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Autore: Lantheros    10/07/2014    0 recensioni
Un antico potere millenario, custodito da sempre nelle profondità della terra.
Due mondi completamente diversi finiranno per incontrarsi, in un luogo singolare farcito di vetuste tecnologie a vapore e gigantesche fregate volanti.
Una coppia di giovani unicorni, proveniente dagli estremi stessi del Creato, troverà un punto in comune su cui lavorare, per venire a capo del grave segreto che la fumosa metropoli di Mechanus custodisce.
Dalla materia inanimata.
Alla vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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    Una zampa meccanica aprì la tenda della finestra, con un gesto secco e deciso, permettendo alla luce esterna di illuminare meglio la stanza dell’edificio.

Il generale Steel Hammer controllò attentamente l’ambiente urbano.

Le strade erano prive di mezzi civili e di passanti ma brulicavano di soldati in piena manovra militare. Gli ufficiali impartivano instancabilmente ordini, guidando le truppe presso le rispettive posizioni.

L’unicorno grigio alzò gli occhi al cielo, scorgendo un ammasso più o meno omogeneo di chiatte da battaglia che dalla fregata madre si dirigevano al suolo, trasportando fanteria armata fino ai denti.

I pegasi corazzati giungevano come se piovesse, scortando le navi e fungendo da staffette volanti per coordinare meglio il dispiegamento di forze.

Uno dei velivoli attraccò a qualche decina di metri dalla finestra del generale, sfracassando alcune panchine, senza tanti riguardi. Una serie di ingranaggi si mise in moto e la portella frontale si spalancò rumorosamente: i soldati occupanti si riversarono impeccabilmente all’esterno, permettendo ad un spaventoso Calcator in assetto da guerra di fare il proprio ingresso in campo.

Quando tali mostruosità venivano impiegate come strumenti da battaglia, e non come semplice ronda cittadina, allora era d’uso equipaggiarli con placche di rinforzo e spunzoni acuminati, rendendoli di fatto ancor più minacciosi.

Il colosso si animò rumorosamente, tra sbuffi e cigolii, e prese a camminare verso l’uscita. Le mattonelle del lastricato si sbriciolarono sotto i suoi passi, accompagnati da tonfi sordi e un lieve tremore delle vetrate da cui Steel stava osservando la scena.

L’ufficiale sorrise soddisfatto.

    Una voce maschile sopraggiunse alle sue spalle.

“Non le sembra un po’ troppo eccessivo? Persino per voi?”.

Hammer si voltò lentamente e, con passo tranquillo, si portò al centro della camera, che era deliziosamente arredata.

Assieme a lui, oltre ad un unicorno in camice e mascherina facciale, vi erano altri soldati ed un manipolo di graduati agghindati con onorificenze e stellette.

Il generale si avvicinò ad un tavolo imbandito e, utilizzando l’arto meccanico come fosse un mero bastone di metallo, spazzò via tutti gli oggetti. Bicchieri, posate e portacandele si sfracassarono a terra.

Quella casa si trovava in una zona perfetta, da cui si poteva godere di un’ottima vista del nucleo centrale, non molto lontano, e delle zone limitrofe. Era così stata confiscata e, senza tanti complimenti, convertita a quartier generale provvisorio.

Non appena la tavola fu libera, i soldati vi disposero sopra fogli e cartine tattiche.

Steel si puntellò saldamente con entrambe le zampe ed osservò attentamente l’area geografica.

“Le assicuro che sono contromisure perfettamente necessarie, dottore”, gli rispose, dopo una lunga pausa.

Novarius si schiacciò gli occhiali contro il muso, con gesto sicuro e parzialmente strafottente.

“Davvero? Tutto questo per due… puledri?”.

Hammer sorrise e non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo dalle cartine: “Le assicuro che, dopo quello che ho visto, queste misure difensive saranno perfettamente adeguate allo scopo”.

“Due puledri…”.

“Due puledri, esatto”, ribatté seccamente, abbandonando la postazione e dirigendosi verso di lui. “Due puledri, di cui uno in possesso di un esoscheletro da combattimento e un altro in possesso della chiave per poter comunicare con queste bestie meccaniche”. Lo scienziato corrugò la fronte e non disse nulla. “E quest’ultimo, dottore… le ha fatto da assistente per almeno una settimana, nei nostri laboratori. Credo che lei lo conosca”.

Novarius cercò di rimanere sul vago e di mantenere il sangue freddo.

“Passano… molti tirocinanti, sotto la mia direzione. Non posso ricordarmeli tutti”.

“Oh!”, esclamò divertito, riempiendosi magicamente un calice con del liquore. “Questo sono sicuro che se lo ricorda. Vuole?”, chiese, porgendogli la bottiglia.

“No. Mi basta l’alcol etilico al novantotto percento che ho sotto cappa”.

Steel bevve un sorso, quindi posò i contenitori.

“Beh. È un unicorno color viola chiaro. Ha un bel ciuffone nero e va in giro con una sacca firmata. Nient’altro. Piuttosto atipico, persino per gli stramboidi che si possono scorgere a Mechanus, non trova?”.

Lo scienziato sapeva benissimo quanto potesse essere pericoloso un generale dei Divites. Ma non riuscì a tenere a freno la lingua.

“Anche pony con protesi meccaniche non sono proprio all’ordine del giorno, eppure non mobilito un reparto di soldati solo per questo”.

Hammer si bloccò improvvisamente, quindi gli diede le spalle e tornò al tavolo.

“Lei mi è sempre piaciuto, Novarius”.

“Per lei sono il Dottor Novarius”, lo interruppe saccentemente.

“Ha sempre svolto impeccabilmente il proprio lavoro e ci ha fornito tecnologie non indifferenti, specialmente quelle da cui abbiamo potuto progettare i Calcator su vasta scala”.

Lo scienziato parve rabbuiarsi leggermente. Il militare continuò.

“Ora però necessito di un tipo di collaborazione differente, da parte sua”.

“Si sbrighi. Tra mezz’ora ho cose più importanti da fare. Come scrostare i matracci dalle incrostazioni piroforiche”.

 

Steel chiuse gli occhi e chinò il muso verso il tavolo.

Li riaprì lentamente e fulminò lo scienziato con i penetranti occhi glaciali.

“…cosa ha scoperto quel puledro, sugli Inanimus?”.

Novarius si sentì in forte soggezione.

“Lui… lui ha svolto alcune ricerche. Nient’altro”.

“Che tipo di ricerche?”.

Le vetrate tremarono di nuovo. Altre navi erano atterrate nei paraggi, provocando un fracasso infernale.

“Niente di importante. Ha solo cercato di stabilire un contatto verso di loro”.

“E c’è riuscito?”.

“No”, mentì. “Ogni approccio è stato completamente fallimentare”.

Due soldati si serrarono ai fianchi del ricercatore.

“Non è ciò che mi risulta, dottore”, ammise con tranquillità, scrutandosi lo zoccolo sano.

 

Novarius si era da sempre fatto beffe dei Divites.

Sapeva che, finché lavorava per loro, avrebbe avuto l’ultima parola e una sorta di “immunità scientifica”. Ma ora le cose erano cambiate.
Il generale, e tutta la casta dei Divites con lui, si era impuntato e aveva riorganizzato le priorità. Cambiando le priorità, anche la posizione del dottore era stata riconsiderata. Ed ora era più importante estorcergli informazioni, piuttosto che avere un altro galoppino in camice nei laboratori.

Doveva stare attento.

 

“Questo è quanto”, concluse, avvertendo una profonda sensazione di pericolo.

Steel fece un cenno e i due lo piegarono verso il pavimento, con fare deciso e poco riguardevole.

Durante la manovra, Novarius perse gli occhialini, che finirono sul parquet, accanto ai cocci dei piatti in frantumi.

Due stanchi occhi nocciola sbucarono al di sotto degli ordinati crini blu cobalto.

“Ne è sicuro… dottore?”, domandò il generale.

Il ricercatore strinse i denti, quindi sbottò: “Si può sapere cosa diavolo credete di fare?? Cos’è questo dispiegamento di forze? Un intero regno sta forse per invaderci??”.

“Non sono affari che la riguardino. Si limiti a rispondere alle domande e tutto finirà in modo rapido e privo di conseguenze”.

“Come se mi fidassi di voi schifosi guerrafondai!”, ringhiò inviperito.

Un militare lo colpì violentemente alla nuca, con l’elsa di una lancia.

“Sta rendendo le cose molto più lunghe di quanto dovrebbero”, lo informò Steel. “Noi avremo le nostre informazioni. Lei dovrà solo decidere il tempo che ci vorrà e quanto sudore dovrà versare. Il resto è mera speculazione empirica”.

Novarius, un po’ spettinato, lanciò un’occhiata furiosa verso l’unicorno grigio.

“Un giorno”, lo informò rabbiosamente, “la pianterete di spadroneggiare ovunque posiate le vostre luride zampe. State costruendo il vostro impero sul potere e sulla paura”.

“Il tempo scorre, dottore…”.

“… e arriverà il momento… in cui incontrerete qualcuno più potente e più spaventoso di voi. Allora… non vi rimarrà più niente. E farete una fine orribile…”.

La coppia di aguzzini gli torse una zampa dietro alla schiena. Il poveretto emise un verso soffocato.

