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Autore: Uzzaah    09/07/2014    0 recensioni
Questa FF ha partecipato al concorso indetto sulla pagina facebook Tic,Tac: siamo dentro un orologio avente per tema l'invenzione di una tortura propria di un settore della Seconda Arena inedito, mai descritto prima nei libri della saga. Ho pensato di narrarla sotto forma di racconto rievocato dalla stessa protagonista, Johanna, in una conversazione con Katniss. Un piccolo estratto:
"Ma adesso sono l'albero del fulmine. Perché non importa quanti fulmini si riverseranno su di me, quanti joule di energia mi verranno scagliati addosso. Io resisterò".
Con l'augurio di una buona lettura
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beetee, Blight, Johanna Mason, Wiress
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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ELECTREES

 

Vorrei poter dire che nessuno è mai venuto a conoscenza del mio segreto. Ma so che non è così: gli Hunger Games contano milioni di spettatori, tra abitanti di Capitol City e dei Distretti, ma a me non interessa se li guardano mossi da un piacere sadico o sotto costrizione. L'unica cosa che posso affermare con certezza è che non l'ho mai raccontato a nessuno. L'ho ributtato indietro talmente tante volte che ha avuto tutto il tempo di mettere radici, come quando si taglia a metà un frutto e si scopre la presenza di un germoglio marcio all'interno. Almeno fino ad oggi.

Sono seduta in un salotto arredato in maniera essenziale, davanti a me una donna dagli occhi determinati, di una sfumatura di polvere, con una treccia scura che le pende dal lato destro. Vengo spesso qui, nel Distretto 12. Sono contenta che il suo colore predominante, dal grigio, sia diventato il verde. I boschi che lo circondano rappresentano l'unico luogo in cui posso ritrovare la mia vecchia casa, visto che non sono emotivamente pronta a ritornare nel mio Distretto Natio. Ho sperato molte volte di avere anch'io una possibilità di rinascere, come i fiori che ora nascondono lo spesso strato di terreno misto a cenere del Prato. O le primule sotto la finestra dell'abitazione di Katniss e Peeta. Ma io non ho mai vissuto di illusioni: quando si recide un tronco, nessun altro albero piantato al suo posto potrà mai crescere rigoglioso come il precedente. Da una terra sterile non nasce nessuna speranza, nessun sogno, lo so bene. Così per provare a colmare il vuoto ho deciso di coltivare amicizie. Perchè un' amicizia dovrebbe andare oltre le problematiche del suolo. Ed è proprio quello di cui ho bisogno adesso. Peeta, in attimo di mistica confessione reciproca, mi ha rivelato che in realtà lei non è mai stata brava a farsi degli amici, al pari di me. Per questo abbiamo iniziato. Però sento che condividere lo stesso colore preferito sia un po' limitativo. Due vere amiche dovrebbero raccontarsi le “cose profonde”. E questo ricordo radicato nell'animo è tutto ciò di più profondo che ho. Perciò decido di chiudere gli occhi, fare un bel respiro profondo ed aprirmi. L'ultima cosa che vedo è luccichio della spilla con la Ghiandaia Imitatrice appollaiata sulla sua spalla.

 

Siamo fuori. Il settore della pioggia di sangue è alle nostre spalle, separato da quello in cui ci troviamo ora per mezzo di un vetro invisibile, schizzato di rosso. Un rivolo viscoso scivola verso il basso, sospeso a mezz'aria. Ha un colore così acceso che mi sembra vivo. L'ossigeno non arriva ancora ai miei polmoni, l'aria è troppo satura dell'odore di ferro fuso. Mi guardo intorno: siamo circondati da alberi alti, dai tronchi lunghi ed esili. Non li riconosco. Sono degli estranei per me. Preferirei essere attorniata da un gruppo di Tributi, da delle facce conosciute. Le loro foglie formano una cappa sopra di noi, come una cupola che avvolge l'Arena, imprigionando il sole all'interno del cielo. Ecco perché non riesco a respirare. Non soffia un filo di vento. Il sangue si rapprende in incrostazioni che mi si appiccicano alla pelle e mi incollano i capelli alla fronte. Gli unici suoni percepibili sono i lamenti di quell'idiota di Beetee per la ferita da coltello che si è beccato alla Cornucopia e i vaneggiamenti isterici di Wiress. Il mio compagno Blight, invece, è il perfetto ritratto del contorno naturale: fermo, silenzioso, in attesa. Eppure, per un secondo, qualcosa si muove. Riesco a sentirlo: il profumo pungente di un falò, del legno messo ad arrostire sul fuoco e del fumo che sale, acre, dalle fiamme verso il cielo. E' solo un attimo. Poi perfino i battiti scanditi dalla voce di Wiress cessano. E non riesco più a pensare.

