Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: lunadelpassato    07/07/2014    2 recensioni
"Le urla disperate provenivano da sotto di loro, così abbassarono la testa nello stesso momento verso la dura terra che si estendeva oltre il cancello. Davanti, un piccolo fagotto informe si muoveva energicamente, mentre urlava a più non posso.
Elsa era paralizzata dal terrore. Anna, invece, si chinò lentamente a terra, inginocchiata proprio accanto al fagotto, e scostò un lembo di quello che sembrava un vecchio straccio scuro.
Intanto il cielo brillava più che mai."
"- Oggi fa più freddo dell’ultima volta delle luci- notò sussurrando tristemente al cielo.
- È quello che penso anch’io- le rispose una voce ignota.
Aprì gli occhi di scatto e si girò indietro, sorpresa. Dietro di lei, solo la stanza ghiacciata illuminata dalle luci mistiche.
-Anna?- chiese tremante frugando con lo sguardo ogni angolo della stanza in penombra.
-Mi senti?- riprese la voce meravigliata.
Elsa fece qualche passo indietro e si rigirò di scatto verso la finestra, le mani pronte a sferrare un’ attacco.
- E mi vedi?- sussurrò il ragazzo."
Jelsa con un bambino abbandonato e il suo fratellastro. presenza di Kristanna e accenni di altre opere.
Nata da una frase di Let it Go: I'm one with the wind and sky
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cominciò a distinguere qualcosa. C'era acqua. Molta acqua. Lo scroscio intenso proveniva da ovunque: lo sentiva sopra, sotto e dappertutto su di lei. Provò ad alzarsi e subito
 
(è colpa tua è tutta colpa tua è)
 
colpa sua. Sbatté gli occhi e li sentì bruciare. Era coricata sopra dei mattoni che emanavano un odore nauseabondo, quasi di stagno, ed era in un tunnel fatto dello stesso materiale.
Provò a
 
(attenta al mostro il mostro è dentro è dentro di te il mostro)
 
rialzarsi. Lo scroscio dell'acqua aumentò a dismisura. Sentì ad un tratto una voce familiare.
 
(-Elsa! Non devi essere il mostro che tutti credono!)
 
La voce echeggiò nello spazio angusto e cambiò tonalità e parole, finché ai suoi orecchi non si trasformarono in
 
(tu sei il mostro libera il mostro che c'è in te libera il mostro)
 
Provò a urlare inutilmente. Dalla sua bocca non usciva nemmeno un suono.
Una palla emerse dall'oscurità. Era rossa e giocosa e rimbalzava verso di lei. Provò a prenderla, ma scoprì che non si poteva muovere. La palla si fermò a mezz'aria nell'ultimo balzo. E scoppiò.
 
-Come sta?
Anna era restata a fianco della sorella per tutta la notte. Girò gli occhi gonfi e stanchi verso la voce che aveva udito, poi rispose alla domanda con una voce gracchiante e atona.
-Non si è mossa. Il dottore dice che probabilmente è in una specie di sonno profondo.
Jack strinse le mani attorno al suo bastone, facendo sbiancare le nocche. Per la seconda volta nella sua vita da quando era immortale si sentiva seriamente preoccupato. Tutta la sua infantilità era svanita nel momento in cui aveva visto Elsa in quello stato. Ora lei giaceva nel letto di Anna, la treccia candida scomposta e gli occhi chiari serrati in preda a chissà quale orribile incubo. La sorella era seduta nel bordo del letto, intenta a fissare le pallide labbra di Elsa, sperando almeno in una sua parola.
-Preferivo quasi quando delirava - biascicò Anna distrutta. L'alba aveva sorpreso una Arendelle in piena allerta, con ormai venti centimetri di neve per le strade e una bufera gelida che pioveva dal cielo.
-è anche quasi peggiore di quella dell'incoronazione.
Gerda guardava le grosse nuvole grigie raggrupparsi come vecchi gatti in cerca di calore. Era intenta a coprire Kai con una grossa coperta di lana, riservandogli la camera per la servitù più accogliente e calda. L'uomo avvertiva un forte dolore all'occhio destro che si propagava per tutto il suo sistema nervoso e che lo rendeva goffo e impossibilitato al movimento. Fuori dalla finestra la tempesta infuriava.
-Speriamo che la regina si riprenda presto.
 
