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Autore: Panver    07/07/2014    1 recensioni
Anite e Robbo si incontrano in una sera uggiosa: lui ha bisogno di un accendino e lei gliene porge uno di un orribile color rosa.
Lei è convinta che quello sconosciuto non lo rivedrà mai più. Lui pensa che quegli occhi verdi fossero davvero belli.
Anite è tormentata dal suo essere sempre una comparsa, ai margini della storia di qualcun altro. Robbo troppe volte non dà voce ai suoi pensieri.
"Io resto con te. In questa vita, in questo mondo, in quest’universo e in tutti gli altri mondi paralleli."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fumo.




Il piede tamburellava freneticamente sul marciapiede bagnato dalla solita pioggia leggera che da qualche giorno non smetteva di cadere. Era talmente abituata che ormai non ci faceva più caso. Le bastava indossare una felpa col cappuccio e un paio di anfibi e tutto andava per il meglio. Colpì il legno della panchina su cui era seduta con le sue mani e compose di nuovo il numero di Janette sul cellulare. Niente. Non rispondeva a quella chiamata come non aveva risposto alle altre venti. Dove diavolo era finita? Lei odiava aspettare. L’avrebbe uccisa con le sue stesse mani. Sbuffò, si alzò, camminò per qualche metro, ritornò indietro, si sedette di nuovo sulla panchina, riprese il cellulare, richiamò e a rispondere fu sempre la segreteria telefonica, imprecò alzando gli occhi al cielo, si alzò e lanciò lontano con un calcio una povera lattina vuota lì vicino, calciò i piedi come se fosse una bambina (lo faceva sempre quando era nervosa e arrabbiata).
“La uccido, la uccido, la uccido. Questa me la paga” si ritrovò a mormorare da sola.
“Scusami?!”. A quel suono sobbalzò e lanciò un urlo. Qualcuno le aveva sfiorato la spalla spaventandola a morte. Da dove diavolo era saltato fuori quel tizio? Avrebbe voluto ammazzare anche lui. Si girò spaventata verso colui che le aveva fatto venire un colpo e ciò che vide fu solo una giacca nera. Dovette alzare la testa, e di tanto, per poterlo guardare in faccia. Ma quanto era alto? Ok, lei non aveva molta voce in capitolo dal basso del suo metro e cinquanta ma quel tipo era troppo! Stava cercando di non riderle in faccia ma da come sghignazzava non è che si stesse impegnando tanto.
“Scusami. Non volevo spaventarti.” Disse tra una risatina e l’altra. Se con la mano ci fosse arrivata, lei gli avrebbe volentieri dato un pugno in faccia.
“Nessun problema. Dimmi” e gli regalò un sorriso a trentadue denti più falso della faccia di Donatella Versace.
“Avresti un accendino?” solo allora notò la sigaretta che teneva nervosamente in mano. “No, mi dispiace. Non fumo.” Lui le sussurrò un grazie, girò le spalle e camminò via. Lo osservò per un po’: le mani nelle tasche, la giacca che svolazzava al vento, la sua andatura un po’ buffa, con la testa incassata tra le spalle, la schiena un po’ curva, le gambe lunghe, la sigaretta ancora tra le mani.
“Ehi aspetta!” lo sconosciuto si girò immediatamente rischiando di inciampare tra i suoi piedi e lei lo raggiunse sogghignando per la sua quasi caduta.
“Mi sono ricordata che la mia amica mette tutto quello che le serve nella mia borsa perché sa che dimentica le sue cose facilmente e se ne ha bisogno ci sono sempre io. Sei fortunato perché anche lei fuma. Ecco l’accendino.” E gli porse l’oggetto minuscolo di un rosa shocking disgustoso. “Lo so, il colore fa schifo. Sembra l’accendino di Barbie”. Lui sorrise accendendosi la sigaretta. “Perché non somiglio a Barbie io?” in risposta lei scoppiò a ridere. “Beh, gli occhi azzurri ci sono e i capelli biondi pure. Ti manca il vestitino rosa”. Questa volta fu lui a ridere.
“Grazie comunque. E piacere, Robert. Ma tutti mi chiamano Robbo.” Lei gli strinse la mano che lui le aveva allungato. “Io sono Anite. Piacere mio”. Lui mosse le labbra ripetendo quel nome, lo assaporò e decise che sì, gli piaceva molto. Anite, intanto, non si rese conto che la mano non gliel’aveva più lasciata. Non si rese conto di quanto fosse piacevole sentire le sue dita minuscole avvolte dalla sua mano grande e forte. Non si rese conto di come i loro occhi si fossero ancorati l’uno all’altro. Non si rese conto del sorriso che gli stava rivolgendo. Non si rese conto del telefono che le vibrava in tasca, né si rese conto della pioggia che stava cadendo più fitta. Robbo, invece, osservò la ciocca di capelli scuri appiccicata alla fronte, la goccia d’acqua che si intrappolò tra le sua ciglia, per poi ricadere sulla sua guancia. Osservò quella goccia percorrerle tutto il viso fino ad arrivare sulle labbra schiuse e lì ci restò per tanto tempo come un se fosse un amante avido di lei. Osservò il petto di lei alzarsi e abbassarsi freneticamente e il vapore generato dal suo respiro. Osservò che era minuscola, che sembrava così fragile, che si potesse spezzare da un momento all’altro. La osservò e ne rimase incantato.