Ho una frugale immagine di me stessa procedere a grandi falcate, l'aria astiosa, mulinando l'ascia in direzione di Blight. Non ricordo le cose terribili che gli ho urlato addosso. Non avrei il cuore di farlo. Non so nemmeno per quanto tempo sono andata avanti con tutti quegli insulti. Percepivo la mia mente come lontana, trattenuta saldamente da liane esterne, fuori dalla mia portata. Rivedo la scena come allora, come se fossi uno spettatore davanti al monitor che proietta i Giochi: Blight che indietreggia freneticamente, l'espressione del viso attonita, in stato di shock. Lo vedo di nuovo urtare il campo di forza con la schiena e venire scaraventato indietro di almeno 10 metri, volteggiando sopra la mia testa. Nel momento in cui sento il cannone, la morsa della mia trappola mentale si allenta. Il manico dell'ascia mi sfugge di mano, cadendo sull'erba con un piccolo tonfo. La lama riflette un bagliore scarlatto nei miei occhi. E sono consapevole che anche se questo sangue non appartiene a lui, la colpa di ciò che è accaduto è solamente mia. Mi precipito verso lo spiazzo del suo atterraggio. Lo rivolto in sù. La maggior parte del suo volto ha assunto un colorito nerastro. L'odore della carne bruciata si sostituisce a quello dei rami sul fuoco. Non posso fare a meno di gridare, finché le mie orecchie diventano sorde, aprendomi un varco verso l'alto, verso la cupola. Credo di aver iniziato a piangere. Sicuramente non poteva essere pioggia: gli Strateghi non ci avrebbero mai deliziato con un regalo così fortemente invocato. Solo che a me è sembrata linfa. Linfa in grado di lavare via lo spesso strato di sangue dal mio corpo, di trascinare via dagli occhi la visione di ciò che avevo appena fatto a Blight. Così ho continuato a piangere. A lungo. E non mi sono più fermata.

Rotella mi ha lanciato uno sguardo denso di compassione, mentre ci allontanavamo da quel posto. Si è permesso di farlo un'altra volta soltanto, quando eravamo rimasti soli sulla spiaggia: sa benissimo che non sono una persona che tollera la misericordia o la pietà per molto tempo. In quell'occasione mi ha spiegato l'effetto della sostanza che, secondo lui, viene nebulizzata ai malcapitati che mettono piede nel settore adiacente alla pioggia di sangue. E' un'arma che è stata sperimentata nel suo stesso Distretto. Agisce su qualcosa di più stanziato e duraturo dell'emozione, appunto sui sentimenti. Alterandoli, denaturandoli, rendendoli il contrario di ciò che sono realmente. Dopodiché si è alzato ed è andato a raccattare Lampadina che vagava sul bagnasciuga inseguendo una farfalla notturna. Io sono rimasta sola, soppesando l'amara verità che contenevano le sue parole: il gas non costruisce i sentimenti dal nulla, si limita ad interagire su quelli già esistenti. All'improvviso ne ho realizzato il senso, mi sono coperta la bocca spalancata con la mano. Credevo di aver perso tutto. Che il presidente Snow mi avesse privato di ogni affetto che mi ero costruita nel corso della mia vita. Ma non mi ero resa conto che mi avesse tolto anche qualcosa di cui ero ancora inconsapevole, che non sapevo di provare. Un sentimento di amore per Blight. E l'ho compreso all'ultimo, quando era ormai troppo tardi. Mi sono ingannata da sola, credendo di essere forte, inaffondabile, immune ai cinguettii terrorizzati delle Ghiandaie Chiacchierone. E invece, senza saperlo, ne ero una vittima anch'io. L'unica frase che sono stata in grado di pronunciare dopo un po' è stata: “l'amore è molto strano”.

