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Autore: sistolina    05/07/2014    5 recensioni
[The 1975]
[The 1975]One Shot su Matty Healy/George Daniel della band The 1975
Bedford aveva visto Timothy diventare nero. Scuro.
Non in un giorno, come diceva la professoressa di chimica rigirandosi fra le dita il suo crocifisso di acciaio ossidato che le chiazzava di verde la pelle del collo. Non in un giorno.
I suoi capelli erano cresciuti e avevano perso qualsiasi forma. Le sue polo erano diventate magliette strappate, i suoi pantaloni con il risvolto alla caviglia solo jeans neri squarciati sulle ginocchia.
Le scarpe da ginnastica anfibi. Anche d'estate.
Le parole che Timothy non diceva aveva cominciato a scriverle, e dal suo armadietto precipitavano fogli spiegazzati ingialliti dal fumo e bruciacchiati dal sonno.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 Passi e 12 Centimetri




Man, I'm so high 
I think I love you
I was thinking about leaving again
It all depends
Are we just friends  
(Anobrain, The 1975)


Timothy una volta era astemio. Si trascinava addosso il suo Harington abbottonato fino al collo, e le sue polo con il colletto stirato da chissà quale colf. Era sempre stato magro e vagamente gobbo, con i riccioli di uno che avrebbe potuto essere un cherubino di qualche quadro che li avevano obbligati a studiare a scuola, di segaioli senza un cazzo da fare se non dipingere angeli obesi con le facce di ragazzini. Avrebbe potuto, se solo non fosse stato così triste, così pallido, così ossuto, così gobbo e così imbronciato.
Fumava di nascosto e non aspirava mai, perché impari a fumare solo se qualcuno ti spiega come fare, e Timothy non aveva amici. Nessuno ad avvertirlo che Stan stava arrivando a pulire i cessi, nessuno a dirgli di sbrigarsi con quella cicca smorta arrotolata troppo larga, con il tabacco che finiva fra i denti perché il filtro era fatto male, a dirgli di soffiare il fumo fuori dalla grata, perché alla fine, fuori dal bagno, puzzava come il posacenere di Groucho Marx. E le ragazze non si giravano perché improvvisamente Timothy aveva perso l'aria sperduta di un cucciolo di scimpanzé allevato in cattività per diventare un maschio di essere umano vagamente scopabile, ma l'odore di quel tabacco troppo umido per i suoi polmoni e troppo amaro per il suo palato era impregnato nella sua polo stirata, nei suoi capelli ricci, e anche nelle sue ciglia sempre lontane e sempre vicine agli zigomi, gli occhi bassi e l'armadietto di uno che, se fosse morto, non avrebbe detto nulla di sé se non il suo nome inciso dalla mina di una matita HB nell'angolo in basso a destra dei suoi blocchi per gli appunti.
Bedford era cresciuto in un'estate. Aveva cominciato a masturbarsi a undici anni, quasi per sport, perché lo facevano gli altri, ma non gli interessava. Parlava poco, rideva anche meno, e a stento abbassava lo sguardo per guardare in faccia chi gli rivolgeva la parola.
Era serio, era alto, era grosso, spalle sproporzionate e testa troppo piccola. Poi era cresciuta anche quella, ma Bedford non si pettinava mai e girava le magliette al contrario quando erano troppo macchiate.
A quattordici anni una macchina aveva investito il suo cane. Era stata colpa sua, aveva detto sua sorella, perché era “una testa di cazzo con la cazzo di testa fra le nuvole del cazzo”.
Sua sorella aveva sedici anni, e lo odiava come solo le sorelle possono odiare.
Bedford aveva visto Timothy diventare nero. Scuro. 
Non in un giorno, come diceva la professoressa di chimica rigirandosi fra le dita il suo crocifisso di acciaio ossidato che le chiazzava di verde la pelle del collo. Non in un giorno.
I suoi capelli erano cresciuti e avevano perso qualsiasi forma. Le sue polo erano diventate magliette strappate, i suoi pantaloni con il risvolto alla caviglia solo jeans neri squarciati sulle ginocchia.
