Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Bianconiglio_    10/07/2014    2 recensioni
La bambina sussultò –Anche tu fai la magia?-
Jack scosse la testa –Che magia? - lei gli si avvicinò togliendosi i guantini e roteando le mani creò una pallina di neve sotto lo sguardo sbigottito di Jack che rimase ammutolito per qualche secondo rigirandosi la pallina tra le mani –Sei uguale a me? Da…da quanto tempo hai quest’età? -
-Mi sembra che ho 6 anni da 6 anni…- Jack sembrava sempre più confuso –Vuoi dire che tu cresci? -
-Così dice mamma…-
-Perché io allora ho 20 anni da più di un secolo?! – sbottò quasi tra se e se, la bambina indietreggiò e Jack capendo il suo errore le si avvicinò rassicurante
– Scusa non volevo spaventarti-
-Sei arrabbiato con me? -
-No, certo che no…come ti chiami? – disse abbassandosi alla sua altezza
-Io mi chiamo Elsa-.
Genere: Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Anna non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva visto Elsa sorridere.

In realtà, non ricordava neanche quando era stata l’ultima volta che avevano giocato insieme, e non ricordava neanche perché c’era stata, un’ultima volta.

Tutto d’un tratto Elsa costruì un muro invisibile tra lei e il mondo intero, divenne irragiungibile, e quell’odio che sembrava provare verso tutto e tutti sembrava si riflettesse su di lei, perché anche il mondo pareva tenerla fuori. A lei più di tanto non interessava, non le piaceva stare in compagnia, avere amici, non le piaceva andare in giro a fare shopping, non le piacevano i ragazzi, non le piacevano i pettegolezzi…faceva il suo dovere, e la vita se la lasciava scivolare addosso. Mai un’eccezione, un atto di follia, di quelli liberatori, non si lasciava mai andare, era perfetta nella sua imperfezione. E poi c’era Anna, il suo esatto opposto, talmente diverse che le persone, appena Anna tentava di spiegare quanto fosse fantastica in realtà la sorella, la interrompevano con gli occhi sgranati e le chiedevano a gran voce

quella è tua sorella?!- marcando il quella con un tono che variava tra lo stupito e lo schifato.

Alcuni, addirittura, continuavano

 – come fai a vivere con quella?!- e Anna, la quale cercava disperatamente di inserire Elsa nella società, ci rimaneva talmente male, che puntualmente, appena tornava a casa scoppiava in un pianto disperato tra le braccia della madre, mentre Elsa, dal canto suo, completamente passiva alla vicenda, si dirigeva in camera stanca di vedere quella scena chiedendosi per quale motivo la sorella si preoccupasse così tanto per cose così stupide.

Anna, piano piano, smise di parlare con Elsa e si limitò a vivere la sua vita. Non che non amasse la sorella, ma semplicemente non vedeva interesse da parte sua, in fondo, se Elsa era completamente asociale e si dimostrava ogni giorno più apatica, e per certi versi scontrosa, nei confronti di qualsiasi creatura vivente e non, lei non poteva farci nulla, purtroppo. Mangiavano insieme, la osservava distrattamente tra i corridoi di scuola, a volte appoggiava l’orecchio sulla porta della sua camera e la sentiva parlare da sola,i spiegare una volta le sembrò persino di sentirla singhiozzare, si aprì nel suo cuore una specie di speranza, e per un attimo credette che Elsa fosse cambiata. Ci pensò su, ma si convinse che si era sbagliata. Elsa non piangeva. Mai. E niente avrebbe potuto cambiarla.

Un giorno di Ottobre Anna, ormai quattordicenne, bussò alla porta di Elsa con le lacrime agli occhi.

La ragazza aprì dopo alcuni minuti e rimase sulla soglia a guardare la sorella, impassibile.

-Elsa…- la chiamò con voce flebilissima e le si gettò al collo avvolgendola in un abbraccio.

L’altra rimase immobile con le braccia lungo i fianchi mentre la sorella continuava a piangere disperata

 –Mamma e Papà…non ci sono più-

Solo a quel punto, Elsa alzò un braccio e posò una mano sui capelli rossicci della sorella, e solo allora si accorse che per lei quella frase significava ben poco, era da così tanto che non passava del tempo con la sua famiglia, che i volti dei genitori erano completamente sbiaditi nella sua mente. Lasciò cadere di nuovo il braccio lungo il fianco e con un passo indietro chiuse la porta lasciando Anna fuori, da sola, come sempre.

 

La cosa che più la divertiva era guardare come quella soffice sostanza bianca si creasse dal nulla tra le sue manine. Non sapeva gestirla ancora, ma era una cosa di cui non poteva fare a meno. Anche Anna la amava e a volte tirava giù Elsa dal letto e la portava in giardino –Fai la magia! Fai la magia! - esclamava saltellando qua e là con la sua vocina, ed Elsa lasciava che il ghiaccio la guidasse, facendo trasformare, in men che non si dica, il giardino in un piccolo paradiso bianco.

A volte si chiedeva come mai fosse capitato proprio a lei, solo a lei.        

E anche se per lei non era ancora un problema essere così, avrebbe voluto sapere perché…

A volte doveva stare attenta, era così abituata a giocare con la neve che anche quando camminava per strada, si doveva trattenere dal far nevicare improvvisamente e dal ghiacciare qualsiasi cosa vedesse.

