermarsi, per secondi che parvero ore, ma poi…si bloccò. Fu così improvviso che Midorima stesso ne fu sorpreso.
L’azzurro rimase immobile, teso, per un istante, poi si accasciò contro il petto del verde e scoppiò in singhiozzi pieni di spavento e dolore, di sofferenza e senso di tradimento.
Midorima era l’unico della Generazione che sapeva che tra Akashi e Kuroko c’era una relazione: non osava immaginare cosa stesse provando il ragazzo ad essere stato trattato a quel modo dalla persona che avrebbe dovuto amarlo e rispettarlo più di chiunque altro.
Finse con se stesso di dimenticare le stringhe che ancora avvolgevano i polsi di Kuroko e si limitò a spostare una mano sulla nuca coperta di capelli azzurri, a sospirare e a rimanere fermo lasciando che la sua maglietta si bagnasse di lacrime altrui anziché del sudore del suo allenamento.
 
Ci volle più del previsto a togliere le stringhe dai polsi di Kuroko e fu un’operazione penosa che turbò Midorima nel profondo.
Dopo poco tempo inginocchiato a terra con l’amico che piangeva contro il suo petto, il verde aveva deciso che permettere ad Akashi di trovarli (e a Kuroko di incontrare di nuovo il rosso così presto) era la cosa peggiore che potesse fare, così aveva preso il fantasma tra le braccia e lo aveva portato quasi di corsa, ma con discrezione, nello spogliatoio dell’altra palestra, che lui sapeva essere vuota e dove era certo di trovare un kit di primo soccorso.
I polsi di Kuroko erano stati legati tanto stretti che si stavano già formando lividi più neri che violacei, inoltre il tessuto delle stringhe aveva raschiato via centimetri interi di pelle mentre il ragazzo tentava di liberarsi. C’erano tagli e graffi, anche bruciature da sfregamento, e così Midorima doveva srotolare lentamente i lacci dal corpo dell’amico, e anche con la massima attenzione finiva per portar via grossi lembi di epidermide.
Quando terminò, finalmente, rigagnoli di sangue sottili quanto fili da cucito scivolavano lungo le braccia di Kuroko e il cervello del verde ancora non riusciva ad elaborare nulla che non fosse il nome del compagno.
Avvolse della garza attorno alle ferite, stando attento a non stringerla troppo e sbirciando il volto del più piccolo per assicurarsi di non spaventarlo. Sentiva di camminare sulle uova: non voleva assolutamente che Kuroko tornasse nello stato in cui era quando lo aveva trovato e temeva di terrorizzarlo ad ogni minimo gesto così si muoveva al rallentatore, cercava i suoi occhi prima di avvicinare le dita alla sua pelle, teneva le mani lontane dal suo viso nonostante il livido perché Tetsuya sembrava non voler assolutamente accettare un contatto fisico sul volto.
Dentro di sé, però, Midorima era sconvolto: davvero Akashi era arrivato a tanto?!, con Kuroko per di più?! La situazione era così grave?!
“Forse è il caso…” Midorima esitò. Si passò una mano tra i capelli cercando di fare ordine nelle proprie idee, ma il gesto fece sobbalzare Tetsuya, quasi questo temesse di essere schiaffeggiato dal verde. “…che ti accompagni a casa.” Doveva essere una domanda, ma a Shintarou uscì come un’affermazione dopo aver visto quella reazione nel fantasma. Non poteva mandarlo in giro da solo in quello stato!
Kuroko, però, non era dello stesso avviso.
Saltò in piedi e oltrepassò Midorima per poi indietreggiare di due passi, avvicinandosi alla porta pur tenendo il verde davanti a sé. Barcollò un po’ e per un attimo le sue gambe minacciarono di non reggerlo, però Tetsuya trovò chissà dove la forza per restare in piedi. Avvolse le braccia attorno alla propria vita e scosse la testa.
“Grazie di tutto, Midorima-kun…” disse, la voce troppo fioca perché l’interessato riuscisse a cogliervi l’emozione nascosta, “Io ora…devo…andare, credo.”