Le scarpe da ginnastica anfibi. Anche d'estate.
Le parole che Timothy non diceva aveva cominciato a scriverle, e dal suo armadietto precipitavano fogli spiegazzati ingialliti dal fumo e bruciacchiati dal sonno.
Aveva imparato ad inspirare il fumo, tutto da solo, a rollarsi le canne, tutto da solo, a non lasciar scappare il filtro ad S, a fumare erba da una mela, a pulire una pipa.
Tutto da solo.
Una volta si era rasato ai lati, sopra le orecchie, e si era tagliato. Aveva lasciato il sangue raggrumarsi, la crosta calcificare, e quello sfregio sopra l'orecchio sinistro come un sorriso sghembo, piantato a fondo come la fottuta bandiera sulla spiaggia di Iwo Jima.
Una di quelle volte Timothy aveva incontrato Bedford. Parlava a bassa voce e non stava mai fermo. Ma soffriva sempre, come un movimento che costa fatica, una fatica che costa e basta.
“Suoni la batteria, mi hanno detto”
“Aye” si era grattato dietro l'orecchio, più per abitudine che per necessità
“Io suono. Canto anche, scrivo. Scrivo meglio di quanto canto, e canto meglio di quanto suono”
Era stato quello. Bedford aveva deciso.
Non piacevano a nessuno, ma non gli interessava. Erano arrivati altri. Cambiavano a volte, a volte restavano.
Poi erano rimasti.
Timothy aveva smesso con le polo stirate, e si era convertito ai giubbotti di pelle. Un po' troppo punk per Bedford, che era troppo alto e grosso per sembrare un tossico denutrito e autolesionista, ma andava bene lo stesso.
A Manchester non faceva quasi mai caldo, ma Timothy litigava con il meteo come con il mondo. Con suo padre e sua madre in televisione, con le sue erezioni, con le ragazze e con il tempo.
Con Bedford, quasi ogni giorno.
Ma poi piangeva, ad un certo punto dell'estate, a metà dell'inverno, in quel giorno di primavera in cui sembrava autunno. Piangeva davvero, senza fermarsi. E tutto quello che aveva scritto e scarabocchiato e calcato e cancellato e sputato, ingoiato e non detto, era lì. Bedford non sapeva cosa farne, ma conservava tutto, perché c'era ancora di Timothy qualcosa che Timothy non conosceva.
Forse non avrebbe dovuto lasciare che certe cose succedessero. Forse lui, che non si spaccava in dodicimila pezzi ogni volta che tramontava il sole, forse, con un po' di controllo, avrebbe potuto schivare quegli strani momenti.
Timothy lo baciava, ogni tanto. Non più di quello, ma Bedford si sentiva strano comunque. Suo padre era meccanico, sua madre restava a casa per evitare che i cinque figli di un operaio con la terza media si cavassero gli occhi a vicenda.
Sua madre avrebbe detto che era colpa dei genitori, se Timothy era un po' frocio. E forse non era proprio frocio, gli piaceva solo baciare lui, ogni tanto. Solo ogni tanto.
Perché non c'erano mai, erano ricchi, e lontani, e famosi.
Forse sua madre avrebbe tirato fuori qualche teoria del cazzo da psicologo dei programmi tv per casalinghe delle dieci di mattina. Ma non gliel'aveva mai detto. Perché quella cosa era fra lui e Timothy, e ne parlavano solo quando Timothy cantava piano nel microfono, e Bedford metteva insieme un vago coro da dietro un muro fatto di piatti, tamburi e bacchette.
Non parlavano mai di quando Timothy smetteva di cantare per girarsi a guardarlo, lasciava cadere il microfono e lo baciava. Doveva camminare sette passi e dodici centimetri, due tamburi e tre piatti per riuscire a baciarlo, ma ci riusciva sempre.
Bedford aveva a disposizione sette passi, dodici centimetri, due tamburi e tre piatti per scansarsi, ma non lo faceva.