-E’ il nostro piccolo, grande segreto, Elsa – le diceva la mamma con voce rassicurante – Quando siamo fra la gente è meglio se indossi questi- e le porgeva dei guanti - possono fermare il ghiaccio, almeno per il tempo che basta- continuava sorridendo, ed Elsa ubbidiva, anche controvoglia.

Un giorno Anna corse a svegliarla prestissimo –Elsa, Elsa! –trillò e iniziò a saltellarle attorno al letto incitandole di svegliarsi. Elsa si stropicciò gli occhi e fece un grandissimo sbadiglio scostando le coperte –Cosa c’è Anna? ...mi hai svegliato…è…prestissimo! - disse con voce impastata dal sonno.

-Chiuso per neve! La scuola è chiusa, e c’è la neve! Tu ami la neve! – disse con la voce ancora più squillante, Elsa parve illuminarsi e si decise a poggiare i piedini nudi sul parquet, e anche se il letto la chiamava ancora disperatamente corse a vestirsi seguita da Anna. Scese le scale di fretta e furia e sotto lo sguardo allibito dei genitori uscì dalla casa urlando –Neve! Chiuso per neve! -. Corse fin quando non arrivò di fronte al viale imbiancato e si gettò a terra per fare un angelo di neve, Anna la imitò, poco dopo. Muovevano mani e piedi all’unisono e ridevano, Anna si voltò verso Elsa –Ora puoi fare la magia, nessuno se ne accorgerà! – disse a bassa voce per paura che qualcuno la sentisse -lo so! E’ per questo che sono felice-.

 

Jack Frost sarebbe potuto essere un ragazzo qualunque, magari uno di quelli che a scuola fa ridere tutti con le proprie stupidaggini, anche se lui, in realtà, non aveva ancora ben capito a cosa servisse esattamente una scuola. L’unica cosa che sapeva era che quando appariva il cartello CHIUSO PER NEVE i bambini uscivano letteralmente pazzi, e lui adorava vederli sorridere. Ma, in tutta questa spensieratezza, c’era un problema, nessuno sapeva che l’artefice di tanta felicità era proprio Jack, perché nessuno credeva in lui, nessuno riusciva a vederlo.

Ma lui non si scoraggiava mai, e continuava a portare neve in ogni singolo posto cercando sempre di farsi notare.

Quel giorno era arrivato in un paese molto vicino al mare di cui non ricordava assolutamente il nome, anche lì la gente sembrava felice di vedere fiocchi di neve dappertutto, i bimbetti scorrazzavano di qua e di là lanciandosi palle di neve e due bambine facevano gli angeli di neve vicino alla strada principale, si sedette sull’orlo di una staccionata e prese ad osservarli divertito, ogni tanto creava una palla di neve e lanciandola faceva cominciare un’altra battaglia. All’improvviso sentì qualcosa muoversi al suo fianco, si girò, una bambina lo stava osservando attentamente, rimase interdetto. Come faceva a vederlo?

– A cosa ti serve questo? – chiese la piccola con la sua flebile vocina. Il suo cuore mancò un battito –Tu…mi vedi? -

-Certo che ti vedo, perché non dovrei? – chiese ancora mostrando un sorriso a trentadue denti –P…perché io sono…Jack Frost…e…nessuno riesce a vedermi perché…nessuno crede…in me - si fermava ad ogni parola guardando nel vuoto non riuscendo a credere che stesse intrattenendo quella conversazione

-E che significa che sei Jack Frost? –

-Che…che porto il ghiaccio…la neve- la bambina sussultò –Anche tu fai la magia?-

Jack scosse la testa –Che magia? - lei gli si avvicinò togliendosi i guanti e roteando le mani creò una pallina di neve sotto lo sguardo sbigottito di Jack che rimase ammutolito per qualche secondo rigirandosi la pallina tra le mani –Sei uguale a me? Da…da quanto tempo hai quest’età? -

-Mi sembra che ho 6 anni da 6 anni…- Jack sembrava sempre più confuso –Vuoi dire che tu cresci? -

-Così dice mamma…-

-Perché io allora ho 20 anni da più di un secolo?! – sbottò quasi tra se e se, la bambina indietreggiò e Jack capendo il suo errore le si avvicinò rassicurante

– Scusa non volevo spaventarti-

 -Sei arrabbiato con me? -

-No, certo che no…come ti chiami? – disse abbassandosi alla sua altezza

-Io mi chiamo Elsa-

-Ciao Elsa…- non finì neanche di pronunciare la frase che una signora dall’altra parte della strada iniziò a chiamarla insistentemente, la bambina si girò verso la donna, poi di nuovo verso Jack –Ma noi ci vediamo dopo vero?-

–Elsa…io devo… non posso restare qui-

-Dove vai? -

-In un altro posto…-

-Ma se te ne vai io resto sola-

-…ma tu non sei sola, hai la tua mamma, la tua famiglia- disse accarezzandole una guancia

-Ma tu sei l’unico uguale a me, per questo se te ne vai resto sola- la bambina sembrava quasi sul punto di piangere, Jack fece un forte sospiro

 –Tu sei uguale agli altri bambini, sei solo…un po’ più speciale, non ti devi sentire esclusa, il tuo è un dono.-

-Ma tu sei più uguale di tutti a me, non puoi andare via-

-Se io ti prometto che un giorno tornerò tu mi prometti che d’ora in poi non sarai più triste? - Elsa annuì decisa e poi lo abbracciò forte come se lo conoscesse da sempre.

 

 

 

   
 
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