Fu una questione di tempismo. Jack consigliò ad Anna di dormire un po' e le promise che l'avrebbe controllata lui, e solo a questi termini la principessa acconsentì. Tre minuti dopo già dormiva nel letto della sorella, immersa nel buio del sonno ristoratore. Jack  decise che Elsa aveva bisogni del freddo e non del caldo, così spalancò la finestra che dava al letto della regina e fece entrare la tempesta gelata. Accadde il miracolo. Un piccolo fiocco di neve era riuscito miracolosamente a viaggiare attraverso le nuvole sino a quella tempesta, e proprio quello si posò nella fronte pallida di Elsa. Quel fiocco di neve era diverso: creato da Josè nel sonno. Entrò nel sogno prepotente della regina, si sciolse insieme all'incubo e la riportò cosciente. Elsa mosse la mano sinistra. Jack subito la strinse tra le sue, speranzoso.
-Elsa?
La regina aprì gli occhi. Le pupille erano dilatate e impaurite, e Jack per qualche secondo fu convinto del fatto che non si fosse risvegliata, che fosse solo definitivamente impazzita. -Sono qui. Sono dalla parte giusta.
Le pupille incominciarono a tornare alla loro dimensione originaria. Guardò Jack con un'espressione di stupore dipinta in volto.
-Non farò del male a nessuno.
Si alzò dal letto con l'aiuto di Jack, poi sorrise beatamente in preda ad una visione. Era Damio che, in sogno, aveva scoperto un lato del suo potere ancora semi sconosciuto: sapeva di poter vedere la visioni, ma mai di poterne mandare. Alla fine il volto di Elsa era vittorioso.
-So dove sono i bambini.
Senza nemmeno dare il tempo a Jack di capire che cosa stava succedendo, corse verso camera sua e saccheggiò l'armadio, dove tirò fuori il suo vestito di ghiaccio. Aveva preso un po' di polvere, ma per il resto era perfetto. Tornò poi nella stanza della sorella. Senza curarsi del ragazzo che ancora la guardava interrogativo si spogliò e indossò febbrilmente quell'abito splendente che non metteva da anni. Si inchinò sotto il letto e prese anche le scarpe di quei tempi, per poi sedersi sopra le coperte sfatte e calzarle veloce.
-Erano sotto il letto di Anna perché in teoria gliele avevo regalate, ma penso che oggi servano più a me che a lei. - disse a mo' di spiegazione al sempre più interdetto Jack.
Si disfò la treccia sfatta, lasciando la folta chioma bionda a ricoprirgli le spalle esili, e solo allora degnò di uno sguardo il ragazzo confuso che la fissava.
-Tu puoi volare giusto? Dobbiamo andare abbastanza lontano, quindi incomincia a metterti in forze.
Kristoff e Olaf si affacciarono alla porta della stanza. La bocca formava una perfetta O nella loro faccia. Elsa gli invitò ad entrare con un cenno della mano.
-Venite anche voi, ovviamente! Devono esserci tutti. Dobbiamo sconfiggerla.
Lo sguardo dei due uomini presenti si incrociò cercando risposte, ma nessuno riuscì a cavarne nulla.
-Chi? -esclamarono contemporaneamente Jack, Kristoff e Olaf.
Elsa roteò gli occhi all'insù come se avesse già spiegato il motivo una decina di volte.
-La strega, no? Dobbiamo aiutare Josè e Damio.
I tre restarono ancora più confusi di prima. Arrivò alla porta anche Anna, intenta a strofinarsi gli occhi ancora abbondantemente rossi, ma appena vide la sorellona sveglia e attiva non poté trattenersi dal correre ad abbracciarla più forte che poteva.
-Sono stata tanto in pensiero! - disse, e molta della stanchezza che sembrava provare scivolò via in un' attimo. Fu un' abbraccio lungo e molto commovente.
-Adesso è tutto a posto. Non succederà più.
Elsa si staccò dalla sorella con un leggero sorriso. Si vedeva che aveva in mente qualcosa da un miglio. Non sapeva ancora chi le aveva mandato le voci telepatiche, ma sapeva che qualsiasi cosa fosse, la stava distraendo dall'andare a cercare i suoi figli. Doveva recuperare terreno e trovarli immediatamente.
-La tempesta! È finita!
Gerda fece capolino dall'ingresso tutta accaldata e contenta, e tanta fu la sua sorpresa nel vedere la regina in piedi e così scattante che per poco non svenne. Fu Olaf che prontamente riuscì a tenerla in piedi mentre per caso si ritrovava a passare dietro la fedele servitrice.
-Tranquilla, adesso è tutto passato.  - disse Elsa nel pieno delle sue forze. Cercava di far sembrare tutto normale, mentre in realtà dentro di lei la tempesta infuriava ancora impetuosa. E se il mio posto è veramente dalla parte del Male? E se il Male fosse il vero Bene?
Per ora teneva i suoi dubbi per sé; voleva l'attenzione di tutti rivolta verso Damio e Josè. Prometto che appena li rivedo sani e salvi li abbraccio così forte da lasciarli il segno per settimane, pensò teneramente mentre apriva il secondo cassetto della scrivania. Si ritrovò a fissare due piccoli pezzi di stoffa celeste custoditi in quel cassetto dalla notte dei tempi. Mentre li prendeva delicatamente tra le mani, trattenne il respiro. Erano i piccoli guanti che usava quando era piccola, li stessi che Damio le aveva portato anni prima per provare a rivelarle il suo potere. Scosse la testa, liberandosi dai pensieri tristi che incominciavano ad affollarle la mente e rimise i piccoli guantini al loro posto, diretta ad un' altro obiettivo. Questa volta non ci fu bisogno di trattenere il respiro. Erano guanti molto più grandi, finemente decorati, quelli che teneva in mano adesso. I guanti della sua incoronazione. Senza dare nell'occhio li nascose nella tasca nascosta che si era creata nel vestito quando l'aveva “modificato” nel castello di ghiaccio allora appena nato, si girò e fece un sospiro.
Vide con piacere che erano tutti pronti: Kristoff e la sua giacca di pelo, Anna e il suo mantello, Olaf e la sua nuvoletta... e Jack.
Il ragazzo era già salito nel balcone della finestra e aspettava impaziente che l'allegra combriccola si aggrappasse a lui. Avrebbero tutti volato mano nella mano, come una catena umana che incominciava con l'unico di loro che sapeva volare e finiva con il più leggero (il piccolo Olaf).
-Siamo pronti? - chiese Elsa a tutti. Se lo chiese anche a sé stessa.
Anna e Kristoff si scambiarono un bacio affettuoso, mentre Olaf incominciò a saltellare per tutta la stanza gridando di essere pronto, anzi, prontissimo. Incominciò così il viaggio.
Più di un'abitante avrebbe raccontato un giorno ai suoi nipoti davanti al fuoco di un camino scoppiettante che quel pomeriggio, dopo la tempesta, aveva visto la famiglia reale volare.
Perse i sensi dopo un'ora di volo. Questa volta si trovava in un villaggio di campagna. Non l'aveva mai visto prima.
(La Distruzione cerca la Distruzione cerca)
Vide il suo corpo muoversi verso quella che sembrava la via principale. Il suo vestito era di campagna, i suoi capelli castani e ondulati. Non si riconobbe. Doveva cercare
(la bambina del passato del passato la bambina del)
la trovò. Aveva forse due anni e mezzo. Era insieme alla mamma e ad un ragazzo di dodici anni che le somigliava
(il fratello)
molto, in mezzo alla via, proprio davanti ad una bancarella di frutta. Il venditore era un' uomo baffuto la cui pelle grassa era rivestita da una sottile patina di sudore e sporco. La bambina aveva i capelli corvini e lisci. Allungò la manina ancora acerba verso la mela più vicina, ma il venditore in tutta risposta le riservò una manata nel piccolo visino. La mamma non fece niente per consolarla, ma non serviva; infatti la bambina non era scoppiata a piangere, ma era intenta anzi a strofinarsi i palmi l'uno con l'altro. Ora che guardava meglio non li stava strofinando. Infatti dalle mani della piccola partì un lampo nero che avvolse la bancarella. Un' attimo dopo davanti alla famiglia non c'era più nulla: sia venditore corpulento sia bancarella si erano dissolti nel nulla. Fu allora che la mamma rimproverò aspramente la bambina, menandole un'altra manata nella faccia e la trascinò fino ad una casa dissestata, dove la rinchiuse senza molte cerimonie sbattendo la porta. Elsa era immobilizzata. Dove si trovava?
(la Distruzione è tua amica la bambina è tua amica)
le voci erano rincominciate. Le tuonavano dentro la testa in un terribile accavallamento. Non desiderava altro che tapparsi le orecchie, ma scoprì che né nella realtà (qual'era la realtà? Volava verso un'arena abbandonata o guardava la Distruzione da piccola?) né nel sogno riusciva a muovere un muscolo.
(la bambina è la vera via tu sei fatta per il male vai con la Distruzione è la tua via)
La via principale di quel villaggio sfumò sotto i suoi occhi, diventò una mano dalle unghie nere che stringeva una mela rossa e matura. Le venne l'impulso di assaggiarla, ma scoprì di non poter controllare nessun muscolo del suo corpo. Le passò tutta la voglia quando vide la mano immergere il frutto in un miscuglio verde e ribollente, sentendosi dire con voce suadente:
-questa mela avvelenata la ucciderà di sicuro.
(segui il tuo istinto le regine sono cattive tutte le regine tu devi essere cattiva la regina cattiva)
la vista si offuscò. Ora le voci le riempivano la mente vietandole di vedere qualsiasi cosa. Sapeva di non dover cedere a quel richiamo. Doveva resistere per Damio e per Josè. I suoi unici pensieri. Doveva salvarli. Doveva...
(Il male e il ghiaccio vanno d'accordo Elsa tu puoi infliggere morti dolorose e lente con un dito puoi vendicare tutti ma stai con la Distruzione Josè è il vero Male fallo per il Bene del Male Elsa tu ce l'hai dentro è destino)
la regina strinse gli occhi più che poté, finché le voci non si attenuarono del tutto. Ora sentiva soltanto il fruscio del vento che le scorreva sulla pelle.  
-Jack.. - mormorò esausta. Le voci erano sempre più forti, ed Elsa aveva paura che prima o poi riuscissero a persuaderla e a metterla contro il suo stesso figlio. Realizzò di avere la mano destra chiusa in quella del ragazzo dai capelli d'argento e quella sinistra serrata in quella di Anna, che ora la guardava senza sguardo, immersa nei pensieri. Forse sarebbe meglio se fossi diventata cattiva, pensò la regina.
Si stava veramente convincendo? Le immagini mentali dei suoi bambini ora erano ricoperte di macchie nere, come se nel suo archivio celebrale qualcuno ci avesse versato inchiostro sopra. Ma Elsa sapeva bene che non era inchiostro. Serrò i denti in un ghigno.
Stava cedendo. Senza che potesse vederla, una ciocca dei suoi capelli candidi divenne grigia. Chiuse gli occhi, e subito le voci rincominciarono ad attanagliarla, ma ora lei era diversa. Le sue difese mentali erano quasi tutte abbattute. Ricadde nell'oblio.
 
