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Autore: FannyBrawne015    06/07/2014    5 recensioni
"Alla tarda età di ottant'anni, Lydia si ritrovò a pensare a quante cose fossero cambiate da quando era una ragazzina, a tutti i suoi sogni infranti, agli obiettivi mai raggiunti, alle promesse non mantenute. Pensava a cosa fosse rimasto, dentro di lei, dell’adolescente che era stata un tempo: Lydia aveva ancora paura, paura della vita, o di quel poco che le rimaneva."
Lydia Martin è rimasta sola nella piccola città di Beacon Hills. A farle compagnia sono rimasti solo un gatto nero e i ricordi della sua lontana giovinezza.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.” –Oscar Wilde
 
Beacon Hills non era una città particolarmente conosciuta o famosa, eppure vantava un record particolarmente alto di deceduti a causa di attacchi di animale. Le persone che, per un motivo o per un altro, giungevano nell’apparente normale cittadina si sentivano sempre impauriti, ed evitavano di fermarsi per più di tre giorni. C’era qualcosa di stranamente inquietante e sinistro a Beacon Hills, come se tutti gli edifici della città fossero circondati da un alone di mistero che, anche coloro che non erano insani di mente come Lydia Martin, potevano percepire.
Lydia Martin era, a Beacon Hills, una specie di leggenda. Alcuni non sapevano nemmeno se fosse reale o no, eppure tutti, sia stranieri sia non, conoscevano il suo nome. Si diceva fosse pazza. Alcune persone che avevano frequentano la scuola con lei, rammentavano ancora quando la ragazza scomparse e vagò nuda nel bosco per qualche notte oppure quando il professore la chiamò alla lavagna e lei scrisse alcune lettere a casaccio, mentre le lacrime le rigavano il volto.
Sì, Lydia Martin era decisamente pazza.
Fisicamente, sembrava una persona come tutti noi: una donna molto anziana, dal viso rugoso ed invecchiato dal tempo e dalla bocca grande e larga. I suoi capelli candidi le ricadevano come un manto sulle spalle chiuse, e i suoi occhi verdi brillavano come quelli di un’adolescente. Eppure, Lydia Martin era stanca: stanca delle sue ossa troppo deboli, stanca per il troppo camminare, stanca di sentire il suo respiro affannoso, il respiro di una vecchia che non riesce più a correre come quando era bambina. Stanca della sua solitudine, stanca delle occhiate che le lanciava la gente, stanca di tutto.
L’ultimo anno era stato, per Lydia Martin, particolarmente difficile: il suo dottore di fiducia le aveva diagnosticato una malattia molto, molto grave e senza alcuna possibilità di cura. Lydia non era rimasta stupita, se lo aspettava: lo aveva sentito dentro di lei, il demone infernale del cancro che ogni giorno sembrava prendersi un pezzo della sua vita. Eppure, vederselo sbattere così in faccia, come se essere malata fosse la più ovvia delle cose, da un dottore che parlava di una malattia che avrebbe ridotto il suo corpo in cenere come se parlasse del tempo, le aveva provocato molto più dolore di quanto non provasse già.
“Le resta un anno, se tutto va bene” aveva sussurrato il dottor. Smith, mentre metteva in ordine i documenti sulla scrivania. A Lydia non piaceva il dottor Smith, eppure doveva ammettere a se’ stessa che, rispetto al modo gelido e freddo con cui l’avevano trattata gli altri medici, il dottor. Smith sembrava quasi essere suo amico. Lydia preferiva il suo atteggiamento d’indifferenza rispetto all’ostilità degli altri dottori dell’ospedale.

