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Autore: BlueWhatsername    07/07/2014    5 recensioni
" [...] Lentamente sollevò il coperchio, mentre un sorrisino idiota gli si dipingeva in volto senza un motivo valido ma allo stesso tempo con la stessa, forte, dirompente consapevolezza dei ricordi che ticchettano insistentemente a quella strana altezza nella scala dei sentimenti più comunemente detta amore. "
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Hope u like it :)
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve. LOL.
Nessuno mi conosco, I know.
That's the first time for me. Yep.
Mi spiego meglio: non ho mai scritto in questo fandom.
E non so nemmeno cosa ci stia facendo ora. LOL.
Solo che... C'è una ragazza. Una piccina. Tutta dolcina, sapete.
Sì, insomma, lei mi ha trascinata in questo fandom, sooooo...
... Here I am.
Senza farla lunga. LOL.
Ho scritto questa OS in una sola giornata. Senza dire niente a nessuno, sssh.
Ed è per te, Martina. Yep.
L'avevo detto che prima o poi l'idea mi sarebbe venuta, no? LOL Here it is.
Spero piaccia, in ogni caso rimane il mio più grande incondizionato affetto. <3
Blue.

... Ahhhn, Happy Birthday, Ash. LOL. 









Quando Ashton aprì gli occhi quella mattina si trovò stranamente felice di vedere che dalla parte del suo letto ci fosse un bel bigliettino ripiegato. Sollevò pigramente la palpebra, tentando di mettere ancora più a fuoco l’ambiente intimo e familiare della camera da letto, mentre allungava pigramente un braccio verso quel minuscolo pezzo di carta ripiegato.
Era di una spiccata tonalità rosa pesca, quasi ingiallita sui bordi. La strinse tra le dita, avvertendone la consistenza rugosa e lievemente ruvida, tipica della carta da lettera vecchia ma profumata di quello strano aroma che faceva prudere il naso… E qualche volta la memoria.
Sorrise, passandosi il bigliettino ancora ripiegato sotto alle narici e lasciandosi ricadere sul cuscino. Piegò la bocca in una smorfia sorridente, mentre sentiva che ogni muscolo facciale si stava lievemente risvegliando alla luce profumata che entrava dalla finestra.
 
 
 
Buongiorno bell’addormentato!
Il caffè è in cucina – ma questo lo sai già – ed il giornale è… Mh, forse l’ho buttato accidentalmente da qualche parte?! Non lo so – e forse anche questo lo sai già.
Esco a fare la spesa – idem come sopra.
P.s.: non capisco perché mi ostino a scriverti stupidi biglietti così ogni giorno, se tanto quel che c’è da sapere lo sai comunque.
P.p.s.: stamani ho rotto un bicchiere, attento a non andartene in giro scalzo come tuo solito.
M.

 
 
