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Autore: Mortisia_Ailis    08/07/2014    2 recensioni
Olimpia è cresciuta con le storie di guerra di suo nonno, con il naso all’insù guardando le frecce tricolore colorare il cielo di Roma di verde, bianco e rosso nel giorno della Festa della Repubblica sognando un giorno di essere su uno di quegli aerei, di sfilare nella parata insieme ad altri militari per il presidente della Repubblica. Olimpia è cresciuta con il patriottismo dentro, affascinata dalla divisa e dalle forze armate e dell’ordine. Con la voglia di aiutare e di mettersi al servizio della sua patria, proprio come il suo amato nonno. E compiuti 16 anni decise d’iscriversi alla scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, per renderlo orgoglioso. Luca è figlio del Maggiore dell’Aeronautica Militare, cresciuto in una caserma militare e indirizzato fin da piccolo nella carriera militare. Non ha mai mandato giù il fatto che suo padre avesse scelto quella strada della sua vita per lui, che prendesse ogni decisione al suo posto, ma a volte è difficile opporsi ad un militare e Luca non voleva deludere il padre. Solo alla fine del secondo anno nella scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, quando il padre lo nominò Allievo Scelto, iniziò ad apprezzare l’esercito.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Olimpia appoggiò il suo borsone sul baule alla fine del letto, si sedette sul materasso ed accarezzò la coperta di lana infeltrita. Questa coperta mi pruderà. Chiuse gli occhi per qualche minuto prendendo un profondo respiro. L’immagine di lei e sua madre che si abbracciavano nel parcheggio dei dormitori le invase la mente. La stava vivendo come uno spettatore esterno: sua madre che la stringeva forte a sé raccomandandole di rispettare le regole, di chiamare quando avrebbe potuto, di coprirsi bene quando avrebbe avuto freddo e di mangiare la verdura. Olimpia odiava la verdura. E suo padre, con quello sguardo fiero perché sua figlia – la sua unica figlia – stava prendendo la strada che avrebbe voluto seguire lui ma che per problemi di salute non ha potuto e che avrebbe reso fiero suo padre, nonno di Olimpia. Sentì un profumo di lavanda, quello che sentiva sempre quando rientrava in casa sua, mentre l’immagine dei suo genitori salutavano con la mano Olimpia mentre lei entrava nel dormitorio femminile nella Scuola Militare Aeronautica di Firenze. Ma quando Olimpia riaprì di nuovo gli occhi non si trovava a casa sua ma in una delle tante stanze del dormitorio femminile, il profumo di lavanda non era del diffusore di profumazione che sua madre teneva sul mobile delle chiavi nell’entrata di casa loro vicino ad una conchiglia del viaggio in Grecia di qualche anno prima, ma bensì di una ragazza che prese il letto accanto al suo. Aveva i capelli biondi legati in una coda. Era piegata sul suo borsone intenta a disfarlo. Il letto era pieno dei suoi pochi vestiti che era permesso di portare, della sua trousse da bagno rosa confetto ed un accappatoio anch’esso rosa. Un piccolo cuscino con una scritta ricamata “Fai dei bei sogni”.
Olimpia si alzò dal letto e prese il borsone. La sua intera vita, adesso, era dentro quel vecchio borsone rosso e blu. I suoi vestiti, quelli preferiti, erano ben piegati e divisi in buste sottovuoto. La sua trousse da bagno blu a pallini bianchi, il suo accappatoio verde, le sue infradito bianche con le palme blu prese a Los Angeles. La felpa grigia di Abercrombie, quella del suo ragazzo, Alessandro, che gliela diede il giorno prima quando si erano salutati. “Indossala quando sentirai la mia mancanza, indossala di notte e con il mio profumo intriso nel tessuto sarò sempre lì con te” le disse prima di lasciarle un tenero bacio sulle labbra con la tristezza di non sapere quando l’avrebbe rivista ma con la speranza di riaverla presto tra le braccia.
La foto di lei e dei suoi genitori, tutti insieme nella loro vacanza a Napoli. La foto di lei e Alessandro la prima volta che si erano conosciuti. La foto di lei e la sua migliore amica, Giada, e il loro braccialetto dell’amicizia “ricorda la promessa: non lo toglieremo mai, anche a costo di tagliarci un braccio, ma il bracciale da polso non deve sparire”. Quel bracciale in corda azzurra con le loro iniziali divisa da un cuore. E per ultima, ma non meno importante, anzi forse la foto più importante di tutte, quella di lei e suo nonno il giorno del suo quattordicesimo compleanno.
Ripose il borsone vuoto sotto il letto e il resto delle sue cose nel baule, prese la sua uniforme – quello che sarebbe stata per i prossimi mesi – la camicia azzurra, il maglioncino blu, la cravatta blu, il pantalone scuro e le scarpe nere. Nel baule c’era anche la divisa ufficiale: la camicia bianca, la giacca, un altro pantalone scuro, il cappello, i guanti e le scarpe. Ecco, in qual baule, era rinchiusa la sua intera vita, ma ad Olimpia andava bene così. Ad Olimpia piaceva.
“Io sono Camilla, e tu?” la ragazza dai capelli biondi, sporta dal letto su cui era seduta, con la mano tesa in avanti e un sorriso sul viso, aveva strappato Olimpia dai suoi pensieri. Si sedette anche lei sul letto e strinse la mano a Camilla “Io sono Olimpia” e sorrise.