Damio socchiuse gli occhi alla luce pomeridiana del sole. Sentiva che faceva più caldo di quando era ad Arendelle. Si tirò a sedere ancora con gli occhi socchiusi, tirò fuori uno sbadiglio di quelli che solo i bambini e gli ubriachi sono in grado di fare e si guardò intorno. La vecchia arena era ancora lì. Questa volta gli uccelli cinguettavano allegramente, al contrario della notte prima. Guardò Josè, che dormiva ancora beatamente, e approfittò del sonno di suo fratello per ammirare il luogo che non aveva fatto in tempo ad osservare. Nonostante l'arena emanasse la tipica aria delle cose decadenti e vecchie, poté osservare le numerose piante di ulivi che la circondavano.
Molte di queste piante erano cave e venivano usate come rifugio da numerosi uccelli notturni. Corse verso la parte dell'arena opposta rispetto a Josè cercando qualche avanzo di statua o altare o qualsiasi cosa che fosse diversa da cumuli di pietre di marmo e basi di colonne crollate: era curioso di sapere di più su questa struttura misteriosa.
Spinto dalla curiosità guardò dietro un’ ammasso di polverose pietre di marmo, immaginando magari di trovarci qualcosa di utile per la prossima volta che la strega si sarebbe fatta viva, ma quello che vi trovò lo lasciò di stucco. Una donna era intenta ad osservare il fuoco davanti a lei, su dove erano posate in equilibrio su un legno tre uova intente a cuocere. Non sembrava essersi accorta di Damio che la fissava con la bocca aperta.
Il bambino la osservò bene (l’avrebbe ricordata per tutta la sua vita): era vestita di una tunica bianca che emanava lo stesso sapore antico dell’arena e calzava due sandali impolverati, ma cosa più straordinaria, indossava un’ elmo.  Il bambino si convinse di aver visto quel modello soltanto nei numerosi libri di storia della biblioteca reale; sembrava di fattezza romana, se non più antica. Sentì qualcosa premergli nel braccio e si girò lentamente. Josè si era svegliato di soppiatto e aveva seguito il fratello fino alla donna misteriosa. Damio gli avvolse il braccio attorno alla vita e continuò ad aspettare.
Cercava di capire se quella donna emanava energia “buona” o energia “cattiva”, ma la persona intenta a punzecchiare le uova emanava un’energia a lui sconosciuta.
-Che aspettate? Le uova sono pronte.
La voce della donna era suadente e autoritaria allo stesso tempo. Lanciò uno sguardo verso i due bambini.
-Allora? Parlo con voi due.
Damio si guardò indietro per assicurarsi che la donna chiamasse proprio loro, mentre Josè semplicemente scavalcò una delle rocce più basse e le si accomodò di fianco.
-Si, Damio, sto parlando a te. Non vedi che l’ha capito anche il figlio della neve?
Il bambino seguì l’esempio del fratello. Solo dopo che tutti e tre ebbero mangiato l’uovo vennero le spiegazioni da parte della donna.
-Credo di dovervi una presentazione.
Josè intervenne: - Noi vogliamo sapere solo se sei buona o cattiva.
La donna si lasciò andare in un’ espressione di ammirazione, colpita dalla tranquillità del bambino. C’era infatti un tempo in cui il suo solo nome faceva tremare gli animi dei più terribili uomini assetati di sangue.
-Tutto a suo tempo, Josè. Io sono la protettrice di quest’arena fin dal tempo lontano in cui era un tempio, e come lei, sto dalla parte della ragione. Sta a voi decidere se vi sono avversa o favorevole.
-Cosa vuol dire ‘avversa’? – chiese di nuovo Josè. Quella donna gli ispirava un senso di fiducia innata. Damio ascoltava silenzioso.
-Vuol dire ‘contro qualcuno ’.   Il mio compito era semplicemente quello di sorvegliarvi per la notte, quindi credo sia terminato. Credo di dovervi dire addio. – finì la dea.  Si, perché un tempo lontano la figura vestita di una tunica era venerata dagli uomini. Si alzò e scosse la polvere che le si era accumulata addosso, preparandosi ad intraprendere il lungo viaggio per tornare a casa.
-Te ne vai di già?- chiese Damio terrorizzato. Non voleva rivedere quella strega da solo. Voleva un’ adulto che lo aiutasse. La dea  si sentì in dovere di infondere coraggio a quel bambino, ancora così piccolo e nonostante tutto così potente. Prese il suo scudo e la lancia, poggiate in una delle rocce là vicino, poi con la punta di quest’ultima toccò lievemente Damio. Decise di sussurrargli una vecchia frase che di sicuro l’avrebbe rinfrancato, e pensato così si abbassò a livello dei due bambini, che nel frattempo si erano alzati a loro volta.
-Bambini, ricordatevi solamente che il Bene vince sempre.
Detto questo, sparì, lasciando i due bambini più spaesati di prima, prigionieri del destino.
 
