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Autore: Lyset    09/07/2014    1 recensioni
Questa storia nasce da un messaggio come tanti, che ho inviato alla mia ragazza, a colei che amo, che ora si trova a centinaia di km di distanza da me.
È lei ad avermi convinta a renderla una storia.
Questa è per te, cucciola.
Ti amo.
Ma dopo pochi minuti Andrea si trovava su quella spiaggia, seduta nella medesima posizione.
Senza nessuno al proprio fianco.
È proprio vero.
Quando trovi la tua metà non ne esci mai intero.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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~Your Teenage Dream Tonight~

Questa storia nasce da un messaggio come tanti, che ho inviato alla mia ragazza, a colei che amo, che ora si trova a centinaia di km di distanza da me.

È lei ad avermi convinta a renderla una storia. 

Spero vi piaccia.

Questa è per te, cucciola. 

 

ps: vi consiglio di leggere la storia sottostante durante l'ascolto di questa canzone: https://www.youtube.com/watch?v=LiSxQqX1wnc 
Grazie
 

Ore 07:34


Giada si precipitò sulla spiaggia ad una velocità sovrumana, attraversando le scale che davano su quella distesa chiara e morbida con irruenza, rischiando di perdere le infradito, seguita da un'ansante Andrea, che stava ancora cercando di riprendersi dalla folle corsa in cui l'aveva trascinata la sua ragazza, che l'aveva tacitamente costretta a seguirla, stringendole la mano. Avevano passato la notte a sussurrare con un filo di voce qualsiasi cosa venisse loro in mente, e sebbene i loro discorsi non avessero capo né coda, durante la notte riuscivano ad essere finalmente loro stesse, quando le paure e le debolezze emergevano con più facilità. A fare compagnia alla loro chiacchierata il profumo inebriante della salsedine e la dolce brezza marina, che provocava tenui brividi, subito contrastati dal calore dei loro corpi a contatto.
Il risultato di quella notte insonne era alquanto evidente: le occhiaie di Andrea, che si era dimenticata ancora una volta di comperare gli occhiali da sole, la facevano assomigliare tremendamente ad un...
<< Lo sai che sembri un panda? >> pronunciò Giada, dando voce ai suoi pensieri mentre, le mani sulle ginocchia e il respiro pesante, cercava di riprendersi da quella corsetta mattutina. 
<< Vuoi tacere?! >> ribatté l'altra, facendole notare con uno sguardo risentito che erano circondate di gente malgrado fosse ancora presto. L'altra si strinse nelle spalle, sorridendo divertita. 
<< Tanto saranno tutti stranieri >> ridacchiò, squadrando alcune famiglie dalla carnagione chiara e i capelli biondi.
<< Ma taci... >> involontariamente si erano avvicinate, spostandosi vicino ad uno degli sparuti scogli che si trovavano sulla spiaggia. 
Solo pochi centimetri le dividevano.
Giada sfiorò con la fronte quella dell'altra ragazza, sorridendo debolmente e tentando ancora di riprendere fiato.
Di certo quella situazione non aiutava.
Dal suo canto, avvertiva l'intenso impulso di strapparle di dosso quel prendisole bianco fin troppo attillato e quella braghetta a pois e di gettarla nell'acqua. Tutto questo ovviamente senza smettere per un secondo di baciarla. 
Ma...
<< Lo sai che non possiamo... >> le parole di Andrea la ricondussero prepotentemente alla realtà, strappandola con violenza a quel perfetto filmino mentale. 
Sospirò.
Il volto di Giada era il ritratto dell'amarezza e della delusione, mancavano solamente le orecchie abbassate e sarebbe sembrata una perfetta cucciola bastonata.
<< Ehi >> aggiunse l'altra con dolcezza, come si parla ad un bimbo a cui non si può comprare il gelato.
<< Avremo tempo per quello >> a quelle parole un radioso sorriso tornò a illuminare il viso di Giada la quale, ancora più elettrizzata di quanto non fosse prima, la incitò a spogliarsi, mentre lei faceva altrettanto, abbandonando le borse sulla spiaggia.
Stava per partire con un secondo filmino mentale riguardo i molteplici significati del termine “spogliarsi” (due in soli cinque minuti, un record insomma!!) ma un certo calore proveniente dal basso l'allarmò. 
Non pensate male: i piedi le stavano letteralmente andando a fuoco.
<< Scotta! Scotta! Scotta!! >> prese
ad urlare, cominciando a saltellare in cerchio, tentando inutilmente di togliersi l'altra ciabatta, con l'unica mano libera, dato che l'altra ghermiva un tubetto di protezione solare. Lanciò un'occhiataccia verso la sua ragazza, sentendola ridere e questa reagì portando una mano a nascondere la sua evidentissima risata, invano.
Dopo aver intercettato un'occhiata sprezzante da parte di Giada cercò di ricomporsi, nonostante stesse continuando a ridere sotto i baffi. 
Altra occhiataccia.
<< Scusa, è che somigli tanto ad un qualcosa di assolutamente imbranato e contemporaneamente terribilmente dolce >> se alla prima parte di quella frase Giada stava per saltare addosso ad Andrea per buttarla in acqua di peso e cominciare a schizzarla e farle il solletico, alla fine prese in considerazione l'idea di saltarle semplicemente addosso. Poi tornò coi piedi per terra.
<< Gne gne, questi panda invidiosi >> fece avvicinandosi pericolosamente a lei per godere anch'essa dell'ombra fornita dall'ombrellone. O del suo respiro sulla pelle, a voi l'ardua interpretazione.
Se solo si fosse sporta un altro po' avrebbe potuto...
<< Vieni che ti metto la crema che se no ti scotti >> a quelle parole Giada si estraniò dal suo flusso di pensieri e, senza fiatare, si sdraiò a pancia sotto sul lettino blu con scritto a caratteri cubitali “Alla scogliera”, non prima di aver però depositato il suo telo con tanto di Winnie the Pooh.
Appena la crema e le mani della sua ragazza sfiorarono il suo fondoschiena con un tocco leggere e gentile si lasciò andare ad un gemito soffocato. 
<< È fredda... >> mugolò, senza però sottrarsi a quel tocco che non le dispiaceva. 
Per niente.
Avvertì quelle mani piccole e quelle dita sottili percorrere la sua schiena, disegnando immaginari cerchi sulla pelle, senza lasciare un unico centimetro scoperto.
Era...tutto dannatamente perfetto.
Ma quando la rossa comprese che le aveva appena slacciato il pezzo sopra del costume, ogni fibra del suo corpo si tese allo spasmo, quasi allarmata.
Sapeva che se l'aveva fatto era solo per applicare la protezione in modo più efficace ma non poté trattenersi dal rabbrividire.
Andrea sentì Giada irrigidirsi, e prima che potesse domandarsi il motivo, il proprio corpo aveva fatto tutto da solo. 
