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Autore: Vala    26/08/2008    4 recensioni
Cosa fare quando tutte le tue speranze di crearti una vita sociale svaniscono sotto cumuli di timidezza ed inesperienza? Questa è la domanda che si pone Dennis, classico sfigato emarginato dal mondo, alla ricerca di una identità nella grande massa di giovani vogliosi di divertimento e amicizie. Nell'era della tecnologia, in cui internet regna sovrano, gli sfigati di tutto il mondo trovano rifugio nelle chat in cui possono realizzare i propri bisogni di socialità. Ma parlare con un computer non è come presentarsi ad una persona in carne ed ossa. Nascosta tra nickname e frasi non dette, un'arma a doppio taglio sta per abbattersi sulla vita di un computer-dipendente alle prese con la vita reale.
come sempre, se gradite (o no) fatemelo sapere.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dennis guardò sconsolato il buco nero della propria disperazione e decise a priori che non c’era nessuno di più sfigato di lui al mondo. Tra le mani stringeva con sconforto il proprio portamonete di cuoio, regalo del padre che non vedeva da mesi, pieno della paghetta mensile offertagli dalla madre che vedeva solo la sera quando smontava dal lavoro. Nel suo fidato portamonete stava in bella mostra una banconota da 50 euro. Una bella somma.
Alzò lo sguardo e sospirò di profondo dispiacere. Nella vetrina davanti ai suoi occhi azzurri stava quello che avrebbe potuto essere il suo passatempo per le settimane a venire, l’ultimo ritrovato della tecnica, funzionante solo sui PC di ultimissima generazione, prestazioni video elevatissime ed effetti sonori degni di un cinema multisala, il gioco di ruolo per eccellenza, la meraviglia delle meraviglie, nuova e sensazionale uscita dell’EA che attendeva con trepidazione da mesi e mesi, frequentando forum e chat alla ricerca di immagini in anteprima, di notizie sulle caratteristiche richieste, di brandelli in spoiler su quel dannato gioco per computer che aveva occupato la sua mente per così tanto tempo…
Abbassò di nuovo lo sguardo distogliendolo dalla lucente copertina sotto la quale spiccava in verde evidenziatore la scritta del gestore del negozio di videogame che citava “novità” in stampatello maiuscolo,  con caratteri spigolosi caratteristici della scrittura maschile. Novità. Come se non lo sapesse. Accanto a lui passarono alcuni ragazzi, entrarono nel negozio ridendo e dandosi di gomito, felici. Uscirono pochi minuti dopo, ognuno con la sua copia. E lui lì ancora a fissare la sua banconota da 50 euro che lo guardava beffarda dal fondo del portamonete, accuratamente sistemata prima di uscire, ora non aveva il minimo valore tra le sue dita.
Dennis rialzò lo sguardo, la sua faccia da funerale la diceva lunga. Sotto la sgargiante scritta “novità” spiccava in rosso il prezzo del prodotto, proposto come prezzo di lancio consigliato. Peccato che il sito ufficiale gli avesse assicurato più volte rispondendo alle sue mail che il prezzo di lancio era di 49,90 euro. Aveva giudicato 10 centesimi di scarto più che sufficienti per assicurarsi quel prodotto. Ma la scritta rossa gli sbatteva in faccia tutt’altra realtà.
“…51,90 euro…”.
Dennis richiuse di scatto il portamonete sentendo la voce alle sue spalle. Spaventato, si fece rosso in volto e non osò voltarsi a controllare da dove provenisse la minaccia alla sua inutile banconota.
“Accidenti! 51,90! Quel ladrone ha di nuovo rialzato il prezzo! Stavolta chiamo la polizia, il prezzo di lancio consigliato non si può modificare in questo modo! È un furto!”.
La voce irritata aveva il suo stesso identico problema. Colmo di rabbia e frustrazione, Dennis per un momento si dimenticò che era un ragazzo timido e sfigato, e aprì la bocca per parlare.
“Lo ha fatto anche con Age of Empires, con quello dei Transformers e pure con il simulatore di volo…ma speravo davvero che stavolta non speculasse…” mormorò con voce roca mentre si faceva se possibile ancora più rosso e con la coda dell’occhio osava sbirciare chi aveva parlato alla vetrina infame prima di lui.
Il ragazzo lo stava guardando sorridendo affabile. Aveva dei bei denti, tutti dritti, proprio come i suoi. Di sicuro aveva portato l’apparecchio a lungo, come lui. Non vide altro, per l’imbarazzo si voltò immediatamente a fissare di nuovo la vetrina traditrice. Era un perdente.
