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Autore: moonwhisper    28/08/2008    1 recensioni
- Mi piacciono i tuoi capelli – disse il giovane.
- Sono contenta che tu me lo dica – rispose lei.
Poi ne afferrò una ciocca e la recise con un colpo netto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Sai cos’è che davvero non riesco più a tollerare? –

La giovane donna non attese risposta. Allentò la morsa del delicato fermaglio nero dal capo         e lasciò che i capelli le scendessero morbidamente sulle spalle. Dalle ciocche bionde e lucide si sprigionò un delicato profumo di fiori, che aleggiò per un po’ a mezz’aria, sospeso sul tavolino di vetro, tra lei e il suo interlocutore, prima di dissolversi.

- E’ l’odore. Non sopporto più l’odore dell’umanità – disse, per poi concedersi un sospiro affranto. I suoi occhi verdi incrociarono quelli del giovane seduto di fronte a lei. Quando sorseggiò lo champagne dal lungo bicchiere un po’ del rossetto scarlatto rimase impresso sul bordo di cristallo.

- Questa è straordinaria –

Il giovane aveva capelli neri ed occhi scuri. I tratti regolari ed armoniosi del viso gli conferivano la grazia distante di un modello. Continuò a rigirare una fotografia tra le dita, fin quando la donna non l’afferrò. Nel lucido rettangolo era raffigurato un uomo sulla cinquantina. Indossava un completo blu e una cravatta a righe grigie e arancioni, che spiccava sulla camicia bianca. Il tale era intento a grattarsi la punta del naso con energia, il volto paonazzo trasfigurato da una smorfia infastidita, il parrucchino color topo storto sulla testa. Attorno a lui angoli di valigette, uomini d’affari e signore in tailleur e tacchi alti.

- L’ho scattata sei anni fa – disse la donna scuotendo la testa, mentre un sorriso le curvava le labbra piene – Trovavo ridicoli gli uomini in giacca e cravatta – puntò uno sguardo sarcastico sul petto del giovane, dove pendeva una costosa ed elegante cravatta nera. Lui sorrise ed allentò il nodo, lasciando che l’indumento scivolasse a terra, ai piedi del tavolino. La donna portò le mani al collo e sfilò il foulard rosso, di un tessuto impalpabile, abbandonandolo con la stessa noncuranza sul tappeto ocra.

- Anche questa è molto bella, non trovi? – raccolse una foto dal tavolo e la porse al giovane. Una signora in evidente sovrappeso addentava un panino, gli occhi porcini e famelici strizzati, la fronte sudata corrugata.

- Ho sempre odiato le more – disse l’uomo, sospirando.

Calò il silenzio, leggero, previsto. La giacca dell’uomo cadde a terra con un morbido fruscio, la donna cominciò a sbottonare la camicia di seta, che brillava ai raggi del sole infiltratisi dalla grande porta finestra. E poi fu la volta dei pantaloni, della gonna stretta, delle scarpe, di un’altra camicia grigio fumo. La donna fece cadere l’anello che portava al dito sul tavolino, provocando un sonoro rumore.

Erano ancora seduti, composti, divisi da una tovaglia di fotografie. L’uomo affondò un dito nei capelli, cominciando a giocare svogliatamente con i riccioli neri che gli accarezzavano la tempia.

- Cosa avremmo mangiato oggi? – chiese tutt’un tratto la donna, come se fosse un’informazione essenziale.

- Nulla. Come al solito – rispose lui, continuando a torturare le ciocche morbide. Lei si accasciò contro lo schienale della sedia, come sgonfiata. Portò una mano alle labbra e prese a strofinarle, spalmando il rossetto sul viso. Quando posò nuovamente la mano sul ginocchio nudo, la sua espressione malinconica le dava l’aria di un clown sconsolato e grottesco.

- Mi piacciono i tuoi capelli – disse il giovane, senza reagire allo strano gesto della donna. Lei tacque per qualche istante, poi rise e raccolse una piccola borsa nera accasciata accanto alla sua caviglia. Ne estrasse una forbice dalla punta affilata, che brillava di luce cruda.

- Sono contenta che tu me lo dica – rispose. Poi afferrò una ciocca dei lunghi capelli e la recise con un colpo netto. Fece la medesima cosa con molte altre ciocche, fin quando non ridusse l’acconciatura ad uno strano taglio asimmetrico e disordinato, corto, folle. Alcune ciocche bionde rimasero impigliate nel reggiseno, altre si adagiarono tra le cosce.

- Mi piacciono i tuoi capelli – mormorò il giovane, abbassando lo sguardo con vergogna.

La donna sembrò non aver sentito. Si liberò degli ultimi residui di vestiario e li lanciò dall’altra parte del lussuoso attico. L’uomo parve risvegliarsi da un ricordo e la imitò.

Entrambi  nudi e spogli si alzarono e si diressero verso il vetro che li sovrastava, come la parete di un’enorme acquario.

- Non ti amo – disse la donna, con voce atona.

- Io sempre – ribatté l’altro.

- Grazie – rispose lei, sorridendo teneramente.

L’uomo si voltò ed afferrò il tavolino di vetro. La donna si scostò lentamente. Quando il vetro si infranse con uno scoppio, e migliaia di schegge iridescenti fluttuarono davanti a loro, nessuno dei due si mosse. Attesero che i piccoli frammenti di vetro si posassero a terra e poi uscirono nell’aria fredda e limpida di un mezzogiorno invernale.

Si presero per mano.

Scalarono il cornicione, sbucciandosi le ginocchia e tagliandosi.

Caddero.

  
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