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Autore: Sherry Jane Myers    09/07/2014    3 recensioni
L’amore ha tre ombre: il Passato, il Presente e il Futuro.
La prima è l’ombra che ci siamo lasciati alle spalle. Diffida di chi amerà la prima delle tre ombre, poiché desidera l’immagine di te che i suoi stessi ricordi hanno distorto.
L’ultima ombra è quella che ancora dobbiamo raggiungere. Diffida di chi amerà l’ultima delle tre ombre, poiché vuole solo una delle tante persone che puoi diventare, precludendoti le altre.
L’ombra di mezzo è l’ombra che ci accompagna dal primo istante, quella che vediamo tutti i giorni. È un’ombra proiettata dalla luce.
Chi amerà l’ombra di mezzo delle tre ombre amerà la vera te stessa, poiché sei tu, e non un amore cieco e volatile a proiettarla.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Kentin, Nathaniel
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Three shades of love
Capitolo 2: presenze insolite ed assenze sospette
La voce di quell’ombra mi sta ancora nella testa e DIO, quant’è  fastidiosa. Per essere strambi, i miei sogni sono strambi, c’è da dirlo, ma questo batte anche i soliti. E per tutta la notte non sono riuscita a riprendere sonno, dopo essermi svegliata: sentivo qualcosa, ecco, che mi metteva a disagio. È stato troppo… carico, come se avesse voluto dirmi qualcosa di profondo che io non capivo… come un presagio.
Ed in effetti, quando salgo sul tetto, Castiel non c’è. Scendo le scale di corsa, controllo nel salone del concerto: niente neanche lì. Nelle aule vuote, niente. Al suono della campanella, arrabbiata, entro in classe, meditando su dove possa essersi infilato.
E quando entro in classe, lui è al solito banco, con un libro aperto, a studiare.
In più d’uno, me compresa, sono fermi sulla soglia, con occhi sgranati, mascelle spalancate ed un certo numero di libri caduti a terra.
Poi arriva il professore che, dopo un occhiata sorpresa ma fugace, manda tutti ai posti, fa l’appello mentre io attendo il nome di Castiel, prima del mio. Lui risponde, lasciandomi stupefatta.
«Hanno trovato foto compromettenti con cui ricattarti?» gli domando sottovoce.
«Oh, sta’ zitta» replica lui, senza però irritazione nel tono, se non per la domanda inopportuna.
Se non conoscessi Castiel, direi che lo sta facendo di sua spontanea volontà. Storco il naso a quel pensiero, mentre il professore prosegue. Non è possibile, eppure sembra proprio che sia così. Ma cosa…
Un nome mi distrae dai miei pensieri: «…Nathaniel».
Non avrebbe attirato la mia attenzione, se non fosse stato seguito da un silenzio imbarazzante. Il professore sembra a sua volta stupito, ha la penna ferma e sollevata di poco: stava già segnando la presenza, animato dalla stessa certezza che ha spinto tutta la classe al silenzio.
Nathaniel non ha MAI, mai, mai fatto un’assenza prima d’ora.
Un brusio si accende, qualcuno mormora, guardando il banco vuoto e non credendoci, si girano per assicurarsi che non si sia cambiato di banco.
È Castiel a rompere il silenzio: «Assente» sbotta, non senza una certa dose di soddisfazione. Si sa che fra loro non corre buon sangue.
Il prof, sbalordito ma non soddisfatto dalla seconda novità della giornata si rivolge alla sorella.
«Ambra, sai dirci perché…».
«Non ne ho idea, mica vengo a scuola con mio fratello» sbotta lei, evidentemente irritata e non dalla domanda del professore.
Sulla classe cala di nuovo il silenzio, di cui il professore si approfitta per iniziare la lezione, dimentico della delusione per l’assenza del suo studente modello, ma apparentemente compensato dall’insolita solerzia con cui Castiel stava prendendo appunti. Tutta la classe, invece, lo fissava apprensiva, aspettando l’istante in cui si sarebbe stufato, avrebbe buttato tutto all’aria e infilato la porta.
Istante che, per fortuna del prof, non arrivò mai.
 
