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Autore: Neylli    09/07/2014    0 recensioni
Cosa ci poteva essere di più sbagliato? Ma l'amore non è mai sbagliato. Innamorarsi non è un male, innamorarsi è una cosa bella, che ti riempie il cuore di gioia.
Ma se ti innamori di quello che, anche se non realmente, è tuo cugino come può andare a finire?
Solo male.
Ma l'amore non è "male".
L'amore ti riempie il cuore.
E Nika lo sapeva. Lei aveva il cuore pieno di Lui.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo


Una festa. Ma – che – bello.

Una festa, per di più, dei miei pseudo parenti, con i miei pseudo cugini e pseudo zii. Dico pseudo perché non siamo realmente parenti, insomma le nostre famiglie si conoscono da quattro generazioni e sono vicini di casa da due. Sempre a stretto contatto senza essersi mai unite. Almeno credo. A parte ciò in quel momento mi trovavo di fronte il cancello di casa Rizzo. Era un vecchio cancello di legno, la vernice marrone scura si scrostava qua e là lasciando intravvedere il legno sottostante. Sono sempre stata sicura che non lo avessero mai sostituito da quando avevano costruito quella casa. Inserii il braccio tra le travi che lo componevano, afferrando sicura un gancio in metallo che permetteva al portone di rimanere ben chiuso. Quand’ero piccola lo facevo quasi ogni giorno. Già, perché non lo facevo ormai da anni.. otto, su per giù. Spalancai il cancello ed il giardino che intravvedevo da dietro il portone adesso si apriva davanti ai miei occhi in tutto il suo splendore. Era grande, un po’ meno del giardino di casa mia però. Un gatto dal folto pelo color cenere scorrazzava tranquillo ed indisturbato mentre un cagnetto si ritrovava legato con un lungo guinzaglio ad un albero poco distante dalla mastodontica tavolata addobbata a festa. Sulla destra, al limitare del giardino, tra una piccola casetta in legno ed un pozzo in pietra circondato da alberi alti e maestosi c’era lui, l’unico della famiglia con il quale parlavo, ancora. Sean stava trafficando accanto ad una moto da cross, come sempre. Le braccia erano sporche di unto, olio e benzina fino ai gomiti, i pantaloni erano macchiati così come la maglia. Appena alzò il viso e mi vide le sue labbra si aprirono in un grande sorriso, si pulì le mani con uno strofinaccio posato appositamente sul sellino della moto e si affrettò verso di me.

«Perdonami, sono tutto sporco» esordì lui, sorridendomi, quando mi fu finalmente vicino. Scossi la testa, contenta di vederlo dopo più di un anno «ma no, non fa niente» esclamai prima di mettergli le braccia al collo. Lui non mi strinse più di tanto, timoroso di sporcarmi la maglietta chiara che indossavo, però affondò il viso nell’incavo del mio collo, i suoi ricci scuri mi solleticavano le ciglia.

«Come stai?» mi chiese poi fissandomi con quei suoi occhi verdi/azzurri.

«Sto bene, grazie. Tu?» bofonchiai, puntando lo sguardo alle sue spalle, su un ragazzo che in quel momento era a cavalcioni sulla moto. Di lui potevo solo vedere l’ampia schiena coperta da una maglietta azzurro acceso che ne accentuava le spalle allenate e lasciava ben in mostra le braccia muscolose. Sapevo di conoscerlo, ma purtroppo non vedendolo in faccia non avevo idea di chi fosse. Sean non rispose alla mia domanda poiché aveva notato il mio sguardo che era stato rapito da qualcosa alle sue spalle. Sorrise appena, guardando nella mia stessa direzione «è Jayden, te lo ricordi?» ed in quel momento il ragazzo si voltò.

E come dimenticarlo.

Da piccola avevo una cotta per lui e temevo che mi sarebbe tornata in quell’istante. Era ancora più bello di quando era alto poco più di un metro. I capelli castano chiaro, tendenti al biondo, tagliati a spazzola gli donavano quell’aria da uomo maturo, quando era poco più di un diciannovenne. E quegli occhi. Tremai quando incontrarono i miei. Due specchi d’acqua limpida. Erano di un azzurro così puro, ma allo stesso tempo incredibilmente decisi. Erano tra i più belli che avessi mai visto, su questo non ci pioveva. Sean gli fece cenno con la mano di raggiungerci e lui, titubante, lo ascoltò, avvicinandosi a noi. Quando si fu finalmente fermato accanto a Sean, mi fissò  e la sua espressione mutò in fretta.

