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Autore: Malika    09/07/2014    1 recensioni
L'arrivo alla Casa del Lupo di Saoirse, una semplice ragazza che non si aspettava di essere qualcosa di più.
[Storia scritta per il GdR Campo Giove. In questo universo, i personaggi della saga non sono mai nati.]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N/A: Il parlato in corsivo è giapponese.

Disclaimer: Purtroppo, l'ambientazione appartiene a Rick Riordan. Ma Saoirse e la sua storia, la sua famiglia, sono miei, quindi non azzardatevi a toccarli!

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La musica saliva lenta, con il suo ritmo allegro e rapido; ogni volta che lo sentiva le ricordava una festa, una festa a cui tutti partecipavano e si divertivano. Non che lei sapesse con esattezza com'erano le feste, perché non era mai andata a una; sua madre, infatti, riteneva che non fosse il caso, perché era troppo giovane. Saoirse sapeva che era una concezione legata alla tradizione giapponese, ma a lei non dispiaceva.
Amava il Giappone. C'era stata solo due volte in tutta la sua vita, ma lo amava. Sua madre le aveva insegnato le tradizioni e la cultura giapponese, come l'antichità convivesse in perfetta armonia con la modernità; ma non le aveva permesso di vedere solo quello: le aveva mostrato anche la vita rurale che ancora si faceva, lontano dalle grandi metropoli e dalle loro comodità, di come questo fosse un aspetto del Giappone sconosciuto per la maggior parte in Occidente.
Poi, quando riconobbe la nota della canzone su cui iniziare a muoversi, cominciò a ballare. Adorava farlo, era l'unico modo che aveva per liberare se stessa, perché di solito si conteneva e non si mostrava. Ma cosa poteva farci se non si fidava degli altri, se trovava difficile anche solo pensare di farlo? Aveva sempre pensato che stare sola era la cosa migliore e negli anni aveva ricevuto solo conferme.
"Jinsei suteta mon ja nai yo ne atto odoroku kiseki ga okiru anata to doko ka de aishiaeru yokan"1
Si mosse, cominciando a dondolare, mentre gli alberi osservavano silenziosi, unici testimoni del suo momento di libertà. Pian piano, mentre la musica saliva, accelerava e le AKB cantavano esprimendo le loro emozioni al mondo, cominciò a sorridere, girando su se stessa; fu la seconda giravolta a farle notare che qualcosa non andava, che non erano solo gli alberi a guardarla.
Si fermò a metà di un passo, le braccia in aria e il sorriso che lentamente si spegneva sul suo volto, mentre le AKB continuavano a cantare.
"O my gosh... un lupo. Quello è un lupo!" pensò, freneticamente, facendo scorrere lo sguardo in giro. Era terrorizzata: cosa ci faceva un lupo da quelle parti? "Siamo a Salem, maledizione! Qui al massimo ci sono... volpi..." pensò poi, rimanendo incredula quando il suo sguardo si posò su altri due lupi, rapidamente raggiunti da un altro e un altro ancora. "Ma cosa...? O mamma... un branco! Sono un branco di lupi!" si ritrovò a pensare, ancora più terrorizzata.
Il suo sguardo corse prima dai lupi, poi alla sua bici, su cui era appoggiato il telefono da cui proveniva la musica; e poi indietro, i suoi occhi tornarono sul branco. Lei era molto più vicina alla bici rispetto agli animali, ma sapeva di peccare un po' in velocità, soprattutto se paragonata ai lupi; però ci tentò lo stesso.
Scattò verso la bici, infilò il cellulare nella borsa attaccata al manubrio e saltò in sella, cominciando a pedalare il più rapidamente possibile verso casa, mentre l'adrenalina cresceva a ondate e le dava numerose energie. Non si sentiva stanca, per nulla; a parte la paura, che non la faceva neanche voltare indietro per controllare se la stessero seguendo o meno, si sentiva elettrizzata: finalmente un po' di movimento, qualcosa di eccitante. Di solito, a lei non succedeva nulla, era solo quella solitaria, silenziosa, incapace e con il nome strano. Una volta in città, si permise di rilassarsi: anche se i lupi l'avevano seguita, qualcuno li avrebbe notati e se ne sarebbero occupati loro. Ora voleva solo tornare a casa e raccontarlo a sua madre e ai suoi fratelli, sperando che le avrebbero creduto.
« Sono tornata! » esclamò, togliendosi le scarpe una volta che ebbe chiuso la porta.
« Oneechan!! » esclamò Akihito, correndole incontro con un sorrisone, mentre dietro di lui la loro madre si avvicinava quietamente.
« Ben tornata a casa, tesoro. E' andata bene, oggi? » chiese la donna.
« Un! Okaasan, ero vicino al fiume, ai margini del bosco poco fa, e ho visto dei lupi. E' normale? »
« Lupi? Sei sicura? »
Saoirse annuì, raccontando dettagliatamente quello che aveva visto. La donna ci rifletté un po; aggrottò la testa e sembrò intristirsi e arrabbiarsi contemporaneamente, poi scosse la testa: « Sarà stato un branco che si sta dirigendo a Nord, non c'è nulla di cui preoccuparsi Saoirse. » disse poi, cercando di rassicurarla. La ragazzina annuì e, da quel momento, non ci pensò più.

