Non si poteva dire che nella vita di
Janice Lancaster ci
fosse qualcosa che non andava. Anzi, tutti quanti la reputavano una
donna
fortunata sotto tutti gli aspetti.
Innanzitutto la natura le aveva fatto
dono non solo di una
certa bellezza, ma anche della grazia
innata -al di là delle lezioni di portamento e
galateo che le avevano
imposto da bambina- che se possibile non faceva che metterla ancor
più in
risalto. Una grazia ben visibile tanto nel muoversi quanto nel parlare,
e nel
comportarsi. Ad una donna che sia veramente donna, a poco serve la
bellezza
quando questa è rovinata dall’essere una gallina
sguaiata, a meno che non si
parli di rimorchiare qualche balordo in un locale fumoso.
Era anche una donna molto impegnata
nel sociale,
presidentessa di diverse fondazioni benefiche, alcune
create con lo scopo di aiutare i bisognosi in
Inghilterra, altre con quello di sostenere finanziariamente
orfanotrofi,
scuole, canili e gattili, il WWF -il che era molto ironico considerando
che era
sposata con un cacciatore; altre ancora erano quelle atte a raccogliere
fondi
per costruire scuole, ospedali ed acquedotti nei Paesi più
disastrati del
mondo, o in aiuto dei bambini soldato. O associazioni completamente
“in rosa”,
create con lo scopo di aiutare donne in difficoltà, vittime
di ogni tipo di
abuso. Inoltre faceva anche generosissime donazioni alla Chiesa
cattolica, era
sempre stata una credente, al punto da essere arrivata vergine al
matrimonio.
Forse al di là del suo
carattere generoso di natura era
anche la religione a spingerla ad essere così.
“ama il prossimo tuo come te
stesso”, e dunque nonostante nelle sue ricche giornate di
shopping non si
facesse mancare nulla non faceva mancare nulla nemmeno a coloro che
aiutava.
Alcuni avrebbero potuto dire “seh, facile essere generosi se
si hanno infinte
disponibilità economiche”, ma se fosse stata una
donna diversa avrebbe
anche potuto utilizzarle tutte per se
stessa.
Oltre a tutto questo, non era neppure
una donna stupida.
Essere delle bionde e generose pettegole -anzi, la pettegola numero uno
d’Inghilterra- non significa automaticamente essere stupide,
e nonostante non
fosse laureata non si poteva negare che l’istruzione che
aveva ricevuto fosse
stata eccellente. Inoltre
le piaceva
leggere libri di qualunque genere, cosa che di sicuro aiutava molto, e
perché
non avrebbe dovuto farlo visto che al di là dei suoi impegni
sociali riusciva
ad avere tempo anche per questo?
E per finire c’era quella
che Janice riteneva la sua fortuna
più grande: la famiglia. In particolar modo suo marito. Si
era innamorata di
lui appena lo aveva visto, nonostante poco prima che accadesse le sue
amiche ne
avevano parlato in modi che le avevano instillato qualche piccolo
dubbio.
Quelli erano stati spazzati via immediatamente, e da allora
l’unica cosa che
aveva desiderato era poter stare al suo fianco per
l’eternità, cosa che due
anni dopo si erano promessi davanti a Dio. Questo nonostante lui fosse
praticamente ateo. Howard l’avrebbe accontentata in qualunque
cosa lei gli
avesse chiesto, allora come adesso, alla stregua di un genio della
lampada con
un gran fisico, occhi felini e tratti un po’orientaleggianti.
Non avrebbe potuto essere
più felice del suo rapporto con
lui -a parte quell’idiozia che aveva fatto tempo fa, quella
di scomparire per
tre mesi per far curare Hammy in America. Ma si può?!- Janice trovava che fosse
tutto perfetto. L’unica
cosa migliorabile da parte di Howard, se mai -oltre a seppellire
l’ascia di
guerra con quel povero disgraziato di Robin Mask e di smetterla una
buona volta
di scappare alla sola vista del dottor Mac Neil- sarebbe stata trovare
un modo
per stare di più a casa con lei. Ma il lavoro era lavoro, e
Janice sapeva che
in quanto uomo d’affari estremamente importante suo marito
era spesso impegnato
in viaggi di ogni genere… per affari
di
ogni genere.
Una definizione che raccoglieva in
sé tutte le cose sulle
quali nonostante la “pettegolaggine” Janice stava
zitta… perché raccontandole
quel poco che lei lo spingeva a raccontare le dimostrava fiducia, e lei
non intendeva assolutamente perdere
tale
fiducia. Potevano parlare di tutto l’uno con
l’altra, e se Howard riguardo il
lavoro non scendeva nei particolari era solo perché voleva
risparmiarle di
sapere cose non sempre piacevoli. Era un altro modo con cui suo marito
si
prendeva cura di lei. Si era preso cura di lei anche quando i loro
padri erano
morti: Leonard Brackenstall era mancato solo due giorni dopo Hogan
Lancaster,
quindi Howard era ancora in lutto, eppure aveva messo da parte tutto
per stare
vicino a lei, per consolare lei, perché lei veniva prima
di lui, e
il suo dolore veniva prima del proprio.
Le aveva perfino perdonato quella
stupidaggine che aveva
commesso sottovalutando l’infezione che dopo la nascita di
Emerald l’aveva resa
del tutto sterile…anche se a pensarci bene, forse, lo aveva
fatto anche perché
avere altri figli non interessava a nessuno dei due. Se Howard aveva
una cura
per il cancro perché, volendo, non avrebbe dovuto avere modo
di risolvere anche
questa cosa?