 

Katniss mi la lasciata parlare liberamente, senza darmi l'idea di volermi interrompere. La sua espressione non è mai mutata: è rimasta sempre vigile, attenta. L'unico segno di nervosismo, man mano che mi inoltravo con il racconto, è stato quello di grattarsi continuamente la gamba. Il dono del saper ascoltare è una qualità che apprezzo molto in lei. Per un breve, intenso istante mi è sembrato di essere in una sala diversa, con il rumore della risacca marina di sottofondo, a fissare un uomo dai capelli ramati e gli occhi furbi, guizzanti. Prima di conoscere la Ghiandaia Imitatrice era a Finnick che confidavo le mie sofferenze più nascoste. Era lui ad ascoltarmi. Lui e la voce del mare che entrava dall'imposta aperta, usciva, per poi rientrare di nuovo per tutta la durata del nostro dialogo. Ho sorriso di tristezza. Poi mi sono ricomposta, appena in tempo per vedere la porta d'ingresso chiudersi dietro a Katniss. L'ho vista rientrare una manciata di minuti dopo, stringendo un fagotto di stoffa in mano. Potevo rivedere distintamente il momento in cui lei me l'ha porto, qualche anno prima, mentre io ero sdraiata in un letto d'ospedale. Ho aspirato intensamente il sentore degli aghi di pino, beandomi del profumo del mio Distretto, lo stesso che emanava mia mamma quando mi stringeva in uno dei suoi abbracci. Lo stesso dei boschi in cui gironzolavo con Blight, lui portando in spalla la mia ascia per me troppo pesante. Le ho sorriso di gioia, rincuorata. Non sa l'effetto che il suo dono ha avuto su di me.

Mii ha suggerito di provare la tecnica che usava lei nel Distretto 13, per non impazzire. Così ho iniziato a costruirmi un elenco mentale di fatti costituenti la mia identità, a partire dai più semplici. Oramai ero diventata brava ad aprirmi agli altri.

 

Mi chiamo Johanna Mason. Sono nata nel Distretto 7. Ho partecipato agli Hunger Games. Due volte. Alla seconda Capitol City mi ha catturata. Torturata. Mi hanno liberata. Ho ucciso il mio compagno Blight nella seconda Arena. L'unico uomo che io abbia mai amato, senza saperlo. Ma adesso sono l'albero del fulmine. Perché non importa quanti fulmini si riverseranno su di me, quanti joule di energia mi verranno scagliati addosso. Io resisterò.

 

Ora sento di essere finalmente pronta per tornare a casa.





 

 








SPAZIETTO dell'AUTRICE^^

Era da tantissimo tempo che volevo scrivere qualcosina su Johanna e questo concorso mi ha dato proprio lo sprone a farlo! Non è escluso che la riprenderò e la manipolerò a piacimento in un'altra storia *troneggia con risata alla Snow mwahahahaha* : è un personaggio troppo interessante per non averci milioni di idee sopra v.v
Volevo spanciarmi in questo spazietto precisando solamente una cosina sul'uso dei tempi verbali nella fanficcina: il ricordo vero e proprio è trasposto al presente perchè Johanna lo ha bello vivido e limpido nella mente ( con una sfumatura rosso sangue t.t), mentre invece la parte relativa al racconto dell'episodio a Katniss è trasposto al passato perchè è come se  stesse raccontando a noi interlocutori questo fatto, avvenuto appunto tempo prima.
Spero che vi sia piaciuta con tutto il cuore^^  L'ho scritta principalmente per le frasi finali: ho sempre sognato metterle in bocca alla Jo *-*

Beh allora che aspettate? COMMENTATE  COMMENTATE  COMMENTATE!!!


Alla prochaine e baciottoli^^

  
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