Tornò al fiume, nel suo piccolo rifugio, soltanto una settimana dopo: Akihito aveva avuto la febbre e, come un'ottima sorella maggiore, Saoirse si era occupata di lui.
Era un po' in ansia, in quel momento, mentre scendeva dalla bici; i suoi occhi, infatti, dardeggiavano da una parte all'altra del piccolo spiazzo, insicuri. Poi, due occhi giallo spuntarono dal folto e Saoirse montò nuovamente in sella, tornando di volata a casa.
« Okaasan, c'erano di nuovo! I lupi! Erano di nuovo lì! » esclamò entrando in cucina, con ancora il fiatone.
« Saoirse! Le scarpe, toglile subito! »
« Okaasan! »
La donna sospirò, poi si sedette al tavolo, asciugandosi distrattamente le mani nel grembiule. « Pensavo che fosse un episodio isolato, non credevo che sarebbe successo qualcosa... » mormorò. Sembrava devastata, come se la realtà le fosse piovuta addosso all'improvviso.
« Okaasan? ». Adesso, Saoirse era davvero spaventata: cosa era accaduto di così terribile che anche sua madre, sempre così seria e composta, si faceva vedere angosciata?
« Saoirse, per favore, siediti. Ti devo parlare. » disse la donna, indicandole la sedia di fronte alla sua. Poi sospirò: « Come sai, Takashi non è tuo padre, ma quello che ti devo davvero dire è che ho mentito. Ho mentito dicendo che tuo padre è morto, perché non lo è. O almeno, io non so se lo sia. Del resto, non lo vedo dal giorno della tua nascita e anche prima di allora l'ho visto davvero poco, solo tre o quattro volte, quanto bastava per informarlo della gravidanza e del giorno del parto. Io... io mi vergogno molto! Non avrei mai, mai dovuto avere un bambino fuori dal matrimonio! Ma ero così felice! Come sai, » singhiozzò, asciugandosi le lacrime con il grembiule. « I miei genitori, tuoi nonni, mi hanno diseredato: erano troppo legati alla tradizione per accettare la mia situazione, soprattutto perché tuo padre era scomparso nel nulla. L'unica cosa che mi ha lasciato... aspetta qui! » esclamò poi, asciugandosi le ultime lacrime e uscendo dalla stanza.
Saoirse, invece, sedeva immobile, fissando il punto in cui sua madre era stata fino a un secondo prima. Le aveva mentito. Per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che mentire! Ogni volta che le chiedeva di suo padre, dell'uomo che le aveva dato la vita, lei gli diceva che era un vigile del fuoco e che era morto coraggiosamente per salvare la vita a una bambina. Ma non era vero. La sua vita era una bugia.
Sua madre tornò in cucina, ma non si sedette nuovamente; semplicemente le si avvicinò, porgendole una busta: « Tuo padre me la consegnò il giorno della tua nascita; mi disse di dartela se fossero accadute cose strane attorno a te. Per quanto sia solo un branco di lupi, tu sei l'unica a parlarne, nessuno ha visto nulla. Per cui, penso che dovresti averla. »
Saoirse la prese meccanicamente, senza guardare la madre negli occhi. « Scusami, » disse, alzandosi e dirigendosi il più rapidamente possibile in camera sua, dove si sdraiò mollemente sul letto e pianse fino ad addormentarsi.

