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Autore: Polla89    07/07/2014    2 recensioni
John ha l'ennesimo incubo su Sherlock, il suo migliore amico.
Non ha affatto superato la sua morte.
Non riesce più a sopportare l'idea di condurre una triste e piatta esistenza senza di lui.
Finchè, una mattina, ha un'illuminazione.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Torno con una nuova one-shot decisamente dark, con protagonista il povero Jawn...
Il titolo mi è stato ispirato dalla bellissima poesia di Lord Byron, Darkness (ecco il link: http://readytogoebooks.com/Lb-Drk85.htm)
Voglio ringraziare Gageta, alla quale avevo "promesso" di scrivere una storia simile (ma non così dark... LOL) :)
Un ringraziamento speciale va soprattutto a MelaChan: supporter, beta, amica... Grazie di cuore.
Non ringrazierò mai abbastanza entrambe per aver betato questa storia.
E dopo questo sproloquio 'inutile', vi lascio alla lettura!



 

Darkness


[…] The world was void,
The populous and the powerful was a lump
Seasonless, herbless, treeless, manless, lifeless,
A lump of death
— a chaos of hard clay.
The rivers, lakes, and oceans all stood still,

And nothing stirr'd within their silent depths;
Ships sailorless lay rotting on the sea,
And their masts fell down piecemeal:  as they dropp'd
They slept on the abyss without a surge 

The waves were dead; the tides were in their grave,
The moon, their mistress, had expired before;
The winds were wither'd in the stagnant air,
And the clouds perish'd; Darkness had no need
Of air from them
 She was the Universe.
(Lord Byron, Darkness, 1816)




 

Lunedì

«Sherlock».
John apre gli occhi all’improvviso. Non sa per quale motivo il tono della sua voce sia così tremendamente basso, quasi un lieve sussurro.
Ha avuto l’ennesimo incubo sul suo amico.
È passato ormai troppo tempo da quel giorno.
Il giorno in cui Sherlock Holmes ha deciso di prendere una decisione troppo importante per entrambi, senza chiedergli il permesso.
L’ha costretto a vivere in diretta - Dio, chi può essere così malvagio - il suo suicidio.
L’ha chiamato al cellulare, dicendogli poche parole con la voce rotta dal pianto.

«Sono un impostore».

Quelle parole.
Bruciano più del fuoco.
Più della maledetta pallottola che gli ha perforato la spalla.
Lui non ha voluto fidarsi. Non ha voluto raccontargli cosa stava accadendo. Magari lo avrebbe aiutato, in qualche modo.
Ma ora eccolo lì, nel suo letto, a fare incubi sul suo migliore amico.
Proprio non riesce a superare la sua perdita.

Gli manca così tanto.

Raccogliendo le poche forze che ha, si siede sul letto; poi, dopo lunghi e interminabili secondi, si alza in piedi e scende in cucina.
Prepara il tè e lo versa nelle due tazze che ha preso dalla credenza.
Si gira verso il tavolo e sorride, poggiando la tazza sulla superficie ormai logora.
«Tieni, Sherl-»
Nel vedere la sedia vuota, con solo la sua sciarpa appoggiata, John si blocca.

Di nuovo.

Serra le labbra sottili per la rabbia e butta la tazza per aria, insieme a tutti gli oggetti da laboratorio di Sherlock (che non ha mai avuto il coraggio di mettere da parte).
Poi, cammina frettolosamente nel soggiorno e dà a calci qualsiasi cosa gli capita davanti.
Poco dopo, con le ultime forze che gli sono rimaste, crolla a terra e le prime lacrime della giornata scorrono tristemente sul suo volto segnato dal dolore di quei mesi infiniti.
Si abbandona a un pianto liberatorio, che in realtà di liberatorio non ha assolutamente nulla, e si stende a terra, esausto.
Non ne può più.
Il tempo sembra essersi fermato molti mesi prima.
A quel caldo giorno di giugno, tinto di rosso sangue.
Eppure continua a scorrere insolente, facendogli dimenticare a poco a poco il profilo spigoloso ma raffinato del suo migliore amico.

Tic. Toc. Tic. Toc.

Il cuore comincia a martellargli nel petto. Vorrebbe solo che il suo incubo finisse da un momento all'altro, con Sherlock che si presenta alla porta e gli racconta di quanto sia stata noiosa la sua giornata a New Scotland Yard.

