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Autore: LuLu96    07/07/2014    0 recensioni
"Call all your friends
Tell them I'm never coming back
Cause this is the end
Pretend that you want it, don't react
The damage is done
The police are coming to slow now
I would have died
I would have loved you all my life
You're losing your memory now
Quell'uomo, quel piccolo, insignificante uomo, si era rivelato l'essere meno insignificante di questa terra, l'unico vero amico che lui avesse mai potuto avere e desiderare, l'unica persona veramente importante. Se in quel momento era sul cornicione di quel tetto era per lui. "
La mia interpretazione Johnlock del momento del salto di Sherlock, spero che vi piaccia! Sto pensando di andare avanti, ma ancora non sono del tutto sicura, perciò per ora segnerò la storia come completa, ma potrebbe cambiare nel tempo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Call all your friends

Tell them I'm never coming back

Cause this is the end

Pretend that you want it, don't react

The damage is done

The police are coming to slow now

I would have died

I would have loved you all my life

You're losing your memory now

 

Stava lì, in piedi sul cornicione del tetto del Bart's, incapace di muoversi, incapace di respirare, incapace di fare un pensiero razionale. Quello non era lui. Lui non provava certe cose, certe... disfunzioni... difetti chimici del corpo che portavano a sentire. Eppure eccolo, sospeso nel vuoto a guardare l'unica persona a questo mondo che fosse stata in grado di fargli ammettere di provare dei sentimenti e di provarne di veri e sinceri. La persona che gli aveva cambiato la vita in soli 18 mesi di collaborazione, di convivenza, di amicizia. Era una persona comune, uno di quelli che avrebbe definito idioti al primo sguardo, di quelli che più che fargli saltare i nervi non avrebbero potuto fare altro. Ma si era sbagliato. Si era dannatamente sbagliato. Quell'uomo, quel piccolo, insignificante uomo, si era rivelato l'essere meno insignificante di questa terra, l'unico vero amico che lui avesse mai potuto avere e desiderare, l'unica persona veramente importante. Se in quel momento era sul cornicione di quel tetto era per lui. C'erano anche Lestrade e Mrs Hudson, certo, ma era sempre stato solo e solamente lui. Il suo migliore amico. L'aveva trovato da poco, da poco aveva un motivo per continuare a vivere che non fosse sé stesso, e ora doveva lasciarlo andare. Era sempre stato troppo attaccato alla sua vita, aveva sempre pensato di essere più importante degli altri, il suo cervello era migliore, non aveva mai pensato di togliersi la vita -azione stupida e tremendamente sentimentale- nonostante Donovan, Anderson, e tutte le persone che lo chiamavano mostro. Semplicemente non gli importava cosa la gente pensasse di lui, non gli era mai importato e non gli sarebbe certo interessato in futuro. Potevano chiamarlo mostro, geniaccio, pazzo, assassino, non gli sarebbe importato. Lui sapeva di avere ragione e sapeva che lui sapeva che era così. Cos'altro aveva importanza? La vita di John, più della sua. Dio, se gli sarebbe mancato! Sherlock estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero. La sua voce risuonò forte e roca dal telefono, così calda, così familiare. Un respiro profondo, un battito mancato del suo cure, uno strano pizzicore agli occhi. Stava piangendo?

"Pronto?"

"John" Il solo pronunciare il suo nome gli provocò un groppo alla gola e una sola goccia salata e calda oltrepassò la palpebra. Perché era così dannatamente difficile dirgli addio? Era già tutto pronto, era stato comicamente facile organizzare la sua morte in modo che sembrasse vera, aveva ritenuto particolarmente semplice quel piccolo passaggio in cui doveva salutare John. Quell'uomo lo aveva stupito di nuovo. Ma perché doveva rendere tutto più difficile?

