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Autore: Born in Salem    08/07/2014    0 recensioni
Passato e presente.
Chris e Diana.
Amore e eroina viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda?
"Non riuscì a trattenere le lacrime, cercò invano di contenerle ma non ci riuscì. Non perché il polso le faceva malissimo ma perché non capiva ciò che stava succedendo. Perché Chris si stava comportando così per un po’ di erba quando lui si bucava? Non aveva senso."
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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PRIMO CAPITOLO
City of angels


 
<< Quindi questa sarebbe la nostra nuova casa? >>
<< Esatto. Ti piace, Diana? >>
<< La mia camera ha il balcone? >>
<< Purtroppo sì, ma non pensare di poter fumare due pacchetti di sigarette al giorno perché hai il balcone in camera, eh. >>

Diana, mentre la madre portava le ultime valigie nell’atrio del palazzone popolare in cui si erano appena trasferite, salì al sesto piano, dov’era situato il loro nuovo appartamentino.
<< Che schifo di posto. Appena papà vedrà in che topaia mi ha portata si incazzerà come non mai. >>
Pensò, rimettendosi lo zainetto pieno di scritte sulla spalla destra, dopo averlo posato sullo sporco pavimento dell'angusto ascensore.
Il sesto piano,come tutti gli altri, ospitava una fila interminabile di porte, tutte affiancate da campanelli con nomi per lo più stranieri; aleggiava un forte profumo di pollo arrosto, e, nonostante tutte le abitazioni fossero chiuse, si sentivano chiaramente voci e discorsi arrivare dal loro interno. La porta del suo appartamento era l’ultima del corridoio, così si diresse direttamente là, senza soffermarsi ancora sugli arabi o asiatici nomi dei citofoni.

A circa metà strada sentì il suo cellulare vibrare, lo prese in mano e lesse distrattamente il display: Chris.
Chris era il suo ragazzo. O meglio, ex ragazzo. Circa cinque mesi prima, iniziò a bucarsi, diventando dipendente da quella merda dopo solo un mese. Da quel momento cominciarono i casini: lui era troppo impegnato a chiederle prestiti su prestiti per le sue dosi, finché un mese prima Diana cominciò a non rispondere alle sue chiamate o ai suoi messaggi. Sperava che in quel modo lo convincesse a smettere di bucarsi o almeno a chiedere aiuto a qualcuno che potesse fare qualcosa, nonostante fosse sempre stato una persona fin troppo orgogliosa. E pensava ingenuamente di essere riuscita nel suo intento quando le mandò un messaggio di scuse, convincendola che si fosse lasciato alle spalle l’eroina; ma la speranza crollò nuovamente a pezzi perché, neanche due ore dopo quel messaggio, Diana venne chiamata dalla sorella di Chris, Anna, che la informò che il fratello non era affatto uscito dal giro e che quindi le stava mentendo.

Dopo un’infinità di secondi il telefono cessò di vibrare, Diana tirò un sospiro di sollievo nonostante sapesse che quella non sarebbe stata l’ultima telefonata di Chris, dato che il giorno dopo sarebbe stato per entrambi il loro primo giorno di scuola. In istituti diversi, fortunatamente per Diana.
Diana, infatti, avrebbe frequentato il terzo anno in un istituto artistico, studiando moda. Fin da piccola le appassionava disegnare e creare abiti, tutti le dicevano di essere dotata, ma suo padre l’aveva costretta sin da subito a frequentare un liceo scientifico, cosicché dopo sarebbe diventata anche lei dottoressa. Ma si sa, se una persona di sente fuori posto il primo giorno di scuola si sentirà tale per tutto l’anno; fu quello che successe. Già il primo giorno di liceo lei aveva compreso di essere l’unica a non comprendere le parole del professore. Forse non riusciva a seguire i suoi discorsi grandiosi sul futuro degli allievi di quella scuola, forse  trovava tutto ridicolo e insensato (o molto più probabilmente perché era strafatta).
Fatto sta che quando suo padre perse il lavoro due mesi prima, egli divenne un alcolizzato e Diana riuscì, in una “sbornia triste”, a fargli firmare il modulo per il cambio della scuola. Ed eccola là, ad aspettare con ansia il primo giorno di scuola mentre traslocava in un appartamento del cazzo.

Giunta davanti alla porta del suo nuovo appartamento sentì al di là di essa sua madre ridere sommessamente. Doveva essere arrivata prima lei, forse prendendo l'altro ascensore; e a quanto pare non era neanche sola.
<< Ti prego, fa che non ci sia il suo amichetto, ti prego! >> pensò Diana.
Dopo aver raccolto il coraggio necessario (e la forza psicologica) per entrare, infilò la chiave nella serratura e girò. Una volta entrata sperò con tutto il cuore di non trovare sua madre mentre faceva qualcosa di osceno con il suo apprendista.
Diana non era cieca per non notare quel feeling tra sua madre e il suo apprendista, ma cercava di non far capire alla donna che l’avesse capito fin dal primo momento. Insomma, due fette di prosciutto sugli occhi, no?