“Basta così”, li fermò il superiore.

Novarius venne rilasciato. Lo scienziato si massaggiò dolorosamente l’arto.

“Senta, dottore”, riprese l’altro, iniziando a passeggiargli attorno, osservandolo dall’alto verso il basso. “Lei potrà pensare quello che vuole di noi e dei nostri metodi. Che ci siano in mezzo giochi di potere è innegabile. Ma non abbia dubbi… tengo alla salvezza di questa città…”.

“…sai che novità”, asserì, ancora dolorante e senza guardarlo in muso. “Perdendo la città… se ne andrebbe anche la vostra autorità e credibilità”.

“Resta il fatto che è mio interesse proteggere le vite di migliaia di abitanti. Questo non può negarlo”. Novarius tacque. “Quell’unicorno… Silver Dust… pare sia entrato in contatto con gli Inanimus… che abbia parlato con loro”. Il ricercatore sollevò gli occhi verso di lui. “E sembra anche… che possieda un cristallo mnemonico che gli hanno donato”.

“Un cristallo… mnemonico?”.

“Esatto, dottore. Glielo hanno consegnato, strappandogli la promessa di condurlo e inserirlo nel centro di gestione di Mechanus. Ora… io non sono un plurilaureato… ma non credo ci voglia un genio per capire quanto questa potrebbe essere una mossa azzardata. Non sappiamo cosa contenga quell’oggetto. Non conosciamo i comandi algoritmici che potrebbero ordinare al sistema di regolare i meccanismi in modi imprevedibili”. Il generale osservò compiaciuto il volto di Novarius, che sembrava sempre più incredulo. “Potrebbe ordinare il blocco degli ingranaggi. Causare lo sfiato delle turbine o riversare un mare di magma incandescente dalle condotte che si diramano a valle”.

L’unicorno in camice sembrò cambiare atteggiamento e si rivolse al generale con tono preoccupato.

“Ne siete… ne siete sicuro? Possiede davvero un cristallo mnemonico degli Inanimus? Ha davvero parlato con loro?”.

“Non l’ho visto con i miei occhi ma l’amichetta sembrava piuttosto preoccupata, a riguardo. Quindi confido sia vero. Sul fatto che abbiano parlato… dovrebbe essere lei a dirmi se fosse in grado di farlo”.

 

Il respiro del dottore si fece affannoso.

Il volto incerto tradì la sua sfiducia.

Non riusciva a capire se il generale lo stesse soggiogando o fino a che punto le parole corrispondessero a verità.

 

Dust… si era davvero spinto così oltre?

Tramava davvero di portare un cristallo dalle origini sconosciute al cuore urbano di Mechanus?

“Io… io non…”, balbettò.

“Dottore”, continuò Steel, sicuro di sé e porgendogli la zampa metallica. “Io non ho la certezza di quanto le sto dicendo. Ma ritengo a buon ragione che i sospetti necessitino della massima serietà. Che io abbia i miei interessi personali a riguardo è innegabile ma converrà con me che la sicurezza generale è in serio pericolo, con simili premesse”.
Novarius non seppe cosa rispondere.

“Se lei mi aiuta… se lei mi rileva quanto più possibile su tali affari… se mi dirà tutto ciò che sa di questo Silver Dust e delle sue ricerche… se mi aiuta ad organizzarmi per ricevere lui e la sua amica… allora…”.

 

    Schiamazzi e urla sempre più caotiche iniziarono a levarsi dalle strade sottostanti.

Steel ritrasse la zampa e si avvicinò rapidamente alla finestra.

Scrutò con attenzione i dintorni, scorgendo i soldati muoversi in modo piuttosto frettoloso e scoordinato. Corrugò le sopracciglia.
Una serie di passi rimbombò per le scale che conducevano alla stanza, un istante prima che la porta si spalancasse e rivelasse un pegaso col fiatone, in divisa leggera.

“G-generale!!”, dichiarò la staffetta.
“Che succede?”, chiese interdetto.

“Generale! La… la puledra! La puledra in armatura…!”.

L’ufficiale fece uno scatto in avanti: “…l’avete vista??”.

“È… è proprio al centro del piazzale, all’incrocio della tredicesima!”.

Hammer si fece dubbioso; uno dei graduati presenti parve non capire e aggiunse: “Come… come ha fatto?? Ci sono decine di isolati tra l’ingresso principale di Mechanus e quella piazza! L’avremmo sicuramente notata!”.

Il generale raccattò rapidamente dei documenti e si allentò alcuni bulloni sull’arto artificiale, preparandosi ad uscire.

“Evidentemente”, gli spiegò, “è passata per vie e strade secondarie. Mechanus è grande. Molto grande. Non possiamo battere l’intera zona, col rischio di sparpagliare troppo le nostre forze. Quindi non sono così sorpreso… La cosa importante è garantire che il cuore sia al sicuro. Infatti è lì che ho concentrato le difese…”.

L’unicorno grigio si avvicinò al pegaso e gli ordinò di far strada.

Si voltò un’ultima volta verso lo scienziato incapacitato.

“…la nostra discussione è rimandata. Valuti bene quello che le ho detto e tragga le dovute conclusioni”.

Novarius gli lanciò un’occhiata in cagnesco.

 

Steel Hammer chiuse la porta e se ne andò.

 

*** ***** ***

 

    La coppia di militari si riversò tra i lastricati cittadini, camminando a passo spedito e deciso.

Vigeva una gran confusione.
Intere squadriglie armate sciamavano da un lato all’altro del quartiere, mentre alcuni civili venivano forzatamente costretti ad abbandonare le relative abitazioni e dirigersi verso le periferie.

Non era di certo buoncuore: Steel non poteva permettersi perdite, cosa che ne avrebbe compromesso la credibilità.

I due avanzarono verso la destinazione, incrociando numerosi commilitoni e una manciata di Calcator in manovra.

“Com’è la situazione?”, domandò l’ufficiale alla staffetta, continuando a marciare.

“Crediamo sia giunta dalle zone in ombra, signore”.

“Come sospettavo…”.

“Si è semplicemente palesata in mezzo alla piazza”.

“Indossa la corazza?”.
“Sissignore”.

“Allora MASSIMA allerta. Sono stato chiarissimo con le disposizioni a riguardo”.

“Certo, signore”.

“Non mi importa di lei. Ma la corazza deve rimanere integra. Mirate alla testa. Al collo. Quel che vi pare. Ma lasciate intatta l’armatura”.
“Sissignore. Nel caso dovesse reagire, applicheremo le sue direttive alla lettera”.

Steel lo guardò incuriosito.

“Nel caso dovesse reagire? Non sta combattendo?”.

“Nossignore. Non ha opposto la benché minima resistenza, per ora. Si è limitata e starsene ferma, mentre le truppe la circondavano, tenendo le debite distanze. Di fatto… ha chiesto di parlare con qualche superiore. Così ho deciso di chiamarla. Che voglia arrendersi con le buone?”.

Hammer sorrise malevolmente: “Ne dubito…”.

Dopo svariati minuti di camminata, la coppia giunse finalmente verso la piazza in questione.

 

    Steel sbucò da una delle strade, nel punto in cui la zona si allargava sull’ampio spiazzo circolare.

Il perimetro era completamente circondato da una doppia fila di fanteria corazzata, tutti a lance spiegate e rivolte verso il centro dell’area.

Due Calcator erano in prima linea: immobili ma accompagnati dai numerosi rumori dei meccanismi interni, perfettamente funzionanti.  

Sulle case attorno, alle finestre e sui tetti, si erano piazzati altri unicorni e un piccolo distaccamento di pegasi da combattimento.

Hammer si sentì rassicurato.

Quando la piccola folla si accorse della sua presenza, aprì un varco tra i pony e lo fece passare indisturbato.

 

Copper Head era ad alcune decine di metri dalla formazione.


    La puledra era seduta accanto all’unica pianta dell’intero quartiere. La stessa sotto cui si era ritrovata più volte con l’amico color lilla.

Sembrava relativamente tranquilla.

 

Osservava il cielo.

Un cielo azzurro, con giusto qualche nuvola qua e là, ad occultare saltuariamente il disco accecante del Sole.

Da un lato, tuttavia, spiccava prominente la fregata Divites, con la flotta di chiatte che si dispiegava da essa.

 

La piazza non era completamente attorniata dagli edifici. Vi era uno spiraglio di alcuni metri, da cui si poteva godere di una vista mozzafiato, che contemplava l’intera vallata sottostante e le montagne sullo sfondo.

Era inoltre l’unico modo che aveva il vento per spingersi gentile fino a lei, scompigliandole appena i crini.

 

Copper sorrise.

 

    Steel Hammer si portò d’innanzi a tutti e scrutò divertito l’inventrice, i cui sigilli erano ancora perfettamente serrati.

I soldati erano silenti e concentrati, pronti ad agire al minimo segnale.

La situazione aveva del surreale, dato che quell’area era tipicamente lambita da orde di passanti e mezzi rumorosi.

 

In quel momento, invece, tutto taceva.

 

Si poteva persino udire il sibilare dell’aria.

 

Il generale gonfiò il petto e si preparò a parlare.

 

“Bentornata a casa, giovane puledra”, le disse con leggerezza. Le sue parole rimbombarono alcune volte nel vuoto della piazza.