«Lei è-» cominciò Sean, ma Jayden lo interruppe, iniziando a parlare: «Nika» disse tutto d’un fiato, come se quel nome avesse fretta di uscire dalle sue labbra. Mi guardava ad occhi spalancati e probabilmente io facevo lo stesso.

«Come dimenticarti» aggiunse poi, non staccando gli occhi dai miei. Sorrisi appena «ciao Jay, è bello rivederti» aggiunsi, poco convinta di voler rovinare con delle parole quel bel momento di assoluto silenzio, carico di tanti sentimenti e ricordi che riaffioravano come un fiume in piena.

E’ bello rivederti e lo era davvero. Bello, dico. Era magro, ma muscoloso. Sean mi chiarì che Jay faceva ginnastica artistica, per questo aveva un fisico così asciutto ed i muscoli ben delineati. Il suo viso aveva mantenuto i tratti gentili del bimbo che ricordavo, aveva delle belle labbra.. chissà come dev’essere baciarle, scossi la testa a quel pensiero.
È mio cugino, mi trovai costretta a ricordarmi.
Andai a salutare il resto dei famigliari, riconoscendo solo pochi visi fra i tanti che popolavano quel giardino. Poi Sean venne a salvarmi, sapendo bene quanto mi trovassi a disagio quando mi riempivano di domande e mi guardavo come fossi uno spettacolo da baraccone, per portarmi con lui, Jay ed un altro ragazzo accanto al cross di cui si stavano prendendo cura.
 

Erano passati tre mesi da quel primo incontro, quando mia madre, ammalata ormai da un anno, mi disse che saremmo dovute andare a Milano per qualche tempo poiché lei starebbe stata ricoverata in uno degli ospedali di quella città, per una settimana.

«E dove staremo?» chiesi.  A quella domanda lei prese a rigirarsi il suo Blackberry tra le mani, con gli occhi bassi: «Tu starai dai Rizzo»

Sbam. Ma avevo sentito almeno giusto?

 «Da chi?» chiesi con la voce talmente acuta che diede fastidio pure a me. Mia madre scrollò le spalle e sospirò «dai, è una bella cosa, no? Così fai amicizia di nuovo con Jayden»

Risi. Una risata incredibilmente acuta che mi perforò i timpani.

«Già» borbottai. Da lì a qualche giorno cominciammo a preparare le valigie e quella domenica partimmo per quattro estenuanti ore di viaggio. Arrivate a Milano mia madre era un fascio di nervi, dopo aver riso e scherzato per tutto il viaggio improvvisamente l’aria era diventata carica di tensione e nervosismo. Lei non vedeva l’ora di richiudersi in ospedale ed incontrare il prima possibile quel medico che sapeva le avrebbe salvato la vita.
Mi abbandonò sotto casa dei Rizzo aspettando che Marta, madre di Jay, venisse a prendermi ed a salutarci. Appena il piccolo portoncino dall’aspetto massiccio si aprì, davanti ai miei occhi comparve la figura di un donna minuta, la stessa sfumatura dei capelli del figlio, un sorriso talmente dolce da sembrare irreale e due occhi vispi leggermente tendenti al grigio. Ci salutò, aveva una voce incredibilmente gentile ed affabile. Mia madre la salutò con un abbraccio che durò a lungo. Erano amiche di vecchia data e forse per questo mia madre scoppiò a piangerle tra le braccia. Ci volle qualche minuto perché Marta riuscisse a calmarla ed io rimasi lì, a guadare la scena, prosciugata di ogni e qualsiasi traccia di forza nel mio corpo. Quando mia madre montò in macchina e si diresse verso l’ospedale, Marta si voltò verso di me, concedendomi la sua attenzione. Mi abbracciò gentilmente e mi accompagnò su, fino all’ultimo piano dove si trovava il suo appartamento. Bussò alla porta ed in silenzio aspettammo che qualcuno aprisse. E quel qualcuno arrivò.
Jay spalancò la porta e mi riservò un sorriso gentile. La madre lo guardò sbattendo le palpebre, accigliandosi per qualche secondo «e tu che ci fai qui?» domandò improvvisamente seria. Jay fece spallucce «oggi la palestra è chiusa» spiegò brevemente lasciandoci poi lo spazio per entrare in casa. Superai l’uscio e guardai quel ragazzo davanti ai miei occhi. Era incredibilmente arruffato, gli occhi tradivano la sua stanchezza, probabilmente aveva dormito fino a pochi minuti prima, indossava un paio di pantaloncini da ginnastica ed una canotta che gli fasciava l’addome non lasciando assolutamente nulla alla mia immaginazione, o quasi.