Gli piaceva il suo nome, per quanto strano fosse. Derivava dal greco, significava ‘abitante dell’Olimpo’. Lo aveva scelto suo padre, professore di greco al liceo e appassionato dell’Iliade. Certo, non era un nome molto conosciuto e da piccola la prendeva in giro e la consideravano strana per questa cosa, ma a lei piaceva e non si curava molto di quello che dicevano e pensavano gli altri di lei.
“Mi piace il tuo nome, sembra un nome di una guerriera. Proprio adatto a questa scuola!” Olimpia sorrise alle parole di Camilla. Era la prima persona a cui piaceva il suo nome, esclusa la sua famiglia, ed era la prima volta che qualcuno la definisse ‘guerriera’. Forse Olimpia aveva trovato la sua prima amica nell’accademia?
Dall’altra parte del campus, nel dormitorio maschile, Luca e il suo migliore amico Andrea si battevano per avere il letto vicino al muro, quello in fondo la stanza. “Sei solo un’idiota Avesani” , “E tu un pappamolla, Franchi.” I due ragazzi si erano conosciuti il primo anno in quella scuola. Erano diventati amici proprio mentre litigavano per chi prendesse l’ultimo letto tra loro due, proprio come in quel momento. Compagni di stanza, di lezioni, di guai. Migliori amici da tre anni ed inseparabili. Alla fine, proprio come il primo anno e il secondo, Luca batté Andrea e si aggiudicò lui il letto. Sistemarono le loro cose, s’infilarono le divise e con il libro di matematica in mano si avviarono entrambi a lezione.
Durante il tragitto dal dormitorio alla scuola vera e propria dove c’erano tutte le classi, i due ragazzi si raccontarono le loro vacanze estive. Andrea era tornato a Milano dalla sua fidanzata, poi a metà Luglio insieme ai suoi amici di Milano trascorse alcune settimane a Genova. Luca, invece, tornò a Verona da sua madre. Trascorse l’intera estate nella sua amata Verona, tra uscite con gli amici e nuove conquiste, i tre mesi estivi passarono in fretta tanto che non si accorse che era arrivato Settembre e il momento di ritornare alla vita militare.
Olimpia e Camilla attendevano da circa dieci minuti il foglio con l’orario delle lezioni in segreteria e quando lo ricevettero da una segretaria di mezza età e troppo bassa per il bancone, salirono le scale per il primo piano classe 214.
La prima ora trascorse lenta ed impegnativa, le due ragazze non si aspettavano che già dal primo giorno iniziassero a studiare i primi argomenti duramente ma non rimasero tanto stupite da ciò, era pur sempre una scuola militare. La seconda ora di Olimpia era fisica e, purtroppo per le due ragazze, non era la stessa di Camilla. Andarono in direzioni diverse.
Olimpia era così concentrata a cercare una penna nella sua borsa a tracolla da non accorgersi di dove andasse e Luca era troppo impegnato a raccontare ad Andrea una delle sue avventure estive da non vedere Olimpia camminare nella sua stessa direzione. I due si scontrarono e il contenuto della borsa di Olimpia si riversò a terra. Entrambi si guardarono e rimasero entrambi senza fiato. Olimpia non aveva mai visto un ragazzo così bello e anche Luca non aveva mai visto una ragazza così prima d’allora. Luca era alto, i capelli castani erano corti, quasi rasati. Gli occhi verdi. Occhi come quelli avrebbero dovuto essere vietati, oppure bisognava promulgare una legge in base alla quale i ragazzi con occhi così belli potevano circolare solo con gli occhiali da sole. Dio quanto era bello Luca! Quegli occhi verdi come un prato in primavera, le labbra piene e ben disegnate, rosse a forma di cuore, e la pelle chiara: tutto di lui era perfetto.
Olimpia era un po’ più bassa di Luca, gli arrivava all’incirca sotto il mento, con i capelli castani scuri quasi neri e gli occhi azzurri. Gli occhi più azzurri che Luca avesse mai visto. Più azzurri del cielo. Così cristallini, sembrava di specchiarsi nell’oceano, in quell’acqua così chiara che si trova solo nell’isole afrodisiache.
Si abbassarono entrambi nello stesso momento per raccogliere le cose di Olimpia e sbatterono le fronti l’una contro l’altra. Olimpia si toccò la fronte con una mano mentre con l’altra apriva la borsa e Luca infilava alla rinfusa e velocemente le cose. La ragazza si alzò in fretta, guardò Andrea quasi spaventata e superandolo velocemente, continuò per la sua strada con la borsa stretta al petto.
Luca si alzò di scatto voltandosi nella direzione in cui Olimpia era fuggita e la vide camminare in fretta verso le scale, “Ei aspetta, come ti chiami?” urlò, ma la ragazza era già troppo lontana per sentirlo. Luca abbassò lo sguardo sulle sue mani dove stringeva una foto: era una ragazzina e un signore anziano. Era caduta dalla borsa della ragazza e lui non aveva fatto in tempo a rinfilarla dentro. Almeno ho una scusa per parlarle e per rivederla, pensò Luca mentre Andrea lo guardava storto sapendo benissimo cosa gli stesse passando per la testa in quel momento. Lo conosceva meglio di chiunque altro e proprio per questo era il suo migliore amico.

  
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