Una manciata di fogli svolazzò tra i due, sospinta dal vento.

Copper portò lo sguardo dal cielo al suo interlocutore, senza perdere il sorriso inciso sulle labbra.

“Me la ricordavo un po’ diversa”, lo informò. “C’era… molto più caos. Il cielo era difficile da scorgere, in mezzo a tutti quei velivoli fumosi. Ora invece si vede benissimo…”.

“Sì. Oggi è proprio una bella giornata”.

“Si può godere del silenzio. Della brezza dell’aria sul pelo. Di uno spazio aperto. È davvero molto rilassante, non trova?”.

“Relativamente”.

Copper si alzò e tutti i presenti serrarono le fila, preparandosi ad un contrattacco.

L’altra, tuttavia, non fece nulla se non stiracchiarsi come un gatto.

“Cos’è”?, chiese divertita. “Avete paura di una puledrina?”.

“Lo sai vero… che tutto questo dispiegamento è solo causa tua e del tuo amichetto?”.

Il pony color creta si mise di profilo e accentuò il sorriso. Lo fissò dritto negli occhi.

“Lo sa, vero… che tutto ciò che di brutto è accaduto a Mechanus fino ad oggi… è causa sua?”.

“Oh, suvvia”, commentò sarcastico. “Non mi ritengo così influente. Penso che tu stia ingigantendo un po’ le cose. Non che questo abbia la minima rilevanza, ora…”.

“E cosa sarebbe rilevante?”.

Hammer divenne serissimo.

“…dov’è il tuo amico? Silver Dust?”.

“Oh, lui?”, dichiarò, fingendosi volutamente disinteressata. “Boh. Credo sia tornato dalla sua amata Principessa, in un regno incantato fatto di dolci e pan di zenzero”.

Secondo Hammer, con ogni probabilità la puledra stava bluffando. Ma non poteva esserne sicuro. Un giovane allievo, messo alle strette, avrebbe semplicemente desiderato levar le tende e andarsene, ovvio.

“E il cristallo in suo possesso?”, domandò. “Che fine ha fatto?”.

“Non ne ho la più pallida idea”.

Il generale convocò l’ufficiale in comando e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’altro fece alcuni gesti e i soldati negli edifici sembrarono prepararsi ad un attacco.

“Non ti conviene mentire, giovane unicorno”, la minacciò con tranquillità.

Copper ribatté con un ghigno sicuro di sé: “…altrimenti?”.

“Quella corazza”, asserì. “Consegnacela”.

“Perché mai dovrei? È mia”.

“È uno strumento equiparabile ad un’arma militare e non d’uso civile. E non mi risulta tu abbia seguito un corso di addestramento per cadetti”.

“Quest’armatura è prettamente decorativa”, lo derise.

Hammer diede un secondo ordine e la fanteria attorno a lui invocò potere sui corni. I Calcator fecero sbuffare i relativi ugelli e si misero in postura da combattimento.

“Non starò qui a perdere altro tempo con te”, berciò incattivito. “Me ne hai già fatto perdere fin troppo. Quindi te lo chiederò ancora una volta. Dicci dove sta il tuo amico. Consegnaci il cristallo e tutte le informazioni in tuo possesso. Togliti l’esoscheletro e verrai trattata con tutti riguardi”.

“La menzogna fatta a pony…”.

“Non ho alcun interesse a farti del male. Voglio solo assicurarmi che quel cristallo non raggiunga il cuore. E che la tua corazza non causi altri danni, com’è successo più volte…”.

“Danneggiare voi è come fare un favore al mondo…”.

La truppa si preparò a contrattaccare.

“La mia pazienza si sta esaurendo, ragazzina”, concluse, facendolo sembrare un ultimatum. “Possiamo risolverla con le buone… o con le cattive… A te la scelta”.

 

La baldanza di Copper si spense, come sostituita da un improvviso senso di rassegnazione.

Chiuse gli occhi e sospirò, colta da una curiosa forma di disagio interiore.

Riaprì le palpebre e scrutò intensamente i nemici che stavano per fermarla.

 

“…è… sicuro delle sue scelte, generale?”, domandò tentennante. L’altro rimase visibilmente sorpreso da tale reazione. “Si ricordi… che sta decidendo delle sorti dei suoi uomini…”.

I presenti si guardarono a vicenda, esterrefatti.

Hammer rispose seccato: “Parli come se fossi tu a dettare le regole. Ma non sei nella posizione di poterlo fare. E ora basta. Ti fornisco un’ultima possibilità per…”.

La voce della puledra sovrastò quella dell’ufficiale: “Sono io che le fornisco l’ultima possibilità per ripensarci, generale!!”, urlò. “Ci pensi bene! Può anche essere che alla fine io cada sotto i vostri colpi… ma… prima di allora…”. Copper sorrise di nuovo. “…non ha idea della distruzione a cui andrete incontro…”.

 

Steel Hammer chinò leggermente il capo.

 

“Prendetela”, sentenziò.

 

    La magie degli incantatori crebbero di intensità, pronti a scagliarsi contro il bersaglio.

Copper scosse il capo.

Aveva dato loro un’ultima possibilità.

La coscienza, almeno, non l’avrebbe perseguitata troppo duramente.

 

Uno sciame di sfere luminose si scatenò a mitraglia dagli assalitori, convergendo verso di lei.

L’inventrice serrò le palpebre e colpì un meccanismo al centro del petto.

 

Una sferzata di energia scaturì dalla sua armatura, provocando un’onda d’urto paragonabile ad una barriera del suono infranta. I quattro sigilli, due sulle spalle e due sulle cosce, si aprirono, come se degli scarabei avessero spalancato le elitre.

La luce azzurra dell’esoscheletro creò una vera e propria esplosione accecante, che dileguò gli incantesimi in arrivo, come fossero stati sabbia al vento.

I presenti vennero letteralmente scaraventati zampe all’aria.

Steel strinse i denti e si mise uno zoccolo sul muso. Ma non bastò.

L’impatto lo fece volare all’indietro, schiantandolo contro una parete vicina. Il colpo non fu di certo piacevole e il meccanismo di supporto ai suoi fianchi esplose in un’insalata di valvole e ingranaggi.

 

Avvenne quindi un fenomeno curioso quanto singolare.

 

Tutta la luce appena emessa dalla puledra venne richiamata nuovamente al petto.

Le lamiere esterne della corazza si serrarono ermeticamente, racchiudendo tutto il potere e annullando la sensazione di accecamento che aveva colpito gli osservatori.

La chioma dell’alberello, accanto alla puledra, venne spazzata violentemente. Quando tornò in posizione di riposo, un nugolo di foglie prese a cadere verso di lei, con estrema dolcezza.

La luce, bloccata all’interno dell’armatura e visibile solo attraverso le fessure delle intercapedini, virò inspiegabilmente da un azzurro acceso ad un tenue e corroborante arancione.

 

Gli ingranaggi si fermarono e presero a ruotare in direzione invertita, con moto lento e regolare.

 

Copper strizzò gli occhi, come invasa da un dolore incontenibile, quindi li riaprì.

Le sue pupille si rimpicciolirono progressivamente.

 

Ebbe un fremito per tutto il corpo.

 

Le ali si spalancarono, come code di pavoni.

Le Essenze si allinearono.

 

L’esoscheletro sembrò cadere in una forma di funzionamento rallentato.

Anche il volto di Copper parve rilassarsi.

 

    I soldati precipitarono nel panico.

Solamente i Calcator rimasero fermi ai propri posti, mascherando nell’abitacolo la sorpresa dei rispettivi piloti.

Steel si rialzò dolorosamente da terra e scosse il capo.

Osservò il proprio arto meccanico, divelto all’altezza della giuntura.

Si rimise in piedi, sfruttando le sole tre zampe sane, con non poca fatica.

I suoi crini, notoriamente ordinati, erano completamente scompigliati e il suo volto si arricchì di una rabbia come nessuno aveva mai visto.

Puntò la puledra, che lo osservava con muso inespressivo, adirandosi ancora di più.

“UCCIDETE QUELLA TRADITRICEEE!!!”, ruggì come un pazzo.

 

I soldati ebbero pochi secondi per riprendersi, quindi caricarono prepotentemente il bersaglio, saettando tra le imponenti zampe dei Calcator, che si erano appena messi in moto.

Copper non reagì. Si limitò ad attenderli, senza nemmeno alterare la propria espressione facciale.

Bastarono pochi secondi e i nemici le furono quasi addosso.

 

Copper sfoderò quindi un sorriso spaventoso, degno di un folle.

 

    Il corpo dell’inventrice scattò come una molla, annullando le distanze in un batter di ciglia.

“Cos…”, farfugliò un soldato in prima fila, ad occhi sgranati.

Il pony corazzato ruotò a mezz’aria e gli schiantò addosso gli zoccoli posteriori. L’impatto fu tale da spaccare metri di lastricato e spazzare via i suoi compagni, solamente a causa del contraccolpo.

Una decina di lance cercò di trafiggerla, da ogni direzione.

 

Copper, come se il tempo stesso fosse improvvisamente rallentato, lesse il flusso delle loro azioni; era come se percepisse un lento fluire di energia nei loro colpi, anticipando così le relative mosse.

Spostò l’Essenza che scorreva in lei, concentrandola in alcune zone specifiche del corpo.