Tic. Toc. Tic. Toc.

Ma non può accadere nella vita reale. L’unica cosa che vede, non appena chiude gli occhi o guarda ogni centimetro del loro appartamento, è il volto grondante di sangue e lo sguardo vitreo e senza vita di Sherlock.
Al solo pensiero, vorrebbe sbattere ripetutamente la testa contro il muro, sperando che così quell’immagine abominevole vada via per sempre.

Tic. Toc. Tic. Toc.

Quella maledetta lancetta.
Anche lei sembra prendersi gioco di lui.

Perché. Credi. Di. Poter. Essere. Ancora. Felice. Tic. Toc. Tic. Toc.

Si preme le mani contro le orecchie.
Se continua a vivere così un altro giorno ancora, probabilmente impazzirà.
Poi, un’illuminazione.
Ormai ogni rumore, ogni cosa… è lontana.
All’improvviso, alza il busto e allunga il braccio sotto il divano.
Non appena trova ciò che cerca, un sorriso inquietante gli si disegna sulle labbra.
Con un lento movimento, trascina verso di sè la scatola nera che Sherlock ha lasciato lì sotto molto tempo prima.
Con un gesto quasi di riverenza, alza il coperchio e fissa con uno sguardo vuoto il contenuto.
La M1895 ricambia quello sguardo, lucente e bella come non mai.
Sherlock aveva ‘requisito’ quel gioiellino a un vecchio killer russo: amava conservarla come ‘trofeo’.
E John, in un attimo di panico, controlla se la piccola scatola che giace accanto a quella meraviglia è piena.
Per sua fortuna, un unico proiettile - evviva, pensa tristemente - aspetta di essere utilizzato proprio da lui.
Così, fa un sospiro profondo.
Apre il tamburo e vi inserisce il proiettile all’interno.
Poi, in un attimo di incertezza, prende il cellulare e apre l’editor dei messaggi.

Aspettami, Sherlock. Sto per raggiungerti. Finalmente. JW

Butta il cellulare al suo fianco, fa roteare il tamburo per non sapere in quale posizione si trova il proiettile, e lo richiude.
Sorridendo, impugna bene la pistola e preme la canna contro la tempia sinistra.
Chiude gli occhi e preme il grilletto.

Click.

Un colpo andato a vuoto.
John, in preda alla disperazione, butta la pistola in avanti e si accascia su se stesso.
Domani sarà il tuo giorno fortunato, John. 
Domani.


~


Martedì

Greg ha insistito per portare John in un pub.
Dopo aver rifiutato diverse volte, questa volta non ha avuto il coraggio di farlo.
Davanti a una squallida birra, racconta a John gli ultimi casi che hanno fronteggiato senza Sherlock.
Nessuno sembra sentire la sua mancanza. Nemmeno Greg.
L’unico che soffre maledettamente senza di lui è proprio John.
Poco dopo, si accorge di avere gli occhi di Greg su di sé.
Lo osserva, quasi come se lo stesse studiando.
«Sai, io non sono mai stato bravo in queste cose», accenna l'ispettore timidamente, «ma vedo i tuoi occhi tristi. Non sono stupido».
In uno dei suoi pochi momenti di lucidità, da un po’ di tempo a questa parte, John lo guarda e si rende conto che Greg non è affatto tranquillo. È sinceramente preoccupato. Glielo legge negli occhi.
Non sa cosa dire.
Sente solo la lancetta dell’orologio che continua a riempire il silenzio abissale in cui è stranamente calata la sala.

Tic. Toc. Tic. Toc.

I battiti del suo cuore cominciano ad accelerare. Per un momento, John vorrebbe solo dirgli tutto quello che prova in quel momento, dal senso di frustrazione alla voglia di sparire, come ogni dannato giorno, dalla faccia della Terra, poiché senza il suo amico Sherlock nulla ha più senso. 
Sta per vomitargli addosso tutte le parole che gli passano per la testa, per liberarsi di quell’enorme macigno che gli opprime il petto e che lo fa respirare con non poche difficoltà, ma l’orologio fa partire i rintocchi dell’ora.

Bong. Bong. Bong. Bong. Bong. Bong. Bong.

Si riprende da quel suo interminabile momento di debolezza, gli sorride debolmente e si alza con un equilibrio incerto.
«È tardi. Devo andare», gli dice, avviandosi verso l’uscita, trattenendo quel peso che accompagna perennemente le sue giornate.