Finite le lezioni, Castiel scappa via con una certa rapidità. O ne ha avuto abbastanza, oppure vuole evitare domande. Le mie domande. Che rabbia!
Non ci credo che mi ha zittito quando ho provato a domandargli qualcosa. Non ci posso credere. Mi sta nascondendo qualcosa… devo sfogarmi su Kentin. Lo cerco per il corridoio, avanti e indietro, ma non lo trovo. Mi sta evitando anche lui? Dannato. Dannati tutti.
Faccio per andarmene: non ho niente da fare e oggi non devo aiutare Nathaniel… guardo la porta chiusa della sala delegati e sospiro.
Odierebbe trovare il lavoro non fatto al suo ritorno.
Rassegnata, nonostante io non sia di turno, apro la porta, butto la cartella vicino all’entrata e la richiudo dietro di me. Individuare il lavoro da svolgere non è per niente difficile: Nathaniel è così ordinato che c’è un raccoglitore per qualsiasi cosa si possa cercare. Ed un po’, ormai, ho capito come funziona la sua testolina bacata.
Tiro fuori un plico di fogli di ragionevole – per gli standard di Nathaniel, almeno – altezza, mi siedo sulla sedia ed inizio, chiacchierando fra me e me. Non che solitamente lui sia di grande compagnia, ma è decisamente deprimente stare qui da sola.
Ed a pensarci, è stranissimo che non abbia perlomeno avvisato, lui o i suoi genitori. Non che io abbia mai osservato il comportamento di Nathaniel in caso di assenza, ma qui a scuola nessuno l’ha fatto: non ha perso un giorno di lezione da… da sempre. Conoscendolo mi sembra il tipo che manderebbe da casa tutte le direttive per svolgere il lavoro qui… o che verrebbe comunque. Una volta è venuto a scuola con un mal di testa assurdo, ricordo che ha finito per passare tutta la giornata in infermeria… dicono che i suoi genitori si rifiutino di tenerlo a casa.
Fra un pensiero e l’altro, i documenti viaggiano dalla pila del “da fare” a quella del “fatto”, ed io  mi sono quasi trasformata nella perfetta, barbosa, sosia di Nathaniel quando, finalmente, ripongo nei raccoglitori gli ultimi fogli, afferro le mie cose ed esco, senza aver più nessun Nathaniel da abbandonare alle scartoffie.
È stata una pessima giornata, e neanche il tempo aiuta: ho dovuto rinunciare alle magliette senza maniche, ed ora si mette anche a piovere, mentre io sono senza ombrello. Tutti sono già andati e non ho nessuno a cui chiedere un passaggio.
Castiel mi snobba. Nathaniel bigia. Kentin mi evita. Non ho appuntamenti pomeridiani con Lysandre o Alexy ed è il giorno di chiusura della palestra. L’unica consolazione della giornata saranno, spero, le partite online con Armin… se la tempesta non abbatte il Wi-Fi.
Attraverso il parco e quando scorgo casa mia sono stanca e zuppa, cani e gatti randagi mi sfottono da sotto le loro tettoie e le coppiette  che limonano sotto i loro ombrelli mi danno la nausea. Piove a dirotto, è buio pesto, tuoni e fulmini mi molestano vista ed udito e voglio solo una grossa, fumante cioccolata calda, la mia cara stufetta e delle coperte asciutte.
Ma la salvezza per me è ancora lontana; mentre sto avvicinando la mano all’amatissimo campanello, un lampo illumina una sagoma in un vialetto laterale. Per un attimo mi chiedo se sia quella dannata nanetta vestita da lolita, ma realizzo in fretta che è qualcuno seduto per terra.
Controvoglia, e con un infinito dolore, stacco il dito dal campanello e giro l’angolo, ancora una volta sotto la pioggia.
Ciò che trovo è fuori da ogni schema o previsione, e mi richiede diversi secondi per elaborare.
Appoggiato al muro, sul punto di scivolare a terra c’è Nathaniel, visibilmente tremante. Indossa gli stessi pantaloni di quando l’ho visto l’ultima volta, troppo leggeri per il clima, ed un cappotto più pesante ma completamente fradicio. Mi accuccio di fianco a lui, ha gli occhi chiusi. I capelli biondi sono talmente appiattiti lungo il viso che non riesco nemmeno a credere che siano gli stessi che vedo a scuola, sempre ordinati e ben pettinati. Gli poggio una mano sulla fronte ed è così calda che non ho nemmeno bisogno di scostargli le ciocche, divenute scure per l’acqua, per sentirgli la temperatura.
Per fortuna che è svenuto dietro casa mia, sarebbe stato difficile trascinarlo dal parco a qui senza che nessuno lo vedesse.
Mi faccio passare un suo braccio sulle spalle e me lo trascino dietro, in qualche modo, abbandonando la cartella nell’atrio senza troppo riguardo. Niente scale, vada per l’ascensore. Non ce la farei.
Il problema è cosa dire a mia mamma. Quando apre la porta e si trova davanti sua figlia fradicia un ragazzo svenuto al fianco, beh, ha bisogno di due secondi per calcolare la situazione.
«Ok, mamma» dico «prima pensiamo a lui e poi alla punizione, ok?».
Lei annuisce e mi aiuta a portarlo dentro, azione che richiama l’attenzione di mio padre, che arriva dal salotto in pantofole ed assiste alla scena.