Tutto avvenne in una frazione di secondo.

 

Quando le armi la trafissero… non fecero altro che scalfire un muro indistruttibile di energia invisibile, disposto impercettibilmente sulla superficie della corazza.

 

La combattente, infervorata dalle sostanze che si stavano diffondendo attraverso le vene, passò ad un immediato contrattacco.

Drizzò le ali, come un ventaglio di affilati coltelli, e vorticò su se stessa, aiutata da un violento getto di vapore dai fianchi.

Gli assalitori vennero lambiti dalle lame, che ne scalfirono le corazze e provocarono alcuni tagli superficiali alla pelle. L’attacco fu così potente da respingerli come foglie secche al vento.

 

Il varco così creato permise ad un Calcator di abbattere immediatamente una zampata sul nemico, come fosse un maglio gigantesco.

Lo zoccolo di metallo schiacciò la puledra sul terreno, causando un cratere sulle piastrelle e facendo tremare le strade.

Sollevò l’arto, permettendo ad un’illesa Copper di balzare direttamente verso la testa del colosso, con occhi da pazza. Un raggio incandescente, simile ad una lama di energia, si palesò dal suo corno e troncò di netto l’enorme casco della macchina da combattimento.

La testa decapitata, con tanto di cavi penzolanti, ruotò più volte nell’aria, spandendo spruzzi d’olio nerastro in ogni direzione. Colpì il suolo e rimbalzò rumorosamente più volte.

Il resto del corpo, privo dell’organo sensoriale, iniziò ad oscillare impacciatamente. Una serie di imprecazioni, ovattate dalla corazza, provenne dal suo interno.

Copper fece una giravolta all’indietro e atterrò agilmente sulle quattro zampe. Ancora non aveva finito.

Diede un secondo colpo di reni e si lanciò contro il busto del Calcator, colpendolo così forte da ribaltarlo all’indietro. L’enorme macchina emise una quantità incalcolabile di sfiati, nel tentativo di non perdere l’equilibrio, finendo rovinosamente a terra. Il costrutto cadde proprio sull’albero al centro della piazza, sbriciolandolo come fosse stato di compensato. Tutto tremò, sotto gli occhi terrorizzati dei soldati limitrofi.

La puledra si portò quindi sul ventre del Calcator, che era rimasto pancia all’aria, ed iniziò a scavare un solco con un raggio dal corno, simile ad un cannello ossidrico. Ad opera compiuta, sradicò la lamiera dissaldata e la lanciò lontano.

Il pilota, agganciato ai meccanismi di movimento, non poté far altro che osservare il volto dell’inventrice, senza possibilità di reagire.

Copper stringeva i denti, formando un ghigno inquietante.

Gli occhi erano spalancati e le pupille, minuscole, le donavano un’aura di furia omicida.

“Toctoc!!”, commentò divertita, assolutamente fuori di sé. “Posso entrare??”.

 

    Non molto lontano, debitamente al riparo nei vicoletti accanto, Silver Dust scrutava la scena dall’ombra.

Non poteva crederci…

“Santo cielo, Copper…”, commentò sottovoce, con muso interdetto. “E meno male che non volevi perdere il controllo…”.

Il secondo Calcator la intercettò con un manrovescio, scagliando il pony in esoscheletro verso una parete, come un proiettile.

Dust strizzò gli occhi, nell’istante in cui udì l’impatto, e vide chili di mattoni franarle addosso.

Chiunque sarebbe morto.

Dopo pochi secondi, tuttavia, la sua compagna emerse dal fumo, scrollandosi di dosso polvere e calcinacci.

Sorrideva ancora di più, pronta a mandare avanti uno scontro che era appena iniziato.

I pegasi spiccarono il volto, pronti a ridurla allo spiedo.
Gli unicorni caricarono altri incantesimi e i rinforzi presero a convergere verso la zona calda.

 

La fiducia, nel giovane puledro, parve vacillare.

Osservò preoccupato il cristallo mnemonico che reggeva tra gli zoccoli.

Ne vide il riflesso, giusto un istante.

 

Aveva davvero senso?

Copper sarebbe riuscita a mantenere il controllo? Per ora sembrava decisamente di no…

Il pony color creta stava agendo ai limiti della forza letale. Forse, in lei, ancora vigeva un barlume di buonsenso, che le impediva di sfracassare le ossa a chiunque le capitasse a tiro. O almeno… così sperava.

Ma era troppo tardi, ormai.

L’unico motivo per cui Copper era lì, affrontando il suo peggior timore e pronta a farsi massacrare da centinaia di soldati… era quel maledetto cristallo e la convinzione che potesse rivoluzionare in meglio le sorti della megalopoli.

No.

Non poteva fermarsi ora.

Erano in ballo e bisognava ballare.

 

    Silver si voltò e cercò di ignorare le urla dei soldati e i rumori della battaglia.

Raccolse fiato nei polmoni, assolutamente terrorizzato, ed iniziò a galoppare per i budelli, in direzione del cuore mnemonico: una struttura pesantemente controllata, a poche centinaia di metri dalla loro attuale posizione.

L’unico modo per avvicinarsi era proprio attirare l’attenzione in un punto vicino, in modo che la via fosse sgombra.

Un piano sensato ma completamente privo di alcuna perizia.

   

    Copper, intanto, si era tirata addosso l’ira di quasi un reggimento.

I soldati l’avevano accerchiata e tentavano di soverchiarla con attacchi combinati.

Ma qualcosa, nella loro tattica, non funzionava.

Non capivano perché… ma quella puledra sembrava non presentasse nemmeno un punto debole.

A nulla servivano i tentativi per attaccarla alle spalle o coglierla impreparata.

Il suo corpo reagiva come una macchina infallibile, intercettando o deviando tutti i colpi in arrivo. E dove riuscivano invece ad arrivare, ci pensava la corazza incantata a resistere come un baluardo.

Quando era invece Copper a contrattaccare… non c’era armatura o scudo che reggessero. Le sue zoccolate, amplificate dall’esoscheletro, erano terribili e precisissime. I raggi del suo corno pericolosi quanto quelli di un evocatore centenario.

E più la battaglia infuriava, più Copper si sentiva eccitata e corroborata dall’estasi dell’azione. Era come se ne reclamasse ancora. E ancora… finché non iniziò a ridere sguaiatamente, in un gesto a dir poco demoralizzante per i nemici.

Steel Hammer, dalle retrovie, pensò di aver scatenato una forza inarrestabile e, vedendo i suoi uomini venire sconfitti come soldatini di plastica, percepì una sensazione di puro terrore, come mai aveva provato in vita sua.

La zampa frantumata di un Calcator si levò nel cielo, nascondendo per alcuni istanti il sole abbagliante, quindi prese a precipitare verso di lui.

L’ufficiale ebbe un tuffò al cuore e riuscì a malapena a gettarsi di lato, prima che l’oggetto abbattesse parte della casa su cui si era scontrato un attimo prima.

Hammer finì rovinosamente nella polvere, alzando poi il muso esterrefatto.

 

Copper, ad una dozzina di metri  e asserragliata da militari impauriti, lo stava fissando con espressione di follia. Aveva appena sradicato e poi spedito nel cielo l’arto del Calcator.

“La prossima volta”, gli comunicò ridacchiando, “non sarà così fortunato, generale!!”.

 

Uno stormo di pegasi le sciamò addosso, cercando di chiuderle ogni via di fuga.

Copper fece scaturire una violenta nube di vapore, da cui emerse verticalmente, ritrovandosi a svariati metri dal suolo, grazie alla propulsione degli ugelli.

I suoi sensi amplificati colsero quindi un dettaglio fondamentale: qualcuno stava trottando per i vicoli lì accanto.

 

Fu una fortuna, probabilmente, poiché tanto le bastò per ritrovare un po’ di coscienza.

Non era lì per massacrare ondate di nemici.

Non solo, perlomeno…

 

Aveva un compito più importante.

Qualcuno a cui teneva e che doveva proteggere.

Dust.

    Il pony dai crini ramati azionò le ali e riuscì a modificare la traiettoria ascensionale, finendo su uno dei tetti accanto, con un tonfo che sbriciolò diverse tegole.

Avrebbe spostato il combattimento su quel livello, continuando a spostarsi per seguire Dust nel suo tragitto e, contemporaneamente, evitare che si accorgessero di lui.

 

Hammer, per canto suo, rimase basito a guardarla.

Corrugò la fronte.

Qualcosa non gli tornava.


…perché si era improvvisamente spostata sui tetti?

Perché indirizzare la battaglia in campo aperto, dove sarebbe stata più suscettibile agli attacchi su vasta scala?

 

Copper non era di certo una stratega ma qualcosa suggerì al generale di non dare nulla per scontato.

 

“TU!!”, urlò improvvisamente, bloccando un pegaso che stava per spiccare il volo.

“Signore??”, chiese l’altro.

“Tu! Prendi una manciata di pegasi e solcate il cielo! Non dovete intercettare la puledra!”, ordinò, rimettendosi sulle zampe e cercando di seguire l’evolversi della battaglia. “Rimanete a distanza di sicurezza e controllate qualsiasi movimento sospetto attorno al bersaglio in armatura!! Se notate qualcosa di strano, avvertitemi immediatamente. Intesi??”.