Una volta a casa, scivola a terra, mantenendosi la testa per cercare di restare il più calmo possibile.
Poi, si avvia in salotto e prende di nuovo la pistola.
Come il giorno prima, afferra il cellulare e apre l’editor dei messaggi.

Aspettami, Sherlock. Questa volta sto per raggiungerti davvero. Finalmente. JW

Punta la pistola alla tempia e preme di nuovo il grilletto, nello stesso identico movimento del giorno prima.

Click.

Anche questa volta non ha avuto fortuna.
Perché nemmeno la morte vuole farlo ricongiungere al suo caro amico Sherlock?


~


Mercoledì

Maledizione.
Adesso ci si mette anche Molly Hooper.
Lo invita a prendere un tè alle 17, al bar del St. Bart’s, per fare due chiacchiere amichevoli.
Preso per sfinimento, decide di accettare anche il suo invito.
Non l’avesse mai fatto.
Molly, non appena lo vede, comincia a lacrimare copiosamente, stringendolo così forte da non farlo respirare per qualche secondo.
«Oh, John. Hai una cera terribile. Come ti senti?»
John le sorride debolmente.
«Mai stato meglio, davvero».
Molly gli sorride a sua volta, non credendo nemmeno a una parola di quella che sente.
Così, inizia a chiacchierare del più e del meno, di tutti i cadaveri che quel giorno ha dovuto analizzare…
Ma John non sta ascoltando.
Al diavolo le chiacchiere affettuose di Molly Hooper.
Comincia davvero a credere di essere impazzito, quando ascolta la lancetta dell’orologio parlargli.
Ha una voce… troppo familiarmente baritonale.

Hey. Tic. John. Toc.

Molly continua a parlare, non accorgendosi dello sguardo perso nel vuoto di John.

Non. Tic. Avevi. Toc. Detto. Tic. Che. Toc. Volevi. Tic. Raggiungermi?. Toc.

Ottimo.
Adesso la lancetta ha la voce di Sherlock.
Che lo invita chiaramente a suicidarsi.
Così potrà liberarsi per sempre dal peso ogni giorno più opprimente che gli mozza il respiro.
Con una scusa banale, liquida Molly e corre con tutta la forza che ha nelle gambe verso casa.
Una volta lì, va sicuro in direzione della pistola.
La prende e, contemporaneamente, scrive il solito messaggio al cellulare.

Aspettami, Sherlock. Sento che questa è la volta buona. Non vedo l’ora di rivederti. JW

Con un colpo sicuro, preme il grilletto.

Click.

Non è possibile.
John Watson è un uomo decisamente triste.
Urla per la disperazione, perché non riesce a raggiungere nemmeno nella morte il suo migliore amico.


~


Giovedì

Per sicurezza, John ha deciso di spegnere il cellulare.
Così nessuno lo disturberà.
Deve riflettere.
Se quello è davvero il suo ultimo giorno, deve pensare a tutte le cose a cui, di lì a poco, non potrà più badare.
Riflette sul fatto che, forse, dovrebbe avvertire tutti con un biglietto.
No, è un’idea alquanto stupida.
Probabilmente lo immaginano il perché di quella scelta che, a primo avviso, può sembrare da codardi.
Ma non lo è.
John Watson non è un maledetto codardo.
O forse sì, ormai non ha più importanza.
Quello che conta è che il suo affetto per Sherlock lo sta lentamente guidando all’autodistruzione.
Perché è chiaro: senza Sherlock, lui è meno di una nullità.
Lui ha reso le sue giornate migliori, ha mandato via il suo dolore psicosomatico, ha riportato nella sua vita la guerra, mascherata da criminali e killer che tranquillamente passeggiano per le strade di Londra.
Lui lo ha reso un uomo nuovo.
E adesso non c’è più.
Non è lì a criticarlo per i suoi sentimentalismi inutili.
Non è lì a mettergli il broncio perché ribalta completamente le regole del Cluedo, pretendendo di avere ragione.
Non è lì a donargli quella quotidianità a cui si era abituato e che gli è stata tolta brutalmente, senza alcuna spiegazione apparente.
Con la rabbia che gli monta in corpo, prende la pistola appoggiata sul tavolo.
La guarda, con occhi famelici.
Ti prego, fa’ che questo sia il giorno giusto.
Emette un sospiro.