Ringraziò mentalmente Dio di non averli trovati assieme e sospirò con sollievo per la seconda volta in cinque minuti. Sua madre stava solo parlando al telefono con qualcuno, forse con una delle sue amiche. La ragazza rivolse un cenno a sua madre indicandole con la testa il balcone, che si apriva piccolo e zeppo di vasi all’apparenza vuoti, e con la mano il pacchetto di tabacco Lucky Strike rosso. Sua madre annuì leggermente anche se dalle sottili sopracciglia aggrottate si scorgeva il suo disappunto per la dipendenza alle sigarette di sua figlia neanche diciassettenne. Quello che non sapeva era che lei non ne era affatto dipendente, il tabacco che comprava poche volte lo fumava in una cartina corta.

Diana aprì la porta finestra della cucina che conduceva sul balconcino e sentì richiudersela alle sue spalle. Con la coda dell’occhio vide sua madre che si allontanava dalla cucina e sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi. Chi era entrato? Si voltò, ma sia nella cucina che nel salotto non c’era più nessuno, segno che nessuno era entrato e che quindi era sua madre quella ad essere uscita di casa.
Infatti, pochi minuti dopo, appena Diana finì di girarsi la sigaretta, vide sua madre, piccola come una formica, sei piani più giù, che attraversava il cortile interno dei palazzoni per poi prendere la propria 500 nuova bianca e sfrecciare verso l’uscita.

La ragazza appoggiò immediatamente la sigaretta su uno dei vasi capovolti, entrò in casa e prese il suo portafogli dalla tasca più piccola del suo zainetto. Aprì una taschina del portafogli e ne tirò fuori una piccola bustina dal contenuto verdognolo, un pacchettino di cartine lunghe e un abbonamento settimanale della GTT scaduto. Ritornò sul balcone, avendo cura di chiudere meglio che poteva la porta finestra e si sedette su un altro dei vasi presenti, l’unico in grado di reggere il suo peso, nonostante fosse una ragazza molto esile. Mise un po’ di erba nella mano destra, la mischiò con il suo tabacco e gettò  tutto nella cartina. Appoggiò un attimo tutto e si preparò il filtrino.
In meno di trenta secondi aveva già la sua canna pronta per l’uso, prese quindi il suo clipper e se l’accese con una cura maniacale.
Un tiro, due tiri, tre tiri, quattro tiri.

<< Mmmh, buona… >>
Cinque tiri, sei tiri, sette tiri, otto tiri, la caratteristica frenata della macchina di sua madre, nove tiri.
<< La caratteristica frenata di mamma? OH CAZZO! >>
Guardò con infinita tristezza un terzo di canna da buttare via. Che amarezza!
La lanciò, a causa dell’odore sarebbe stato troppo evidente se l’avesse spenta e messa in tasca.
<< Vabbé, tanto ne ho ancora abbastanza! >> pensò sorridendo.

Rientrò in cucina e aprì il frigorifero con fare disinvolto giusto in tempo. Sua madre apparve sulla soglia della porta d’ingresso con una busta del supermercato vicino. Ecco dov’era andata… in effetti, poi, il frigorifero appena aperto era completamente vuoto.
<< Ah, wow. Io esco… Non aspettarmi >> biascicò Diana alla madre, mentre quest’ultima stava mettendo una confezione di dodici uova in frigo.
<< Ok, non tornare tardi. Comunque ti aspetterò, voglio proprio vedere in che stato mi tornerai stanotte >>
Diana prese lo zainetto e uscì di casa. Nonostante avesse fatto pochi tiri era già abbastanza fusa dato che aveva caricato un bel po’ la canna.

Si sedette su una panchina del parco dietro i palazzoni. Quanto tempo era passato da quando era uscita di casa? Guardò l’ora: le 20.13.  Wow, erano passati solo sei minuti! Inoltre sua madre non si era nemmeno ricordata che il giorno successivo la figlia avrebbe cominciato la scuola. Meglio così, altrimenti non l’avrebbe fatta uscire.
Ad un certo punto Diana sentì una canzone familiare risuonare. "Lord of Salem" di Rob Zombie, il suo cantante preferito. La sentì ripetersi per due volte prima di accorgersi che era la sua maledetta suoneria del telefono.