“Sissignore!!”, rispose prontamente, allontanandosi dopo un colpo d’ali.

 

Steel iniziò a zoppicare verso Copper, mantenendo le dovute distanze e lasciando che il grosso degli uomini fungesse da scudo vivente.

Il volto grigio era ebbro di fatica e rabbia; la fronte madida di sudore.

Si fece ancor più agguerrito.

 

Non mi freghi…”, pensò dentro di sé.

 

    I pegasi raggiunsero la posizione di Copper, mentre le truppe di terra invasero i vicoli sottostanti, pronti a riceverla casomai avesse tentato di tornare giù.

Si udì un boato nelle vicinanze: fumo e calcinacci si sollevarono da alcuni edifici. Il muso di un Calcator apparve tra i caseggiati più bassi: aveva appena demolito alcune mura per crearsi un varco, implacabilmente deciso a raggiungere il bersaglio e dar man forte agli alleati.

Una dozzina di pony alati atterrò attorno alla puledra, armati di lame a arpioni montati sui fianchi.

Un’altra decina di pegasi continuò a vorticarle sopra la testa, prendendo accuratamente la mira.

“Arrenditi, dolcezza!”, gli intimò uno degli assalitori, caricando pressione nel sistema di lancio dell’arpione. Le sorrise malignamente.

Per tutta risposta, Copper diede un colpetto ad una delle mattonelle del tetto, che si sollevò a mezz’aria, quindi roteò su se stessa e la spedì contro il muso dell’interlocutore, tramite una zoccolata posteriore.

La terracotta si sbriciolò sul suo ghigno e lo catapultò qualche metro oltre la tettoia. Cadde in mezzo alla strada.

“Chi ne vuole ancora??”, urlò inviperita.

Alcuni arpioni con cavo metallico piovvero dal cielo. L’unicorno dagli occhi smeraldo agì schivandone mirabilmente alcuni; altri le finirono dritti tra le zampe. Li afferrò, quindi si gettò verso l’edificio di fronte, trascinando con sé gli avversari alati. Questi non riuscirono ad opporsi alla sua forza e, costretti dalla fune a cui erano assicurati, piombarono verso terra e si schiantarono contro le pareti degli edifici in mezzo.

Sotto di lei, intanto, gli unicorni si prepararono a martellarla con i rispettivi incantesimi. Copper scagliò un impressionante dardo arcano verso una casetta a più piani. La magia deflagrò, causando il cedimento della struttura e facendola franare lungo le strade. Gli occupanti galopparono via, schivandola per un soffio. Li avrebbe rallentati per un po’.

Riportò quindi l’attenzione all’amico ed iniziò a retrocedere verso di lui, in modo da non perderlo d’occhio, sfruttando il piano soprelevato dei tetti.

Udì altre macerie crollare. I Calcator la stavano raggiungendo e, con essi, sarebbero sicuramente arrivati altri soldati.

Un ronzio lontano anticipò inoltre la comparsa di alcuni intercettori da battaglia, discesi direttamente per fornire supporto con le terrificanti armi di prua.

 

Silver, intanto, galoppava a più non posso, optando ogni volta per la via più angusta e malfamata. Sapeva che, in quel modo, avrebbe ridotto al minimo un incontro con altre truppe dei Divites.

Con la coda dell’occhio cercò di non perdere di vista Copper, che dai tetti vegliava su di lui e, al tempo stesso, combatteva per non farlo scoprire.

Il cuore iniziò a battergli forte, sia per lo sforzo che per la tensione, e il fiato divenne cortissimo.

Con ogni probabilità non era nemmeno ad un terzo del percorso totale.

 

    I pegasi incaricati dal generale Steel sorvolarono attentamente la puledra, mantenendosi a distanza di sicurezza. Videro Copper sfoggiare mosse leggiadre quanto terrificanti, liquidando ondate di assalitori e causando danni devastanti all’ambiente circostante.

Corrugarono lo sguardo e si concentrarono sul relativo compito.

Ci vollero alcuni minuti, prima che uno di essi spalancasse le palpebre ed indicasse un punto preciso tra i viali.

“Tenente!!”, urlò uno degli aviatori. “Tenente guardi!!”.
L’ufficiale in comando aguzzò lo sguardo e vide una macchia viola saettare tra i viali, quasi completamente occultata dal caos e dall’intricato sistema suburbano.

“Continuate a volare e a cercare altri movimenti sospetti!”, ordinò alla formazione. “Io vado a riferire rapporto!”.

“Sissignore!”.

Il pegaso si distaccò dai sottoposti, piegò le ali e impostò una traiettoria ascensionale. Atterrò a pochi metri da Steel Hammer che, incurante dell’arto danneggiato, continuava  seguire i propri uomini in battaglia.

“Generale!”, si annunciò frettolosamente.

“Cosa?”.

“Abbiamo individuato un possibile spostamento tra i vicoli! Un pony dal manto viola”.

L’unicorno grigio sorrise sardonicamente.

“Perfetto, tenente. Torni a sorvegliare l’area”, e lo congedò. Si rivolse quindi alla propria squadra e, con rinnovato fervore, strillò: “SOLDATI!! LASCIATE PERDERE LA PULEDRA!! IGNORATELA! NON È LEI CHE VOGLIAMO! CERCATE UN UNICORNO VIOLA TRA LE STRADE CITTADINE!! SI STA DIRIGENDO AL CUORE MNEMONICO DELLA CITTA’ E DEVE ESSERE FERMATO AD OGNI COSTO!!”.

Dust era troppo lontano e troppo immerso tra i budelli per poterli udire chiaramente ma Copper, dall’alto dei tetti, comprese tutto alla perfezione.

Il suo entusiasmo calò drasticamente, lasciando spazio ad un volto preoccupatissimo.

“D… Dust…”, sussurrò a se stessa, rivolgendo lo sguardo verso l’amico lontano e vedendo i militari sciamare verso la sua posizione, ignorandola totalmente.


La puledra ebbe paura.

Il cuore le finì direttamente in gola, preoccupata che il piano si rivelasse completamente fallimentare.

…e che Silver potesse fare una brutta fine.

 

“VE LO DARO’ IO UN BUON MOTIVO PER NON IGNORARMI, MALEDETTI!!”, ruggì come una leonessa.

Il corno si illuminò, richiamando fiotti di energia arancione dal cuore della corazza.

I soldati si bloccarono all’unisono, percependo la terra tremare sotto i loro stessi zoccoli. Si osservarono attorno, spaesati.

Una casa, nelle vicinanze, assunse una debole luminescenza, quindi si sradicò lentamente dalle proprie fondamenta, sollevando uno tsunami di calcinacci e tubature penzolanti.

Copper strinse i denti per lo sforzo.

Gli ingranaggi presero a vorticare, come impazziti, e la sua spina dorsale venne attraversata da un fulmine di dolore.


Non le importava.

 

L’edificio prese a fluttuare debolmente sopra le teste dei presenti, completamente terrorizzati, quindi venne scagliato con violenza al suolo, creando un frastuono terribile. La maggior parte dei nemici riuscì a schivare il colpo, vedendolo arrivare, mentre altri vennero investiti dai pezzi di mura e dal colossale vento polveroso che li intercettò.

 

Copper, ansimante, cercò di riprendere il controllo e di raggiungere il proprio compagno.

Una pioggia di proiettili sibilanti si abbatté su di lei, cogliendola impreparata.

Erano dardi metallici, gli stessi che l’avevano ferita l’ultima volta. Non fece in tempo ad irrobustire la corazza con l’Essenza, così alcuni di essi si conficcarono sulle lamiere e raggiunsero la carne, causandole però solo alcuni danni superficiali.

La puledra urlò di dolore, quindi evocò istintivamente uno scudo magico attorno a sé.

Si voltò e vide un incrociatore che la stava bersagliando di colpi, ad una cinquantina di metri dal suolo. I proiettili metallici si bloccarono a mezz’aria, fluttuando grazie allo scudo difensivo.

I pegasi di scorta si mossero per intercettarla.

Un Calcator frantumò l’ennesimo muro, ormai dannatamente vicino.

 

L’esoscheletro reagì alla situazione critica e un’ulteriore scarica di adrenalina le arrivò dritta in testa.

I quattro sigilli dovettero persino dissipare un po’ di energia, tanto era il potere che fluiva nel corpo del pony, con conseguenze non meglio prevedibili.

 

Copper raccolse aria nei polmoni e urlò a squarciagola: “CON CHI CREDETE DI AVERE A CHE FAREEE?!?”.

Fece quindi esplodere il muro arcano, scagliando i proiettili trattenuti verso i pegasi. Questi dovettero proteggersi con zampe e scudi, subendo però ferite che li incapacitarono, costringendoli a precipitare.

L’unicorno riuscì a farsi propellere verso l’alto, con un violento getto di vapore, un istante prima che il Calcator sfondasse la sua posizione con una zampata.

Raggiunto l’apice dell’elevazione, azionò le ali e impostò una traiettoria di planata che la condusse rapidamente verso il velivolo, che non la smise di spararle, senza successo.

Questa volta, tuttavia, non andò per il sottile.

Non atterrò sul ponte, bensì tranciò l’intero scafo in due parti, grazie ad un impressionante fendente incantato.