Dopo la notizia della malattia, Lydia Martin aveva messo in vendita la sua casa ed era andata ad abitare in una grande villa abbandonata che si trovava molto lontano dal centro di Beacon Hills. I suoi vicini avevano tirato un sospiro di sollievo alla notizia del trasferimento, perché non ce la facevano più a sentire le sue urla acute e strazianti tutte le notti. Lydia si agitava nel sonno, sbattendo la testa sul cuscino e graffiando quel che rimaneva della sua pelle, in preda ad incubi terrificanti che non l’avevano mai abbandonata: il suo corpo coperto di sangue, due occhi scuri nella notte, Allison mentre moriva, un enorme lupo che si preparava a saltarle addosso. Eppure, c’era una cosa che lei sentiva che era peggio, peggio di tutte queste sensazioni: era il freddo. Quel freddo che, anche durante l’estate, le scorreva nelle vene, le ghiacciava il cuore, quel freddo che assomigliava alla morte, ad una perenne sensazione di morte e di distruzione.  Quel freddo che ti blocca la lucidità, la vista ed il cuore, quel freddo che provi quando sai che sta per accadere qualcosa di brutto.
Lydia Martin si era rintanata nella sua lussuosa villa in mezzo al bosco. La casa era grande, immensa, arredata con tappeti, quadri e tende decorose, tutti oggetti di lusso che la signora pensava potessero colmare il suo senso di vuoto. Aveva portato con se’ solo il suo gatto nero e grande, di nome Stiles, l’unica anima che non la giudicasse pazza. Quando lo guardava, Lydia Martin sorrideva a malapena, pensando alla faccia che avrebbe fatto Stiles- quello umano- sapendo di chiamarsi come un gatto.

Ogni tanto Lydia, nelle notti troppo buie e insonni, si sedeva sul balcone e si chiedeva dove fosse Stiles. Se fosse sposato, se si fosse creato una famiglia, se avesse dei nipotini a cui raccontare le sue grandi avventure. Si chiedeva se fosse felice, e si domandava se in lui era rimasto un po’ dello Stiles goffo ed imbranato che diventava color pomodoro quando lei gli passava accanto. Se dentro di lui, ci fosse ancora traccia del ragazzo di un tempo o se avesse, come spesso fanno i grandi, dimenticato cosa volesse dire avere sedici anni e sentirsi vulnerabile e forte al tempo stesso. Si chiedeva se anche lui, ogni tanto, si sedeva sul balcone, osservava il cielo e pensava a Beacon Hills e a tutte le cose che aveva lasciato nella sua città, inclusa Lydia. Lydia se lo ricorda ancora, il loro addio: Stiles stava cercando di caricare una valigia nera in macchina, ma poi era inciampato ed era caduto con la faccia a terra sulla strada. Aveva sorriso imbarazzato, e si era rialzato. Poi l’aveva abbracciata: un abbraccio caldo, confortevole, carico di mille parole. Con quell’abbraccio, Stiles le stava dicendo addio, stava dicendo addio a quella ragazzina dai capelli color fragola. Poi le aveva rivolto un sorriso sincero ed imbranato, e si era fatto promettere che Lydia non si sarebbe cacciata in nessun guaio perché lui non aveva voglia di venire a salvare la sua vecchia amica pazza. Qualcosa, nel modo in cui aveva detto la parola “amica” l’avevano fatta rabbrividire, ma aveva annuito. Quando lui e la sua Jeep- la sua inconfondibile Jeep- avevano svoltato la strada, Lydia aveva sentito una lacrima scendere lungo la sua guancia, ma non l’aveva scostata o cacciata via. Aveva lasciato che le lacrime le rigassero il volto, e che la consapevolezza che Stiles fosse andato via si facesse strada dentro di lei. Negli anni successivi, Lydia si era spesso chiesta cosa sarebbe successo se Stiles non fosse andato via e se lei gli avesse restituito il bacio che lui le aveva dato una sera. Era successo qualche mese dopo la morte di Allison: erano in un bar, e non si sa come si erano ritrovati ubriachi fradici, a parlare di cose stupide come “quante volte all’anno fanno l’amore i pinguini, lo sai Lydia?” oppure a fare battute strane sulle streghe, i lupi mannari e i cacciatori. Dopo la morte di Allison, Stiles era stato molto vicino a Lydia e lei aveva imparato ad apprezzarlo, ad adorare i momenti che passavano insieme, e sì, anche quelli in cui erano ubriachi fradici. Mentre Lydia brontolava qualcosa sul perché è raro incontrare cinesi alti, Stiles aveva provato a baciarla. Aveva preso il suo viso fra le mani, ma lei si era tirata indietro, quasi come si fosse scottata. Stiles l’aveva guardata a lungo, lo sguardo ferito, triste e rassegnato, il sorriso beffardo era sparito dalla sua faccia.
“Lydia, pensavo che…tra di noi ci fosse qualcosa.” Aveva detto lui. La sua voce era spezzata.
“Be’, ti sbagliavi” aveva mormorato Lydia, e poi si era alzata ed era andata via. Si pentì immediatamente di averlo fatto. Le piaceva Stiles. Le piaceva tanto. Eppure, quando lui l’aveva baciata-o forse quasi baciata- aveva sentito il bisogno istintivo di proteggersi. Non proteggersi da lui, proteggersi da se’ stessa. Perché Lydia si conosceva bene, e sapeva quanto lei potesse essere complicata, lunatica, irritabile. Quanto fosse difficile sopportarsi, quanto i suoi incubi influivano sulla vita di tutti i giorni. Non voleva che Stiles si facesse male. Non voleva che Stiles si facesse male per colpa sua. Non volevano farlo soffrire. Aver perso Jackson, il suo primo amore, e aver perso Allison, l’avevano resa più debole. Lydia aveva paura che, se avrebbe provato ad amarsi e a farsi amare un po’, qualcosa sarebbe andato storto.
La signora si domandava spesso, nelle notti buie e insonni, come sarebbe ora il rapporto tra di loro se lei si fosse concessa un po’ di felicità, se non avesse avuto timore dell’amore.