Ora si trovava a pochi centimetri dalla guancia della rossa, che, la testa affondata nelle braccia incrociate, la spiava con un occhio e un volto quasi supplichevole. 
<< Ehi >> le lasciò un bacio sfuggente sulla spalla, prima di tornare a spalmare la crema con cura quasi maniacale.
Se il fine del gesto di Andrea era rilassarla, probabilmente non ci aveva visto esattamente giusto. Anzi. Ora non era altro che tesa ancora più di prima se possibile.
Erano circondate dalle persone nonostante fosse presto e malgrado il loro tentativo di nascondersi come sempre, quella mattina sembrava che Andrea fosse di diverso avviso.
Prima quelle carezze così intime, poi quel bacio.
Ma alla fine, era qualcosa di assolutamente normale che due amiche si aiutassero a spalmarsi la crema e si scambiassero gesti amichevoli...
No? 
Quelle parole suonavano false perfino a lei. 
Effettivamente sembravano tutt'altro che due amiche in vacanza. 
<< Tranquilla, continuo da sola >> disse, tentando di raccogliere tutto l'autocontrollo che aveva a disposizione. 
Si sorrisero, prima che ognuna tornasse ad occuparsi dei fatti propri, continuando tuttavia a prestare costante attenzione a ciò che faceva l'altra.
Giada fissava Andrea di sottecchi, cercando di capire cosa le fosse preso.
La stava provocando. 
E non sarebbe rimasta a guardarla agire senza fare nulla. Doveva assolutamente ricambiare.
<< Dai, ora tocca a te >> quella frase colse alla sprovvista la mora, che sollevò un sopracciglio, vagamente confusa.
<< Cretina, ti devo mettere o no la crema? >> ridacchiò. Si sarebbe decisamente divertita quel giorno.
<< No, no, non c'è bisogno, tanto non entro già in acqua, è ancora presto >> 
<< Lo sai che i raggi solari sono come le pubblicità della Pittarosso, ti raggiungono ovunque >> un sorriso divertito comparì sul volto della ragazza dai capelli corti, che si sdraiò sul lettino senza ribattere. Sapeva che sarebbe risultato totalmente inutile con lei.
<< Però non entro in acqua >> ribadì con scarsa convinzione.
La rossa si strinse nelle spalle e scosse la testa, uno strano luccichio nello sguardo. Nulla di tanto fuori dal comune, considerando che la sua ragazza era completamente pazza.
Per un attimo si sentì la cavia di qualche strano esperimento, ma poi affondò la testa fra le braccia incrociate, aspettando il contatto gelido con la crema solare.
Che non accennò ad arrivare.
Attese qualche minuto, sopprimendo quel senso di impazienza, ma infine alzò la testa, cercando la sua ragazza con lo sguardo. Dove cavolo..?
Un contatto gelido la investì. 
Di certo non del tipo che lei si aspettava. 
Le era appena stato gettato addosso un secchio d'acqua gelata. 
E a giudicar dalla risata che si spandeva nell'aria, era stata Giada. 
Sospirò, trattenendo un'imprecazione e limitandosi a voltarsi verso di lei che aveva già cominciato a scappare.
Non l'avrebbe passata liscia.
Cominciò a rincorrerla per tutta la spiaggia, ignorando i brividi in tutto il corpo, i capelli fradici, la sabbia cocente e le occhiatacce della gente annoiata o mezza addormentata sotto quegli ombrelloni. 
<< Se ti prendo... >> mugugnò con un filo di voce, continuando a correre, nel tentativo di raggiungerla. 
Giada non smetteva un attimo di ridere. Sorrise nel vederla finalmente in pace. Felice.
Solo in quel momento si accorse di come anche lei stessa stesse ridendo a crepapelle. 
Non si fermò a riflettere. 
Attraversò l'ultimo
pezzo di spiaggia, prima di vedere la sua figura slanciata scomparire nell'acqua. 
Seguita immediatamente dalla propria. 
Brividi e un contatto freddo, un abbraccio e un benvenuto in quell'ambiente che amava.
Si era sempre sentita a suo agio nell'acqua, dire che adorasse il mare era sicuramente riduttivo.
Le permetteva di dimenticare tutto il resto, estraniare ogni altro pensiero dalla propria mente. Diventare tutt'uno con il resto del mondo. Stare bene. 
Riemerse e sospirò, in pace. Un debole sorriso le increspò le labbra.
Nonostante lo scarto fosse poco si accorse di aver perso di vista la propria ragazza. 
Dove si era cacciata? Perlustrò con lo sguardo la superficie dell'acqua, in cerca della sua figura.
Nulla.
Per un attimo si preoccupò che le fosse successo qualcosa.
Ma fu solo un attimo.
Subito dopo infatti avvertì una stretta decisa sulle proprie caviglie e venne trascinata poco lontano.
Il suo unico tentativo di divincolarsi non andò in porto. Così si lasciò trascinare. 
Poco prima di capire le reali intenzioni di Quel Qualcuno che la stava trascinando. 
Poi si divincolò con tutta sé stessa. Inutile dire che lo fece invano.
Qualcuno la tirò sott'acqua, facendole ingoiare una quantità esorbitante d'acqua e lei cominciò ad annaspare e a divincolarsi da quella stretta ferrea. Finché non avvertì che quelle stesse mani che poco prima le stringevano le caviglie si erano ora spostate sui fianchi, fino a farla risalire in superficie, lasciandola libera di respirare. 
Viva. 
Dopo aver ripreso fiato aprì gli occhi su una Giada fradicia e con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
<< Ti ho salvata! >> disse con entusiasmo, ridendo. 
<< Oh, ma davvero? Grazie eh >> rispose l'altra, mentre cercava di ridare un senso ai propri capelli.
<< Prego signorina, è stato davvero un piacere. Ma non crede che mi meriti una ricompensa per un simile gesto? >> tentò di celare il sorriso che le si formò spontaneamente intuendo dove voleva andare a parare, mentre entrambe si dirigevano dove riuscivano a toccare senza troppa difficoltà il fondale.
<< Umh, no. Ma sentiamo, come vorrebbe essere ricompensata? >> la sua voce tradiva l'aspettativa e una timida risatina attraversò l'aria. 
<< Umh... Un'ideuzza ce l'avrei... >> sussurrò ancora la rossa, e le si avvicinò, facendo aderire perfettamente i loro corpi. 
Gli sguardi concatenati, persi l'uno nell'altro. Verde nel marrone. Quegli occhi in cui riusciva a vedere il mare.
I respiri l'uno sul viso dell'altra, tiepidi. 
Di riflesso, Giada posò le proprie mani sui fianchi di Andrea, che le accarezzò la guancia.
Prima che potessero accorgersene i loro respiri si incrociarono, mischiandosi fra loro e le loro labbra si trovarono a sparuti centimetri di distanza. 
I giovani raggi solari si insinuarono debolmente fra i loro sguardi acquosi, illuminando quegli occhi ancora di più se possibile. 
In essi il riflesso ceruleo del cielo di prima mattina e di quella che per loro era la persona più speciale al mondo.
E furono tiepidi sospiri e sorrisi ad occhi chiusi, baci a fior di labbra e mani intrecciate. 