Ma forse alla fine era meglio
così…perché nonostante la sua
fosse una vita perfetta, e lei fosse generalmente una donna felice e
con valide
ragioni per esserlo, Janice aveva da moltissimo tempo
un’ombra nel cuore.
Un’ombra col suo stesso sangue, con gli occhi di suo marito,
e che si chiamava
Emerald J.V.P. Lancaster.
Lei al momento era lì a
casa, era da poco tornata da
Washington insieme a quel bifolco di
Connors maggiore e a Connors minore -che non riusciva a definire il
altro modo
se non “un ragazzo alquanto eccentrico”- e stava
facendo una passeggiata a
cavallo insieme a suo padre. Ed ecco qui il problema:
“insieme a suo padre”.
Per quanto si potessero voler bene -e
lei ed Hammy se ne
volevano!- Janice non riusciva ad evitare di considerarla
più “figlia di
Howard” che “figlia sua E di Howard”. Ed
aveva anche la netta sensazione che
per Hammy fosse lo stesso. A volte quando Emerald e suo marito erano
insieme le
risultavano quasi…incomprensibili. La pensavano alla stessa
maniera, che era
diversa dalla sua, e che le risultava quasi impenetrabile.
E poi…era ad Howard
che Emerald telefonava, era a lui che raccontava le proprie cose, era a
lui che
chiedeva aiuto e consiglio, quello con cui preferiva di gran lunga
confidarsi,
anche riguardo cose che di solito competono ad una madre. Era lui
quello che
aveva preso ad esempio, quello da cui si era fatta insegnare tutto, il
cui
parere contava realmente, a cui dava retta.
Era sempre stato così fin
da quando lei era molto piccola, e
nonostante Howard avesse cercato di coinvolgere ovviamente anche Janice
per
quanto aveva potuto.
Le avevano insegnato a parlare
insieme, ma la prima parola
che lei aveva detto era stata “papà”.
Le avevano insegnato a camminare
insieme, ma i primi passi
lei li aveva mossi verso suo padre, ed era stato Howard a dirle di
andare anche
dalla mamma.
E nonostante Hammy avesse sempre
apprezzato che sua madre
giocasse con lei, e prima di dormire le leggesse le favole, era
evidente che
quando a fare tutto questo era suo padre lei fosse molto più
contenta.
Non era facile per una madre sapere
di essere la seconda
nella scala delle preferenze della propria unica figlia. Per niente.
Specialmente perché tale scala non avrebbe neppure dovuto
esistere. Eppure era
e sempre sarebbe stato così, per quanti sforzi lei ad Howard
avevano fatto
perché “così” non
fosse.
E nonostante tutto quel che Howard
faceva per lei, Janice a
volte provava quasi un’inconfessabile sensazione di gelosia
della quale il
marito non aveva assolutamente colpa, e che la faceva sentire una
specie di
mostro. Quale madre decente è gelosa del fatto che sua
figlia voglia bene a suo
padre e viceversa, specie in tempi nei quali ogni dieci secondi una
famiglia si
sfascia?!
Ma pur sapendo quanto fosse assurdo
tutto ciò, Janice non
poteva farci assolutamente niente. Ed era probabilmente
l’unica cosa della
quale non sarebbe riuscita a parlare con suo marito, temendo
irragionevolmente
che lui la demonizzasse per questo, pur sapendo che invece si sarebbe
limitato
a rassicurarla e dimostrarle per l’ennesima volta -non che
per lui fosse un
peso!- che non aveva nulla da temere, che lui l’amava e
l’avrebbe sempre amata
e che, almeno per lui, non veniva per seconda. Se mai veniva al pari di
Emerald,
com’era giusto che fosse.
Pensando quest’ultima cosa
si dava anche della stupida, ogni
tanto. “ma come mi vengono in mente certe cose?!”
si diceva…
«un dollaro per i suoi
pensieri!...anche se pensandoci bene
avrei dovuto dire “una sterlina”. Vale
più del dollaro…uh. L’ho
spaventata?»
In effetti l’aveva fatta
sobbalzare, non si era minimamente
accorta della sua presenza. «cosa…no, no. Va tutto
bene Zachary, ero solo…si,
in effetti ero un po’assorta nei miei pensieri».
«lo avevo capito. Sa una
cosa?» aveva sempre quel sorriso un
po’da Gioconda, eppure Janice non riusciva a trovarlo
realmente inquietante. Solo
un po’eccentrico, come già detto «anche
Hammy quando è pensierosa ha quell’espressione.
Ma dipende riguardo a cosa lo è» fece un cenno di
saluto e si allontanò di
nuovo «continui pure a pensare, non la disturberò
più. C’è Abraxas che mi
aspetta…è un cavallo tanto
carino!»
Detto questo se ne andò.
L’assurdo ed insensato
-com’era assurdo ed insensato il suo
trovare carino quella cosa gigante
su
quattro zoccoli e specialmente il riuscire a cavalcarlo- intervento di
Zeke se
non altro l’aveva allontanata da quei pensieri in maniera
quasi brutale, e
forse era un bene.
Perché tutto sommato meno ci rifletteva sopra, meglio era…
Poiché in questi giorni ho qualche problema a continuare tutte le long che ho in corso (non per mancanza di idee, quanto piuttosto per mancanza di forza di metterle giù!) vi toccherà sorbirvi l'ennesima one shot. E stavolta non fa nemmeno ridere, probabilmente vi annoierà pure, e non chiedetemi perché l'ho scritta o perché ho scandagliato proprio i rapporti tra Janice-Howie-Hammy, perché non lo so. Se mai potrei dirvi che Janice è sempre un po'messa da parte nella long...
Vi chiederete pure cosa c'entra Zachary nella parte finale. Ebbene, in realtà non c'entra un cavolo. Era un modo per concludere :D