Quando si risvegliò, la semplice busta bianca era ancora stretta nella sua mano e Saoirse si ritrovò a fissarla appena aperti gli occhi.
Era confusa: avrebbe dovuto leggerla? O era meglio farla in mille pezzi e dimenticarsi tutto, tornando a vivere come se niente fosse accaduto? Ma non voleva, voleva sapere, voleva conoscere! Non voleva più vivere nella menzogna.
Si sedette scompostamente, asciugandosi gli ultimi rimasugli di lacrime. Afferrò la busta e la fissò qualche minuto, poi scrollò le spalle: « Come un cerotto. » e la strappò. Non sapeva, con precisione, cosa si aspettava. Non una lettera strappalacrime, questo era sicuro. Ma neanche tre parole.
Segui i lupi.
Inizialmente, non riuscì a provare nulla: quel semplice foglietto l'aveva presa completamente alla sprovvista, rendendola incapace di metabolizzare correttamente. Poi, però, la rabbia cominciò a salire: perché si era anche solo disturbato a lasciarle una busta se non voleva scriverle qualcosa di davvero significativo, se non voleva spiegarle nulla. Era davvero così codardo?
Poi, però, sospirò: come avrebbe potuto scriverle qualcosa? Non la conosceva, a malapena era venuto a conoscenza della sua esistenza, stando a quanto sua madre le aveva rivelato. Magari aveva una casa, una famiglia e la breve storia con sua madre era stato uno sbaglio rapido, uno di quegli sbagli di cui ci si dimenticava in fretta; per questo forse, non era mai andato a trovarla e non aveva sostenuto sua madre durante la gravidanza e i problemi che essa aveva fatto sorgere.
Lo sguardo le cadde di nuovo sul biglietto.
Segui i lupi.
Fu in quel momento che l'evidenza la colpì come un pugno nello stomaco: come faceva a sapere dei lupi? Aveva scritto quel biglietto anni prima, eppure sapeva che un giorno avrebbe incontrato un branco di lupi e che questi avrebbero cercato proprio lei. Come? Come era possibile?
Saoirse aveva sempre creduto che esistessero demoni, spiriti e persone dotate di poteri sovrannaturali; credeva che ognuno, in gradi e modi diversi, potesse congiungersi a un piano diverso da quello in cui tutti vivevano. Che suo padre fosse in grado di prevedere il futuro? Il pensiero l'angosciò: se davvero ne era capace, com'era possibile che non era tornato da sua madre, quanto meno per assicurarsi che stesse bene? Che lei stesse bene?
Si morse il labbro, ponderando su quello che avrebbe dovuto fare. Poi scattò in piedi e corse di sotto; era tardi, ma non le importava: doveva parlare con sua madre, assolutamente! Se avesse rinunciato a quella piccola possibilità, sapeva che se ne sarebbe pentita per tutta la vita.
« Okaasan! Okaasan! » chiamò entrando in salone, dove sua mamma stava guardando un film. Era sola, il che voleva dire che Akihito e Yuuko, sua sorella, erano già a letto; il suo patrigno, Takashi, invece era via per lavoro e sarebbe tornato solo in un paio di giorni. « Leggi, per favore, okaasan » disse Saoirse, porgendole il biglietto.
Ma non ottenne la reazione sperata: si aspettava stupore o meraviglia, non perplessità. Sua madre, infatti, semplicemente la fissò di rimando, sollevando un sopracciglio come per dirle "E quindi?".
Saoirse si morse nuovamente il labbro, insicura: doveva davvero farlo? Sapeva già, a questo punto, che sua madre non le avrebbe mai dato il permesso di andare, anche perché aveva delle responsabilità in casa che non le permettevano di andarsene. Per non considerare il fatto che era ancora minorenne e che quel bigliettino non dava spiegazioni e, sicuramente, non la guidava su una strada sicura. Ma voleva tentare lo stesso: « Posso andare? » chiese con una luce speranzosa negli occhi.
Sua madre, semplicemente, le porse il biglietto: « Saoirse, torna a letto. »
La ragazza sapeva che, con quel tono, non c'era niente da fare, per cui annuì, prese il foglio e tornò nella sua stanza. Ma questa volta non avrebbe seguito l'ordine implicito di sua madre: sentiva, dentro di sé, che doveva farlo. E non importava se quei lupi l'avevano terrorizzata, perché adesso sentiva che doveva seguire le uniche parole che suo padre le aveva rivolto.
Una volta in camera, cominciò a radunare le sue cose, sapendo che avrebbe avuto ancora un paio d'ore prima che sua madre decidesse di andare a letto e passasse a controllare che fosse tutto a posto; era una fortuna, tra l'altro, che fosse in camera da sola: Takashi l'aveva proposto quattro anni prima, quando era diventata una signorina, per darle tutta la privacy che meritava. Ecco perché adorava il suo patrigno.
Alla luce del cellulare, radunò sul letto dei vestiti, comodi e pratici, che avrebbe portato con sé, non molti, ma nemmeno troppo pochi, perché non sapeva dove sarebbe andata né quanto sarebbe stata lontana. Come seconda cosa, prese i suoi risparmi, che erano un bel gruzzolo, e la carta di credito; era una prepagata e c'era su poco e niente, perché le era stata data in caso di emergenza. "Ma questa è un'emergenza!" si ritrovò a pensare. Poi una torcia, l'iphone, il caricabatterie e una coperta, perché non sapeva dove avrebbe dormito, e infine i suoi libri preferiti per passare il tempo; infilò tutto nello zaino, che nascose sotto il letto, poi si mise a dormire.