“Kuroko…!” Shintarou tentò di fermarlo, ma fece l’errore di distogliere lo sguardo dal compagno per un attimo, il tempo di rialzarsi in piedi, e quando lo cercò di nuovo, Tetsuya era già scomparso.
Midorima si riteneva un ragazzo posato ed educato, dal sangue freddo, ma lo stesso in quel momento imprecò sonoramente e volgarmente contro la Misdirection del sesto uomo della Generazione dei Miracoli.
 
Pochi lo sapevano, perché lui tendeva a riuscire sempre al primo colpo, ma Midorima era cocciuto. Molto.
Per questo, anche senza vedere l’amico, percorse la strada verso casa di Kuroko e rimase fermo a fissarne la porta finché non la vide aprirsi e non riuscì a cogliere, a malapena, una piccola sagoma dalla chioma azzurra infilarsi nello spiraglio prima di svanire e chiudere la soglia alle proprie spalle.
Solo allora si decise a voltarsi e incamminarsi verso casa sua.
 
Attese Kuroko all’entrata della scuola, ma il ragazzino gli sfuggì. Andò sulla porta della sua classe, ma quello riuscì a svicolargli sotto un braccio quando una ragazza chiese al verde chi stesse cercando. Gli diede la caccia sul tetto, dalle macchinette, in biblioteca, ma senza risultati.
Quando andò in palestra, sentì un qualcosa spezzarsi nel petto alla vista del coach che tirava fuori la casacca numero 15 da uno dei borsoni della squadra e la gettava nella scatola delle divise da assegnare.
Una parte di lui non si volle arrendere, e fu quella che lo spinse a dare le spalle all’edificio per correre verso l’uscita, ma un’altra era dolorosamente consapevole che, se Tetsuya era arrivato al punto di lasciare la squadra, allora davvero era troppo tardi.
 
Forse fu l’ansia, forse il fatto che non ci fosse nessun altro che potesse distogliere la sua attenzione, forse fu solo per un caso, ma Midorima riuscì a vedere Tetsuya attraverso le vetrate del Maji Burger, deserto visto che erano le quattro.
Mise su l’espressione più indignata che gli riuscì di trovare ed entrò nel locale ignorando le occhiate perplesse che il suo abbigliamento da allenamento e la sua aura pericolosa stavano attirando.
Arrivò di fronte al fantasma e lo fissò rigirarsi il bicchiere di milk-shake alla vaniglia tra le mani. Era peculiare il fatto che non ne avesse ancora bevuta una goccia, come si intuiva guardando attraverso il coperchio trasparente del bicchiere: di solito, raramente i frullati di Kuroko duravano più di un minuto. Erano una droga per il fantasma e il solo fatto che non mostrasse interesse per uno di essi provava quanto sconvolto dovesse essere più di tutto il resto.
“Kuroko.” Midorima era entrato con l’idea di apparire minaccioso e rimettere sale in zucca al compagno, ma la sua vista aveva annullato gli sforzi rendendo la sua voce un sussurro preoccupato e facendo sciogliere l’espressione irritata in una di consapevole sconfitta.
Tetsuya non rispose ma scrollò le spalle come se il verde avesse effettivamente detto qualcosa di senso compiuto, così Shintarou non riuscì a trattenersi dal sospirare e sedersi in fronte all’amico.
“Sai che lasciare il club di basket non risolverà il problema di Akashi, vero?” chiese piano, “Lo eviterai, ma non lo aiuterai.”
Kuroko non alzò gli occhi dal proprio bicchiere.
“Il problema di Akashi…” ripeté piano, “Non con Akashi.” Deglutì e la sua stretta sul bicchiere si rafforzò un po’. “L’hai…” la sua voce era un sussurro appena udibile, “L’hai capito anche tu?”
Midorima deglutì a sua volta, ma annuì. Per quanto avesse voluto continuare a tacere e fingere che nulla stesse accadendo, ormai la situazione era degenerata e non potevano più ignorare il problema.