Rispose senza guardare il display.
<< Pronto? >>
<< Cazzo, ti sei decisa a rispondere finalmente! E’ passato un mese! Dove sei?? >>

Chris. Si pentì subito di non aver guardato lo schermo prima di rispondere.
<< Chris… Io… Perché? >>
<< Come perché? Rispondi quando cazzo ti pare te al telefono eh? Dove sei? Passo a prenderti. >>
<< Io non so dove sono… In un parco, un bel  parco… >>
<< Tralascia la sua bellezza, in che zona sei?!>>
<< E chi lo sa! >> sbuffò sarcastica la ragazza << ... Se vuoi posso descrivertelo.>>
<< Cristo santo, descrivimelo allora, cazzo! >>
<< Ci sono degli alberi… Ma non quelli brutti, quelli belli, verdi e alti…Poi…Poi…Poi ci sono una, due, tre panchine e poi…Poi aspetta, un’insegna luminosa dove c’è scritto “non ti voglio vedere, Chris”! >>
<< Senti, piccola, te lo giuro, sto cercando in tutti i modi di mettere a posto la nostra relazione, dammi una possibilità, ti prego >> sussurrò con tristezza lui.
<< Mi devi ancora centodieci euro, dammeli e poi potrai mettere a posto quel che cazzo vuoi! >> rispose quasi urlando, trascinando le parole in maniera veramente troppo impastata.
<< Hai fumato? Porca puttana, Diana. Dici tanto a me per l’ero e te sei la prima che si fa! Porca puttana, dimmi dove sei! >>

Ora quello ad urlare veramente era lui.
<< Almeno io non mi buco. Và al diavolo, Chris. >>
Detto questo Diana riattaccò. Sentì giusto giusto la risposta di Chris al suo ‘và al diavolo'. Forse un ‘vacci te, sottona’, o forse  un ‘vacci te, cogliona'.
Ora però non aveva importanza. Riprese di nuovo cartine, un altro abbonamento, il tabacco e la sua erba, pronta a farsi un altro viaggio, sperando senza paranoie questa volta.

Dieci minuti dopo
 
<< Ok, sono andatissima. Esiste questo termine? Ahahah, chissà! >>
<< …Dove diamine vado ora? Con mamma mi è sembrato di vedere un pub carino più avanti. Boh, ho cinque euro, vado a prendermi una birretta >> continuò a pensare Diana.
Uscì dal parco, e cercò di ricordare dove aveva visto il pub poche ore prima. Di sicura nella via principale, ma a che altezza?
<< Proverò a farmela tutta, se non trovo quel pub specifico non me ne fotte, basta che mi vendano una birra. >>
Camminò lentamente, senza fretta, per una decina di minuti, curiosa del suo nuovo quartiere. Era un quartiere periferico della città e a quanto pare c’erano molti eroinomani; l’aveva notato dalla quantità industriale di siringhe usate gettate nella bassa erba del parchetto poco distante.
Ma non le importava più niente. Non le importa di Chris, o della scuola nuova sicuramente piena di oche strillanti armate di rossetto, o di suo padre che a quest’ora era di sicuro seduto davanti a un bancone di un bar a ubriacarsi fino a non reggersi in piedi, o di Chris, o di sua madre che ora stava davanti alla tv in attesa che qualche soap opera le prosciughi il cervello, o di Chris, o di Chris...
“Porca puttana!” sussurrò “Perché diamine sto ancora pensando a quell’idiota?”

Una luce dall’altra parte della strada la attirò. “Oh, che bella luce. Oooh, ma diventa verde! E rossa! Torna gialla! Ma sono i colori rastafar… ah no, c’è pure il blu, accidenti”.
Controllò che nessuna macchina passasse e attraversò la strada. “Tzé, questo a dimostrazione che sotto effetto di marijuana si capisce tutto perfettamente! Vedete? Ho attraversato controllando accuratamente che non venissi investita!” continuò a pensare, o meglio a rivolgersi a qualcuno nella sua testa. Un bel soliloquio, insomma.

Dal tipo di quartiere e dal tipo di persone davanti al pub a fumarsi una sigaretta capì che in quel locale vendevano alcool ai minorenni, per fortuna. Non che si volesse ubriacare, per carità, era già fusa e non poteva reggere tanto l’alcool. La sua unica intenzione era quella di sedersi tranquilla ad un tavolo, bersi la una birretta e non pensare più a niente.
Decise di schiarirsi un po’ le idee con una sigaretta, così si sedette sul muretto perpendicolare al locale. Incrociò le gambe e diede un’occhiata in giro. Notò un gruppetto di ragazzi che la stavano fissando,  o meglio: un ragazzo del gruppo la stava tranquillamente indicando con la mano destra e i suoi amici erano tutti voltati verso di lei, facendo commenti un po’ troppo ad alta voce su di lei. Ovviamente, lei, come risposta, alzò il dito medio della mano verso di loro, provocando una loro risata.
<< Tosta la tipa! >>
<< Già, dieci euro e mi faccio quella Rasta! >>

<< Tosta la tipa? Ma che cazzo è, uno scioglilingua per tostapani? Ma soprattutto, come minchia faccio ad essere Rastafariana se ho due piercings visibili in faccia, il dilatatore e cinque fori alle orecchie? >> pensò Diana lanciando un’occhiataccia al gruppetto, e occupandosi finalmente della sigaretta da girare.
<< Non è Rastafariana. >> sentì Diana.
Alzò la testa con sguardo carico di gratitudine verso chi aveva detto quella frase. E fu lì che sentì il suo cuore quasi fermarsi e morire.

Chris.
 
   
 
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