Elsa aprì gli occhi. Attorno a lei c’erano Jack, Anna, Kristoff ed Olaf che la guardavano preoccupati. La regina aveva i capelli completamente grigi, e alcune ciocche si apprestavano a diventare più scure. Scoprì di non ricordare più chi stava cercando. Sentiva che erano andati fin là per cercare qualcuno, ma il nome era avvolto da un’insana nebbia scura che allungava le braccia sempre più nei suoi ricordi.
-Dove siamo? – chiese soltanto. Non riconobbe la sua voce. Anna scoppiò a piangere, mentre Kristoff la stringeva forte tra le braccia, facendole nascondere il viso alla vista di quella donna che non era più sua sorella. Lui invece la guardava ipnotizzato. Jack allungò semplicemente la mano, ma in cambio ricevette una saetta di ghiaccio nero (dove l’aveva già vista?) che quasi lo colpì alla guancia, così la ritrasse subito.
Elsa si alzò seduta. Registrò di lato che il suo vestito celeste si stava ricoprendo di macchie scure, come se si stesse riempiendo di grossi funghi neri che lo mangiavano lentamente e inesorabilmente. Si sentiva diversa.
-Siamo a pochi passi da una strana arena. Ci siamo fermati perché avevi incominciato ad urlare come se ti stessero scotennando viva, e non abbiamo voluto quindi proseguire oltre. – rispose Jack meccanicamente. Ricordava infatti bene cosa potevano fare ghiaccio e buio insieme e pensava quindi ad un modo per non perdere per sempre Elsa senza causargli danni permanenti. Aveva già conosciuto il Male sotto un’altra forma. Poteva combatterlo di nuovo. Si alzò in piedi, la punta del bastone rivolta verso la regina intenta a guardarsi intorno. Doveva trovarsi in una sorta di antico oliveto che, crescendo, era diventato un piccolo bosco di ulivi dai frutti grandi e verdi. Non è stagione di olive, pensò sdegnata, poi quasi inconsciamente sbatté il piede a terra. Una sottile lastra di ghiaccio striato di nero avanzò veloce verso l’ulivo più vicino a lei, avvolgendolo e soffocandolo nella sua morsa gelida. L’albero divenne cenere fredda e un sorrisetto di soddisfazione affiorò nelle labbra della regina.
-Che cosa stai facendo? – le gridò Krostoff. Era ancora seduto con Anna piangente tra le braccia. Elsa non l’ascoltò nemmeno. Le voci le stavano parlando.
Lascialo andare. Hai visto com’è facile? Ora vai: l’Arena ti aspetta. Devi conquistare il tuo nuovo posto tra il Male. Meglio tardi che mai, vero Elsa?
Non gridavano più. Ora parlavano lentamente, strascicanti e calme e la invitavano a vivere tutto quello che aveva sacrificato per il bene. Entravano come miele nei neuroni affaticati della regina. Mancava soltanto una barriera da abbattere per loro: la barriera che si chiamava ‘Damio e Josè’. Una volta distrutta quella, sarebbe stato l’inizio della fine. Elsa sarebbe entrata a far parte dei ‘cattivi’.
La sorpresa ti aspetta nell’Arena. Elsa incominciò a camminare a grandi falcate, senza nemmeno notare che i tacchi delle scarpe si erano spezzati e che Olaf, nonostante la nuvoletta, avesse incominciato a sciogliersi.
-Elsa!
La regina fu costretta a fermarsi. Quella voce… quella voce andava oltre il Male, oltre tutte le barriere abbattute nella sua mente. Si girò, l’azzurro dei suoi occhi che prendeva una sfumatura rossiccia.
Anna era davanti a lei in una posa che non ammetteva repliche. Si asciugò rabbiosa le ultime lacrime che le scendevano dagli occhi. Non avrebbe perso di nuovo la sorella.
-Tu non sei questo. Io non lo so cosa ti sta succedendo, so soltanto che non devi ascoltare, ok? Non ascoltare quello che ti dicono. Tu non sei un mostro, Elsa. – fece una pausa per trattenere un singhiozzo.
-Tu sei mia sorella.
Elsa rimase immobile, ma le ciocche di capelli che andavano sul nero schiarirono tornando grigie. Le voci si intensificarono di nuovo.
Non ascoltarla, lei vuole che tu non ti lasci andare vuole che ti rimetti i guanti tu devi solo lasciarti andare
-Anna io
lasciati andate lascialo andare
io non …
lascialo andare i guanti lei vuole che rimetti i guanti
io non posso.
Una lacrima di sangue scese dagli occhi della regina. Anna allora si avvicinò di un passo, facendo arretrare Elsa.
-Non voglio che succeda anche a te. Fa…
lascialo andare lascialo andare lei non ti vuole bene lascialo andare
fa male – finì tenendosi le tempi. Le voci erano tornate forti, mentre il polpo nero che le oscurava i ricordi accorciava sensibilmente i suoi tentacoli, mostrandole un pezzo di quello che aveva nascosto.
Lo vuoi fare un pupazzo di neve?
La voce di Anna bambina la colpì come uno schiaffo. Il ricordo liberato era il momento in cui Elsa bambina aveva smesso di rispondere alla sorellina. L’unica che aveva sempre creduto nella sua bontà.
-Non tutte le regine sono cattive. Pensa a…
Non le veniva in mente nessuna, quindi lasciò cadere l’argomento.
-Io ho sempre creduto in te. Io sento che sei buona. Io lo so! Tu hai protetto tutti dai tuoi poteri per non far male a nessuno, non puoi essere cattiva.
Alcune ciocche dei capelli di Elsa schiarirono, diventando grigio chiaro. Le voci ormai avevano ripreso a gridarle nella testa, devastandole ogni minimo ragionamento che cercava di fare. Le gambe le cedettero e si ritrovò inginocchiata a terra mentre, con gli occhi strizzati e il labbro inferiore stretto nella morsa dei denti ancora bianchi, si stringeva le orecchie. Urlava.
Anna era intimorita da tutto quello che stava succedendo davanti a lei, ma nonostante tutto decise di avvicinarsi alla sorella. Aveva un unico pensiero fisso: Io ho sempre creduto in te. Lo rigirava dentro la sua testa come un monile prezioso mentre si avvicinava ad Elsa, come per proteggersi da quella qualsiasi cosa che stava divorando la sorella.