“Pensi che sia…un disturbo delle emozioni o qualcosa di simile?” chiese. In fondo, Tetsuya era quello più vicino ad Akashi, quello con più possibilità di intuire la natura del problema.
“Una doppia personalità.” mormorò il fantasma.
Shintarou sospirò. Alzò la mano e ordinò un frappé anche per sé, poi incrociò le mani e ci appoggiò sopra il mento.
Ci aveva pensato anche lui, dal momento in cui aveva sentito Tetsuya chiedere ad Akashi “Chi sei tu?”, ma sentirselo dire faceva suonare tutto più assurdo.
“Come si…” esitò, alla ricerca della parola giusta, “…cura?”
Kuroko scrollò di nuovo le spalle. Sembrava che quella fosse l’unica risposta che conoscesse per esprimere la sua confusione e Shintarou iniziava ad odiarlo.
Bene!, si disse, pensando tutt’altro, Dal momento che non abbiamo idea di come fermarlo, dobbiamo trovare un modo per limitare i danni…
“Stagli lontano.”
Kuroko alzò gli occhi su Midorima. Sembrava sorpreso ma era difficile dirlo visto che aveva recuperato la sua maschera: c’era solo un barlume in fondo allo sguardo a dare l’idea dell’emozione che provava, ma anche quello era molto vago.
“Stagli lontano.” ripeté il verde, diventato lui quello che abbassava gli occhi sul bicchiere tra le proprie mani, “Lo so che voi siete…legati, ma questo…questo non è Akashi. Non quello che conosciamo noi, almeno.”
Kuroko scrutò il volto di Midorima fino a quando questo non rialzò gli occhi sul suo. Il viso di Tetsuya mostrava a malapena il taglietto sul labbro, il ragazzo sembrava in piena salute e al tiratore occorse un attimo per notare che il viso era coperto di fondotinta chiarissimo e per realizzare che il ragazzo indossava i polsini anche se aveva smesso con il basket.
Non si smentisce mai., pensò amaramente controllando ogni tratto della pelle scoperta del fantasma, È quasi riuscito a fregare anche me.
L’azzurro annuì, risvegliando Midorima dai suoi pensieri, poi riabbassò gli occhi.
Shintarou non sopportava di vederlo così, sottomesso e piegato come non era mai stato in vita sua.
“Kuroko.”
Il ragazzo lo guardò.
“Domani pranziamo assieme.” stabilì il verde, sforzandosi per non arrossire.
Tetsuya lo fissò. Quando le guance di Shintarou raggiunsero il color bordeaux, il fantasma abbassò i propri occhi di nuovo.
Però questa volta, finalmente, sollevò il bicchiere e si portò la cannuccia alle labbra.
 
Quell’unico pranzo divenne due, poi tre e poi quattro. Divenne che Midorima non riuscì più a smettere di appostarsi all’uscita della classe di Kuroko per fermarlo e trascinarlo a mangiare di peso. Si diceva di farlo perché le uniche volte in cui non si era presentato, Tetsuya non aveva toccato cibo, perso nel limbo che sembrava essere il suo unico nascondiglio ora che tutta la sua vita stava andando in pezzi.
Seduto sulla panchina sotto le finestre della biblioteca, sul retro della scuola dove non andava nessuno, Shintarou osservava Kuroko accanto a sé e pensava di indovinare, se non proprio capire, quanto male dovesse stare: l’amico di una vita che gli aveva insegnato il basket era perso per sempre, trasferitosi chissà dove dopo che gli stessi compagni di Kuroko lo avevano umiliato con una partita il cui risultato loro avevano deciso ben prima dell’inizio; la squadra per la quale si era sacrificato fino all’inverosimile era andata in pezzi e ognuno dei componenti si era allontanato dagli altri; la sua luce rifiutava di giocare e di parlargli; il suo ragazzo era crollato sotto la forza di una seconda personalità che si era rivelata violenta e pericolosa, tanto da arrivare a picchiare Tetsuya stesso. Midorima aveva controllato il segno di Kuroko, acquario, solo una volta subito dopo il litigio con Akashi: Oha Asa aveva detto che per lui si apriva un lungo periodo buio e dopo quello il verde si era rifiutato di ascoltare le previsioni delle sciagure dell’amico.