Fu, semplicemente, il loro amore.




 

** ore 12:11 **



Fra lunghi bagni, risate, e scottature non innocenti, si era ormai fatto mezzogiorno. 
Giada era sdraiata per terra, piena di sabbia ovunque, perché la sua ragazza aveva avuto la geniale trovata di ricoprirla di sabbia fino al collo, un po' come in quelle scene dei film. 
<< Uffa, e poi come la lavo via tutta sta roba? >> si lamentò Giada, fingendosi irritata.
In realtà si stava divertendo da matti, ma ancora si chiedeva come si fosse fatta convincere a fare da cavia per una cosa simile.
<< Ti devo ricordare che stamattina mi hai tirato un secchio d'acqua gelata in testa?! >> replicò con falso risentimento Andrea, aspettando l'ennesimo diniego da parte della propria ragazza.
<< Ti ripeto che non sono stata io!! >> 
Ecco, era arrivato. 
Non poté trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo sghignazzando, mentre posava altra sabbia sul petto ormai ricoperto di Giada.
<< Ancora con questa storia... >> continuò a sorridere sorniona.
<< Ma è la verità!! >> pronunciò Giada, cercando di divincolarsi un po' da tutta quella sabbia. 
<< Sì, come no... >> risero entrambe, non riuscendo a celare un sorrisino divertito. 
Dopodiché Andrea si alzò in piedi ad ammirare il frutto del suo lungo lavoro. 
Una Giada ricoperta interamente di sabbia.
<< Ora posso uscire? >> gemette Giada con aria scocciata. 
<< Di già? Hai idea di quanto ci abbia messo? >> 
<< Sì, ma ho le guance che vanno a fuoco >> dopo aver effettivamente constatato che almeno questo era vero Andrea si assentò per qualche secondo, per munirsi di crema solare e spalmarla sulle guance della propria ragazza, che sorrise debolmente alla vista del sole che la illuminava da dietro in quella maniera. 
Sembrava un angelo. 
<< Che c'è? Sembra che tu abbia appena visto la madonna >> 
<< Infatti >> confermò, Giada, rapita.
<< Hai visto la madonna? >> 
<< No, cucciola, sei solo tu >> 
Andrea sollevò un sopracciglio, interdetta.
<< Sei meravigliosa >> 
“Meravigliosa”. 
Era uno di quei termini che Giada utilizzava raramente, quasi a sottolineare l'unicità dell'oggetto o la persona a cui era indirizzata.
E di certo, la sua ragazza era molto più che unica.
A quelle parole Andrea, approfittando dell'assenza di gente, si chinò sul viso di Giada e cominciò a baciarlo. 
Partì dalla fronte e sfiorò con dolcezza prima la palpebra destra e poi quella sinistra, mentre l'altra con gli occhi chiusi sospirava e gemeva debolmente. Poi toccò al naso, dove abbandonò qualche bacio casualmente, ancora la fronte leggermente sudata e le guance dove indugiò lungamente, rosse e calde. 
E non solo per il sole. 
Quando arrivò alle labbra si accorse con il respiro mozzato, che si stava spingendo troppo oltre. 
La gente cominciava nuovamente a sciamare, tra i matti che decidevano di farsi il bagno subito dopo mangiato e i bimbi intenti a costruire castelli di sabbia. 
Si limitò a soffiare sulle sue labbra, sorridendo debolmente, con la tacita promessa di continuare dopo, dopodiché decise di andarsi a fare una doccia per eliminare la salsedine. Giada sospirò, un'espressione vagamente soddisfatta e lo sguardo che elemosinava ancora attenzioni simili. Con non poca difficoltà si alzò da terra, liberandosi della sabbia che praticamente le era entrata pure nelle orecchie. Dopodiché si sedette, aspettando che Andrea tornasse. 
Aveva i capelli pieni di sabbia, una bella scottatura sulle guance e sul naso, eppure si sentiva benissimo.
In pace.
Libera.
Quando questa la raggiunse, ancora bagnata per via della doccia, un sorriso furbo si dipinse sul volto della rossa.
<< No. Ehi. No. Ho appena finito di lavarmi >> a nulla servirono le lamentele di Andrea con Giada che non ci pensò due volte. Prese in braccio di peso la propria ragazza e la buttò in acqua insieme a lei.
<< Aaaah, avevo proprio bisogno di un bagno refrigerante... >> sussurrò Giada, in estasi, cominciando ad allontanarsi da Andrea.
Intanto lei, lo sguardo corrucciato, si precipitò fuori dall'acqua alla velocità della luce, irritata.
Ma un piccolo dettaglio la costrinse a ravvedersi e tornare nell'acqua.
<< Ti odio >> pronunciò la mora, stizzita. 
Giada sorrise e le mandò un bacio, schizzandola.
<< Anch'io ti amo, cucciola >>
Le sue mani stringevano il pezzo superiore del suo costume.


 

