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Autore: D per Dolcetta    10/07/2014    2 recensioni
Sette one-shot scritte da sette dolcette diverse. Stavolta le mogli dei ragazzi di dolce flirt ci parleranno della loro vita di coppia. Questa raccolta di os contiene anche due os delle tre vincitrici del concorso d per dolcetta.
1- Dipendenza
2- Chi è causa del suo mal pianga se stesso
3- Salsiccia
4- Questione di Scelta.
5- Eppure...
6- ...
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questione di Scelte.
 
Autrice: Paradichlorobenzene_
 
Quando Sylvie andò da Claire quasi alle cinque del mattino sapeva che la sua amica si sarebbe aspettata tutto – o quasi, tranne lei, con la faccia di chi è appena stato travolto da un uragano.
« Non ce la faccio più!» urlò la ragazza, in piena crisi isterica. Claire, avvolta nella sua morbida vestaglia azzurra e con gli occhi ancora impastati dal sonno, le fece cenno di entrare e sedersi, conscia del fatto che avrebbe capito meglio la situazione dopo essersi quantomeno sciacquata il viso. Sylvie, che intanto si era seduta al posto del tavolo della cucina che occupava sempre ogni qualvolta andava a visitare l’amica, guardò la casa di quest’ultima e la trovò sotto infiniti aspetti diversissima da quella sua. Era ordinata e spaziosa per una sola persona, arredata prevalentemente in nero, bianco e varie sfumature di verde. Quella che lei condivideva con il marito era grande abbastanza ma, nonostante tutti gli sforzi di Sylvie per mantenerla anche in ordine, almeno il salotto e la camera da letto – e anche il bagno, almeno al mattino - erano sempre sprofondati nel caos. Casa sua, già da un po’, non le sembrava più tranquilla. Spesso, tornando a casa da qualche commissione, l’assaliva una grandissima ansia, apparentemente infondata. «Allora? Avete litigato di nuovo?» Chiese Claire, presentandosi poco dopo con due tazzine di caffè fumante. «Diventano sempre più frequenti …» Rispose Sylvie, facendo ruotare l’indice sul bordo della tazzina, poiché lei il caffè bollente non riusciva a berlo « … Non sarebbe una bella cosa farci l’abitudine.»
Bevve appena un sorso caffè, pallida e visibilmente preoccupata, uno strano blocco alla gola le impediva di bere il resto, che rimase a raffreddare nella tazzina. Claire sospirò tra sé e sé, abituata ai litigi che si erano susseguiti nei sei anni di matrimonio dell’amica, sposatasi a vent’anni e completamente impazzita a ventisei appena compiuti. Tuttavia era capitato solo una volta che venisse a cercare rifugio da lei, e quella volta erano appena le sei del pomeriggio.
«Cos’è successo questa volta? …» «… In quella casa … No ci voglio più stare.» Claire era abituata al comportamento, spesso infantile quanto il suo aspetto, dell’amica.
« … Non c’è mai. Sta sempre chiuso in quel suo studio dall’altro lato della città e, quando torna, la maggior parte delle volte puzza d’alcool in modo incredibile. Spende metà di quel che guadagna in sigarette e tinta per capelli nemmeno avesse ancora diciotto anni ed è sempre attorniato da ragazze. Sai cosa vuol dire essere sposata con uno che fa ancora il cascamorto con le altre?» Claire l’ascoltava pensando che, fin li, non ci fosse niente di strano. Perlomeno non tanto da spingerla da scappare dalla sua stessa casa all’alba. « Ma … La cosa più presente di tutto è la sua assenza. La sento talmente forte che sembra schiacciarmi e non voglio più starci da sola in quella casa enorme, ad annegare tra i suoi vestiti e il suo profumo. Non voglio più sperare di svegliarmi una mattina sperando di essere la sua maglietta per poterlo seguire, per non dover stare più con l’ansia del non sapere cosa fa o con chi è, quando non è al lavoro. Non risponde mai al telefono, sta fuori intere notti. Cammino per casa e l’unica delle sue cose in ordine è la sua chitarra, ma poi c’è di tutto, ovunque. Si rifiuta categoricamente di fare progetti per il futuro, in questi sei anni abbiamo sempre vissuto alla giornata – eccezion fatta per quando doveva organizzare i tour, allora iniziava anche con sei mesi d’anticipo. Si dimentica tutto, compleanni, anniversari e visite mediche. Quando è tornato a casa, due ore fa, gli ho chiesto dove fosse stato fino a quell’ora, mi ero appena alzata, non l’avevo nemmeno aspettato. Mi ha detto di farmi i cazzi miei, come se questi non lo fossero. L’odore dolciastro dell’assenzio si sentiva a metri di distanza, e non può spacciarmelo per anice. Aveva gli occhi troppo lucidi, secondo me non ragionava nemmeno più. Se ti faccio tanto schifo vattene, mi ha detto. Ho fatto come voleva lui, sono in grado di sopportare, ma dopo anni a combattere contro una storia che si ripete quasi ogni sera ugualmente … Non so più cosa fare. »
Sylvie gesticolava nervosamente mentre parlava e, quando posò le mani sulla tazza del caffè, Claire notò che le tremavano visibilmente. Quest’ultima pensò alla situazione, poco pratica di litigi matrimoniali dal momento che la sua storia con Dake era al momento molto libera. «Sai, Sylvie … Secondo me dovresti parlarci. Insomma, so che stiamo parlando di Castiel e che sarebbe come dare testate ai muri, ma non avrebbe mica sposato chiunque, così presto tra l’altro! … »
«Lo conosco abbastanza bene da sapere che non vorrà nemmeno vedermi, figuriamoci ascoltarmi.»
«Non essere così negativa, magari intanto gli è passata!» Sylvie, che ne dubitava fortemente, non risposte. Sentiva qualcosa di simile all’odore del fumo provenire dalle finestre aperte – la sigaretta mattutina di qualcuno – e trattenne a stento un altro conato. «Vedi, Claire … Non è questa la mia unica preoccupazione.» «Quali sarebbero le altre, allora?»…
 