“Non te ne va bene una, ultimamente, vero?” chiese, sovrappensiero, fissando il sandwich tra le proprie dita.
Kuroko alzò lo sguardo sull’amico. Rimase fermo per un attimo, pensoso, poi riabbassò gli occhi sul proprio frullato alla vaniglia. Midorima aveva preso il vizio di comprarglielo prima di entrare a scuola, visto che arrivava da quella direzione, e di portarglielo dentro un termos che lo mantenesse fresco. Lui aveva provato a dirgli che era stupido a perdere tanto tempo ogni giorno, ma Shintarou gli aveva semplicemente risposto di tacere e che lo faceva solo perché, dopo la prima volta, i suoi voti di Giapponese erano migliorati e pertanto quel rituale era il suo nuovo portafortuna. Lui non ci aveva mai creduto veramente, ma fingeva di farlo.
“Midorima-kun non è ancora sparito.” replicò piano.
L’interessato sobbalzò prima di voltare la testa di scatto verso il fantasma. Questi non alzò lo sguardo dal proprio bicchiere, ma le sue labbra si piegarono appena nell’accenno di un sorriso. Non uno pieno che raggiungeva gli occhi, ma comunque un buon segno.
“Finché Midorima-kun resta,” continuò Tetsuya, “avrò ancora qualcosa che va bene.”
Fu la fine. Shintarou non poté più resistere.
“Kuroko.”
Il fantasma alzò lo sguardo sul compagno nell’udire quel richiamo un po’ brusco, ma quando voltò la testa Midorima fu rapido a mettergli la mano libera dal pranzo dietro la nuca e a premere le labbra sulla sua bocca schiusa.
Tetsuya si irrigidì. Ma non si tirò indietro.
Midorima sentì la tensione abbandonare le proprie spalle e allentò un poco la presa sulla nuca dell’azzurro. Fece passare lievemente la sola punta della lingua sul labbro inferiore del compagno, la sua bocca si riempì del sapore vago di vaniglia e latte, e poi si staccò e aprì gli occhi per osservare Kuroko, che gli occhi non li aveva proprio chiusi.
Midorima lesse un intero discorso in fondo a quelle iridi azzurre, un discorso che lo ferì, ma quando Tetsuya schiuse le labbra, parecchi secondi dopo, le parole che disse erano molto diverse da quelle che si aspettava.
“Non ti prometto niente, Midorima-kun.” sussurrava, “Posso provarci, ma non posso promettere.”
Shintarou annuì prima di piegarsi e baciare Kuroko una seconda volta, con più lentezza e dolcezza, dedicando con la lingua una carezza particolarmente gentile alla crosticina della ferita nell’angolo della sua bocca.
Una prova era più di quanto si fosse aspettato di ricevere e lui poteva farcela. Poteva portare Kuroko ad innamorarsi di lui, poteva scalzare Akashi dal suo trono nella testa di Tetsuya e poteva essere, per una volta, il vincitore.

Col passare dei giorni, i baci si fecero più profondi, le mani più audaci, i gemiti più forti, la temperatura più alta, ma le spalle di Tetsuya rimasero rigide.
 
Midorima rimase fermo anche quando Aomine, Kise e Murasakibara se ne furono andati dalla palestra. Ognuno in una diversa direzione.
Era fatto. Midorima non era andato all’incontro richiesto dal capitano per prendere parte alla sua follia, ma alla fine ci era dentro lo stesso. Non era riuscito a frenare il proprio orgoglio ed ora faceva parte del Patto tanto quanto gli altri e la Winter Cup del suo primo anno di superiori sarebbe stata macchiata dal senso di colpa per non essere riuscito a tenersi fuori da tutta quella melma come invece aveva fatto Tetsuya, non presentandosi nemmeno.