 
Rimase per qualche minuto immobile, fissando il biglietto con aria ancora più assonnata di qualche attimo prima. Se lo rigirò un po’ tra le mani, saggiandone ancora un volta la consistenza ruvida ed invecchiata – perché sì, lui sapeva bene da dove venisse quel biglietto, lo intuiva dal modo che avevano i bordi di essere irregolari e frastagliati, così nettamente irregolari da lasciar intendere uno strappo incerto nel momento in cui lei si era ritrovata a ripiegare il biglietto dopo averlo scritto.
Ne annusò la fragranza per qualche altro istante, dopodiché si tirò a sedere sul letto – i muscoli della schiena tesi e ancora semi addormentati che reclamavano di essere sgranchiti alla svelta prima di bloccarsi in definitiva. Sollevò le braccia sopra la testa, intrecciando le dita tra loro e sollevando il più possibile i gomiti così da sentire le spalle flettersi in risposta ai muscoli doloranti. Sospirò, a quella sensazione liberatoria che solo una buona doccia bollente era capace di eguagliare e si passò le mani tra i biondi capelli scomposti, spostandoseli indietro con un rapido ma distratto movimento di polso.
Notò il proprio riflesso allo specchio del comò e sorrise beffardamente alla propria immagine ancora semiaddormentata, prima di alzarsi per sgranchire anche i muscoli delle gambe e concedersi qualche piegamento che l’avrebbe senza dubbio aiutato a regolarizzare quel risveglio piacevole in quelle lenzuola candide ma tiepide della notte appena passata.
Una smorfia dolce gli piegò i lineamenti quando afferrò il biglietto tra le mani, ripiegandolo con cura – seguendo le sottili linee con cui lo aveva precedentemente piegato lei  - e andando verso la cassettiera.
Si diede un’occhiata svogliata che poco lo convinse, dopodiché aprì uno dei tanti cassettini ed estrasse una scatola rossa rilegata con un nastro di raso bianco poco sgualcito ed ingiallito sui bordi. Passò le lunghe dita lungo la stoffa morbida, arrivando a stringere il fiocco in cima tra indice e pollice e sciogliendolo dolcemente – nel silenzio ovattato della cosa solo un lieve sbuffo del raso sul legno morbido della cassettiera.
Lentamente sollevò il coperchio, mentre un sorrisino idiota gli si dipingeva in volto senza un motivo valido ma allo stesso tempo con la stessa, forte, dirompente consapevolezza dei ricordi che ticchettano insistentemente a quella strana altezza nella scala dei sentimenti più comunemente detta amore.
I biglietti che vi aveva riposto per tutti quegli anni erano ancora tutti lì, in ordine sparso, di colori e profumi diversi. Ognuno con il bordo mangiucchiato dal tempo e dalle volte che ci aveva passato le dita intorno. Ognuno con il proprio bagaglio di sorrisi e battute frecciate in quelle poche righe che lei gli aveva lasciato ogni mattina. Ognuno con una piegatura diversa, da quello più piccolo a quello così accartocciato da essere quasi una pallina di carta mal riposta.
E poi, in fondo, dei fogli piegati a metà; tenuti insieme da un semplice spago grigiastro legato in uno strambo modo che doveva sembrare un fiocco ma che pareva un nodo fatto male – un nodo sciolto e legato a nuovo così tante volte che in quel preciso punto, sempre lo stesso poi, lo spago stava quasi per spezzarsi, pure se ancora era intero, per tenacia di quei ricordi che non sembravano volersi sciogliere.
Era una sua abitudine scrivergli. Sempre.
Lasciargli un biglietto la mattina, una lettera a caso in giro, un qualcosa che ricordasse lei meglio di quanto potesse fare qualsiasi cosa. E lui la conosceva abbastanza da sapere che quello era il semplice modo che lei aveva sempre avuto per dirgli un ti amo che non le sarebbe davvero mai uscito dalle labbra – non casualmente, almeno – ma magari le sarebbe affiorato tra le dita, quando avesse impugnato la penna per lasciargli un foglietto mezzo strappato scritto di corsa o una lettera spiegazzata sotto al cuscino dopo una litigata un po’ troppo furibonda.
Ed a lui piaceva conservare tutto di lei, averceli sempre lì, quei pezzi di ricordi che sapeva a memoria ma che non si sarebbe mai stancato di rileggere.
Accuratamente, pose il nuovo biglietto sopra a tutti gli altri, dopodiché si chinò sulla scatola ancora aperta, annusando il delicato profumo di carta – invecchiata, colorata, profumata, di lei anche – che ne derivava e sentendo in petto una strana sensazione che poi era uguale a quella di ogni mattina appena alzato.
Uguale a quando ce l’aveva vicino e l’osservava di sottecchi.
Uguale a quando la coglieva di sorpresa con un bacio che comunque lei non rifiutava mai.
Uguale alla quotidianità del condividere lo stesso bagno e all’intimità di sentirsela addosso ogni notte, con lo stesso carico di sospiri e baci affrettati o languidi, a seconda dell’occasione.
Sorrise, ancora, riponendo il coperchio al proprio posto e ricomponendo il nodo malamente – ogni volta era peggio, dopotutto, perché mai preoccuparsene?!
Il silenzio della cucina lo invase in pieno, quando con i piedi nudi incise il pavimento freddo ed il petto ancora tiepido delle lenzuola incontrava l’arietta fresca che attraversava la tendina viola alla finestra. Senza pensarci, afferrò il giornale sul tavolo, sicuro che lei avesse strappato le pagine relative agli articoli di vestiario – e quando vide degli strappi netti nella sezione apposita del giornale, scosse il capo, indeciso se ridere o no di cotanta prevedibilità.