Lydia aveva perso la sua migliore amica. L’aveva persa una notte fredda -fredda esattamente come il gelo che sentiva nei suoi sogni- una notte terribile, in cui gridare e piangere non erano stati abbastanza. Una notte oscura, una notte nera e tenebrosa. Superare la morte di Allison, fu tremendamente doloroso. Ogni tanto pensava che la sua migliore amica sarebbe riapparsa nei corridoi con la sua risata cristallina e pura come quella di una bambina. Pensava che lei le avrebbe detto di fare la cosa giusta –perché sì, Allison faceva sempre la cosa giusta-  a differenza sua. Lydia si aspettava di vederla apparire nei boschi, con arco e frecce, mentre la guardava con il suo sguardo fiero e la postura da guerriera. Ma la verità è che tutto quello che rimaneva della sua migliore amica era una tomba in un mucchio di altre tombe, una tomba su cui qualcuno aveva posato dei girasoli ed un biglietto, una tomba anonima tra mille altre. Una tomba che alcune persone non avrebbero nemmeno guardato, perché magari si trovavano nel cimitero per far visita ad altri parenti morti. Una tomba con pochi fiori, soprattutto a distanza di anni, quando erano rimasti solo lei e qualche altro vecchietto di Beacon Hills a ricordare la risata di Allison Argent. Il più grande rimpianto di Lydia Martin era la sua migliore amica: non le aveva mai detto quanto le volesse bene, quanto fosse importante per lei. Ed ora lei non c’era più, e quindi non c’era rimasto più nessuno a sentire quanto la perdita di Allison avesse influito sulla sua vita, e non c’era nessuno a cui confidare il fatto che tutte le notti risentiva la voce dell’amica prima che morisse. Lydia avrebbe voluto solo più tempo: più tempo per confidarsi, più tempo per fare le pazzie che si fanno con la propria migliore amica, più tempo per far maturare il loro rapporto, era l’unica cosa che chiedeva. Ma il tempo, spesso, è crudele.
Cosa rimaneva di Allison? Cosa rimaneva di lei? Solo i ricordi sbiaditi nella mente di una vecchia signora. Alla tarda età di ottant’anni, Lydia si ritrovò a pensare a quante cose fossero cambiate da quando era una ragazzina, a tutti i suoi sogni infranti, agli obiettivi mai raggiunti, alle promesse non mantenute.
Pensava a cosa fosse rimasto, dentro di lei, dell’adolescente che era stata un tempo: Lydia aveva ancora paura, paura della vita, o di quel poco che le rimaneva. Aveva paura che, a differenza di Allison, che era morta come un angelo leggero, lei sarebbe morta in preda a dolori, confortata solo dalla presenza di un gatto nero. Aveva paura di svegliarsi la mattina, e di accorgersi che le rimaneva solo qualche secondo di respiri. Aveva paura delle notti infernali, aveva paura delle sue stesse grida.