Akashi rimase fermo di fronte a lui e continuò a fissarlo con quell’espressione vagamente compiaciuta, con quel sorrisetto sulle labbra che faceva salire il sangue al cervello, con quello sguardo da campione che si veda sfidare da un bambino capriccioso.
“Vuoi qualcosa, Shintarou?”
“Questa volta, ti sbagli, Akashi. Kuroko non prenderà parte a questa idiozia, non gli interessa provare di essere il più forte.” Midorima non voleva suonare arrogante, ma non riuscì a farne a meno. Era amico di Akashi, ma questo non era Akashi, era solo il bastardo che aveva ferito Tetsuya.
Il rosso sorrise chiudendo gli occhi e incrociando le braccia davanti al petto.
“Trovo ironico che tu la definisca un’idiozia, dal momento che ne fai parte quanto gli altri,” Midorima digrignò i denti per quel colpo basso, ma Akashi non gli permise di replicare, “ma, comunque sia, permettimi di dissentire. Tetsuya, come ho già detto, si farà avanti come gli altri. Io lo so.”
Il verde rivolse un sorriso sprezzante a quello che ormai considerava solo come il suo ex-capitano.
“Non lo farà.”
Akashi schiuse appena le palpebre.
“Lascia che ti ricordi che io conosco Tetsuya…molto più intimamente di te.” la voce era calma e gentile, in netto contrasto con il veleno nelle parole. Shintarou desiderò tirargli un pugno in pieno viso.
“Non lo farà” ripeté comunque, “e te l’ho già detto una volta, Akashi: sarò io quello che ti insegnerà cos’è la sconfitta, quindi preoccupati di me più che di lui.”
Akashi raddrizzò la testa e fissò Midorima dritto negli occhi, le sue iridi non contenevano più alcuna traccia di scherno e l’espressione era diventata seria e fredda.
“E io ti ho già risposto: ho mai perso a qualcosa contro di te, Shintarou?”
Midorima tacque e le labbra di Akashi si stirarono in un ghigno. Il verde non ci vide più dalla rabbia.
“Su una cosa hai perso, Akashi.” si lasciò scappare, prima di poterselo impedire. Esitò quando si accorse di ciò che aveva fatto: come avrebbe reagito il rosso a sapere di lui e del fantasma?, Tetsuya sarebbe stato di nuovo in pericolo? Gli occhi bicromatici del capitano sfidavano quelli verdi del suo vice a continuare e sembravano gridargli che non c’era niente che loro non sapessero. Midorima decise che ormai tanto valeva continuare sulla strada che aveva intrapreso. “Kuroko…è mio.”
A sorpresa, Akashi scoppiò a ridere, in un modo crudele e squillante, e scosse la testa. Il verde strinse i pugni, furioso per quella reazione che sembrava voler ribadire l’indifferenza del rosso, forse nei confronti del suo vice o forse nei confronti del suo ex. Il tiratore si voltò e fece per andarsene, ma la voce del suo ex-capitano lo fermò.
“Oh, Shintarou…” diceva, divertita e allegra, ma in qualche modo minacciosa, “Non ci credi nemmeno tu.”
 
Shintarou attese con pazienza, seduto sulla panchina dietro la biblioteca, che Tetsuya lo raggiungesse. L’incontro con gli altri Miracoli, la sfida, la discussione con Akashi lo avevano turbato e aveva bisogno di incrociare le iridi azzurre del compagno per calmarsi almeno un po’.
“Midorima-kun.”
Si voltò, un po’ sorpreso e un po’ no, appena in tempo per vedere il fantasma sedersi accanto a lui. Stava schiudendo le labbra per dire qualcosa, quando notò il depliant di una scuola superiore nelle mani del compagno. Una scuola che non era la sua.
“Andrò allo Shutoku.” disse. Si rendeva conto che la frase non aveva senso, detta così all’improvviso, e che lo aveva già detto a Tetsuya, ma l’altro sembrò capire ciò che si nascondeva dietro quella sentenza.