“Robbo!” Anite sussultò e lo stesso fece Rob quando si accorsero degli amici che lo chiamavano. Si salutarono con un sorriso e un “Ci si vede in giro” sussurrato. Ad Anite sembrava fosse passato un secondo, Robbo si accorse che la sua sigaretta se l’era fumata il vento. Anite se ne andò pensando che era stato bello scambiare uno sguardo con uno sconosciuto, incrociare qualcuno per caso e scambiare con lui per pochi secondi qualcosa di così intimo. Robbo pensava che aveva dimenticato di restituirle l’accendino e proprio non riusciva a capire come non si fosse accorto di tutto il tempo passato a fissare quegli occhi verdi.
 
***

“Dove sono gli altri?” Robbo si accese una sigaretta.
“Penso stiano arrivando. Lo sai com’è Janette.” Rispose Anite sistemandosi i capelli che svolazzavano al vento. Robbo la osservò mentre lei girava il viso da un lato all’altro della strada sperando che gli amici arrivassero  presto. Faceva un freddo cane. Lei odiava il freddo, odiava aspettare e odiava il vento che le scompigliava i capelli lunghissimi. Robbo sorrise quando lei sbuffò. Era così divertente vederla spazientita.
“Senti, io inizio ad entrare per occupare un tavolo. Sto congelando qui fuori.” Si girò verso di lui con il viso quasi interamente nascosto dai capelli che ormai avevano vita propria. Cercò di spostarli con un gesto isterico della mano e rivolse a Robbo lo sguardo più imbronciato mai visto. Lui si aspettava che prima o poi avrebbe cominciato a pestare i piedi. Era una bambina di ventun’anni, e non solo per l’altezza. Sorrise di nuovo pensando che fosse la visione più tenera di questo mondo.
“Ti raggiungo fra due minuti. Finisco di fumare ed entro.” Robbo le indicò la sigaretta appena accesa e lei girò i tacchi ed entrò nel pub lì vicino. Nel momento in cui mise piede lì dentro fu investita da un getto di aria calda, dal vociare della gente e dalla musica rock di un gruppo che suonava dal vivo. Si addentrò cercando di farsi spazio tra la ressa. Quasi le mancava il respiro. Perché quel posto era sempre così affollato?! Riuscì per miracolo ad attraversare tutta la sala sapendo che solo in fondo, vicino alla band, ci sarebbe stato un tavolo libero. Fece vagare lo sguardo fino a quando un tavolo attirò la sua attenzione. Un ragazzo teneva la mano di una ragazza che sorrideva come se davanti a lei ci fosse l’uomo della sua vita. Anite sentì che di lì a poco le sarebbe venuto un colpo, sarebbe svenuta o avrebbe potuto vomitare lì davanti a tutti o magari tutto assieme. Si girò velocemente per paura di essere vista e si lanciò in una corsa disperata per arrivare al più presto fuori dal locale. Trovò Robbo dove l’aveva lasciato, appoggiato ad un muretto. Era sconvolta, respirava a fatica, le veniva da piangere.
“Mi dai una sigaretta?” chiese a Robbo che in risposta la guardò sconvolto.
“Tu non fumi.”
“Non fare il capitan ovvio. Voglio solo una sigaretta” disse lei allungando la sua mano aperta verso di lui, cercando di calmarsi e di non fargli notare nulla.