** 13:46 **



Si trovavano lì, sedute su un telo da spiaggia di Winnie the Pooh, tentando di asciugarsi e pranzare con i pochi alimenti di cui erano provviste. 
La rossa estrasse dalla borsa un'albicocca, e la porse alla sua ragazza che stava finendo un po' di riso freddo. 
<< La vuoi un'albicocca? >> chiese, sorridendo con un po' troppa enfasi.
<< Magari dopo, grazie tesoro >> 
Giada annuì, riponendo il frutto nell'apposito recipiente.
Osservò il profilo della sua ragazza, persa a fissare l'orizzonte e decise di porre quella fatidica domanda.
<< Come va il fattore ansia? >>
<< Meglio >> rispose questa, senza voltarsi, rimanendo impassibile.
La rossa avrebbe voluto replicare ma trovò più adeguato tacere.
In tutta sincerità perfino lei non aveva mai capito né dato una collocazione a quella loro relazione.
Si era trasformata da amicizia a qualcosa di più, ormai erano convinte di essere l'una la ragazza dell'altra ma faticavano ad ammetterlo persino a loro stesse. Soprattutto in presenza di qualcuno oltre loro due.
Soprattutto per Andrea.
Non era ancora riuscita ad accettare quel lato di sé e l'insicurezza di certo non giocava a suo favore. 
A dire il vero neppure lei sapeva perché si fosse lasciata andare quella mattina. Era accaduto tutto così velocemente e sapeva che si sarebbe dovuta fermare. 
Ma non voleva. 
Per una volta aveva deciso consciamente di amarla senza porsi limiti. Almeno, l'aveva fatto per qualche secondo. 
Ma temeva di aver lasciato qualcosa in sospeso con la sua ragazza, qualcosa di importante, di cui non avevano ancora avuto il coraggio di discutere seriamente, e ora quel qualcosa stava gravando sugli animi di entrambe, come un'incudine dal carico insopportabile.
La tensione nell'aria era palpabile, forse anche più dell'odore penetrante e marino della salsedine.
Sapevano entrambe che la loro storia non era una come le solite, come la altre. Per quanto fossero insicure e giovani era una storia vera, una storia con un significato. 
Qualcosa di importante.
E il loro maggiore timore era di rovinare quel qualcosa, così fragile eppure così perfetto.
Perché fra di loro c'era ciò che mai avrebbero trovato in nessun altro, qualcosa di raro, prezioso e irripetibile, che le univa da ancora prima che si conoscessero.
Chiamatelo fato, destino, filo rosso, provvidenza o magia.
Tutto ciò che sapevano è che era qualcosa di unico e splendido.
Si scambiarono uno sguardo fugace, prima di tornare distrattamente una al riso e l'altra ad una pesca noce. 
Quando si accorsero di continuare a sospirare gravemente da un po' si resero conto di quanto ormai quel momento fosse vicino, e i loro stomaci si contrassero quasi all'unisono, vittime dell'adrenalina. 
Osservarono l'orizzonte azzurro, sedute su quel telo da spiaggia, l'una accanto all'altra. 
Scrutarono la riva, dove qualche bimbo stava finendo di giocare con la sabbia in vista del pranzo, mentre la madre strillava di tornare sotto l'ombrellone a causa del sole cocente di mezzodì.
Una coppietta giocava a spruzzarsi nell'acqua e per un attimo entrambe desiderarono che il loro amore fosse così. Così semplice.
Senza ostacoli. Senza difficoltà. 
Avvertendo i propri pensieri affini si voltarono una verso l'altra, una smorfia dispiaciuta sul viso. 
Perché avevano il mondo e perfino loro stesse contro? Bel quesito.
La rossa riprese a fissare l'orizzonte che si perdeva nell'azzurro infinito del cielo terso e nel blu zaffiro del mare, nel punto in cui essi si incontravano, e prese la parola.
<< Hai mai considerato l'ipotesi di rendere la nostra storia pubblica? >> quelle parole caddero come un macigno, toccando il nervo scoperto di Andrea. Il suo volto assomigliava terribilmente a quella di un condannato al patibolo.
<< Non lo so >> pronunciò con un tono sconsolato e dubbioso, mantenendo lo sguardo basso sulle proprie gambe incrociate, senza prestare attenzione a quello di Giada, che era posato su di lei. 
<< Sarebbe tutto più semplice... Insieme >> mugolò la rossa, tentando di apparire convincente. Le cercò la mano libera, e gliela strinse. 
<< Non credo >> rispose l'altra, senza reagire al suo tocco, nonostante le avesse provocato un enorme vuoto allo stomaco.
<< Potremmo essere felici... Intendo, più felici >> disse Giada, correggendosi alla fine, senza demordere, regalandole un sorriso.
<< Potrebbe andare come le altre volte... >> Giada sapeva bene cosa intendeva Andrea con “le altre volte”.
Non era la prima volta che tentavano di mantenere in piedi quella storia e, fagocitate dalle difficoltà di quel cammino pieno di insidie, demordevano. 
Sospirò, e le strinse ancora la mano, fissandola con intensità.
<< Ehi, ti prometto che non succederà, non ancora, non un'altra volta. >> ma la sua ragazza non cadde in preda ai suoi occhioni teneri e del sorriso dolce. 
<< Non lo so... >> pronunciò, la voce che tremava, smettendo di mangiare il riso.
<< Tu non sei più in ansia... >> aggiunse ancora Giada.
<< No, però... >> oh, sì in realtà sì che lo era. Eccome. 
In quel momento l'ansia le fuoriusciva dai pori della pelle. 
Aveva paura. 
Una tremenda paura che tutto finisse ancora, proprio quando aveva trovato finalmente la sua felicità.
Paura di perderla, di perdersi. 
Perché così fa la vita, ti prende per il culo. 
<< ...Non lo so >>
<< Potremmo provarci >> affermò Giada, incrociando finalmente gli occhi di Andrea, in uno sguardo carico di aspettativa e timore.
<< No >> rispose l'altra, categorica.
<< Cosa ci sarebbe di sbagliato? >> stavolta Andrea ritirò la mano al tocco di Giada.
La situazione stava decisamente sfuggendo di mano.
<< Senti, ho detto di no! >> scandì con decisione, cominciando ad irritarsi per il comportamento logorroico della rossa. 
<< Ma la nostra storia non ha nulla in meno di quelle altrui! Siamo come gli altri! >> ribadì Giada, alzando a sua volta la voce di un'ottava, come ogni qualvolta che si arrabbiava. 
<< Non è vero >> si impuntò
<< Sì, invece, siamo una normale coppia di persone che si amano >> ribatté Giada, che cominciava a infastidirsi non poco per quelle provocazioni. Perché erano arrivate a quel punto? 
<< Andiamo Giada, siamo due ragazze!! >> quelle parole colpirono la rossa con una potenza inaudita. 
Non poteva davvero pensare una cosa simile.
<< E allora? Stai sminuendo il significato della nostra relazione in base a ciò che abbiamo fra le gambe?! >>
Ne aveva proprio avuto abbastanza.