"Hey, Sherlock, stai bene?" un'altra lacrima andò a fare compagnia alla prima. La voce gli era come morta in gola, le parole perse nei meandri della sua mente troppo grande. Poteva sembrare una cosa stupida, ma aveva preparato un discorso da fargli -Dio, come si era sentito una ragazzina idiota in quel momento! Il fatto era che adesso non lo trovava. Lo aveva scritto su un foglio da stampante e lasciato sul mobile davanti al portone del suo palazzo mentale. Era lì, era sicuro fosse lì, ma non riusciva a trovarlo. John mosse qualche passo in avanti diretto verso l'ospedale. Stava esitando troppo, doveva reagire o sarebbe andato tutto a rotoli e John sarebbe.. sarebbe...

"Voltati e torna indietro per la stessa strada da dove sei venuto.” disse velocemente riprendendo il controllo di sé, almeno in parte.

"No, sto venendo dentro" John, John, John, perché devo sempre ripetere tutto con te? Il dottore non accennava a fermarsi e continuava imperterrito a camminare verso il Bart's. John era sempre stato l'unico a contraddirlo apertamente.

"Solo, fa come ti chiedo, per favore" Dal tetto, Sherlock vide John voltarsi e tornare indietro. "Dove?" ma era anche l'unico a fidarsi di lui senza riserve o ripensamenti. Un sorriso malinconico gli si aprì involontariamente sulle labbra. Non avrebbe potuto dimenticare l'uomo che gli aveva cambiato la vita.

"Fermati lì" rispose con voce ferma, nonostante quelle due lacrime amare appena sopra le palpebre. Il dottore si fermò esattamente dove Sherlock gli aveva detto. Fiducia incondizionata nei suoi confronti. Solo nei suoi. Sherlock sentiva le gambe tremare, ma non credeva fosse solo per la paura. Perché sì, aveva paura. Paura di aver sbagliato qualcosa, paura di non riuscire a prendere bene le misure, paura di morire, paura che John, Lestrade e Mrs Hudson morissero nonostante tutto, paura di fare del male a John. Ma non era esattamente quello il punto? Fare del male a John, così sarebbe andato avanti più facilmente? Sherlock era perfettamente consapevole di essere molto importante per John, forse quanto John lo era per lui, e far sì che il dottore lo odiasse avrebbe reso più facile dimenticarlo, andare avanti.

"Sherlock?" Nell'ultimo periodo aveva messo in discussione tutta la sua vita. La sua freddezza, quello che provava, aveva una nuova consapevolezza di tutto. E aveva capito che il suo nome detto da John era l'unica cosa in grado di farlo fermare a pensare, ma non a pensare e basta, quello lo faceva costantemente. A pensare umanamente, con comprensione e quella cosa che per lui era rimasta sconosciuta fino al momento prima di conoscere il dottore, il sentimento.

"Okay, guarda su. Sono sul tetto" Vide John voltarsi e individuarlo sul cornicione. Il suo viso si tramutò in una maschera di orrore.

"Oh Dio" Due parole che in realtà erano le uniche che Sherlock si aspettava da John in quel momento. Aveva capito, John, glielo si leggeva in faccia. Ma la fiducia e la lealtà a Sherlock erano troppe, così come la consapevolezza che se fosse salito, Sherlock avrebbe saltato comunque. Il detective poteva leggere tutto questo sul volto di John. Ormai lo conosceva bene, il suo volto, dopo tutto il tempo passato a studiarlo. John era il suo mistero, il suo caso preferito e infinito.

"I...Io...Non posso venire giù, così noi...dovremo farlo così." La mente di Sherlock era incredibilmente lenta, in quel momento. I ragionamenti, le parole, le frecciatine che in genere venivano da sé, in quel momento sembravano proprio voler rimanere nascoste nel profondo della sua mente e della sua gola.

"Che sta succedendo?" Perché lo chiedi, John? Lo sai perfettamente, cosa sta succedendo.