Anna la abbracciò. La abbracciò finché non sentì la regina smettere di divincolarsi, finché non si tolse le mani dalle orecchie e finché non smise di morsicarsi il labbro già sanguinante. Le voci dalla testa di Elsa, con l’arrivo della sorella, avevano preso ad aumentare di volume abbastanza da far contrarre ogni muscolo che conteneva il suo corpo per poi sparire senza lasciare traccia. Beh, non proprio: la devastazione e il senso di vertigine che avevano lasciato nella sua testa l’avrebbero torturata per giorni.
Appena le voci sparirono, sparirono anche le ciocche grigie rimanenti, lasciandone solo una piccola grigio chiaro nel lato destro della testa. Un segno della lotta che aveva combattuto. Scoppiò a piangere tra le braccia della sorella, insieme ad Anna che la stringeva. Le loro lacrime lasciavano nel terreno polveroso piccoli cerchi concentrici, che lentamente riportarono alla luce le migliaia di radici che la magia malefica della strega aveva fatto sparire per creare  il sentiero rivelatosi alla fine inutile. Olaf si ricompose in solida neve e alla vista delle due sorelle abbracciate e piangenti si asciugò una piccola lacrima di neve, che cadde nel terreno alimentando un piccolo fiore giallo che cresceva a vista d’occhio. 
-Adesso andiamo a cercare i bambini. – disse Anna appena riuscì a parlare. Elsa la guardò interrogativa, gli occhi pieni di lacrime. Notò con orrore che la traccia rossastra non era sparita dall’iride della sorella maggiore.
-Che bambini? – chiese innocentemente. Se Anna avesse potuto vedere dentro i ricordi della regina, avrebbe potuto notare un’unica macchia scura e, in trasparenza, una scritta leggera sopra il ricordo nascosto: Damio e Josè.
Si fece avanti Jack mentre Anna tornava sconfitta ed esausta tra le braccia del marito. Posò il bastone a terra e sfiorò il viso di Elsa leggero con le dita fredde. La regina socchiuse gli occhi.
-Ti ricordi di me? – gli chiese in un soffio. Se Elsa si fosse dimenticata di lui, sarebbe veramente stata la fine, ma per fortuna l’unico ricordo malmesso non lo riguardava.
-Certo. – rispose Elsa. Lo fissò con gli occhi di ghiaccio, ancora velati di rosso, poi lo baciò.
Jack rimase all’inizio sorpreso da quella manifestazione d’affetto così viva, poi ricambiò il bacio.
-Strano. Sono facile da dimenticare. –sussurrò il ragazzo appena il bacio si concluse.
Elsa impallidì ad un tratto, poi barcollante si diresse verso un cespuglio. Lì si piegò e vuotò il poco contenuto del suo stomaco per terra, per poi rimirare ansante quello che aveva gettato fuori dal suo corpo tanto violentemente. Conteneva per di più sangue misto ad un liquido nero e puzzolente che restava raggrumato senza espandersi come di solito fanno i liquidi, ma restando invece nella stessa forma in cui era stato gettato.
Jack e Anna si avvicinarono con due dita pinzate nel naso per non avvertire l’odore pungente di quel prodotto strano. Fu Jack a riconoscerlo, e a capire con che cosa aveva avuto a che fare negli anni prima di incontrare Elsa. Era la stessa materia che scorreva nelle vene dell’uomo che aveva incontrato tante volte nelle sue battaglie, nonché di ogni creatura fedele al Male che avesse incontrato.
Prima che qualcuno potesse fermarlo allungò una mano al fianco, dove teneva un piccolo pugnale per le evenienze, e passò veloce il filo leggero sul braccio più vicino a lui di Elsa. Dalla ferita sgorgò sangue rosso puntellato da gocce della sostanza nera che sostava ancora dietro al cespuglio.
Imprecò. La regina lo guardava spaventata, mentre Anna impallidiva mentre si portava la mano destra alla bocca. Aveva già visto quella sostanza.
Aveva quindici anni. Era successo un giorno prima che i suoi genitori si imbarcassero per il loro ultimo viaggio. Come ogni mattina da quando la sorella le aveva chiuso la porta, si apprestava ad andare a bussare alla sorella, quando aveva visto una figura nera come inchiostro ferma davanti alla porta bianca.
All’inizio si era nascosta dietro una rientranza del muro, ma quando aveva visto una lingua da rospo sorprendentemente lunga uscire dall’animale per entrare nella serratura della porta non era riuscita a resistere. Con una mossa fulminea si era tolta la scarpa e l’aveva lanciata contro quell’essere.
 Era stato uno scatto talmente veloce che il mostro aveva appena fatto in tempo a ritirare la lingua (non perché avesse compiuto il suo dovere, ma perché aveva sentito un rumore sospetto) per poi essere spiaccicato a terra. La giovane Anna allora si era avvicinata e aveva visto.
Il liquido nero uscito dall’essere si era volatilizzato velocemente nell’aria, così riprese la sua scarpetta e si preparò a cantare alla sorella per l’ennesima volta. La voce era così spenta che decise che quella era l’ultima volta che bussava, e così in effetti fu.
-Non può essere – mormorò Anna incredula. Quel liquido scorreva adesso anche in sua sorella.
Jack strappò una striscia dalla maglia che portava e con quella strinse e coprì lo squarcio nel braccio di Elsa, immobile nella paura. Ho delle cose nere nel sangue, pensò raccapricciata.
-Ora dovremo andare da Damio e Josè.
Olaf sembrava intervenire proprio nel momento giusto. Le due sorelle annuirono, poi Elsa fece strada all’arena dove gli aveva diretti.
Ma chi sono Damio e Josè, pensò, forse i bambini da salvare?
Intanto nei suoi ricordi la macchia si risvegliò e allungò un tentacolo verso un altro ricordo. Era pericoloso per il Male che la guidava. È il ricordo più pericoloso di tutti, pensarono le voci. Sopra il ricordo c’era scritto un solo nome di quattro lettere: Anna.
 