“No.” E si girò per entrare nel pub.
“Dai, ti prego. Ne ho bisogno.” Robbo se la ritrovò davanti che cercava di intralciarle la strada. Notò che era pallida, con gli occhi un po’ lucidi e il respiro affannato. “Cos’è successo Anite?”
“Niente” sussurrò lei abbassando lo sguardo.
“Dimmelo e ti do una sigaretta.” Lei sbuffò guardandosi attorno. Iniziò a battere i piedi per terra. Era nervosa. Si passò le mani tra i capelli anche se questa volta il vento non glieli aveva scompigliati. Era molto nervosa. Sbuffò di  nuovo.
“C’è Alec dentro. Con una ragazza.” Era stato un sussurro così debole che Robbo, all’inizio, aveva pensato di non aver capito.
“Ah.” Fu l’unica cosa che disse.
“Ora dammi la sigaretta. Me l’avevi promessa!”
“No. Ti fa male.” Continuò lui.
“Vedi che ti picchio.” A queste parole Robbo scoppiò a ridere. Ci provava sempre a picchiarlo ma finiva inevitabilmente per farsi male lei. La sua risata non fece che spazientire Anite ancora di più.
“Allora mi arrampico!”. E si lanciò su di lui urlando “Modalità koala!”. Robbo per poco non perse l’equilibrio. Anite gli si era incollata addosso, le braccia attorno al suo collo, le gambe strette a circondare la sua vita. Dio, era proprio una bambina. Intanto Robbo rideva e rideva e rideva ancora mentre lei cercava di stritolarlo. All’improvviso lui percepì la presa allentarsi e sentì le orecchie inondate da alcuni singhiozzi. Il sorriso gli morì sulle labbra sentendo Anite disperarsi. Sentiva il respiro pesante riscaldargli il collo, le lacrime bagnargli la pelle. La strinse a sé accarezzandole i capelli sedendosi sul muretto lì vicino.
“Perché?” singhiozzava lei. “Robbo mi spieghi il perché?” e gli strinse forte la giacca. Era la stessa di quando si erano incontrati per la prima volta.
“Mi ha lasciato appena due giorni fa e già sta con un'altra!” gli diede un pugno sulla spalla immaginando che al posto suo ci fosse Alec.
“Cos’ho che non va? Cosa? Perché tutti mi illudono? Sei la ragazza perfetta! Una come te dove la trovo! Sei intelligente, bella, simpatica! E poi se ne vanno a scopare altre!” pianse ancora più forte sulla spalla di Robbo.
“Mi sento sempre così rifiutata. Sono sempre quella di passaggio, sempre un personaggio secondario e mai la protagonista. C’è sempre qualcuno prima di me. Magari più bello o più intelligente o più simpatico. È come essere ai margini della storia di qualcun altro. Vivi, sei lì, ti vedono ma non ti guardano, ti parlano ma non ti ascoltano, ti avvicinano per allontanarti sempre più, ti rivolgono uno sguardo per poi dedicarsi di nuovo al centro dei loro pensieri. E al centro non ci sei mai tu. Sempre, sempre, sempre a quei cazzo di margini.  E vedi gli altri vivere, recitare quello che è il loro ruolo principale, sentirsi amati, rispettati. Sentirsi semplicemente considerati da qualcuno. Sono così stanca di essere la spettatrice della storia di qualcun altro.”