"Ti chiedo perdono. E' tutto vero." Nonostante tutto, era ancora criptico ed evasivo, come sempre, dava per scontato che John avrebbe capito di cosa parlava. In un'altra situazione, probabilmente il dottore gli avrebbe detto qualcosa a proposito del non essere così misterioso e che non tutti, anzi nessuno oltre a Mycroft, riuscivano a stare al passo con i suoi pensieri e che non doveva trattare le persone come fossero idioti. Ma lo erano.

"C...Cosa?"

"Tutto ciò che hanno detto su di me. Ho inventato Moriarty" Si girò a guardare il cadavere del criminale che anche nella morte lo beffeggiava con il suo sorriso strafottente. Il suo sorriso. Era quello che smascherava Moriarty. Poteva sembrare una persona normale, di un'intelligenza straordinaria, ma perfettamente sano di mente. Fino a quando non sorrideva. Ma con il suo vero sorriso, il sorriso di Jim Moriarty, non quello di Jim il ragazzo gay di Molly, non quello di Richard Brook. Quello di Jim Moriarty era il sorriso di un pazzo. Un pazzo che Sherlock aveva imparato a stimare. Aveva riservato la sua stima all'intelletto delle persone, piuttosto che ai loro propositi. Escluso John. Non che John fosse stupido, tutto il contrario, ma certo non era come Moriarty o come Irene Adler. Però lui, John Watson, si meritava la sua stima e il suo affetto più di chiunque altro.

"Perché dici questo?" Sherlock si voltò di nuovo verso John che ancora lo stava guardando. Dio, quanto faceva male!

"Sono un falso"

"Sherlock..." Ancora il suo nome detto da lui. Solo dicendo il suo nome, John riusciva a fargli sentire una gamma di emozioni che non avrebbe mai pensato di provare. In quella voce sentiva rimprovero, incredulità, dolore, amore. Una fitta al cuore lo fece vacillare. Che stesse sbagliando? Che avesse già sbagliato? No, ne andava della vita di John. Di quella di John, di Lestrade e di Mrs Hudson. Ma il dolore nella voce John, così simile al suo...

"I giornali dicevano la verità. Voglio che tu lo dica a Lestrade; voglio che tu lo dica a Mrs Hudson, a Molly... in effetti, di' a tutti coloro che ti ascolteranno che ho creato Moriarty per miei scopi personali" Aveva parlato con la voce rotta dal pianto, le lacrime che minacciavano concretamente di uscire dai suoi occhi.

"Okay, sta zitto, Sherlock, sta zitto. La prima volta che ci siamo incontrati.. la prima volta che ci siamo incontrati, sapevi tutto su mia sorella, giusto?" Sherlock sentiva il cuore che gli stava per esplodere. La fiducia, l'affetto, la lealtà che John gli stava dimostrando anche in quest'ultima occasione minacciavano di fargli perdere il controllo di sé stesso. La voglia inaspettata e totalmente imprevedibile di correre giù da quel tetto e abbracciarlo forte lo colse impreparato, tanto da ritardare una risposta già pronta nella sua testa.

"Nessuno poteva essere tanto intelligente"

"Tu potevi" Un'altra fitta al cuore di Sherlock. Non sapeva come reagire, cosa fare. Troppi sentimenti tutti insieme. Aveva paura di quello che stava provando, aveva paura di sé stesso. Aveva per la prima volta paura di cedere ai suoi sentimenti, al suo corpo, che chiedevano disperatamente di non lasciare John. Ma era proprio perché teneva a John che doveva fare quello che stava facendo. Un'ironica risata appena accennata lasciò le sue labbra e una lacrima scese dai suoi occhi per scendere sulla guancia e sul mento.

"Ho fatto ricerche su di te. Prima di incontrarci ho scoperto tutto quello che potevo per impressionarti." Tirò su col naso per trattenere altre lacrime. Non voleva lasciarlo.