Non era rimasto molto della Lydia bella e giovane di molti anni prima- pensò la vecchia signora mentre le sue dita avvizzite percorrevano il bordo di una fotografia consumata dal tempo. Lydia non ricordava nemmeno di averla tenuta, quella fotografia. L’aveva scattata Stiles, un giorno che erano andati a fare un giro nel parco. Lei non se n’era nemmeno accorta, assorta come era nei suoi pensieri. Lydia Martin sorrise alla ragazza della foto. I capelli biondo fragola le incorniciavano il viso, ed indossava un cappottino blu con piccoli bottoni brillanti (amava quel cappottino). La ragazza della foto sorrideva, persa com’era nei suoi pensieri, e i suoi occhi brillanti sembravano stessero festeggiando.
Lydia Martin prese un’altra fotografia: due ragazze sorridevano. Una era lei, la stessa vecchia rugosa dai capelli bianchi, l’altra era Allison, rimasta incastonata nella sua bellissima giovinezza.

C’erano mucchi di altre fotografie.
Stiles che lavava la Jeep.
Scott accanto alla sua moto.
Lo sceriffo Stiliski assorto nella lettura di un giornale.
Isaac che tentava di sorridere.
Scott e Stiles che giocavano a Lacrosse.
Due gemelli.
Un ragazzo con un ciuffo –Jackson- che fumava una sigaretta.
Lei e Jackson sulla spiaggia.
Dei ragazzi che ballavano.
Lei con in mano il suo regalo di compleanno.
Stiles che cercava di ripassare per il compito di economia.
Allison che provava un vestito.
Una pista di pattinaggio.
Un cielo stellato.
Ed ancora altre mille, mille fotografie.
 
 I ricordi ripresero forma e colore nella mente di Lydia Martin: i ricordi che temeva di aver dimenticato riaffiorarono, e con essi anche una parte di se’ stessa.
 Lydia Martin afferrò la caraffa di whisky e se ne versò un po’ nel suo bicchiere. Nonostante il dottore glielo avesse sconsigliato, il whisky era una delle poche cose, insieme a Stiles e al suo blocco di disegno, a cui Lydia Martin non aveva intenzione di rinunciare. Ogni sera ne prendeva un po’, non le importava dei giudizi di un vecchio pallone gonfiato come il Dottor. Smith.  
Lydia Martin bevve un intero bicchiere.

Ma, a differenza delle sere precedenti, non bevve da sola: brindò in compagnia dei suoi ricordi che temeva di aver dimenticato.
Brindò a Stiles, ovunque fosse.
Brindò a Allison, che se ne era andata come un angelo.
Brindò a Isaac, nonostante lui non le scrivesse più lettere da tre anni (nell’ultima lettera le aveva comunicato di stare molto male)
Brindò a Ethan, che aveva ricominciato una vita senza suo fratello.
Brindò a Jackson, pregando che non fosse rimasto arrogante come quando era giovane ma che avesse comunque conservato una parte di se’ stesso.
Brindò a Scott, e a tutte le volte in cui l’aveva aiutata.
Brindò a Derek, immaginandolo in giro per il mondo.
Brindò allo sceriffo Stiliski, che ora riposava con Allison nel cimitero di Beacon Hills.
Brindò a tutte le persone che aveva conosciuto, tutte le persone che avevano sfregato la propria anima accanto alla sua.
Ed infine, un ultimo piccolo brindisi, Lydia Martin lo volle fare per se’ stessa, per la donna sola che era diventata. Ma anche per la ragazza dai capelli color fragola di un tempo, la ragazza fragile che aveva rinunciato all’amore. La ragazza che appariva come un sogno nella sua mente, la ragazza che era riaffiorata come un fiore quella sera.

Dopo quell’ultimo sorso, Lydia si coricò sul suo letto. Lanciò uno sguardo alla finestra- che non chiudeva mai- e notò una bellissima palla d’argento che illuminava tutta la città con la sua luce tenue.
Era una notte di luna piena.
La sua ultima notte di luna piena.
Dopo quella notte trascorsa in mezzo ai ricordi, gli occhi di Lydia non videro più nessuna luna.

Mai più.



E siamo giunti alla fine! Un grazie speciale a tutte le persone che hanno voluto dare una piccola occhiata a questa minuscola –si fa per dire, ovviamente- storia! Non seguo Teen Wolf da molto, quindi scrivere questa one-shot è stato abbastanza difficile per me: avevo paura di non riuscire a catturare abbastanza il personaggio di Lydia, di cambiarlo e di rovinarlo. Spero che la storia vi sia piaciuta e, se volete, potete anche lasciare una recensione (mi farebbe piacere).
A presto!

With love,
Fanny. 


 

 
 
 
  
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