Il caffè era ancora tiepido, la crostata di frutta sempre ottima, e lui era ancora in mutande.
Giornata a dir poco perfetta.
Non si rese conto di essere osservato fino a quando non intravide, con la coda dell’occhio, un paio di scarpe ferme all’ingresso della cucina.
Senza scomporsi minimamente sollevò lo sguardo su una piccina bassina ma allo stesso tempo molto minaccioso, se si considerava la piega stramba che aveva assunto il suo sopracciglio scuro, mentre lo fissava in un modo tutto suo. Ashton sorrise ancora di più, mettendo in mostra le fossette ai lati della bocca e concedendosi uno sbadiglio annoiato, mentre posava il giornale e prendeva un altro sorso di caffè.
“Ben svegliato, bell’addormentato.” lo punzecchiò immediatamente lei, scoppiando a ridere di fronte ai capelli scarmigliati ed all’espressione ancora assonnata ma stranamente vigile che lui assumeva sempre alla mattina: temeva forse un attacco alle spalle?
“Buongiorno, ciliegina.” ribatté lui divertito, andandole incontro sulla porta della cucina e seguendo la risata di lei per quel nomignolo a dir poco bizzarro oltre che imbarazzante.
Pure se a giudicare dalle guance arrossate di lei non si sarebbe detto poi così sbagliato.
Gli bastò poggiare le mani sul suo viso per avvertire come il calore si stesse propagando per tutto il suo viso, rendendolo a dir poco incandescente; e gli bastò chinarsi sulle sue labbra per sentirla sospirare e poi sorridere di sfuggita, prima di ricambiare il bacio che le fu dato.
Ashton le passò una mano tra i lunghi capelli scuri, lasciando che le sue dita si intrecciassero in quei boccoli scomposti che le incorniciavano alla perfezione il visino tondo e dai lineamenti dolci: lei se ne lamentava spesso, come ogni donna che si rispetti non era mai soddisfatta del risultato che phon e shampoo le regalavano, ma lui era convinto che in realtà diceva così solo perché non si vedeva realmente per quel che era… Contava comunque di farglielo capire con un bacio – come in quello stesso istante – o con lo sguardo, o con qualsiasi cosa le facesse intendere che era davvero la cosa migliore che gli fosse mai potuta capitare, e che poco importava che diamine di piega prendevano i suoi meravigliosi capelli scuri – specie se a lui piaceva passarci le mani come stava facendo in quel momento.
La sentì rilassarsi a poco a poco, mentre si distaccava e le batteva l’indice sulla punta del naso: le guance erano ancora rosse, e gli occhi splendevano, meglio che guardare il sole del mattino fuori dalla finestra.
“Come sei uscita così presto stamani?” le chiese poi, nascondendo un sorriso al modo drasticamente palese in cui si stava passando le mani sul viso lei “Martina?” la richiamò poi, vedendo che non gli rispondeva “Tutto bene?” rimarcò, vedendola arrossire ancora di più.
Lei sospirò, annuendo con energia e togliendosi finalmente il giacchino verde che le cingeva il busto. Ashton l’osservò in silenzio, mentre la vedeva togliersi le scarpe da ginnastica e posarle vicino alla porta della cucina, mentre la borsa a tracolla veniva posata malamente su una sedia… Disordine era il suo secondo nome, già.
E quando la ragazza andò ad aprire il frigo cominciando a tirare fuori il latte e le uova, Ashton si rese conto che vicino alla porta c’erano delle buste di spesa abbandonate. Visto che lei era voltata verso il lavandino, intenta a sciacquare chissà cosa, gli fu più che facile andare a curiosare.
“Uhm… Amore?” domandò, incerto, acciuffando le buste e poggiandole sul tavolo e tirandone fuori il contenuto con uno sguardo sempre più basito: cioccolato, caramelle, palloncini, festoni, patatine… Candeline?!
Le si volse, incontrando dapprima lo sguardo sorridente ma interrogativo di Ashton, e subito dopo tutto ciò che aveva sparpagliato sul tavolo come un bambino curioso a cui hanno appena consegnato una giocattolo nuovo.
“Sì?” chiese, retorica, asciugandosi le mani in uno strofinaccio ed andando ad abbracciarlo, strofinando la guancia ancora tiepida contro il petto poco fresco di lui.
Ashton la lasciò fare, serrando le proprie braccia attorno alla sua piccola figura e cullandola per pochi minuti, lasciandola libera di accarezzargli la schiena nuda e nascondere il viso nell’incavo della sua spalla. Sapeva bene che era troppo viziata da quel tipo di saluto per permettersi di perderselo, dunque accettò ben volentieri il secondo bacio della mattinata, specie se lei sembrava così propensa a lasciarsi andare.
Tesoro, dimmi… Sei uscita così presto di casa per…?” chiese poco dopo lui, strusciando la punta del naso contro quello di lei, senza perdere nemmeno per un secondo il contatto visivo con i suoi immensi occhi languidi.
Solo quando lei gli afferrò le guance tra pollice ed indice, tirando verso l’esterno come una bambina dispettosa, si costrinse a ridere, incerto sull’espressione basita che Martina aveva assunto nel frattempo.
“Perché mi guardi così?” Ashton le rubò un bacio al volo, distanziandosi e indagando lo sguardo curioso di lei.
La ragazza scosse il capo, mordendosi un labbro.
“Aveva ragione tua madre quando mi ha detto che non ti saresti ricordato del tuo compleanno” ribatté, divertita – specie dalla faccia scioccata di lui, che stava spalancando la bocca come un pesce palla colto nella rete “Insomma… Non la vuoi questa torta di compleanno?!”

 
  
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