Fu Josè il primo a vederli. Stavano giocando con  dei piccoli dadi tratti dall’aria da Damio e toccava a lui a lanciare, quando vide avvicinarsi delle figure a lui ben note. Subito si alzò dal polveroso pavimento marmoreo e gli corse incontro, gridando:
-Sono loro! Ci hanno trovati, ci hanno trovati!
Anche Damio si alzò in piedi, ma non si avvicinò alle figure. Aspettò che fosse il fratello a portarli nel punto in cui si erano accampati. Sentiva che c’era qualcosa che non andava.
Come se sentisse che Elsa fosse diversa. La regina stava distaccata da tutti, la ciocca grigia nascosta tra i capelli chiari e gli occhi che guardavano i bei disegni del pavimento (o almeno, quello che si poteva scorgere attraverso la polvere e gli anni di abbandono). Anna, Olaf e Kristoff sembravano indubbiamente troppo allegri per un viaggio di recupero come quello, Damio lo sapeva, e perdipiù non aveva mai visto sua mamma così seria.
Anche Jack, nonostante in altre circostante si sarebbe unito all’allegria generale, restava muto, e il suo sguardo andava dalla regina a Josè e viceversa. Sembrava preoccupato. Ad un tratto il sorriso di Anna si disfò e la sua espressione falsa di qualche secondo prima si dissolse in una maschera di stanchezza e tristezza.
-Vogliamo prendere in giro due bambini che ne sanno molto più di noi? Smettiamola.
Josè smise di ridere e Olaf di strapazzarlo. Anna si mise accanto alla sorella maggiore, che sembrava avere vergogna di alzare gli occhi verso qualsiasi essere umano. Intanto la macchia era intenta a tessere la sua bava nera attorno al ricordo di Anna.
Il tempo che la principessa finiva di raccontare la storia ai due bambini, che Elsa aveva dimenticato tutto della figura che ora le aveva avvolto un braccio intorno alle spalle. Alzò gli occhi verso di lei, e alla ragazza morirono le ultime parole sulle labbra. Il rosso andava facendosi strada negli occhi di Elsa sempre più.
-Chi sei tu? – chiese alla sconosciuta con le trecce che la guardava paralizzata.
Intanto la luce del giorno andava spegnendosi lentamente nell’arancione del tramonto.
Una risata ben nota ai bambini emerse da dietro una delle poche colonne ancora in piedi, e presto da questa spuntò anche un viso familiare.
-La donna!- urlò Damio indietreggiando spaventato. La strega si smaterializzò e riapparve a pochi metro dal gruppo.
-Bravo nanerottolo. Hai indovinato.
Istintivamente, Anna scivolò davanti alla sorella. Era quasi sicura che la donna che aveva di fronte aveva qualcosa a che fare con Elsa. Le dava una sensazione di… sbagliato.
-Non farai del male a mia sorella. Non di nuovo.
La strega scoppiò a ridere.
-Tesoro, io non sto facendo del male alla sua sorellina. Si sta facendo male da sola. O meglio, bene da sola.
-Che cosa vorresti dire?
La donna avanzò verso Anna finché non le fu a pochi centimetri dal naso.
-Lei sta solo decidendo da che parte stare.
Come a conferma della frase, negli occhi di Elsa baluginò una luce sinistra. Damio ritrovò a quella vista tutto il coraggio che aveva perso durante l’ultimo scontro (e avvertì anche la dose leggera che gli aveva donato l’antica dea) e con un balzo raggiunse la strega e la fece cadere nella polvere.
Elsa guardava tutto questo senza reagire. Jack scomparve nella foresta a cercare delle erbe ben specifiche. Infatti gli pareva di aver sentito, in un momento del suo lungo passato, una leggenda su delle piante che potessero estrarre il male dalle persone. Ahimè, non poteva sapere che così facendo si modificava il cuore di quella persona per sempre!
La strega intanto lanciò un globo di nero al bambino, e quello fu parato da Damio con una lancia ghiacciata lanciata al momento giusto. Fu così che iniziò la lotta, ma questa volta con l’aggiunta di Kristoff e di Anna che lottavano con tutte le loro forze contro le ombre che la strega attirava a sé dalla terra.
 