La metà posteriore, quella con i motori, si ritrovò senza stabilizzatori ed iniziò a volteggiare verso una meta indefinita. La parte anteriore subì invece il pieno effetto della gravita e precipitò verso gli edifici disabitati, sfracassandosi addosso al Calcator e sollevando una colonna di fumo nero, accompagnata da qualche sfiammata.

 

Copper ricadde pesantemente su uno dei tetti, sfondandolo quasi completamente.

L’incantatrice era madida di sudore e in preda ad evidente dolore fisico. Respirava come se stesse correndo da ore.

Sollevò lo sguardo ed osservò minacciosamente i soldati sparpagliati per le strade, lasciando che il disastro che aveva appena causato la incorniciasse sullo sfondo.

Gli altri atterrirono.

Qualcuno abbandonò le armi e fuggì, sostenendo che non erano pagati abbastanza.

Steel andò su tutte le furie.

“IDIOTI!!”, urlò. “CHE STATE FACENDO?! VUOLE SOLO INTIMORIRVI! LASCIATELA PERDERE E CERCATE IL PULEDRO!!”.

 

    Silver, infatti, continuò a galoppare, cercando di sopportare la fatica.

Udì i rumori della battaglia e pregò che tutto stesse andando per il meglio. Sapeva tuttavia che, finché c’era baccano, significava che la sua amica era viva e combattiva.

Forse… avrebbero potuto farcela.

Forse…

 

Un dardo incantato gli saettò sopra la testa, provenendo dalle sue spalle e sfrigolando contro una delle pareti.

Si voltò, senza smettere di correre.

Un gruppetto di soldati era sulla sua scia.

Era stato scoperto.

“MALEDIZIONE!!”, berciò, affrettando il passo.

“FERMATI!!”, gli ordinarono, scagliandogli altri incantesimi.

Controllò il cielo, che si intravedeva tra le case che angustiavano il tragitto, e scorse le sagome scure dei pegasi.

 

Non vi era dubbio.

Avevano mangiato la foglia e si sarebbero prodigati fino in fondo, pur di bloccarlo.

 

Ma Silver Dust non aveva intenzione di farsi atterrire dalla paura.

Continuò a correre, sempre più convinto che avrebbe presto raggiunto il cuore. Come si sarebbe liberato degli inseguitori, però… beh, di quello non ne aveva proprio idea.

 

Svoltò un angolo e si ritrovò d’innanzi una lunga scalinata che conduceva ad un livello inferiore delle strade.

Altri raggi arcani gli passarono accanto, alcuni mancandolo per un soffio.

Decise di osare e di giocarsi il tutto per tutto.

 

Spiccò un balzo a zampe protese, cercando di intercettare una balconata sporgente.

Pensò che, in quel modo, dei soldati in armatura non sarebbero riusciti a raggiungerlo, almeno per un po’.

La sua mente fece tutti i calcoli del caso, più veloce della luce. Non tenne tuttavia conto di un dettaglio importantissimo… ovvero che era quasi allo stremo delle forze.

Compì il balzo, che lo avvicinò tantissimo al balcone, senza però caderci direttamente sopra.

Silver Dust agguantò la sporgenza tra le zampe anteriori e ricadde dolorosamente con il ventre sulla parete. Strizzò gli occhi e non perse la presa per puro miracolo, rimanendo però a penzolare come un salame. Cercò di issarsi, facendo appello ad ogni briciolo di energia residua, senza riuscire ad ottenere granché.

Alcuni fanti, intanto, lo avevano raggiunto e si prepararono a colpirlo con la magia. Poco importava loro che fosse indifeso e in difficoltà. Quella era la filosofia dei mercenari.

Il poveretto sembrò perdere ogni speranza, non riuscendo in nessuno modo a tirarsi su.

Si preparò al peggio, ad occhi serrati.

 

    Una zampa marrone agguantò quella lilla, un attimo prima che scivolasse via.

Dust riaprì le palpebre.

Di fronte a lui, sulla balconata, vi era uno stallone dal manto fulvo, barba incolta ed un sigaro tra i denti.

“Non ti muovere, ragazzo”, lo rassicurò con voce roca.

Silver sbirciò sotto di sé e vide un manipolo di scalmanati fuoriuscire dalla spazzatura ai bordi della strada, nonché da porticine di legno marcio e altri anfratti.

I soldati, completamente impreparati, si videro assalire da pony di terra armati di grondaie, chiavi inglesi e persino oggettistica da sanitari.

Ci fu una breve colluttazione: partì qualche incantesimo e volarono alcune urla. In pochi secondi, dei Divites non rimaneva che un mucchietto di corpi pesti e privi di sensi. Anche qualcuno degli abitanti rimase ferito, ma senza gravi conseguenze. Tra di essi vi erano Shade e suo fratello, gli stessi che avevano cercato di derubarlo il secondo giorno.

Coal agguantò il puledro e lo aiutò a salire.

L’altro scivolò lentamente sul pavimento esterno, madido di sudore.

“Santo… santo cielo…”, biascicò col fiatone.

Smoky lo scrutò con aria interrogativa, quindi gettò il sigaro a terra e lo spense.

“Non voglio sapere cosa stai facendo…”, dichiarò.

“C… Coal… io…”.

“RIPETO”, lo interruppe con decisione. “Non so cosa vuoi fare… ma… che mi esplodano le chiappe se ho mai visto uno sfacelo simile in più di trent’anni che vivo a Mechanus”.

“Io…”.

Lo stallone lo rimise in piedi, sollevandolo di peso e senza dargli il tempo di riprendersi.

“Non ho mai visto i Divites così incacchiati. Devi proprio avergli fatto qualcosa di brutto!”.

“Io…”, ripeté, ancora in preda ad un senso di panico. “Io… devo andare… devo raggiungere il cuore di Mechanus…”.

“Il… cuore di Mechanus?”.

“COAL!!”, urlò qualcuno ai piani inferiori. “NE STANNO ARRIVANDO ALTRI! SONO ARMATI FINO AI DENTI! CHE FACCIAMO??”.

“UN SECONDO!”, rispose frettolosamente. Cinse quindi Dust per le spalle e lo scrutò con intensità.

“…perché fai tutto questo, ragazzo??”, gli domandò con volto severo.

L’altro deglutì.

“…per… per la città. E… per i suoi abitanti…”.

“Ne sei sicuro? Posso fidarmi di te?”.

“COAL!!”, strillò il pony di prima.

 

Silver riconquistò un po’ di autocontrollo ed annuì debolmente.

 

“…allora tanto mi basta”, concluse l’altro.

Afferrò Dust per le spalle e lo spintonò verso una porticina sconnessa.

“VAI!!”, gli ordinò.

“M-ma… Coal!!”, protestò.

“Levati dagli zoccoli! Tra un po’ arriveranno altri pony in barattolo!”, gli spiegò, sporgendosi dalla balconata per osservare meglio.

“COAL!!”.

 

L’amico si voltò lentamente, con un tenue sorriso scolpito sulle labbra barbute, come mai aveva mostrato prima d’ora.

 

“Non so cosa tu stia combinando…”, ammise. “Ma… sono sicuro che sarà qualcosa di epocale…”.

“…come fai a dirlo?”.

“Mi pizzica sempre l’occhio balengo, quando stanno per succedere cose epocali”, ridacchiò. “E ora… levati di torno. Noi li terremo impegnati per un po’. Si pentiranno di averci trattati come spazzatura. È tempo di restituire colpo su colpo…”.

“Ma sei sicuro che…”.

“VATTENE!!”, sbottò.

Dust cercò di ricambiare con un altro sorriso, quindi si costrinse a spalancare la porta e dirigersi nuovamente in strada, attraversando alcune stanze scarsamente arredate.

 

Si riversò nell’ennesimo viottolo, lasciandosi alle spalle altri rumori di battaglia.

Riprese a galoppare.

 

Il corpo gli doleva.

La mente continuava a gettargli addosso mille dubbi e incertezze.

 

Tornò a scrutare i tetti.

Di Copper non vi era nessuna traccia.

Cosa le era successo?

Aveva forse perso il controllo?

Era solo rimasta un po’ indietro?

Oppure…

 

Gettò un’occhiata alle proprie spalle.

Non vi era nessuno.

Coal e i suoi compari avrebbero dato filo da torcere a qualunque soldatino che li avesse incrociati.

 

Nonostante la sua marcia stesse proseguendo… Dust non riuscì a non sentirsi responsabile.

Per lui.

Per la sua compagna.

Per Coal.

E per Mechanus stessa, verso cui stava portando una marea di scontri, feriti e sofferenza.

 

Per cosa, poi?

Per un cristallo dal dubbio funzionamento?

Per un serie di macchine misteriose, che da sempre avevano reagito con la violenza e che non gli avevano spiegato proprio un bel niente?

 

Era… davvero sicuro di ciò che stava facendo?

 

Troppo tardi per ripensarci.

E il cuore della città poteva ormai essere scorto in lontananza.

 

*** ***** ***

 

    Puntini.

Sì.
Puntini.

Tanti piccoli puntini luminosi dalle tonalità dell’azzurro, la tipica colorazione delle essenze viventi.

Tutt’attorno una flebile aura traslucida, ad indicare la materia inanimata ma comunque intrisa di energia creativa. Atomi, molecole e altre forme sconosciute di creazione, unite tra loro a formare mura, case ed edifici.