Anite aveva sussurrato queste parole soffiando sul collo di Robbo, senza mai alzare il viso e guardarlo negli occhi. Si sentiva così umiliata, schiacciata da qualcosa che era sempre più grande di lei. Robbo non aveva aperto bocca, stringeva con forza il pugno. Non poteva parlare, non poteva permettersi di dire soltanto una parola perché sapeva che altrimenti avrebbe detto troppo. Non avrebbe mai gettato i suoi problemi e suoi pensieri su un’Anite già precaria di suo. Non le avrebbe mai detto che, nel suo libro, Anite era il titolo di ogni capitolo, l’inizio e la fine di ogni frase, il soggetto di ogni pensiero, il fine di ogni azione. Non le avrebbe mai rivelato che il verde dei suoi occhi colorava le sue pagine bianche, che il suono delle sua voce era armonia tra uno sfogliare e l’altro, che il suo passare la mano tra i capelli, il suo battere i piedi per terra, il suo mordicchiarsi continuamente le labbra, erano gesti impressi a fuoco sulla carta. Si limitò a prenderle il viso tra le mani. La sua testa sembrava così piccola circondata dalle sue manone. Si limitò a guardarla, con i suoi occhi acquosi (e Dio se erano belli), il naso rosso, le labbra martoriate dai suoi morsi, le guance completamente bagnate. Ripensò alla prima volta che l’aveva conosciuta e a come le cose non fossero affatto cambiate: Anite era sempre lì di fronte a lui, sembrava sempre sul punto di spezzarsi ed era sempre meravigliosa. Con il pollice cercò di asciugarle le lacrime, le sorrise in modo rassicurate e poi la baciò sulla fronte. Lievemente Robbo posò le sue labbra sulla pelle accaldata di lei, tentò di protrarre quell’istante il più a lungo possibile per godere di quel contatto quanto più potesse. Riusciva a sentire solo i brividi lungo la sua schiena. Si staccò lentamente, impegnando tutta la sua forza di volontà. Fissò di nuovo gli occhi di Anite sperando che con quei gesti lei si sentisse amata, rispettata, considerata, al centro del mondo di qualcuno. Robbo non pronunciò nemmeno una parola, né lo fece Anite. Si diressero a casa accompagnati dal rumore assordante dei respiri affannati di lei e dei passi pesanti di lui. Anite quella sera in quegli occhi blu aveva visto il mondo. Ma era troppo cieca per rendersene conto. 
***