Affondo, virata, attacco. Espèra trafisse l’ultimo dei suoi carcerieri con un colpo all’addome, poi volò via più veloce che poteva da quel luogo infernale. Le ali di una fata potevano sembrare molto fragili eppure erano dotate di una forza straordinaria.
Vide finalmente il tunnel di cui gli aveva parlato l’uomo che la teneva prigioniera, lo imboccò e finalmente uscì alla luce del sole morente. Dovette arrampicarsi sulle radici sporgenti nell’ultimo pezzo per via delle dimensioni ridotte, ma uscì.
Alberi. La prima cosa che vide dopo sette anni di buio erano alberi. Tantissime piante di ulivo (com’era bello riconoscerle anche dopo tanto tempo) sfociavano dal terreno forti e impassibili, cariche di frutti. A giudicare dai frutti dovremmo essere in autunno, ma non vedo foglie colorate a testimoniarlo, pensò mentre si rimboccava le maniche della tunica col cappuccio che aveva rubato per evadere dalla sua prigione. A meno che…
Fece un giro intorno a sé stessa per avere la panoramica della zona.
-Mio Dio… - sussurrò incredula. Aveva cercato quell’arena per anni prima che venisse rapita, e adesso era proprio davanti a lei. L’arena del Pendolo si innalzava davanti a lei, immensa nel suo antico marmo, bellissima anche dopo tanti anni di abbandono.
Felice annusò l’aria e, come si aspettava, sentì l’odore della primavera.
- C’è solo un posto al mondo in cui gli olivi fruttano tutto l’anno. Qui.
Esaltata dall’ebbrezza della nuova libertà e della scoperta derivata da essa annusò l’aria di nuovo. Le fate sono creature estremamente sensibili agli odori, e anche Espèra non era da meno.
Avvertì intorno a sé l’odore forte della magia. Magia potente, magia che sapeva di conoscere bene ma che non afferrava. Scoprì continuando ad annusare che proveniva dall’arena davanti a sé, così nascose le ali sotto la tunica e si incamminò verso i grossi massi da spostare. Riuscì a fare due passi, poi venne letteralmente travolta da un giovane ragazzo argentato (fu la sua prima impressione) che correva in tutta velocità verso l’arena con delle erbe in mano. Il cappuccio le cadde all’indietro. Per la fata non fu difficile riconoscerlo.
-Jack? Che ci fai qui in primavera?
Il ragazzo sembrò spaesato, poi azzardò un nome.
-Sei la fata dei dentini? – chiese alla ragazza dai capelli gialli come il grano davanti a lui.
Lei scoppiò a ridere di gusto (la sua risata ricordava quasi quella della strega, ma non dava i brividi che l’altra procurava) e quasi soffocò.
-No! Io.. io non sono una fata. – mentì lei. Non era di certo la “fata dei dentini”: era una semplice creatura magica che si era trasferita in quella terra anni prima, ma per il meglio desiderava nascondere la sua identità a tutti.
Jack la aiutò a rialzarsi, poi con rammarico indicò le piante che aveva colto.
-Servivano per curare una persona molto speciale, ma ora tutte rovinate così non servono a nulla.
Espèra sorrise: un sorriso caldo, capace di sciogliere anche il più tenero tra i giganti. Prese la mano libera di Jack e con un’abile gesto creò dall’aria alcuni esemplari perfettamente integri della pianta che voleva il ragazzo. Jack lasciò cadere le piante malmesse a terra e strinse le fresche nel pugno.
-Non so come ringraziarti. Come hai fatto?
La ragazza si rimise il cappuccio e non rispose. semplicemente si incominciò ad arrampicare nelle rocce più basse, per poi fare a Jack segno di seguirlo.
 