Timothy era quasi morto, almeno tre volte. Una di quelle era stato un incidente, ma sulle altre non aveva dubbi. Erano rimasti i segni di quei pomeriggi in cui la pioggia annoiava il mondo e quasi uccideva Timothy. Cicatrici e mancanze, un lampadario divelto dal soffitto, graffi sporchi di cenere di sigaretta.
Lo chiamava prima di fare cazzate, sempre. Forse Bedford avrebbe dovuto sentirsi fortunato, perché Timothy non voleva crepare senza almeno dirgli ciao, o dove aveva nascosto l'erba, o dove andare a cercare i porno in camera sua prima che sua madre li trovasse.
Ma Bedford era solo incazzato.
“Non va bene. Non sto bene” gliel'aveva detto a un certo punto, incidendo i loro nomi con il coltellino svizzero sotto il sedile di un'altalena. Aveva una calligrafia del cazzo, da Yoda con il Parkinson, ma tanto Bedford non pensava che avrebbero mai dovuto scrivere autografi a nessuno, quindi Timothy poteva tenersi la sua mano monca da mancino che in realtà non era mancino.
Avevano cominciato con la cocaina, qualche acido, vino scadente prima e vodka, rum, Jack Daniel's poi. Strane orge. C'era sempre gente con cui scopare di cui Bedford non ricordava il nome.
Timothy stava attento a non finirgli contro, a non stargli vicino. Scambiavano qualche ragazza però, quello succedeva spesso. A Bedford veniva in mente quella roba da terza elementare, la proprietà transitiva di chissà quale operazione, che la maestra zitella che insegnava matematica aveva provato a spiegargli a forza strappandogli quasi l'orecchio dalla testa.
Gli veniva da ridere a pensare di averla imparata davvero in un'orgia, un sabato notte, con una tizia a caso che scivolava sotto di lui e cadeva addosso a Timothy. Lei rideva.
Timothy la guardava con il disperato caos che era sempre stata la sua espressione. Aveva guardato Bedford e poi di nuovo lei.
Forse la proprietà transitiva lui l'aveva capita in terza elementare.
Poi Timothy era tornato ad essere solo.
Chiamava solo lui, qualche volta, quando proprio e vomitava nei tombini. Non lo baciava, perché il suo fiato sapeva di vomito, e lo sapeva. Bedford non ricordava l'ultima volta che aveva scavalcato la sua batteria, ma era stato tanto tempo prima.
E Bedford lo portava a casa, guidando ubriaco perso sulla linea di mezzeria, a zig zag, pregando in turco che nessuno lo fermasse. Con la cocaina, la vodka gli acidi e un po' di ecstasy nel cruscotto, giusto per mantenere vivo il brivido della galera incombente.
Una volta l'aveva picchiato. Era successo e basta, una sola volta, a Londra, un'estate. Goffa rabbia da gigante gentile. Bedford non aveva mai picchiato nessuno, perché a suon di botte era cresciuto.
Ma aveva picchiato Timothy, sangue rosso acceso sparso su tutte le piastrelle del bagno. Fatto, iperattivo e sanguinante, era uscito da casa sua senza nemmeno il giubbotto di pelle.
Voleva solo rivedere le sue pupille della dimensione giusta, senza giocare a bingo, a caso, con le parole che non capiva e quelle che l'altro non diceva.
Un pugno dritto in faccia, mentre Timothy balbettava scuse a caso e gente da vedere a Chalk Farm.
Non era tornato per tre giorni, la sua giacca abbandonata su una sedia, ridotta un ghirigoro di cuciture allentate e maniche consumate. 
Bedford lo aveva aspettato sveglio, addormentato, una sigaretta, una canna, due ore di sonno, di nuovo sveglio.
Aveva degli amici, Bedford, una volta. Li aveva ancora, ma chissà dov'erano.
Alle undici e trentasette del terzo giorno Timothy era tornato. C'era più sangue, le pupille quasi scomparse, e un sacco di schifezze sulla sua maglietta tagliuzzata
“Scusa”
Era quasi morto anche quella volta, sbavando saliva bianca e schiumosa sulla sua felpa preferita.