Questo, ormai, era ciò che vedeva Copper, completamente travolta dalla forza incontenibile delle Essenze fuse tra loro.

    Gli ingranaggi vorticavano a pieno regime.
I meccanismi di sblocco erano ormai saturi, producendo sfiammate di magia rossa da spalle e fianchi, incapaci di contenere il devastante potere che fluiva nel corpo dell’inventrice.

Gli stimolatori interni continuavano ad inviare un unico segnale costante, al cervello.

Non fermarti.

Produci altre sostanze iperattive.

Sfrutta questo potenziale.

Non fermarti.

Osserva.
Essenze.
Di chi?
Non importa.
Conteggiale.
Pianifica.

Leggile.

Pronta?
Attacca.
Sfrutta il tuo corpo.

I tuoi sistemi meccanici.
Sposta l’Essenza dove devi proteggerti.
Annienta i puntini luminosi.
Abbatti.

Distruggi.

Produci altre sostanze.

Ricomincia.

 

Era successo quello che l’unicorno color creta temeva.
Completamente ebbra dell’esoscheletro, aveva dato vita ad un perfetto e terrificante connubio tra carne e macchina. Tra materia vivente e non.

    I soldati, a dozzine, accorsero per cercare di fermarla.
Ma fu tutto inutile.

Copper si muoveva come una furia, di bersaglio in bersaglio, accompagnata da un alone di luce arancione che pulsava e si diffondeva a metri di distanza.
Il suo muso era contratto in un’espressione di estatico sforzo, completamente madido di sudore.

Sfrecciava da un pony all’altro, sfracassandogli la corazza a colpi di zoccolo e riversando ondate di magia devastante su interi schieramenti: fulmini, sfere e qualsiasi oggetto nei paraggi, scagliato tramite la levitazione.
I Calcator cercarono di sopraffarla ma la puledra non solo era resistente come il granito; poteva muoversi con la rapidità di una pantera e rispondere con la potenza di un maglio meccanico.
E più andava avanti… più ne voleva.

Non si ricordava nemmeno più chi fosse.

Perché era lì?
Cosa stava facendo?


Non le importava.

 

Sì…

Era divertente.
Non le importava.
Era come trovarsi nella costante sensazione di cadere giù per un dirupo, con il cuore in gola e l’eccitazione a mille.

Non poteva fermarsi.
La corazza non l’avrebbe aiutata a smettere.

    “GENERALE!!”, strillò uno degli ufficiali, ripiegando dal massacro e tornando nelle retrovie, in direzione di Steel. “GENERALE!! NON RIUSCIAMO A FERMARLA!!”.

Un contraccolpo lontano mandò in mille pezzi uno dei tanti edifici della metropoli. L’esplosione fu così violenta da scagliare in cielo intere sezioni di mura, che iniziarono lentamente a vorticare e ricadere a terra.

Hammer si riparò il volto dalla polvere.

“NON IMPORTA!!”, rispose, urlando in mezzo al fragore della battaglia. “TENETELA IMPEGNATA! E CONTINUATE AD INSEGUIRE IL PULEDRO VIOLA! DOBBIAMO TENERLA LONTANA DAL CUORE!”.

Una cacofonia di versi doloranti li raggiunse, subito prima di qualche corpo volante, che saettò sopra le loro teste, sospinto dall’ennesimo attacco della puledra. Si schiantarono contro un muro lì vicino.

Risate di puledra iniziarono a riecheggiare tra le case.

“GENERALE!!”, insistette l’altro. “QUI NON REGGIAMO ALTRI TRENTA SECONDI!!”.

Steel non voleva demordere.

“CONTINUATE A MARTELLARLA! CHIAMATE ALTRI RINFORZI! BERSAGLIATELA CON LE NAVI! NON IMPORTA COME, MA NON FERMATE L’ATTACCO!!”.

L’interlocutore porse un timido saluto militare, con volto preoccupatissimo: “…s-sì, generale…”. Si congedò.

L’unicorno menomato spostò l’attenzione di nuovo sulla puledra, in mezzo a cumuli di macerie, palazzi che crollavano e soldati in preda al panico.

Sfoggiò un volto caparbio quanto colmo di follia.

“…non potrai continuare così per sempre…”, disse sottovoce.

 

*** ***** ***

 

    Dust correva.

Correva come mai aveva fatto in vita sua.

Non era nemmeno più sicuro di dove stesse andando.

Serpeggiava tra i budelli in modo completamente casuale.

Aveva perso il controllo ma era ancora sufficientemente lucido da notare un’enorme torre, intravista negli spiragli di cielo tra i tetti.

Il cuore…
Una struttura alta un centinaio di metri, circolare, ricoperta interamente da lamiere di rame un po’ ossidato. In cima: una stanza con una serie di grandi vetrate a smeriglio, che lo facevano sembrare un faro in mezzo ai grattacieli.

La vista della struttura gli riportò un po’ di speranza.
Non era poi così lontano… ma gli inseguitori non avrebbero mollato.
Tra le nubi, poteva intravederli, i pegasi svolazzavano freneticamente, pronti ad individuarlo. In mezzo agli edifici, tuttavia, sarebbe riuscito a non farsi vedere. Se avessero deciso di attaccarlo, avrebbero avuto uno spazio di manovra pressoché nullo.

I soldati dietro di lui, invece, sarebbero sempre rimasti un problema e Coal non avrebbe resistito per sempre.

 

Doveva continuare a correre e a muoversi.


Mille dubbi tornarono ad attanagliarlo ma cercò di scacciarli.

Non vedeva Copper ormai da parecchi minuti.
I rumori di battaglia erano flebili e lontani, quasi impercettibili, ormai.

Si concentrò sul proprio obbiettivo.
Era solo questione di tempo prima che raggiungesse la torre.
Sorrise, in preda al fiatone.

La zona, tuttavia, sarebbe stata sicuramente presidiata.
Come avrebbe fatto ad entrare? Solamente Copper avrebbe potuto garantirgli l’accesso e, contemporaneamente, tenere alla larga gli invasori.
Senza di lei… come avrebbe fatto?

Inutile pensarci, senza prima essere giunti a destinazione.

Continuò… finchè…

 

    Un’esplosione, a pochi metri da lui, mandò in frantumi una sezione di muro.

Silver venne letteralmente sollevato da terra e volò per alcuni metri, sfracassando una finestra protetta da assi malandate. Finì all’interno di un edificio, cadendo dolorosamente di schiena e ricoperto di polvere e frammenti di legno.

Gli ci vollero parecchi secondi per riprendersi, sollevare il capo e ruotare su un fianco.

Scosse la testa, facendo scendere pulviscolo dai crini.


Era finito in una camera disabitata, scarsamente arredata.

 

Di fronte a lui, al di là della finestra, era visibile la possente zampa metallica di un Calcator: aveva appena sfondato una parete urbana.

Quando il polverone si dissolse, Dust dovette digrignare i denti dal terrore.

Dai fumi, accompagnato da un terribile cigolio, emerse la colossale macchina da guerra, con luccicanti occhi bianchi.

Riportò lentamente l’arto in posizione di riposo, sempre cigolando rumorosamente.

Assunse una postura eretta, quindi sollevò il casco metallico verso il proprio bersaglio.

 

Silver Dust non perse tempo: si rimise sulle zampe e cercò di allontanarsi all’interno della casa.

Il Calcator si mosse con sorprendente velocità e menò una zoccolota verso di lui. Il puledro si abbassò, mentre un’intera sezione di muro veniva divelta dal passaggio della zampa meccanica.

Una voce metallica divertita provenne dall’interno del mezzo: “Dove credi di andare??”.

Dust, completamente in preda al panico, arrancò affannosamente verso una rampa di scale in pietra e cercò di salire al piano superiore.


Il Calcator non dovette far altro che dirigersi verso di lui, abbattendo mura, mobili e quant’altro. Era sufficientemente alto da poter tranquillamente raggiungere l’unicorno dal piano inferiore.

Silver, tuttavia, voleva semplicemente andarsene.

 

Corse verso una finestra, un attimo prima che un secondo colpo, dal piano terra, sfondasse il pavimento accanto a lui.

 

Dust, colto alla sprovvista, scivolò e finì nella voragine appena creata. Cadde di nuovo di sotto, colpendo la groppa del Calcator e rovinando quindi a terra, in un cumulo di macerie.

 

Il bestione riprese a muoversi, cigolando e sbuffando vapore.

 

Il giovane emise un verso di dolore, quindi tentò nuovamente di rimettersi in piedi.

Con suo sommo terrore, notò la borsa a tracolla in un angolo della casa. Doveva essersi slacciata durante la caduta.

Il Calcator era proprio nel mezzo.

“È come schiacciare un insetto!”, commentò il pilota, pronto ad abbattere lo zoccolo contro di lui.

Silver ebbe un fugace momento di lucidità, che gli permise di evocare un incantesimo: si teletrasportò sotto le zampe del Calcator, un secondo prima che l’arto sfondasse il pavimento da cui era appena scomparso.

Si tuffò verso la sacca, agguantandola. Se la mise frettolosamente attorno al collo e cercò di guadagnare l’uscita.
Questa volta, però, non fu così fortunato.