Kristoff era gravemente ferito. La luce morente del sole lanciava ombre incredibili sul suo volto segnato dalla sofferenza. Anna stava inesorabilmente per ricevere la stessa sorte: la donna con cui combatteva per proteggere i bambini aveva i poteri magici, e nonostante lei facesse di tutto per bloccarli e i suoi due nipoti facessero di tutto per deviarli, si sentiva sempre più stanca. La spada creata da Damio diventava sempre più pesante nelle sue mani, mentre invece la strega non dava minimi segni di stanchezza. Poi ci fu l’attimo.
Un riflesso del sole che si riflette nell’occhio, ed eccola a terra, la lama scura della spada nemica puntata verso di sé e la sua lontana, troppo lontana per essere presa. Questa volta la donna non si fece prendere dai monologhi da cattivo. Preparò il colpo finale.
 
La nube nera che avvolgeva i suoi ricordi si dissolse completamente adesso. Sua sorella era in pericolo di vita. Ricordò in un’ istante il gesto che Anna aveva fatto per lei tanti anni prima, quella spada che  non  aveva mai raggiunto il suo obiettivo, e in quell’istante nei suoi occhi sparì completamente il rosso che sembrava volerla divorare.
-No!
Elsa non raggiunse mai la spada. Una grossa scheggia di ghiaccio si creò dal suo palmo e si andò ad unire con quella più piccola creata da Josè, creando una barriera contro cui la spada nera si frantumò al tocco. Anna intanto stringeva gli occhi attendendo la morte che non arrivò mai. Quando finalmente aprì gli occhi, vide Elsa che la guardava raggiante e benevola. Nei suoi occhi non c’era più traccia di rosso.
-Avevi ragione. Non tutte le regine sono cattive.
Lacrime di gioia e di vita splenderono nel viso di Anna, che abbracciò forte la sorella ridendo e piangendo nello stesso momento.
La strega bestemmiò contro la protettrice dell’arena a quella vista e lanciò un dardo di nero verso Damio che lo schivò senza problemi. Nella foga del momento, il bambino creò delle grosse saette di luce che viaggiarono dritte verso la strega, che restò immobile. Fu colpita di striscio alla guancia. Gocce di sangue nero le si riversarono dalla ferita superficiale.
-Tu. Mi. Hai. Colpito. – ringhiò rivolta a Damio. Il bambino mostrò i denti, e la donna ghignò nella sua direzione.
-La battaglia non è ancora incominciata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Ciao a tutti. Come avrete intuito, i pensieri scritti in corsivo sono malevoli, mentre quelli scritti nel carattere normale sono l’opposto. Ringrazio ancora tutti quelli che seguono questa storia dal profondo del mio cuore, e vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo. No, non c’entra nulla Pitch o la fatina dei denti o altri personaggi de “le 5 leggende”, quindi non fatevi illusioni (l’unico personaggio tratto da quel film è Jack Frost)
L’ultimo capitolo sarà veramente… difficile da scrivere, quindi dubito che uscirà tra quattro giorni, ma piuttosto appena sarà finito sarà dura riprendersi dalla batosta.
Ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo!
;)
  
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