“Lo so.” rispose. Midorima aspettò, sperò che non fosse come credeva che fosse, ma alla fine Kuroko aggiunse solo il colpo di grazia alla pila di delusioni.
“Ci ho provato.” iniziò mormorare, le lacrime nella voce ma non negli occhi, “Ci ho provato davvero, Midorima-kun. Non ce l’ho fatta.”
Shintarou sospirò.
Si piegò su Tetsuya e lo baciò, con forza ma stando attento a non fargli male. Fece vorticare la lingua nella sua bocca, tentò di imprimersi a fuoco il suo sapore nella mente, inalò il suo odore senza staccare le loro labbra. E poi si tirò indietro.
“Non ci si innamora a comando.” sussurrò.
Se fosse stato così, sapeva che Kuroko sarebbe stato con lui: il fantasma si era sforzato davvero di amarlo, di accettare la loro relazione come se fosse stata naturale e semplice, come se non ci fosse stata in sottofondo la nota stonata dei sobbalzi ai movimenti bruschi e degli incubi e delle braccia portate a coprirsi il viso quando solo Shintarou faceva il gesto di alzare la mano per rimettersi a posto gli occhiali, l’ombra scura della paura di Tetsuya che ormai non era più capace di amare senza aspettarsi uno schiaffo da un momento all’altro.
Ma questo non rendeva il tutto meno doloroso.
Shintarou aveva bisogno di una distrazione, un qualcosa che cambiasse l’argomento della discussione, e i suoi occhi caddero sul depliant nelle mani del fantasma, così allungò un braccio e lo prese per dargli un’occhiata.
Scuola Superiore Seirin. Non l’aveva mai sentita nominare.
Voltò il depliant cercando la sezione sui club e poi andò a cercare quello di basket. E si irrigidì.
“Esiste da un anno solo?! E la coach è un’allieva di un solo anno più di noi?!” sibilò, alzando uno sguardo scioccato sul fantasma, “È una squadra di novellini alle prime armi! Le nazionali non le hanno nemmeno mai viste con il cannocchiale!”
Tetsuya scrollò le spalle.
“Sono andati abbastanza bene all’Inter High, l’anno scorso.” disse, come se avesse avuto un qualche valore, “Era una squadra di soli ragazzi del primo anno, ma ora saranno più forti.”
Shintarou stritolò il depliant nel pugno, continuando a guardare l’azzurro. Un sospetto si stava facendo strada nella sua mente, ma non voleva crederci.
“Come si sono classificati?” chiese, rigido.
“Non lo so.”
“Sono arrivati alla finale?”
Il silenzio di Tetsuya fu più che esauriente.
Midorima non riusciva a credere alle sue orecchie. Kuroko Tetsuya, il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli, il gruppo di geni del basket più forte del Giappone, si voleva unire ad una scuola di terz’ordine, con una squadretta fatta di ragazzini senza esperienza né talento che non sarebbero mai stati in grado di anche solo immaginare l’onore che era per loro avere in squadra un simile prodigio?!, una banda di zotici che non avrebbero mai capito nemmeno come pronunciare la parola ‘Misdirection’ e che non sarebbero certo stati in grado di essere una luce adeguata per Tetsuya nemmeno se si fossero messi tutti insieme per fare un giocatore unico?!
“È per Akashi?!” Midorima ringhiò, incapace di trattenersi, saltando in piedi per fronteggiare il compagno ancora seduto.
Kuroko sobbalzò, come fosse stato colpito, e alzò sul verde uno sguardo allucinato.
“Che stai dicendo?” chiese, la voce senza inflessioni, come sempre.
Iniziò a piovere all’improvviso sopra i due, una pioggia sottile che in un secondo divenne un acquazzone. Furono ben presto entrambi fradici, ma nessuno dei due si mosse o diede segno di provare a ripararsi.