Qualcuno aveva chiamato, mentre Bedford studiava ogni piastrella del Pronto Soccorso con le suole delle scarpe.
“Ce l'avete stronzetti. Un contratto cazzo, un contratto!”
Timothy è diventato Matty, e Bedford è diventato George. 
Matty lo bacia ancora, ogni tanto, perché non si può essere ubriachi, fatti e tristi nello stesso momento, senza baciare qualcuno. Forse non è solo per quello, ma una volta ha provato a chiedergli perché, e l'altro non ha risposto. George si è ricordato improvvisamente l'ultima volta che è successo. Gli è venuta in mente la proprietà transitiva e una ragazza senza nome con l'accento di Newcastle, un sabato notte, dopo un concerto con trenta persone.
Anche Matthew, come Timothy, fa finta di niente, scrive qualcosa sulle mani, sui polsi, sulle caviglie. Annota un vago pensiero, forse l'affetto che lo scuote ogni tanto, ma che non sa comporre in una frase di senso compiuto.
A George non interessa, perché sa che Matty non andrà da nessuna parte. In rehab, forse, ma George sarà anche lì. O forse Bedford.
Non lo chiama più Bedford dopo l'ultima volta che è quasi morto. Forse pensa porti sfiga, forse non vuole più essere Timothy, quello con le polo bruciate nella carriola in giardino assieme ai pantaloni con il risvolto, quello che si rollava le canne con i tutorial su Youtube. Quello senza amici.
Non sa davvero se Matty li ha, degli amici, perché George non è suo amico, un amico è un'altra cosa,  e i ragazzi sono i ragazzi, sono la band, un amico è un'altra cosa.
Ma George non vuole essere amico. Vuole essere Bedford.
George resta solo sette passi e dodici centimetri dietro di lui, sbatte le bacchette sui piatti come se potesse scrollarlo di nuovo e riportarlo indietro ogni fottuta volta. Aspetta che lui li scavalchi, ma forse non succederà più.
I palchi diventano più grandi, a volte quei passi diventano dieci, quindici, a volte solo tre, rintanati in un furgone, rannicchiati fra coperte sudate e macchiate di chissà cosa.
I palchi diventano immensi, e milioni di persone camminano fra quei sette passi. Milioni. A volte gli sembrano cadaveri sdraiati di traverso fra i loro sette passi. Sembra che Matty non ne possa fare nemmeno uno.
A volte canta di quei passi, senza percorrerli.
E George nemmeno capisce quello che dice Matty, ma il ritmo è sempre lo stesso.
“Torna indietro. Torna indietro stronzo, torna”. 
I testi non contano, non importa a nessuno delle parole. Basta che quello sia il ritmo.
Torna indietro.
Torna indietro stronzo.
Torna.
Sette passi e dodici centimetri.












Note: sono anni che li shippo, ere geologiche, li ho sempre shippati come il pane, ma mi sono sempre rifiutata di farmi risucchiare dal delirio del fandom. Non volevo, non voglio, ma comunque da qualche parte devo sfogarmi^^
Ci tengo a precisare che, a parte i nomi usati che sono semplicemente i loro secondi nomi, il resto è tutto inventato. So della dipendeza da cocaina che Matty ha combattuto anni fa, e so che non sono esattamente astemi, ma il resto è pura fantasia :)
L'Harrington è il giubbotto tipico inglese con la fantasia scozzese all'interno, nel caso ve lo stiate chiedendo :)
Non vorrei essere così angst, veramente, perchè probabilmente loro sono orsetti del cuore pucciosi che si fanno tante coccole, ma mi chiamano angstXD
E se vi sta chiedendo chi sono e cosa faccio nella vita oltre a shippare Matty e George dei The 1975 come se non ci fosse un domani, potete trovarmi qui^^.


PS: ho creato il banner della storia ahahah Ho iniziato finalmente ad usare Photoshop un paio di giorni fa, e mi sono decisa a crearlo <3 Spero vi piaccia^^
   
 
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