“Ehi, ma io ti conosco! Tu sei quello della classe di programmazione!” esclamò la voce dietro le sue spalle, ed il ragazzo si fece piccolo piccolo stringendosi nelle spalle, sperando di scomparire. Qualcuno lo aveva notato. Quello della classe di programmazione, aveva detto. Quindi aveva davvero idea di chi era. Frena l’entusiasmo, magari ti ha confuso con un amico, non sarebbe la prima volta, in fondo noi programmatori ci somigliamo tutti, tutti con gli occhiali, tutti chiusi, tutti con le stesse maglie larghe…beh, almeno quelli sfigati. E tu sei sfigato. Non può di certo averti scambiato per uno figo. Quindi ti ha scambiato per un tuo simile. Sì, dev’essere di certo così, magari per Marco, quello dalla parlantina esagerata, o per Stef, in fondo ti somiglia, anche i prof di laboratorio si confondono quando si tratta di noi due…
“Sei quello che ha realizzato quel videogioco…aspetta…qualcosa come –la segretaria-...cavoli, quello si che è un capolavoro!”.
Dennis ebbe il coraggio di voltarsi a guardare lo sconosciuto interlocutore. Stava parlando proprio con lui. Non poteva crederci! Lo aveva distinto dalla massa, sapeva chi era, conosceva il suo valore!
“…ehi ma…ti senti bene?” domandò dubbioso l’altro squadrando apertamente il suo volto congestionato.
“s….s….si si….beniss….imo!” squittì lui esaltato per quella nuova esperienza. Il ragazzo gli sorrise e lui non poté far altro che sorridergli di rimando mettendo a frutto tutti gli anni di liceo passati a tenersi un odioso apparecchio fisso. Perfetti. L’unica cosa perfetta di lui, probabilmente. Ora doveva solo dire qualcosa…avanti…concentrati…e dì qualcosa di intelligente, una battuta magari…spiritosa ma non stupida…un commento sul gioco, qualcosa sui vestiti che indossa, sul tempo, su un prof…qualunque cosa!
Ma non ne era capace. Se ne stava semplicemente lì a fissare lo sconosciuto con sguardo sognante aspettando che si stancasse e se ne andasse da solo. Occasione sfumata. C’era da aspettarselo. Ma l’altro non se ne andò come previsto. Gli tese anzi la mano destra in un gesto di amicizia inequivocabile.
“Piacere, Guido Preti, della classe di elettronica!” esclamò il nuovo amico, del tutto a suo agio. La mano che Dennis strinse era salda, la sua di certo doveva sembrare molliccia e sudata.
“Piacere…Dennis Tasàno” riuscì a dire goffamente esagerando l’accento del cognome nel tentativo di farglielo rimanere impresso.
“Anche tu volevi comprare quel maledetto gioco, vero?” parlò il nuovo amico. Amico, che bella parola.
“Sì ma…” e Dennis riaprì sconsolato come non mai il portafoglio mostrando l’inutile ammontare della sua paghetta mensile, conservata intera per quel momento di trionfo e ora sacrificio vano.
“Ah!” disse semplicemente l’amico grattandosi un orecchio perplesso “Beh, abbiamo lo stesso problema…” ed anche lui prese dalla tasca dei jeans scoloriti una stropicciata banconota da 50 euro.
I due ragazzi si guardarono un momento perplessi, poi iniziarono a ridere insieme. Non ridevano l’uno dell’altro, semplicemente ridevano insieme. Insieme e amico, che belle parole. Scosso come da convulsioni, Guido gli posò una mano sulla spalla in cerca di sostegno ed il corpo di Dennis venne attraversato da una scossa elettrica. L’aveva toccato con naturalezza, non provava ribrezzo. Incredibile. Eppure lui era lo sfigato per eccellenza.
“Tecnicamente una soluzione al problema c’è…conosco un altro negozio di videogiochi a pochi minuti di macchina da qui. Ti va di farci un salto? Magari lo troviamo ancora”.
Lo sfigato si congelò. Un invito. A lui. Da un amico. Non ci credeva.
“Ma forse hai altri impegni…” mormorò quasi a scusarsi colui che gli aveva appena rivolto un invito. Lui, impegni? Ma quando mai! L’unico impegno che aveva al momento era il suo blog su cui sarebbe corso a scrivere della sensazionale esperienza di essere trattato come un essere umano, come un potenziale amico. Incredibile.