Il mezzo da combattimento, dietro di lui, fece una giravolta e schiantò l’ennesimo colpo, che questa volta andò a segno.
Dust sentì le ossa scricchiolare e venne proiettato di nuovo attraverso una finestra, colpendo violentemente le mura dall’altro lato della strada.

Ricadde a terra, senza aria nei polmoni.

Tossì più volte.

Il Calcator, implacabile, si creò il proprio passaggio personale, semplicemente attraversando le mura.

“Pensi davvero di cavartela così, moccioso??”, lo derise, avanzando verso di lui.

Dust tentò di alzarsi ma il dolore glielo impedì.

Non riuscì nemmeno ad evocare un incantesimo, che comunque sarebbe servito a ben poco, contro un simile avversario.

Completamente atterrito e privo di qualsivoglia possibilità di fuga, si preparò ad arrendersi, nella speranza di essere risparmiato.

 

Udì quindi un rimbombo lontano, in mezzo agli edifici lì accanto. Un rumore simile ad un sibilo acuto, accompagnato da un tonfo così pesante da far tremare la terra.

Non riuscì a capire di cosa si trattasse, essendo a ridosso di una parete.

Il nemico, tuttavia, parve bloccarsi, anch’egli confuso.

Dust udì altri cigolii.

Corrugò la fronte.

Quindi accadde.

L’ennesimo muro demolito precedette la comparsa di un altro Calcator, ancor più grosso e massiccio dell’altro.
Era una macchina dalla corazza dorata, elegante nell’aspetto quanto spaventosa nei movimenti. Un Calcator di classe Titan.

Il colosso abbatté una zampa sull’altro costrutto, facendolo vacillare all’indietro di parecchi metri.

Il casco del Titan fece brillare gli occhi color verde acqua, emettendo svariati sbuffi di vapore.

L’avversario, ristabilito l’equilibrio, si fermò.

“S… signore??”, balbettò interdetto il pilota.

Per tutta risposta, il Calcator dorato intercettò il bersaglio, ingaggiando una furiosa battaglia. Il pilota cercò di difendersi ma, colto alla sprovvista da un presunto traditore, si ritrovò ben presto ad incassare i devastanti colpi di una macchina da combattimento di livello superiore.

Il Titan venne colpito da alcuni attacchi, che riuscirono ad ammaccare appena la corazza.

I due presero a spostarsi caoticamente per i paraggi, sfondando e devastando le strutture.

Dust vide alcune tonnellate di zampe sfracassare il lastricato attorno a sé.

Si coprì il viso, nel vano tentativo di proteggersi. Per fortuna, il Titan fece di tutto per tenere la battaglia lontana da lui.

Con un ultimo, fortissimo colpo di zoccolo, il Calcator dorato devastò il petto del nemico, mandando completamente in avaria i sistemi di movimento.

Il nemico cadde rumorosamente di schiena, contro il tetto di una casa a piano singolo, sollevando calcinacci e nugoli di polvere.

 

“D-dannazione!!”, berciò l’occupante, cercando inutilmente di uscire dall’abitacolo semidistrutto.

In mezzo a quello sfacelo, intanto, Dust non ci stava più capendo niente.

Cercò di rimettersi in sesto, con non poca fatica. Si issò sulle zampe tremanti, quindi zoppicò in direzione del presunto salvatore.

Non sapeva chi fosse ma, se avesse voluto attaccarlo, lo avrebbe già fatto.

 

    Il Calcator classe Titan rimase immobile, emettendo giusto alcune lingue di vapor acqueo dalle giunture.
Il matematico scrutò il cielo (dato che la battaglia aveva sostanzialmente generato un cratere in mezzo agli edifici) e notò i pegasi nell’atto di riorganizzare le formazioni.
Qualsiasi cosa fosse successa, non aveva tempo da perdere. In quelle condizioni, tuttavia, non sarebbe andato lontano.
Dal petto della macchina provennero altri rumori di sfiato, prima che una sezione della corazza si sganciasse e si aprisse, rivelando l’occupante.
    Un unicorno bianco, ricoperto da numerose bende strappate, era assicurato ai meccanismi di movimento del mezzo.

Silver lo riconobbe immediatamente.

“Zamak??”, domandò perplesso.

L’altro era in evidente sforzo fisico, dolorante.
Si voltò lentamente verso di lui e si sforzò di sorridergli.
“…ehy… ragazzo…”, gli disse ansimante. “Tutto bene…?”.

“Ma… ma cosa…”, farfugliò.

“Senti… vorrei anche io fermarmi a chiacchierare…”, gli spiegò esausto. “Ma… saresti così gentile da staccarmi da questo affare?”.

Silver non se lo fece ripetere due volte e si arrampicò alla bene e meglio lungo la struttura del Titan. Quando giunse nell’abitacolo, notò una serie di strani comandi e leveraggi disposti lungo l’intera cabina.
Zamak era tenuto in sospeso da una serie di fibbie, mentre lungo gli arti e le giunture erano assicurati dei cavi in tensione, ovvero il meccanismo in grado di leggere i movimenti del pilota.

L’unicorno sibilò tra i denti, per il dolore. Le ferite, a malapena coperte dalle bende, si stavano forse riaprendo.
Dust si apprestò a slacciare le sicure, stando attento affinché l’occupante non capitombolasse a terra.

Il bestione bianco dovette reggersi al gracile pony lilla, causandogli non pochi problemi nel riportarlo sulla terraferma. Una volta lì, si accasciò sul lastricato distrutto, con un verso liberatorio.

“…dannazione…”, gli disse, strizzando gli occhi. “Mi sa… mi sa che controllare uno di quei cosi… non è consigliabile quando sei ridotto ad un cencio…”.

“Zamak… ma… sei venuto qui… per me?”.

“Già”, sorrise, con la fronte imperlata dal sudore. “Brillante deduzione. Ora capisco perché sei l’allievo di una Principessa”, lo schernì.

“Ma… ora… ora i Divites…”.

I pegasi nel cielo scrutarono i due, non sapendo bene come reagire di fronte ad un ufficiale traditore.

L’unicorno sollevò gli occhi azzurri verso di loro, quindi li riportò in direzione di Dust.
“Ascolta…”, gli spiegò con serietà. “Non c’è un minuto da perdere… Tra poco quelli verranno qui per catturarci…”.

“Perché li hai traditi??”, domandò energicamente.

Zamak sospirò ma non perse il proprio muso temerario. Alzò una zampa e fece dondolare alcune bende dinnanzi al puledro.

“…credi… che siano stati gli Inanimus a farmi questo…?”.

“…intendi dire…”.

L’amico si rimise in piedi, aiutandosi contro un muretto ancora intatto.

“Ora vattene… sei ad passo dal tuo obbiettivo…”.

Silver scrutò la torre ormai vicina.

“Ma… ma senza Copper… io…”, farfugliò interdetto.

“Prendi il mio Calcator…”, gli propose, aspettandosi i pegasi corazzati da un momento all’altro.

“Cosa?”.

“Sali su quell’affare. Ti darò una zampa a sistemarti nella cabina”.

“Ma non ho mai pilotato un aggeggio simile!”.

Zamak gli diede uno spintone in direzione del Titan, quindi zoppicò per accompagnarlo fino alla cabina.

“Se è per questo…”, continuò, cercando di nascondere il dolore, “non avevi mai usato le corazze di quella stramboide di mia sorella. Eppure ci sei riuscito…”.

“S-sì… ma…”.

I pony alati giunsero uno dopo l’altro, appollaiandosi sulle sommità dei tetti più bassi. Erano visibilmente confusi.

“…comandante Zamak?”, domandò uno di loro, non capendo se stesse catturando il prigioniero o cosa. Il Calcator abbattuto lasciava però poco spazio ai dubbi.

L’unicorno dai crini dorati cercò di velocizzare le cose. Con le sue ultime forze, evocò un potente incantesimo sulla fronte, generando una bolla circolare sufficiente a proteggere loro due e il Calcator.

“TRADITORE!!”, berciò uno dei pegasi, armando l’arpione laterale.

“Vai! Sali!”, intimò il fratello di Copper al puledro.

L’altro ubbidì.

 

I pegasi fecero cerchio attorno allo scudo di energia. Sapevano che non sarebbe potuto durare in eterno e, per allora, li avrebbero assaliti da tutte le direzioni.

Zamak legò i meccanismi di movimento del Calcator ad un agitatissimo Silver Dust, che si stava probabilmente pentendo di ogni scelta compiuta nelle ultime ventiquattro ore.

Gli fece passare una spessa cinghia in pelle attorno al busto, in modo che rimanesse sospeso nella cabina, quindi legò altri cavi alle zampe e ai punti mobili del suo corpo.

I pegasi, intanto, li avevano completamente circondati.

“Zamak!”, riprese Dust, sentendosi ridicolo, appeso in quel modo. “Perché lo fai?? Perché mi aiuti?”.

L’ufficiale tirò una leva e l’intera struttura metallica ebbe un sussulto. Si udirono rumori di vapore e piccoli vagiti metallici. Una sorta di binocolo si sganciò dalla parte apicale dell’abitacolo, ricoprendo gli occhi dell’occupante. Zamak si allontanò, in quanto la portella si stava lentamente chiudendo.

“Zamak!”, ripeté Silver.

 

L’altro sorrise.


Scese dal Calcator, lasciando il pilota completamente in balia di sé.
   
 
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