«Aiutala a sistemarsi in camera di tua sorella» disse Marta, ritrovando improvvisamente la sua dolcezza. Jay fece cenno di sì con la testa, prese il mio trolley e lo portò – assolutamente non silenziosamente (solo dopo averlo conosciuto meglio mi sarei resa conto che nulla di quello che faceva lo faceva in modo silenzioso!) – nella camera della sorella.

«Nika, ti va bene se si mangia tra un’oretta?» mi domandò Marta, comparendo dalla cucina. Io feci cenno di sì con la testa e raggiunsi Jay che aveva appena ribaltato qualcosa sul pavimento. Mi affacciai alla stanza della sorella di Jay, trovandolo accucciato per terra mentre cercava di rimettere tutti i compassi, le stecche e vari effetti della sorella sulla sua scrivania incredibilmente disordinata.
Sorrisi.

«Serve una mano?» domandai, facendomi notare alle sue spalle. Lui mi guardò un momento, poi scosse la testa quasi a scacciare un pensiero «no» affermò sicuro. Se ne stava accucciato per terra e l’unica cosa alla quale riuscivo a pensare era a quanto fosse bello ed a quanto avesse un bellissimo.. ehm.. fondoschiena. Mi accucciai accanto a lui «lascia, faccio io» dissi cortese, con un sorriso che lui, fissandomi in viso, ricambiò, lasciandomi tra le mani il compasso completamente smontato a causa della caduta. In quel veloce scambio dell’oggetto le nostre mani si sfiorarono leggermente ed io sentii nettamente le mie guance andare a fuoco, così abbassai lo sguardo, concentrandomi su quel compasso e ricomponendolo al suo stato naturale. Lui prese a guardarmi, sentivo il suo sguardo su di me e continuavo a domandarmi per quale motivo lo stesse facendo. «Grazie» disse poi il ragazzo mentre entrambi ci alzavamo dal pavimento, tornando ad appoggiare le cose della sorella sulla scrivania.

«Se Serena scopre che ho toccato le sue cose è capace di sbranarmi» scherzò lui, grattandosi dietro la testa stranamente preoccupato. Sorrisi a mia volta «e chi dice che deve venirlo a sapere?» domandai in maniera retorica, facendogli l’occhiolino.
Qualche minuto dopo la sorella rientrò a casa da scuola, posò indifferente lo zaino in camera sua non curandosi assolutamente di me e suo fratello, in piedi, in mezzo alla sua stanza. Quando la vidi tornare indietro in retromarcia trattenni a stento una risata.

«Ciao!» esclamò leggermente in imbarazzo «a quanto pare saremo compagne di stanza» affermò, indicando il letto improvvisato sul pavimento, il quale era composto semplicemente da un materasso, una coperta ben stesa sopra ed un cuscino colorato. Sorrisi, d’accordo con la ragazza «a quanto pare» esclamai sorridendo. Serena aveva tre anni meno di me, era una sedicenne incredibilmente bella e sveglia, in piena crisi ormonale. Di lì a poco ci sedemmo tutti e quattro sul divano con i piatti colmi di pasta poggiati su un tavolino basso di fronte a noi. Iniziammo a mangiare tutti intenti a guardare “Masterchef”, eccetto Jay che si annoiava visibilmente.

