Ormai da quattro anni la guardavo camminare nei corridoi della Bannet High School, pensando ogni volta  a quei dieci anni di amicizia svaniti nel nulla. Da quando entrambi abbiamo cominciato questa scuola, nemmeno un lavoro di coppia la farebbe parlare con me come faceva anni fa.
Tutto sembrava perduto, e io mi sentivo talmente male che spaventai mia mamma. Non volevo dirle che stavo male per colpa di Alex, perché di sicuro avrebbe chiamato i suoi genitori e ci avrebbe parlato. L’ultima cosa che volevo era che anche i genitori miei e di Alexandra si impicciassero nei miei affari. Ogni giorno, mia mamma mi portava dallo psicologo, che esaminava la mia psiche con una cura minuziosa. Ancora non sapevo che ero innamorato di lei, sapevo solo che stavo male a causa sua.
Non ci volle molto allo psicologo per stabilire il mio problema. Mi classificò come “matto per una ragazzina”. Quello psicologo era simpatico, il dottor Stevenberg. Un giorno, si presentò in ufficio con una foto di Alex. Rimase soddisfatto nel vedere la mia reazione. Occhi dilatati, bocca semiaperta, labbra piegata in un lieve sorriso. In contrasto con gli occhi. Quelli guardavano ostile il dottore, con la foto in mano.
“Dove l’ha presa, quella?” chiesi, facendolo ridere. Posò la foto sul tavolo, e la fece scivolare fino sotto il mio braccio. In un secondo, il viso sorridente di Alex nella foto mi guardava allegra, accanto a me. Sorrisi, quando ricordai quel giorno. Il sorriso, però, si trasformò in una ferita aperta.
“ma l’ha data tua mamma. Sai cosa? Tu sei a posto, Ashton. Non hai niente che non va, anzi. Sei uno dei ragazzini migliori che siano venuti qua. Capita spesso, il tuo caso. Tanti ragazzini sono venuti qua per una cotta devastante. Ma la tua non è una semplice cotta”. Lo guardai, mentre stringevo la foto tra le mani. “sembrerà scontato” disse, mentre si avviava verso la scrivania, “ma quella ragazza non sa cosa si perde. Come si chiama?”
“Alexandra Rose” dissi, con un tono involontariamente ostile. Il dottore sorrise, e cominciò a compilare un foglio.
“Alexandra Rose ha appena commesso l’errore più brutto della sua vita, allora” disse, rivolgendomi un sorriso amichevole. Sì, mi piaceva proprio quel dottore.
Mi porse il foglio, con scritto che era tutto okay, anche se non lo ero. E non lo sono ancora.
Ancora oggi, quando la vedo passare, mi si ferma qualcosa dentro. Quando per sbaglio incontro i suoi occhi, sento qualcosa che dentro di me ritorna vivo, ritorna a muoversi. Ogni tanto, le sue labbra formano un lieve sorriso, quando incrocio i suoi occhi, nella mensa.
E io sorrido, riconoscendo l’amica che conoscevo.