<< Senti, non so nemmeno se fra di noi ci sia una storia!! >> 
Di colpo calò il silenzio più assoluto. Il suono delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga appariva lontano e sordo, e le strida dei gabbiani altrettanto insonorizzate. 
Esistevano solo loro due e i loro sguardi colpiti e fuori di sé.
Sembravano entrambe troppo basite per pronunciare qualsiasi cosa, e così rimasero a fissarsi qualche minuto, entrambe ignoranti di ciò che sarebbe successo. 
<< Io pensavo che... >>
Per un attimo Giada sperò quasi che stesse scherzando, ma quando quel silenzio si prolungò comprese che purtroppo quella era la realtà.
<< Non ho mai detto che stavamo insieme >> 
La rossa si sentì scomparire, come se fosse diventata un fantasma. 
Inutile.
Impotente.
Invisibile.
Dopo qualche attimo di confusione, annuì, raccogliendo tutto il proprio autocontrollo e la propria forza di volontà per ricacciare indietro le lacrime e celare il tumulto che imperversava dentro di lei.
Un uragano forza 10, come minimo. 
Avvertì improvvisamente l'impulso di rigettare tutto ciò che aveva appena ingerito. 
Dire che avesse lo stomaco in subbuglio infatti è un eufemismo.
Le lacrime premevano per uscire, ma non avrebbe pianto davanti a lei. No. Mai.
Dal canto suo anche Andrea stessa sembrava scossa dalla sua frase. Non poteva credere di averlo detto davvero.
Non sapeva neppure da dove le fossero uscite quelle parole. Era davvero lei ad averle pronunciate? 
Sì, l'amore in fondo è solo un'altra grande fregatura della vita. 
Tutto accadde nuovamente troppo in fretta perché se ne rendessero conto.
Ma dopo pochi minuti Andrea si trovava su quella spiaggia, seduta nella medesima posizione. 
Senza nessuno al proprio fianco. 
È proprio vero.
Quando trovi la tua metà non ne esci intero.


 

** 19:20 **



“Ti prometto che ci sarò sempre, se vorrai, qualsiasi cosa accada”
Quelle sue stesse parole, pronunciate qualche tempo addietro, le riverberavano nella mente da ore senza darle tregua un attimo. 
Le sembrava che tutta la sua esistenza si ricollegasse a lei, qualsiasi cosa vedesse, toccasse, percepisse, perfino il vento, diceva chiaramente che senza lei tutto perdeva un qualunque senso. 
Le aveva mentito, se n'era andata. Non era rimasta. 
Ma non aveva potuto farne a meno, i suoi piedi si erano mossi da soli quando la prima lacrima aveva solcato il suo viso. 
No, non voleva che Andrea la vedesse in lacrime, e soprattutto non per lei. 
Aveva esagerato, era diventata ancora una volta appiccicosa.
Non aveva potuto farne a meno, era fatta così, e in fondo anche lei ambiva ad una vita serena e tranquilla, dove non bisogna preoccuparsi se ci si scambia un bacio in pubblico o ci si accarezza e abbraccia al crepuscolo, scrutando l'orizzonte nell'attesa che il sole si tuffi nel mare. 
Ma mai, mai avrebbe voluto provocare qualcosa di simile. 
Si sarebbe mangiata le mani. 
Un'altra lacrima solcò il suo viso, gelida sulle sue guance cocenti, e pensò a quando poche ore prima quelle labbra si erano posate su quelle stesse guance. Cosa non avrebbe dato pur di tornare indietro e rimettere tutto a posto...
Aveva sbagliato tutto, e ora doveva pagare quell'errore, quell'errore che le era costato così caro. 
La vita le aveva appena consegnato il conto. Ed era decisamente salato.
Si affrettò ad asciugarsi le guance quando una ragazza alta e snella si sedette sullo sgabello al suo fianco, ordinando “il solito” al barista alto e corpulento dietro al bancone. 
Sospirò, e cercò di ricomporsi nella sua maglietta bianca e quei pantaloncini neri sbiaditi, per quanto fosse possibile. 
<< Ehi, zuccherino, che succede? >> 
Odiava gli sconosciuti che attaccavano bottone immotivatamente. Li trovava stressanti e poco discreti.
<< Niente >> rispose, spegnendo subito il tentativo di conversazione della ragazza bionda. 
<< Andiamo, conosco quel faccino. Pene d'amore? >> 
Giada sospirò ancora, e lanciò uno sguardo annoiato a quella sconosciuta.
<< Ho capito, non vuoi parlarne, tranquilla >> alzò gli occhi al cielo, pensando a come anche Andrea solesse farlo, e rispose pacatamente, cercando di mantenere la voce più ferma e piatta possibile.
<< Sono di nuovo single >> si limitò a dire, sperando che quell'altra non si mettesse a raccontare spiacevoli aneddoti della sua vita amorosa.
Fortunatamente non lo fece.
<< Luca, fai il solito anche a lei!! >> strillò la ragazza rivolta al barista.
<< Non voglio nulla >> 
<< Tranquilla, offro io >> il drink arrivò, e la ragazza sconosciuta glielo porse, invitandola ad assaggiarlo.
<< Assaggia, è buono, e ti assicuro che in certi casi aiuta >> Giada fece spallucce e avvicinò il bicchiere alle labbra.
Dopotutto, cosa aveva da perdere? Le avevano tolto il suo tutto, ormai non era che un rifiuto umano, un corpo senz'anima. 
Mentre beveva la ragazza al suo fianco riprese parola, con voce lasciva.
<< E comunque mi chiamo Giulia >> le fece l'occhiolino << e anch'io sono single >>
Si limitò ad annuire, lo sguardo perso nel vuoto, mentre sorseggiava quel cocktail.
A dire il vero il suo “gay radar” che solitamente avvertiva chiaramente quel tipo di persone, non aveva fiutato nulla.
Doveva essere troppo presa dai propri pensieri.
Se normalmente incontrare una lesbica (o una etero in cerca di divertimento) l'avrebbe entusiasmata, in quell'istante quella notizia la lasciò completamente indifferente. 
Nulla avrebbe potuto fare risplendere il sole nella sua vita perché era lei quella stella, il suo sole che la illuminava e le faceva venire voglia di andare avanti. Di vivere.
Si ricordò di una canzone che spesso lei e Andrea cantavano insieme: 
“Here comes the sun, little darling” e pensò che in quel momento, semplicemente, stava per venire a piovere nella sua vita.
E forse non ci sarebbe più stato il sole.
Solo pioggia.
Giulia la riscosse da quel potente flusso di pensieri.
<< Stasera al lido c'è una festa, vuoi venire? >> 
Abitualmente avrebbe declinato gentilmente l'offerta, quel tipo di festicciole non erano il suo ambiente, ma questa volta, senza preoccuparsi di domandare ulteriore spiegazioni, asserì col capo mentre l'altra le tendeva un bigliettino.
<< Alla scogliera. Vedrai, sarà uno sballo, ci sarà un mare di gente >>
Non riuscì a notare quella smorfia beffarda sul viso della ragazza, troppo persa a leggere sul bigliettino. Ignara.
“Alla scogliera” 
Era il loro lido.