«Ho fatto l’abitudine al numero di ragazzi che porti a casa… ma questo è un po’ troppo non ti pare?» commenta, prendendo il mio posto nel sorreggere Nathaniel. Più agilmente di me e mamma messe insieme, raggiunge camera mia, mentre mia madre fa in tempo ad afferrare degli asciugamani nel tragitto. Io a malapena riesco a levarmi scarpe, calzini e giacca, fradici.
Mia madre, impegnata ad asciugare come può Nathaniel, lancia un asciugamano anche a me, mentre manda papà a prendere dei suoi vestiti, più asciutti di quanto quel cappotto sia da  molte ore, probabilmente.
«Era svenuto nel vicolo qui di fianco, che dovevo fare?» rispondo io, tentando di aiutare mia mamma nell’asciugatura e venendo scacciata in malo modo.
«Vai a cambiarti, un adolescente svenuto basta e avanza».
Annuisco, tanto mi sento piuttosto inutile. Afferro un morbido e caldo pigiama e mi infilo in bagno. Mi cambio e quasi mi sfiora l’idea di asciugarmi i capelli con il phon, quando sento un grido di mia madre. Scatto fuori a vedere che cosa sia successo.
Nathaniel è sdraiato sul mio letto a schiena in su, in seguito agli sforzi di mamma di levargli il giubbotto… che sono riusciti e lo hanno lasciato a torso nudo. Mi avvicino di più, dubito che mia madre si scandalizzi per gli addominali dei ragazzi della mia età.
Infatti, sulla schiena di Nath, c’è una lunga ferita diagonale che va dalla spalla al fianco.
«È… profonda?» chiedo, incapace di giudicare da me la gravità della cosa. Non sono mai stata il tipo che si impressiona, chiariamoci, ma quando un tuo compagno è disteso ferito sul tuo letto… oh al diavolo, non è che mi sia mai preparata ad un’eventualità simile… ferito poi da cosa, a proposito?
«Non saprei, ma dato che sta sanguinando andrei a prendere la scatola delle medicazioni, tu che dici?» suggerisce mio padre, appena arrivato con i vestiti.
Scappo a prenderla e torno, prima di mettermi ad osservare da lontano le medicazioni di mia madre e di uscire insieme a lei quando mio padre si offre di cambiarlo. Io di certo non ho voglia di farlo, in questo momento, quindi sono ben felice di lasciarlo fare.
«Oddio» borbotto. «Avrei dovuto chiamare un’ambulanza, non so che mi sia saltato in mente a portarlo a casa…» mormoro, affondando le dita fra i capelli.
«La cosa più importante era portarlo all’asciutto» risponde mia madre, facendomi sedere affianco a lei sul divano. «E soprattutto, non potevi fare tutto da sola. Quando papà esce pensiamo al da farsi, ok?».
Io annuisco, buttando all’indietro la testa e chiudendo gli occhi. Giornata di M…
«Lo conosci?» chiede mia madre.
«È il delegato» rispondo. «Un mio compagno di classe. Non è mai venuto qui».
«Pensi che sapesse che è casa tua?».
«Ma va. A meno che non giri con i miei fogli di iscrizione in tasca…».
La conversazione finisce lì, ma mia madre mi stringe a sé, strofinandomi continuamente il braccio. Solitamente dopo un po’ mi stufo delle sue dimostrazioni d’affetto, ma per una volta la lascio fare. Beh, ho scoperto perché Nathaniel non è venuto a scuola oggi.
Mio padre ci raggiunge in salone. «Dorme come un angioletto» esordisce. «O almeno, ha smesso di tremare».
Mamma si lascia andare in un’esclamazione di sollievo e si alza in piedi. «Chiamiamo qualcuno? La scuola, ad esempio, loro avranno i contatti dei genitori… ed un ospedale, non possiamo prenderci noi la responsabilità di…».
«Lo porteremo a fare un controllo quando si sarà svegliato» la interrompe brusco mio padre. Poi, davanti alle pronte proteste di mamma, continua. «Starà bene. Per ora, è meglio lasciare le cose come stanno».
Poi fa alla mamma uno di quei cenni “vieni di là che dobbiamo decidere se dirlo a Kim o meno” e si rivolge a me dicendo semplicemente. «Vai a tenerlo d’occhio, meno gente ha intorno meglio è. Organizzati un posto per dormire, ceniamo e aspettiamo che si svegli, oppure andiamo a letto noi. Se non si sveglia, credo che domani potrai fare a meno della scuola».
Annuisco, in questo momento non riesco neanche a pensare a “domani”. Robe da adulti, io riesco solo a pensare che c’è Nathaniel svenuto in camera mia, e che, probabilmente, non dormirò finché lo fa lui.
 









Ehilà! Sono tornata!
Questa storia è un triangolo, anzi, un quadrangolo... ed iniziamo con Nath :P Il prossimo capitolo sarà da ridere...
Ringrazio chi ha recensito: Someonetoblame02, sabrinacaione e ciaohello! Grazie ragazze, mi avete fatto felice :D
E un grazie anche a rui, che insieme a Someonetoblame02 e ciaohello ha messo la storia fra le seguite!
Spero di ritrovarvi tutte al prossimo capitolo, magari insieme ad altri che leggeranno la storia!
^.* Shè



Nel prossimo capitolo di Three Shades of Love:
Chi è troppo gentile a volte finisce solo per irritare gli altri.
Ci sono casi in cui bisogna dire le cose come stanno.
E un momento di pace può essere turbato da un solo sorriso falso.
Il prossimo capitolo di Three Shades of Love: Falsi sorrisi e preoccupazioni nascoste.
“Quattro sorrisi di cortesia e un sorriso vero, e sei sveglio solo da mezz’ora.”

 
  
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