Questo è il giorno giusto, Sherlock. Oggi è il giorno giusto per dire addio a questa vita che non mi appartiene più. Oggi è il giorno giusto per raggiungerti. Lo sento. JW

Senza perdere la spaventosa calma che lo accompagna, preme con decisione il grilletto.

Click.

Emette un grugnito disumano e inveisce mentalmente contro ogni cosa.
Nemmeno oggi è il giorno giusto per morire, John.


~


Venerdì

John non ha alcuna voglia di alzarsi.
Comincia a chiedersi se ha davvero inserito il proiettile nel tamburo della M1895.
Le probabilità di essere sopravvissuto per quattro lunghi e interminabili giorni alla roulette russa lo fa sorridere mentalmente.
La morte si prende proprio gioco di lui.
Si è portata via in una manciata di secondi e con un volo di venti metri il suo caro amico Sherlock, mentre ha deciso che lui deve restare bloccato in quella ‘cosa’ che tutto è, fuorché vita.
La lancetta non lo molla neanche per un dannato istante.

John. Tic. Dove. Toc. Sei?. Tic.

Non può essere Sherlock.
È solo la sua immaginazione.

Ho. Tic. Bisogno. Toc. Di. Tic. Te. Toc.

Ora basta.
Non ne può più.
Con una mossa violenta, prende la pistola sul comodino.

Non ne posso più, Sherlock. Anche la morte si prende gioco di me. Ho bisogno di ricongiungermi a te. La mia vita non ha più senso. JW

Non perde altro tempo.
Preme il grilletto.

Click.

Sorride amaramente.
Prende il barattolo del potente sonnifero sul comodino e ne ingoia due pillole.
Così, forse, si sveglierà dopo un paio di giorni.
O, se è fortunato, non si risveglierà più.


~


Sabato

 

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~


Domenica

Apre gli occhi a fatica.
John si sveglia e legge la data sul display del cellulare.

Domenica 17 maggio

Ha dormito quasi per due giorni.
Le prime luci della mattina lo accolgono calorosamente.
Ma lui non sembra affatto colpito.
Tutt’altro.
Ricorda di aver preso un paio di pillole, venerdì pomeriggio. Non pensava facessero effetto così in fretta.
Pensa che avrebbe voluto non svegliarsi, dopotutto.
Magari, in quel caso, sarebbe stato in compagnia di Sherlock.
Resta ancora un po’ nel letto, senza pensare a nulla se non al suo caro amico.
Dopodichè, scatta in piedi e prende la pistola, dirigendosi in salotto.
Si sente sollevato.
Essendo rimasti due tentativi, sente che è giunta la sua ora.
Se non è ora, sarà il giorno dopo.
Oh, chi vuole prendere in giro?
Nel caso in cui il colpo va a vuoto, avrà il sangue freddo di premere il grilletto per l’ultima volta.
Così non dovrà più preoccuparsi di nulla, ponendo fine a quella sua misera esistenza.
Pensa che finalmente rivedrà Sherlock, e probabilmente non avrà più il volto grondante di sangue.
Probabilmente lo chiamerà per farsi raggiungere.

John.

Il cuore gli martella nel petto, al solo pensiero.
Sa che gli correrebbe incontro con tutte le forze che ha e lo abbraccerebbe fino a togliergli il respiro.
Anche perché non avrebbe importanza, poiché se dovesse riuscire nell’intento significa che sono entrambi morti.
Alza lo sguardo al soffitto e sorride.
È finalmente libero da quel peso opprimente.
Prende per l’ultima volta il cellulare.

Sto arrivando, Sherlock. Non vedo l’ora di abbracciarti. JW

Prende con decisione la pistola.
La punta alla tempia.

Nel frattempo, non si accorge di un trillo familiare dietro la porta.
Improvvisamente, la porta si spalanca.

«JOHN!»

È una questione di attimi.
John sbarra gli occhi, sentendo quella voce così calda e familiare.
Sherlock, terrorizzato, è davanti ai suoi occhi.
Ed è reale.

Credendo di essere già morto, gli sorride.
«Sherl-»

Bang.









Note finali
Non credo ci sia molto da dire: ho immaginato la reazione estrema di John alla morte di Sherlock.
Essendo il suo migliore amico (colui che ha riportato luce nella sua misera esistenza) l'ho immaginato talmente disperato da affidarsi al gioco della roulette russa.
Spero vi sia piaciuta!
Alla prossima! :)

  
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