 


** 22:48 **



Andrea sospirò ancora, per la quattordicesima volta in quella serata.
Si continuava a chiedere per quale assurdo motivo si fosse imbucata in quella dannatissima festa, dove si sentiva assolutamente fuori luogo.
Per svagarsi? No, era fuori discussione.
L'unica cosa che volesse fare era chiudersi in una camera per mesi e piangere fino a non avere più lacrime da versare.
Era rotta.
Spezzata.
E terribilmente sola. 
Aveva fatto una cazzata, aveva detto una stupidaggine. 
All'inizio non poteva negare di essersi arrabbiata ma non riusciva a rimanerlo per troppo tempo, soprattutto con lei. E inoltre Giada aveva assolutamente ragione. 
Sì, era vero, lei aveva insistito, ma era giusto così. 
Erano mesi che la costringeva a nascondersi, e lei non ne poteva più, era chiaro. Le stava impedendo di prendere il volo. 
Di prendere il volo insieme.
E in fondo era quello l'amore, no? 
Che non l'amasse abbastanza? 
Deglutì a vuoto e fissò il bicchiere di chissà quale sconosciuto cocktail che stringeva fra le mani. Per un attimo considerò l'idea di berlo, di terminare la serata ubriacandosi, forse l'avrebbe aiutata, poi lo posò sul bancone, riluttante. 
Una sbronza non avrebbe fatto che aggravare la situazione, dopotutto.
A dire il vero si sentiva come se Giada fosse stata aria e lei non riuscisse a respirare. Non vederla la faceva cadere nel panico. 
Morire dentro.
Dov'era? 
Cosa stava facendo? 
Con chi era? 
Dove avrebbe passato la notte, non avendo un alloggio? 
E se avesse fatto una cazzata? 
Conoscendola ne sarebbe stata capace. 
Si guardò i polsi, attraversati ancora da qualche cicatrice, pensando a tutto ciò contro cui avevano lottato insieme, come amiche, come amanti, come ciò che erano, ovvero qualcosa di più di tutto ciò. 
Quelle che in inglesi si definivano 
Soul Mates, e in italiano, più volgarmente Anime Gemelle
La sua mano corse al fianco sinistro, dove il fantasma di una scritta ormai sbiadita giaceva ancora, immutabile.
“Fat” tre lettere che l'avevano accompagnata in quegli anni, soggiogandola ad una dannata bilancia. 
Ma lei, con quelle dediche, quelle parole dolci, quei sorrisi e quegli occhi luminosi, l'aveva quasi convita che in fondo il peso fosse solo un numero, e che la bellezza non avesse un canone o uno standard. 
L'aveva fatta sentire bella.
Amata.
Perfetta.
“Meravigliosa” la sua voce risuonò nella mente, come il ricordo di qualcosa di perduto e ormai lontano. Le venne un conato di vomito. Doveva andarsene.
Ormai era sul punto di scoppiare in lacrime, e non poteva certamente fare come lei, che di solito nascondeva le lacrime con la sua folta chioma rossa.
Ecco una delle pecche dell'avere i capelli corti. 
Si asciugò velocemente gli occhi col polso, continuando a chiedersi perché si trovasse lì, perché si fosse convinta a venire.
Ma dopotutto, ormai era in ballo, tanto valeva ballare.
Attraversò la pista, scansando un morto di figa fradicio che le si stava gettando addosso, e dirigendosi verso l'esterno.
Aveva bisogno di respirare, del vento fra i capelli, di aria fresca nei polmoni. 
Di libertà.
Quella libertà che solo lei era capace di donarle con la sua presenza.
La luna era ormai alta nel cielo, data l'ora, e faceva invidia alle numerose stelle che punteggiavano la volta celeste.
Una fresca brezza marina spirava, facendola rabbrividire nel suo abitino da sera bianco.
Una volta raggiunta la spiaggia si sedette a terra, le gambe strette al petto, fissando le stelle e immaginando che potesse essere mattina, quando era insieme a lei, che la coccolava, che cercava di baciarla, che la teneva per mano, come a dire “sono fiera di essere con te”.
Aveva sempre sottovalutato quelle attenzioni e solo ora si rendeva conto di come non potesse vivere senza.
Era sicura che in quel momento loro due sarebbero state lì, sdraiate sotto quei puntini luminosi, simili a lucciole, a esprimere desideri per ogni stella cadente, a lasciarsi baci a fior di labbra e sorridersi, se lei non avesse detto quella frase, quella fottutissima frase.
Le mancava. 
Tanto.
Troppo. 
Non era mai stata la tipa sentimentale, non con lei, ma se l'avesse avuta davanti in quel momento le avrebbe detto... Boh.
Non lo sapeva neppure lei.
Ma a che serviva fantasticare? Ormai la frittata era fatta. 
Aveva combinato una cazzata. 
Sapeva perfettamente perché si era imbucata in quella festa: nella speranza di vederla, trovarla, di mettere tutto a posto. 
Credeva davvero che in quel posto, su quella spiaggia, forse l'avrebbe trovata. 
Era come se si fossero tacitamente parlate, prima di abbandonarsi: 
“Sulla spiaggia, stasera”.
Ma sulla spiaggia stasera era diventato da nessuna parte, mai.
Ed era sola. 
E faceva freddo. 
Avrebbe tanto voluto uno di quei suoi abbracci, stretti, caldi, da dietro, di quelli che per lei sapevano di casa e sicurezza. 
Una lacrima solitaria solcò il suo volto, e lei sommersa dai ricordi, non poté che abbandonarsi a quelle sensazioni. 
Forse non l'avrebbe vista.
Mai più.
Era piccola, aveva solo 17 anni, era minorenne, era sua responsabilità tenerla d'occhio.
Come sarebbe tornata a casa?
Tutti questi pensieri le affollavano la mente e vi indugiavano, mettendola in ansia. 
Una fitta al cuore la distrasse da tutto quello. 
Bene, ci mancava solo che morisse di infarto. Sbuffò. 
Decise di rialzarsi, tanto era inutile, ormai si era fatta mezzanotte e nessuno si era fatto vivo. 
Avrebbe trovato un altro modo. 
Estrasse il cellulare dalla tasca e cercò il suo numero nella rubrica. Era ancora salvata come “Amour<3”, e questo la fece per un attimo tornare al passato, quando il resto del mondo non aveva ancora interferito con la loro storia. Un debolissimo sorriso le attraversò le labbra, per disintegrarsi un attimo dopo. 
Come aveva potuto negare che fra di loro ci fosse una storia?
Era così chiaro.
Dopo vari tentennamenti, decise di telefonare. 
“Tuuuuuu...tuuuuuu...tuuuuuu...
Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile la preghiamo di...”
Attaccò la telefonata, irritata.
Ma non demorse, e provò a chiamare nuovamente.
Invano.
Decise che non si sarebbe arresa così facilmente, fintanto che le scrisse un messaggio.
“Pensavo di trovarti sulla spiaggia” si limitò a scrivere, perché non sarebbe mai riuscita a distillare in parole tutto ciò che in quel momento stava provando, tutto ciò che avrebbe voluto dirle.
Non era possibile spiegarlo a parole. 
La risposta giunse quasi instantanea e per un attimo si ricordò i vecchi tempi, quando quella ragazza che aveva trattato tanto male pendeva costantemente dalle sue labbra. 
“Ciao amore della mia vita raggiungimi sulla spiaggia, ti amo mlmlmlmlmlml :P xD” sollevò un sopracciglio, interdetta. Non era da lei.
Era forse uscita di senno? 
Non replicò ulteriormente e proseguì seguendo la riva, cercandola con lo sguardo nonostante le tenebre fossero calate già da parecchio tempo e l'unica fonte di luce fosse la pallida luna.
Il venticello soffiava e lei continuava a rabbrividire, e in quel momento si odiò per non essersi vestita un po' di più. 
Di sicuro se ci fosse stata Giada, le avrebbe dato la sua giacca o il suo foulard, stringendoglielo attorno, premurosa.
Camminava ormai da dieci minuti buoni, e ormai aveva perso la speranza, quando udì delle risate provenire da un campo abbandonato poco lontano dalla spiaggia. 
Fu allora che un tipo le si avvicinò con irruenza e le strinse un braccio con impeto, dicendo con voce strascicata << Vieni a fare un gioco con noi, ti divertirai >> non aveva intenzione di capire di che genere di gioco si trattasse.
<< No, grazie >> rispose piccata, tentando di staccare il braccio del ragazzo da lei. 
<< Forza, c'è anche la tua ragazza... >>
Respiro mozzato.
Mani sudate.
Nodo alla gola.
Scarsa salivazione. 
Un battito in meno.
Un attacco di panico con i fiocchi, insomma.
No, non era possibile.
<< Cosa? >> 
<< Vi ho viste stamattina insieme, c'è anche lei, ci divertiremo >> 
Andrea era stordita. Di certo non voleva farsi trascinare da un ubriaco in giro per una spiaggia deserta ma se c'era una cosa che voleva era ritrovare la sua ragazza. 
Sempre se stavano ancora insieme. 
L'ennesimo nodo alla gola, e un vuoto allo stomaco.
<< Dov'è? >> continuò, divincolandosi dalla stretta di quel maniaco.
<< Seguimi!! >> rispose biascicando praticamente metà parola. 
Si addentrò in quel campo. 
La sterpaglia le punse le caviglie, ma non ci fece caso, determinata a trovarla.
D'un tratto il tizio si fermò, e così fece anche lei. 
<< Siamo arrivati signorina >> effettivamente nonostante il buio e il rumore del vento fra le frode degli alberi si distinguevano chiaramente risate e delle figure umane. 
Non seppe dire con precisione quante fossero, ma perlomeno una decina fra ragazzi e ragazze.
Si avvicinò ulteriormente, tentando di distinguere con lo sguardo la sua ragazza fra quelle figure non troppo nitide.
Non la trovò.
Che le avessero teso una trappola?
<< Uh, guarda, una nuova arrivata alla festa! Benvenuta! >> la accolsero, nascondendo risate e ghigni. Assomigliavano tremendamente a delle iene. 
Non sembravano avere buone intenzioni, ma non le erano ancora saltati addosso. 
Perlomeno.
Si voltò a squadrarli tutti, finché non notò che una ragazza alta e bionda, che le si avvicinò. 
La osservò, e si accorse che in mano ghermiva un cellulare...che assomigliava tremendamente a quello di Giada. Ma dopotutto, molta gente possiede iPhone, no? 
<< Voi... Conoscete una certa Giada? >> chiese, con aria spaesata e innocente, ma risoluta.
<< Se la conosciamo? È lei la festeggiata!! >> rispose con enfasi la bionda, e dei ragazzi si scostarono, aprendo un varco, e mostrandole una vista agghiacciante.
Una ragazza riversa per terra, con del nastro adesivo sulla bocca, in intimo, in una pozza nera pece alla luce lunare. 
Scossa, si avvicinò, come il suo istinto le dettò di fare, ma non poteva immaginare ciò che avrebbe scoperto. 
Perché in quel campo, in un bagno di sangue, c'era la sua ragazza.
<< E tu sei l'altra festeggiata! Auguri!! Buona morte, lesbiche di merda >> un colpo, poi due e tre. Urla, gemiti, parole indistinguibili. 
Il sapore, l'odore del sangue, e il suo corpo che giaceva al fianco di quello di Giada. 
E tutto si fece buio.


 