“No no! Nessun impegno, sono libero come l’aria! Guidi tu?” si azzardò a dire in tutta fretta. Nemmeno lui riusciva a capacitarsi del suo ardire. Gli aveva rivolto una domanda. Si sentì di gran lunga più forte rispetto a poche ore prima quando era uscito di casa senza nemmeno pettinare i disordinati capelli color topo.
“Allora andiamo! La mia macchina è qui dietro!”.
Un amico. Continuava a ripeterselo mentre seguiva la schiena del ragazzo appena conosciuto verso una via laterale, verso un’anonima Punto nera dai copri sedili verdi metallizzati. Un amico. E con la patente e una macchina. Continuò a sorridere come un ebete per tutto il tragitto fino al negozio e anche oltre.

Sera. Tra le mani stringeva il suo gioco di ruolo, pagato esattamente 49,90 euro al negozio appena fuori città. Ma non era per quello che era così felice. Sua madre a cena gli aveva rivolto mille domande vedendolo così raggiante, gli aveva perfino chiesto se non si fosse innamorato o addirittura avesse finalmente trovato una ragazza. Trovarsi una tipa, lui…non aveva idea di come potesse essere la sensazione, ma era certo fosse impossibile si trattasse di qualcosa di più appagante di aver trovato un vero amico. Non disse nulla alla madre, non avrebbe capito. O magari sì. Lei diceva sempre di capire tutto. Ma lei non aveva idea di cosa voleva dire passare a testa bassa ogni mattina nella folla di studenti del tuo corso senza avere la minima idea di un nome da associare alle facce che vedeva ogni mattina. O meglio, qualche nome ce l’avevano pure, ma non poteva chiamarli. Non poteva avere interazioni con chi era a tutti gli effetti sconosciuto. Mai presentati, mai mostrato il minimo interesse per quel ragazzo timido. Lui era lo sfigato, al margine della società. Ma ora non più, lui era l’amico sfigato, prego!
Posò il gioco da parte sul copriletto con motivi di circuiti stampati, e si sedette alla scrivania prendendo sulle ginocchia il computer portatile. Lo aprì, guardò lo schermo sussultare e accendersi diventando da nero a blu cobalto. Lo sfondo, una foto di una donna da calendario, lo salutò ammiccando mentre finiva di digitare la password d’accesso. Ricordava ancora il commento della madre quando aveva dimenticato il PC acceso e lei aveva visto l’immagine del seno prosperoso in bella mostra.
“Oh, meno male! Cominciavo a pensare che fossi gay!”.
Con un gesto secco attaccò la chiavetta wireless nell’ingresso usb solitamente riservato a quell’uso, ed automatico il programmino di MSN fece capolino tra le icone in basso a destra dello schermo luminoso. Lampeggiava. Ancora pochi bip, poi fu connesso, in linea. Si aprì la schermata, pochi contatti. Ma ora ne aveva almeno uno in più.
“Allora…dove l’ho messo…” Dennis estrasse trionfante dalla tasca dei jeans lo scontrino sul quale si era appuntato il contatto MSN del nuovo amico “Ah! Ecco…Belluca_16@hotmail.com…”.
Digitò con cura sulla tastiera nera del portatile, poi premette invio. Contatto aggiunto. Qualche secondo, e l’icona del nuovo contatto lampeggiò invitante: era in linea. Ancora pochi secondi, e gli arrivò la richiesta di una comunicazione. A lui. Era davvero su di giri.
“Ciao, come va?” lesse ad alta voce nella solitudine della sua stanza, quasi imitando il tono dell’amico, come fosse accanto a lui e gli stesse parlando. E allora, se di conversazione si tratta…
“Ciao! Tutto bene, ho appena cenato. Tu?” rispose a parole mentre scriveva ed inviava con rapidità data dall’esperienza.
“Anche io, bistecca e patate fritte. La bistecca era bruciata e le patate fritte piene d’olio, mia madre è di nuovo scesa in sciopero e abbiamo dovuto cucinare io e mio padre…un disastro!”.
“Un ragazzo che cucina, quale rarità! Io non saprei neanche da che parte rigirare la padella!” rispose ridacchiando mentre si chiedeva come se la sarebbe cavata lui ai fornelli se sua madre non fosse tornata quella sera. Probabilmente avrebbe ordinato una pizza con il telefono.