Midorima aveva stretto i denti sulla lingua per trattenersi, ma alla fine non bastò e sputò fuori con veleno quello che pensava.
“È per Akashi, vero?!” ripeté, con ancora più cattiveria, “Perché sai benissimo che una squadretta come il Seirin non arriverà mai ad una qualsiasi finale e così tu potrai giocare a basket quanto ti pare senza correre il rischio di incontrarlo?! È per questo?!”
Kuroko riabbassò lo sguardo sul depliant coperto di gocce d’acqua dove spiccava una foto grande quanto un francobollo del playmaker della squadra di basket intento a chiamare un’azione. Il volto del ragazzo era deformato per via di una goccia che lo aveva colpito in pieno e che stava sciogliendolo.
“Quei ragazzi…combattono.” mormorò Tetsuya, ma sembrava perso in un ricordo tutto suo.
“Tutti i ragazzi combattono, fa parte del gioco!” ribatté Midorima, stringendo i pugni e ignorando la vocina nella sua testa che gli diceva che non era vero, che non tutti avevano bisogno di combattere per immagazzinare vittorie su vittorie su vittorie che li facevano osannare dal mondo come prodigi quando in realtà erano solo un gruppo di ragazzini arroganti e viziati.
“Loro…di più.” rispose Kuroko, ignorando a sua volta l’idea della Generazione dei Miracoli come se questi fossero una cosa a sé non paragonabile al resto del mondo, “Non so spiegarlo in altro modo. E lo fanno tutti insieme, come una squadra.”
Midorima si irrigidì per un attimo, poi però non ce la fece. Diede le spalle all’azzurro e iniziò ad andarsene.
“Stronzate.” fu tutto ciò che gli uscì dalle labbra prima che oltrepassasse l’angolo dell’edificio.
Si fermò lì per minuti che gli parvero eterni.
Se Tetsuya lo avesse seguito, se gli avesse detto guardandolo negli occhi che non lo faceva per Akashi, lui l’avrebbe accettato, assieme al fatto che sarebbero andati in scuole diverse. Poteva farlo, poteva sopportarlo. Se l’era quasi aspettato.
Ma Kuroko gli aveva dato altre spiegazioni, senza degnarsi di guardarlo in viso. E non aveva mai, neanche una volta, risposto alla domanda se lo facesse per Akashi.
Quello era ciò che faceva più male. Quello e la voce di Seijuro nella sua testa che gli sbatteva in faccia la verità che lui aveva tanto faticato per negare a se stesso.
“Oh, Shintarou… Non ci credi nemmeno tu.”
Midorima strinse i pugni e si morse il labbro a sangue quando sentì i passi fiochi di Tetsuya allontanarsi nella direzione opposta alla sua.
Per l’ennesima fottutissima volta, Akashi lo aveva battuto, aveva vinto e si era preso tutto.
E lui faceva la parte del perdente con le lacrime sul viso e la pioggia sulla testa.




Molto probabilmente OOC, ma non lo so, Midorima è veramente uno scoglio per me.
Che dire? Dedicata ad ely_scorpioncina che mi ha "corrotta", tanto per citarla, per questa MidoKuro che probabilmente sarà la più grande delusione della sua vita: mi dispiace, ho fatto del mio meglio, scusami! :(
Però mi sono divertita, è stato strano perché non avevo mai immaginato Midorima con Kuroko, mai prima d'ora, quindi è stato davvero incredibile :)
Tra l'altro, posso postarla perché l'avevo salvata su chiavetta, mentre adesso il mio computer con i capitoli di tutte le altre storie è morto -.-
Vabbé, vi lascio stare: fatemi sapere se vi è piaciuta, magari? ;) Davvero, ragazzi, le recensioni sono la mia più grande fonte di ispirazione, qualsiasi cosa voi diciate il mio cervello lo trasforma in fan-fiction (questa qui è nata da una recensione all'altra One-Shot, "Respiro", quindi dico sul serio!)...
A presto,
ciao ciao!
Agapanto Blu

 
  
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