** ... **



Andrea si voltò verso Giada, che se ne stava lì, riversa per terra. Il volto pallido sotto quella luna dalla luce troppo cocente, in un cielo privo di stelle. 
Le sfiorò la mano.
Era fredda. 
Immobile. 
Morta. 
Si issò in ginocchio, sporgendosi verso il viso della sua ragazza, e le baciò le guance. 
Erano gelide. 
Una lacrima solcò il suo viso, e un urlo muto le dilaniò le membra, finché tutto non cominciò a scomparire e...
<< Signorina!! Signorina!!! >> 
Come una doccia fredda si svegliò di soprassalto, senza vedere nulla se non bianco, bianco ovunque.
Per un attimo si chiese se fosse capitata in paradiso.
Poco dopo la stessa donna che l'aveva svegliata lasciò la stanza e lei cominciò a riprendersi. 
La stanza. Okay, si trovava in una stanza. 
Non era ancora morta.
Iniziò a contare le certezze che aveva in quel momento:
Era in un ospedale. 
Era mattina.
La testa sembrava uno strumento a percussione.
Le doleva terribilmente la pancia. 
Non si ricordava nulla di quanto successo nelle ultime ore. 
Perfetto. Bella situazione. 
Una volta ripresa degnamente conoscenza il suo primo pensiero volò a Giada. L'ultimo ricordo che avesse di lei risaliva al primo pomeriggio, quando avevano litigato. 
Non era certamente un bel ricordo, ma pur sempre qualcosa.
Provò a ripercorrere mentalmente tutto il pomeriggio e la sera ma durante la sera doveva aver bevuto qualcosa perché un black-out totale le impediva di ricordare anche il minimo dettaglio della serata. 
Si chiese come fosse finita lì, cosa avesse, cosa fosse accaduto di tanto spiacevole da condurla sul lettino di un ospedale durante la sua vacanza. La loro vacanza.
D'un tratto il suo flusso di pensieri venne interrotto dalla brusca entrata di un'altra infermiera. 
<< Come ti senti? >> 
<< Un po' confusa, ma bene. Cos'è successo? >> 
<< Tranquilla, presto passerà >> notò che l'infermiera aveva volutamente ignorato la sua domanda.
<< Cos'è successo? >> ripeté.
<< Beh...non è molto chiara la dinamica dei fatti ma... Tu e un'altra ragazza siete state trovate poco lontane dalla spiaggia stanotte. Ferite. >> il suo viso si illumino ad "un'altra ragazza" nonostante non fosse proprio una splendida notizia. Qualche immagine sparuta risalente alla sera prima cominciò ad affollarle la mente. Continuava a non capire cosa fosse successo, ma evidentemente quell'infermiera non sapeva fornirle una risposta.
<< Posso vederla? >> 
<< In realtà ha appena subito un intervento e per un po' dovrebbe stare da sola, solo i parenti possono... >> 
Un intervento. 
Da sola.
Parenti.
No, doveva assolutamente capirci qualcosa. 
<< Sono la sua fidanzata >> 
Assaporò quelle parole per la prima volta. Non sapeva dove fosse riuscita a trovare tutto quel coraggio in un sol momento, senza prepararsi nulla. 
Le piaceva l'effetto che quella frase provocava su di sé. Sentiva finalmente di appartenere a qualcosa, a qualcuno e di essere comunque libera. 
La faccia sbigottita dell'infermiera la fece rabbrividire. Dallo sdegno. 
<< Ah, non sapevo. Non è la stessa cosa però. Mi spiace dovrà aspettare istruzioni dal chirurgo che se ne occupa >> 
No, questo non lo accettava.
<< No, forse non ha capito. Io la devo vedere >> ribadì, con enfasi. Forse un po' troppa enfasi, dato che notò che anche l'infermiera si stava scaldando. 
<< Mi spiace, credo non sia possibile >> 
<< Mi vuole portare dalla mia cazzo di ragazza o no?! Giuro che la denuncio per omofobia >> L'infermiera gettò un'ultima occhiata a lei, sprezzante, e replicò << Beh, in questo caso si accomodi, è l'ultima stanza in fondo a destra, ma non la svegli. >>
Dire che si precipitò giù dal letto significa minimizzare. 
Non gliene fregava un emerito piffero di quell'infermiera da strapazzo.
Si appropinquò verso la sua camera, ed entrò con ben poca grazia. Sdraiata su quel letto bianco, con una camicia celeste, il volto pallido ed esangue e gli occhi chiusi, c'era lei. 
Bellissima nonostante le occhiaie scavate, la cera, e il viso tempestato di lividi e graffi. 
I capelli rossi cadevano distrattamente intorno a lei, quasi a formare un'aureola.
Le si strinse il cuore, a vederla lì così, e il pensiero di averla potuta perdere le trapassò l'anima, lasciandola vuota. 
Ma ora era lì. E anche se lei dormiva, esisteva. Era viva. 
Erano entrambe vive. Qualsiasi cosa fosse successa erano ancora insieme, unite malgrado le difficoltà. Come sempre. 
Prese una sedia e la posizionò vicino al lettino, sedendovici sopra. 
Le strinse la mano, cominciando ad avere qualche flash back dalla sera precedente. 
<< Io non ti lascio, eh. Tu non lasciare me. Non farlo mai più. Ti voglio bene >> quelle parole sussurrate con la voce più rauca che avesse mai avuto provenivano davvero dal cuore. 
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
E scoppiò a piangere, affondando la testa nel lettino , prima di cadere in un vigile dormiveglia, la testa posata sul letto e le sue mani strette intorno alla sua, più fredda, ma così rassicurante. 
C'erano ancora.