Attese paziente la risposta mentre si guardava le dita per non fissare con aspettativa lo schermo. Aveva belle mani, da pianista, o almeno era quello che gli avevano sempre detto quando frequentava il conservatorio. Le unghie però erano mangiucchiate, rovinavano l’aspetto generale. Avrebbe dovuto smettere prima o poi. Rialzò gli occhi allo schermo con un sorriso che si spense. Non c’era ancora risposta. Magari era lento. No, non segnalava scrittura in corso. Forse era in bagno. Controllò più volte lo stato del contatto, un comunissimo “in linea” danzava beffardo sopra la dicitura del nome. Forse aspettava ancora qualcosa, una domanda. In effetti non ne aveva formulate. Stava già iniziando a scrivere quando si fermò di colpo. Non poteva scrivere, sarebbe risultato patetico se avesse insistito. Magari si era davvero solo allontanato, o aveva problemi di connessione.
Guardò lo schermo come potesse prendere fuoco per cinque minuti buoni prima di decidersi a fare qualcosa di utile come cercare su internet nuovi torrent di film appena usciti. Era inutile stare a pensarci tanto, si diceva razionalmente, ma con gli occhi andava sempre a guardare l’icona rimpicciolita per vedere se brillava. Finché finalmente, dopo oltre venti minuti di silenzio, con un bip che gli parve un’allucinazione, la comunicazione riprese.
“Ho appena sentito un amico al telefono…” lesse mormorando accostando il naso allo schermo “scusa il ritardo!”.
“Di che avete parlato di bello?” inviò sulla tastiera prima ancora di pensare. Se ne pentì immediatamente. Era stato invadente. Non doveva. Certe domande era meglio evitarle. Era uno scocciatore, adesso si che non gli avrebbe più parlato. Doveva imparare a misurare le parole, doveva fare un corso accelerato di comunicazione, magari trovava qualcosa su internet che spiegava come evitare gaffe del genere, …
“Stavo proprio per dirtelo: c’è una festa, vuoi venire?”.
Dennis guardò a lungo quella frase. Una festa? E lui era invitato? Magari l’amico non ne sapeva nulla.
“No, ho già chiesto e ha detto che essendo in discoteca è a ingresso libero. Noi ci accodiamo dicendo il nome del tavolo riservato, ed entriamo. Ci stai?”.
Discoteca. Ingresso libero. Tavolo. Ci stai? Bella domanda. Di sotto sentiva sua madre agitarsi in cucina a ritmo di musica. Che avrebbe detto quando e se le avrebbe comunicato che lui, il suo figliolo sfigato, andava in discoteca con degli amici? Le sue dita però non volevano muoversi a digitare l’ovvia risposta. E l’icona lampeggiò di nuovo.
“Vedrai che ti piacerà! Andiamo al Luna, è un bel posto, tanta roba da bere e tante ragazze. Ci sei mai stato?”.
Che doveva rispondere? Fare lo sbruffone? Con un sospiro rispose di getto la prima cosa che gli veniva in mente, pentendosi subito dopo di quello che aveva fatto. Era un disastro!
“Si “ aveva risposto con una sicurezza che non aveva “ci sono stato l’anno scorso, ma non mi sono divertito granché”. La risposta arrivò immediata.
“Al Luna? L’anno scorso? Ok, non sei mai stato in discoteca in vita tua. Il Luna ha aperto due mesi fa”.
Ecco, pugnalata. Beccato in pieno. Non era capace neanche di mentire. Ora si sarebbe di certo offeso e l’avrebbe preso in giro a vita con i suoi amici vestiti alla moda e le loro ragazze tiratissime e bellissime come quella da calendario che gli faceva da sfondo. Un altro bip. Continuava a scrivergli.
“Dai vieni, così vedi il posto! Si paga normalmente per entrare, è un peccato non andarci gratis!”.
“Se lo dici tu…vengo!” rispose tentando di accennare una vaga insicurezza mentre era certissimo che a costo di scalare l’Everest sarebbe arrivato in quella discoteca pur di rimediare alla figuraccia della balla scoperta.
“Perfetto! Ci troviamo davanti al negozio del ladrone, tanto la direzione è quella. Ti mando un messaggio domani per dirti l’ora esatta!”.
Era fatta. Lo sfigato andava in discoteca. Il sorriso ebete ricomparve e continuò ad accompagnarlo ancora per tutta la notte durante la quale sognò una massa di ragazze dalle tette enormi che ballavano accanto a lui e al suo nuovo amico sotto i fari di una discoteca come quelle spagnole viste nelle foto del fratello maggiore. Quando si svegliò la mattina però, aveva due borse sotto gli occhi e lo sguardo disperato.
“E adesso…” mormorò guardandosi allo specchio mentre si scompigliava ulteriormente i capelli né lunghi né corti “cosa devo mettermi?!”.

  
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