"E' solo un trucco. Un trucco di prestigio" Vide John chiudere gli occhi per scacciare chissà quale pensiero, in quel momento Sherlock non riusciva a leggerlo.

"No. Va bene, fermati ora" John, gli occhi chiusi e la voce rotta dalle lacrime che iniziavano a salire -questo Sherlock poteva vederlo-, scosse ripetutamente la testa. Riprese a camminare verso l'ospedale.

"No, resta esattamente dove sei. Non ti muovere" disse con urgenza. John si fermò e tornò dov'era, le mani e gli occhi alzati verso Sherlock in segno di resa. Avrebbe voluto dirgli grazie, anche se non sapeva esattamente per cosa nemmeno lui, immaginava per tutto quello che aveva fatto per lui.

"Va bene" disse John al telefono. Sherlock, il respiro affannato, tese la mano verso l'amico, quasi inconsciamente, forse per cercare di raggiungerlo, forse per fermarlo, forse per avere conforto, come un bambino quando cerca l'abbraccio rassicurante di sua madre. Lui non aveva mai potuto. John era diventato la sua famiglia.

"Tieni gli occhi fissi su di me. Per favore, lo farai per me?" La voce del detective stava piano piano diventando meno ferma.

"Fare cosa?" La voce di John... Non avrebbe voluto dover smettere di sentirla mai, non avrebbe voluto doverci rinunciare.

"Questa chiamata, è.. er.. è il mio messaggio. E' quello che fanno le persone, no? Lasciano un messaggio"

"Lasciano un messaggio quando?" Gli occhi di Sherlock cercarono istintivamente quelli di John. Voleva guardarli un'ultima volta, voleva imprimerli nella memoria per non dovervi rinunciare mai.

"Addio, John" Ancora quella stretta al petto che Sherlock aveva provato dal primo momento in cui aveva sentito la sua voce. Non avrebbe mai dimenticato John Watson, l'unica persona importante per la sua intera vita, l'unica per cui avrebbe fatto quello che stava per fare, l'unica che era mai riuscito ad amare veramente. Se ne rese conto in quel momento. Troppo tardi.

"No. Non farlo" Il panico nella voce di John risuonò forte e chiaro nelle sue orecchie. Non lasciò mai i suoi occhi, gettò il telefono sul tetto. Aprì le braccia come fossero ali. Aveva stranamente freddo, eppure era una giornata relativamente bella. In un secondo vide passargli davanti agli occhi ogni istante passato con John e desiderò solo di potersi svegliare, la mattina dopo, e sapere che lui era al sicuro nella stanza al piano di sopra, o in salotto o in cucina a fare il tè e che, uscendo dalla sua camera, avrebbe visto il suo viso. Voleva ricordare, tenersi stretto quei ricordi come fossero un bel sogno che sarebbe tornato ad essere realtà. I sogni dovrebbero sempre essere così. Lui voleva ricordare, ma John non avrebbe dovuto. Lui doveva dimenticarlo. Dimenticarlo e odiarlo. Perché era finita e lui doveva andare avanti senza Sherlock. Doveva svegliarsi da quel sogno e andare avanti, perché il meglio di quello che poteva fare doveva ancora venire e poteva farlo senza di lui. Doveva svegliarsi e dimenticarlo anche se con tutto il cuore Sherlock desiderava che non lo facesse, che non si dimenticasse di lui. L'ultima cosa che sentì fu la voce di John urlare il suo nome e squarciare l'aria e con lei il suo cuore. E poi fu un attimo.

 

Where have you gone?

The beach is so cold in winter here

And where have I gone?

I wake in Montauk with you near

Remember the day

Cause this is what dreams should always be

I just want to stay

I just want to keep this dream in me

You're losing your memory now

Wake up, it's time, little boy, wake up

All the best of we've done is yet to come

Wake up, it's time, little boy, wake up

Just remember who I am in the morning

You're losing you're memory now

   
 
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