Anite si mosse lentamente per non svegliare l’uomo al suo fianco. Si rigirò e cercò di allungare il braccio per aprire il cassetto del comodino.
“Dove stai andando?” le sussurrò Robbo con la voce impastata di sonno stringendo la sua presa sui fianchi di lei.
“Da nessuna parte. Ho solo bisogno di un’aspirina.” In risposta lui mugugnò non abbandonandola nemmeno per un istante. Anite cercò tra le cianfrusaglie di Robbo quando tra le mani le capitò qualcosa di conosciuto. Non ci poteva credere. Lo strinse tra le mani come se in quel cassetto avesse trovato un diamante. Accese la luce e strattonò Robbo per farlo svegliare. Lui le rivolse uno sguardo spaesato con gli occhi ridotti a due fessure per la luce troppo forte.
“Non ci credo! Questo è l’accendino!” Robbo sorrise guardando Anite con gli occhi luminosi e l’accendino rosa stretto tra le mani.
“L’hai conservato per tutto questo tempo!” chiese lei sconvolta.
“Certo. È sempre stato lì.”
Lei continuava a rigirarselo tra le mani incredula. “Ti ricordi com’eravamo? Mio Dio… Quanti anni sono passati?”
“Abbastanza.” Le rispose Robbo accendendosi l’ennesima sigaretta. Lei corse a spalancare le finestre perché le dava fastidio tutto quel fumo nella stanza. Lui la osservò, le gambe piccole, la curva del sedere, i lunghi capelli a ricoprirle la schiena.
“Non credi di fumare un po’ troppo?” gli chiese Anite con lo sguardo rivolto verso la finestra. Lui mugugnò in risposta. Non gli andava di parlare di quello.
“Lo sai che rischio di morire per cancro a causa di tutto il fumo passivo che mi fai fumare?” la ragazza si girò con le mani incrociate e uno sguardo severo. Robbo si soffermò sull’ancora che si era tatuata su un fianco. Poi con uno scatto improvviso le afferrò il braccio, la trascinò sul letto e la strinse a sé come se quello fosse il loro ultimo giorno insieme.
“Tu non morirai.” Le sussurrò all’orecchio. Anite sorrise e gli rispose: “Tutti muoiono Robbo.”
La presa di lui si fece ancora più forte. “Tu no. Perché cerca di capire: senza te io, la mia vita, questo dannato mondo, non avrebbero alcun senso. Capisci? Smetterò di fumare, ti preparerò solo insalate e cibi salutari, niente più birra né McDonald’s. Tu devi restare con me per sempre. Sei la mia ancora. Senza di te affondo.” E nascose il suo viso nell’incavo della spalla di lei. Anite gli accarezzò i capelli con un sorriso sulle labbra.
“Tutti prima o poi se ne vanno Robbo. Ma io no. Io resto con te. In questa vita, in questo mondo, in quest’universo e in tutti gli altri mondi paralleli.” Poi gli prese la testa tra le mani. Erano così piccole in confronto al suo viso. Gli baciò la fronte per restare nei suoi pensieri. Gli baciò gli occhi per restare nella sua anima. Gli baciò le labbra per restare nel suo cuore. Si accorse di come quel sapore di fumo le fosse penetrato dentro. I suoi capelli, i suoi vestiti, i suoi oggetti erano tutti pregnanti di quell’odore che aveva sempre accompagnato Robbo e che ora accompagnava entrambi. Anite si era resa conto di come, spesso, nei suoi atteggiamenti ritrovasse quelli di lui o di come tra i suoi oggetti c’era sempre qualcosa- un colore, un profumo, una forma- che le ricordasse lui. Ed era rimasta felice quando si era accorta che nelle parole di Robbo si nascondessero sempre delle espressioni di lei e che lui aveva preso l’abitudine di pestare i piedi a terra quando era nervoso.
Anite lo baciò, gli strinse le spalle, intrecciò la sua mano alla sua, respirò il suo respiro, conscia che entrambi erano penetrati sotto la pelle dell’altro, che lei avesse trovato la sua storia e che lui stesse scrivendo le migliori pagine del suo libro. 



Note
Ritengo doverose delle spiegazioni: la storia non è raccontata con il solito ordine cronologico. Ogni capitolo ha un tema e si compone di tre parti in ognuna delle quali si analizza un determinato momento della vita dei protagonisti legato a quel tema. Non penso che a tutti possa piacere questo metodo ma mi è venuta fuori questa cosa e ho deciso di scriverla. Non so nemmeno se continuerò hahaha. 
Una precisazione anche sui nomi che possono sembrare un po' ridicoli: Anite è un nome di una poetessa greca e mi piaceva darlo alla mia protagonista perché ho molto ammirato queste donne che in una società piuttosto misogina sono riuscite a farsi sentire. Robbo, invece, è un omaggio al film Filth interpretato da James McAvoy che ovviamente non ha nulla a che fare con il protagonista, ma mi piaceva e allora l'ho scelto. 
Il tema del capitolo è un po' un omaggio a Zeno Cosini (personaggio di Italo Svevo) e alla sua U.S.

Mel.

 
  
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