 
Camminava per le vie deserte della periferia, immersa nella tenue luce che precede l’alba. L’aria fredda le pungeva le guance rendendole rosse, benché affondate nello scollo della felpa. Nella fretta, aveva dimenticato il giubbotto a casa.
Teneva gli occhi bassi sulla strada, e il nero dei suoi occhi lucidi sembrava riflettere il grigio del marciapiede. Non aveva perso la malsana abitudine di uscire ai primi chiarori del giorno, anche d’inverno, rischiando di prendere un raffreddore quasi ogni volta. Rientrò presto, quella volta, perché la strana sensazione del post-abbandono (o almeno, quella che lei chiamava così), quella nostalgia inquieta e inspiegabile, questa volta l’aveva assalita più prepotente del solito. Si chiuse la porta alle spalle, una volta entrata, e si guardò attorno. Era rimasto tutto come tre mesi prima, la giacca di Castiel buttata per terra, in un angolo dell’ingresso. La ciotola in cui teneva gli snack sul tavolino del salotto, macchiato dell’impronta dei bicchieri sempre colmi di birra. Il posacenere con un paio di mozziconi di sigaretta sul tavolo della cucina, le sue riviste, la sua chitarra che stranamente non era tornato a riprendere. Tre mesi senza vederlo, senza avere sue dirette notizie. Lysandre, che ogni tanto la chiamava per assicurarsi che stesse bene, cercava di rassicurarla dicendole che Castiel stava bene e che, prima o poi, sarebbe tornato da lei.
Lei però non stava più aspettando nessuno, e aveva un’altra cosa a cui dedicarsi. Appoggiò la schiena alla porta, scivolando fino a terra, con le gambe leggermente portate verso il petto. I capelli biondi le caddero sul viso come una volta il suo velo da sposa. Una mano a cingere le ginocchia, l’altra ad accarezzare la pancia che stava iniziando ad essere prominente, con sguardo triste e un sorriso malinconico.
Chissà se i suoi occhi somiglieranno di più ai miei o ai suoi, pensò Sylvie.
  
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