Qualche ora più tardi il buio stava cominciando a prendere possesso di ogni cosa, ben presto arrivarono le nove, cenammo, ci mettemmo tutti in pigiama e pian piano la gente radunata in soggiorno andò scemando. Alla fine, verso le undici, rimanemmo solo io e Jay. Io stavo leggermente sonnecchiando distesa su un fianco sul divano, i capelli biondo chiaro li avevo stretti in una crocchia disordinata ed alcune ciocche mi ricadevano sulle spalle e sulle braccia. Borbottai leggermente quando sentii il divano accanto a quello dov’ero adagiata, scricchiolare rumorosamente. Aprii gli occhi e notai che Jay stringeva tra le mani un marsupio decisamente vecchio – che sperai non usasse per uscire – e cercava agitatamente qualcosa al suo interno.

«Dannazione» sospirò poi, probabilmente cercando di non svegliarmi.

«Ehi» esclamai, la voce impastata dal sonno, «ehi» mi fece eco lui, sorridendomi. Scossi la testa cercando di svegliarmi e, lentamente, mi misi a sedere, incrociando le gambe nude poiché indossavo solo una leggera camicia da notte ed un paio di pantaloncini che una mia amica ha definito “decisamente inguinali”.

«Che succede?» domandai, trattenendo a stento uno sbadiglio.

«Mi sono dimenticato di comprare le sigarette» bisbigliò lui, avvicinandosi leggermente a me. Io sogghignai «se non ti fanno schifo io ho un pacchetto di Lucky Strike alla menta, se vuoi per sta sera te ne offro una» bisbigliai a mia volta, avvicinandomi ancora di più a lui. Il ragazzo parve illuminarsi
«vanno benissimo!» esclamò, forse un po’ troppo ad alta voce ed io sorrisi.
Quella sera fumammo decisamente più di una sigaretta poiché, quando Jay prese il telefono tra le mani, notammo fossero già le due del mattino. Ci eravamo chiusi fuori casa, ce ne stavamo seduti tranquilli sul piccolo balcone della cucina, perennemente illuminato dalla luce della luna. Parlammo a più non posso quella sera, come se quegli otto anni di lontananza non ci fossero mai stati, come se non fossimo due persone diverse da quei bambini che giocavano insieme, come se fossimo sempre rimasti amici.
Dopo esserci scambiati uno sguardo veloce decidemmo fosse arrivato il momento di rientrare per andare a dormire, così lo seguii silenziosa per la casa, lui si muoveva così sicuro anche al buio, mentre io tenevo gli occhi puntati su di lui nella speranza di non sbattere contro a nulla. Ci fermammo di fronte la porta della stanza di Serena e lui posò una mano sulla maniglia, aprendola silenziosamente. Poi fissò il suo sguardo su di me, io gli arrivavo più o meno alla spalla ed in quel momento eravamo talmente tanto vicini che sentivo il suo profumo invadermi, potevo notare benissimo il suo petto alzarsi ed abbassarsi ritmicamente e sentivo il suo respiro sui miei capelli. Alzai appena il viso, incrociando il suo sguardo. Lui lo mantenne appena qualche secondo, prima di sbattere le ciglia nervosamente ed iniziando a guardare in qualsiasi direzione.

«Buona notte» sussurrò poi, avvicinando improvvisamente il viso al mio e schioccandomi un bacio silenzioso sulla guancia.

«Notte» mormorai in risposta, impossibilitata però a muovere un qualsiasi muscolo. Quel bacio, anche se innocente, mi aveva congelata sul posto. Mi sorrise e quella curva sul suo viso parve sciogliermi completamente. Sorrisi a mia volta, prima di decidermi ad entrare in camera. Feci qualche passo verso il letto, poi mi volta e trovai Jay con la mano sulla maniglia, troppo intento a fissarmi nel buio. Poi, con uno scatto, abbassò il viso e chiuse la porta. Rimasta sola posai lo sguardo sulla ragazzina che dormiva placidamente a pochi passi da me. Era tutto così strano.

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Angolo Autrice:
Salve a tutti, questa è la mia prima storia, mia prima originale e sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate.
Sarei felice se lasciaste qualche recensione, giusto per sapere se merita continuare oppure la butto via, senza pensarci su.
Spero di leggere qualche vostro commento, grazie a tutti, a presto :))
Neylli.
   
 
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