La stazione era quasi deserta a quell'ora del mattino. Era quasi piacevole.
Si guardò in giro, dirigendosi verso il punto in cui il lupo che aveva seguito fino a lì era sparito; non si fece troppe domande, però, perché sapeva che altrimenti sarebbe stato solo controproducente: si sarebbe fermata, avrebbe perso tempo e l'avrebbero trovata. E lei non lo voleva, non adesso.
Era uscita di casa prestissimo, ma fortunatamente non era stato troppo strano: quella settimana aveva le prove di cheerleading anche la mattina, perché nel fine settimana avrebbero affrontato una gara importante. Solo che, invece di andare a scuola, Saoirse era corsa dove aveva visto i lupi l'ultima volta e li aveva seguiti fino alla stazione.
In quel momento, uno dei lupi - doveva essere il capobranco - era di fianco agli orari dei treni. Si avvicinò cautamente: per quanto non li temesse più, o comunque li temesse meno, erano pur sempre animali selvatici di cui non aveva modo di prevedere le reazioni. « Cosa devo fare? » chiese; si sentiva un po' strana a parlare con un lupo, ma quel giorno era strano di per sé.
Il lupo mise una zampa sull'orario, indicandole un punto preciso. Come se capisse quello che c'era scritto. « San Francisco » lesse e il lupo abbaiò. « Devo andare lì? » chiese e il lupo abbaiò di nuovo. « Lo prendo per un sì... » mormorò tra sé, avviandosi ad acquistare un biglietto alle macchinette per il Coast Starlight2.

Il viaggio risultò lungo e stancante, anche perché era rimasta seduta per quasi sedici ore, ma essendo partita di mattina prestissimo, adesso era ancora prima serata e aveva tutto il tempo per capire dove andare.
Si stava avviando verso la città, quando un ululato in lontananza la fece girare: la stazione non era tanto distante da un bosco; capì che era lì che doveva andare. Controllando di non essere seguita, quindi, si inoltò tra gli alberi, cominciando a cercare i lupi. Razionalmente, sapeva che non poteva essere lo stesso branco che l'aveva indirizzata fino a lì, perché era impossibile che corressero alla stessa velocità del treno, però qualcosa le diceva che erano collegati.
Tirò fuori la torcia e si guardò in giro, controllando i cespugli e cercando i lupi, ma non ne vedeva nessuno nei dintorni. Gli occhi cominciavano a essere pesanti: per quanto avesse dormicchiato un po' sul treno, la stanchezza cominciava a farsi sentire. In quel momento, la luce della torcià illuminò una casa diroccata, probabilmente andata a fuoco il secolo prima ma che non era mai stata ristrutturata. Ci si avvicinò piano e pensò che, dopo tutto, quei gradini sembravano comodi per riposare e poi riprendere la ricerca la mattina dopo; ma quando salì i gradini e la torcia illuminò il patio, non poté fare a meno di urlare: un lupo la stava aspettando.
Rimase immobile, cercando di capire cosa volesse, ma come gli altri non sembrava avesse cattive intenzioni, infatti si spostò subito, passando lo sguardo da lei alla porta della casa e viceversa. Saoirse stette ferma ancora un attimo, prima di dirigersi verso di essa e aprirla.
Non sapeva quello che ci avrebbe trovato, ma sperava ardentemente in una cosa: risposte.
   
 
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