Venne svegliata da un sogno poco felice, con una voce che sussurrava debolmente il proprio nome e qualcosa che si muoveva lentamente fra i suoi capelli. 
“Qualcosa che si muove fra...” Cominciò a ripetersi la frase mentalmente quando balzò in piedi, spaventata da quel tocco. 
Quando rivide quel timido sorriso e quegli occhioni dolci il cuore le si strinse nel petto. 
Tornò a sedersi e a fissarla negli occhi, ricambiando debolmente il sorriso, per quanto una cicatrice alle labbra glielo permettesse. 
I loro sguardi ancora incrociati, così pieni di emozioni e significati. 
Rivedere quelle screziature nere e dorate le fece salire le lacrime agli occhi e si diede della stupida per quanto fosse semplice commuoverla.
Quelle poche ore lontane avevano decisamente cambiato tutto. 
<< Come ti senti? >> fu la prima domanda della rossa, e la mora si intenerì nel constatare che come sempre, pensava prima a lei e poi a sé stessa.
<< Sbaglio o sei tu quella sdraiata sul lettino di un ospedale? Sarei io a doverti porre questa domanda >> 
Giada alzò gli occhi al cielo, squadrandola poi da capo a piedi.
<< A giudicar dalla camicia non mi sembri aliena a questo ambiente >> ridacchiò per l'ennesima volta. E Andrea si sentì morire al pensiero di aver quasi rinunciato a sentire quella risatina. 
<< No, infatti, ma sei tu quella pallidissima sdraiata su un letto, quindi... >> 
<< Sto una schifezza, ma ora che sei qui sto meglio >> si sorrisero, tornando a fissarsi senza smettere di parlare tramite gli sguardi. C'erano troppe cose da dire e poca capacità di esprimerle. 
Troppe domande e poche risposte. 
Ma una cosa in quel momento era certa: non si sarebbero mai più separate, a qualsiasi costo.
<< Come siamo finite qui? >> fu la domanda di Giada, a cui Andrea non seppe rispondere.
Neppure lei lo sapeva.
<< Non mi ricordo >> gemette, abbassando lo sguardo per poi rincrociarlo di nuovo col suo. 
Andrea si alzò, voltandosi verso la finestra, e vi si avvicinò, posando le mani sul davanzale gelido. 
<< Aiutami a ricordare >> la sua voce flebile e implorante la convinse a provarci. Di certo non erano ricordi felici, ma doveva pure provarci, pur di capire cosa fosse accaduto.
<< Credo qualcuno ci abbia aggredite... Abbiamo litigato >> la rossa annuì, impassibile << e tu te ne sei andata... >> continuò << scusami, io... >> disse Giada, avvertendo la malinconia nel tono di Andrea.
<< Stai tranquilla, avevi ragione tu. >> ammise a questo punto la mora, voltandosi verso di lei, pur rimanendo appoggiata al davanzale.
<< No invece, io sono stata troppo logorroica, avrei dovuto... >> continuò, portandosi le mani al viso e scuotendo la testa. I sensi di colpa la divoravano. 
<< Taci, tu non hai fatto nulla di male... >> la silenziò l'altra, guardandola con uno sguardo severo ma contemporaneamente dolce.
<< Ma io... >> vennero interrotte da qualcuno che bussò alla porta, così Andrea si stese sul lettino libero, senza perdere di vista un movimento di Giada. 
Non l'avrebbe mai più persa di vista.
<< Avanti >> sussurrò la rossa, tirandosi un po' su dal letto per vedere meglio chi fosse arrivato. 
La mamma di Andrea e sua sorella entrarono con impazienza, come se non avessero aspettato altro per tutta la vita e non appena videro la figlia le si avvicinarono sorridenti e preoccupate, senza degnare di uno sguardo l'altra ragazza.
<< Ehi, tesoro, tutto bene? Cos'è successo? >> Andrea annuì, sorridendo a sua volta alle due e aprendo la bocca per parlare, ma finì per boccheggiare poiché venne zittita dall'intervento della rossa, che prese la parola. 
<< Buongiorno signora, ciao Alessia, tranquilla, racconto io >> fece Giada, rivolta poi alla ragazza dai capelli corti e prese la parola. Sapeva di avere fra le mani una situazione complicata, potenzialmente esplosiva: era la prima volta che concedevano alla figlia la possibilità di andare in vacanza da sola, o meglio, con “un'amica” e non poteva permettere che le togliessero quella libertà. Ne andava della fiducia che riponevano in lei. 
Sapeva che Andrea non sarebbe mai stata capace di mentire, così aveva deciso di provare a salvarle la pelle. Sempre che riuscisse a salvare la sua.
<< Beh, che dire? Ho sbagliato, mi dispiace tantissimo. Ho deciso di imbucarmi in una festa non troppo raccomandabile e dopo.. dopo qualche bicchiere dei ragazzi hanno cominciato a punzecchiarmi finché non... sono arrivati alle mani. Andrea è intervenuta e si è ferita per questo, ma fortunatamente non ha riportato gravi lesioni. Senza di lei non so come sarebbe andata a finire >> era una perfetta bugia. 
Era anche riuscita a far passare lei come la cretina e Andrea come l'eroina della serata, quella che si prendeva la responsabilità di tutto.
Si voltò verso Andrea, cercando la sua approvazione e un sorriso grato e confortante, ma tutto ciò che trovò fu un'espressione accigliata.
<< Non è andata così >> spiegò a sua volta, con tono freddo e severo, e quelle parole arrivarono a Giada come una doccia fredda, al che rimase allibita, a scambiarsi sguardi carichi di domande con la sua (ex) ragazza.
<< E allora cos'è successo? >> ripeté sua sorella, confusa, dando voce ai pensieri di tutti i presenti.
<< Che degli omofobi ci hanno attaccate, dopo averci viste insieme in spiaggia. >>
<< degli omofobi... No, voi state insieme..?! >> pronunciarono sua madre e sua sorella quasi all'unisono.
<< Stiamo insieme? >> fece Giada, altrettanto scioccata. 
<< Sì, noi stiamo insieme >> un brivido percorse la schiena di entrambe, che si guardarono negli occhi, prima che Andrea scendesse dal lettino e si avvicinasse a Giada, per poi stringerle la mano. 
<< Stiamo insieme? >> ripeté Giada, la più confusa delle tre. I suoi occhi, illuminati dalla tenue luce che proveniva dalla persiana della finestra, sembravano annebbiati.
La mora si voltò verso di lei, sorridendole.
<< Sì >> gli occhi di Giada si riempirono di domande e di lacrime, ma nessuna osò scendere giù. 
Andrea lanciò uno sguardo a sua madre, vedendola scocciata e poco incline alla comprensione.
<< Lo so, lo so. È una fase direte. Un ripiego. Una scelta. Chiamatela come vi pare. 
Tutto ciò che so è che lei mi rende felice. Che fra le sue braccia sono a casa. 
E che nonostante gli ostacoli insieme possiamo qualunque cosa. 
Noi lo chiamiamo amore >> 
Il silenzio calò nella stanza, pesante e vuoto. Alessia girò sui tacchi e uscì dalla stanza, indignata, sibilando critiche. 
Ma ad Andrea non importava.
<< Ora inizio a ricordare >> continuò Giada, rivolta più a sé stessa che ad Andrea.
<< Ieri sera una ragazza ha attaccato bottone e mi ha convinta a venire alla festa, dopodiché mi deve aver fatto prendere qualcosa perché non ricordo più nulla, se non...immagini poco nitide. >> 
Si strinsero la mano.
<< Devono averci notate e aver organizzato tutto... >> ripeté Andrea con tono grave, dimenticandosi per un attimo della presenza di sua madre. 
Certo che la gente poteva davvero essere malvagia. 
Come aveva potuto lasciarla da sola, in balia di certe persone?
<< Mi dispiace >> sussurrò la mora, sentendosi responsabile in un qualche modo dell'accaduto, mentre l'altra le accarezzava la guancia, mormorando che andava tutto bene, che ormai era tutto finito. 
<< Perché hai deciso di dover subire tutto questo? >> le interruppe la madre, anch'essa sul punto di lasciare quella stanza, teatro nello stesso giorno di un fidanzamento e di un “coming-out”.
<< Hai mai deciso di innamorarti di qualcuno? >> e così terminò il discorso, con sua madre che, sconvolta, si chiuse la porta alle spalle, promettendo che ne avrebbero riparlato in futuro. 
Il silenzio cadde nuovamente in quella stanza d'ospedale, ma stavolta non fu né grave né fagocitante. Era uno di quei silenzi che non mettono a disagio, ma anzi, parlano da sé. A rompere quel silenzio, le parole intese nei loro sguardi, che non smettevamo un attimo di perdersi l'uno nell'altro. 
<< Noi stiamo insieme? >> domandò ancora Giada, interdetta, come ad assicurarsi che non fosse una farsa né la propria immaginazione.
La mora avvicinò le labbra alle sue mani, e le lascio un tiepido bacio sulle nocche.
<< Sì, a meno che tu non mi voglia lasciare dopo quello che... Aw >> Giada stava accarezzando i capelli della sua ragazza con dolcezza, cercando di tranquillizzarla, e soprattutto di farle chiudere la bocca. 
<< Vieni qui >> il tono della rossa non ammetteva repliche e malgrado sapesse che non avrebbe dovuto farlo Andrea non se lo fece ripetere due volte. Si issò al suo fianco, su quel lettino stretto e scomodo, tuttavia perfetto.
Giada fece una smorfia.
<< Ti ho fatto male? >> domandò, un po' impacciata. L'ultima cosa che voleva era ferirla ulteriormente.
<< Scherzi? Ma va >> disse ridacchiando, per poi allargare le braccia per farla accoccolare sul suo petto. Dopo che si fu sistemata, le infilò una mano fra i capelli, ricominciando a massaggiarne la cute, mentre con l'altra le strinse la mano, cominciando a disegnare tanti piccoli cerchi concentrici immaginari col pollice. 
Sospirarono entrambe, in pace. 
Si ritrovavano finalmente nell'unico posto in cui volevano trovarsi. 
Ovvero “Ovunque con te”.
<< Mi dispiace per... >> cominciarono entrambe, praticamente all'unisono, ma dopo essersi scambiate uno sguardo intesero che non c'era bisogno di parole. 
Era tutto a posto. 
Il sole sarebbe tornato a splendere.
Andrea si perse ad ascoltare il battito cardiaco della sua ragazza, regolare e confortante, mentre l'altra continuava lentamente ad accarezzarla. 
<< Ti amo cucciola >> tre parole, le uniche che davvero contassero in quel momento.
<< Anch'io pulcina, tanto tanto >> si strinsero l'una all'altra, e la rossa le sollevò il mento e le posò un fugace bacio sulle labbra, mentre le lacrime bagnavano gli occhi di entrambe. 
Lacrime di scuse.
Lacrime di commozione.
Ma, stavolta, non di paura.
Perché sapevano che ora erano insieme, e qualsiasi cosa fosse successa l'avrebbero sempre affrontata insieme. 
Sorrisero, beandosi di quel momento, e ripresero a coccolarsi, con gli occhi chiusi, finché i loro respiri non si fecero coordinati.
Si addormentarono entrambe, con un lievissimo sorriso sulle labbra. 
Perché in fondo era cambiato tutto, e ora nulla sarebbe stato come prima. 
Ma non il loro amore, quello mai. 
Perché da quel giorno sarebbero state semplicemente loro stesse, mano nella mano, contro il mondo.
Courage. 



“Ti amo cucciola”
09/07/2014

  
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