Capitolo 1
Anna non ricordava quando era stata
l’ultima volta che aveva
visto Elsa sorridere.
In realtà, non ricordava
neanche quando era stata l’ultima
volta che avevano giocato insieme, e non ricordava neanche perché c’era stata,
un’ultima volta.
Tutto d’un tratto Elsa
costruì un muro invisibile tra lei e
il mondo intero, divenne irragiungibile, e quell’odio che
sembrava provare
verso tutto e tutti sembrava si riflettesse su di lei,
perché anche il mondo
pareva tenerla fuori. A lei più di tanto non interessava,
non le piaceva stare
in compagnia, avere amici, non le piaceva andare in giro a fare
shopping, non
le piacevano i ragazzi, non le piacevano i
pettegolezzi…faceva il suo dovere, e
la vita se la lasciava scivolare addosso. Mai un’eccezione,
un atto di follia,
di quelli liberatori, non si lasciava mai andare, era perfetta nella
sua
imperfezione. E poi c’era Anna, il suo esatto opposto,
talmente diverse che le
persone, appena Anna tentava di spiegare quanto fosse fantastica in
realtà la
sorella, la interrompevano con gli occhi sgranati e le chiedevano a
gran voce
– quella
è tua
sorella?!- marcando il quella con
un tono
che variava tra lo stupito e lo schifato.
Alcuni, addirittura, continuavano
–
come fai a vivere
con quella?!- e Anna, la quale
cercava
disperatamente di inserire Elsa nella società, ci rimaneva
talmente male, che
puntualmente, appena tornava a casa scoppiava in un pianto disperato
tra le
braccia della madre, mentre Elsa, dal canto suo, completamente passiva
alla
vicenda, si dirigeva in camera stanca di vedere quella scena
chiedendosi per
quale motivo la sorella si preoccupasse così tanto per cose
così stupide.
Anna, piano piano, smise di parlare
con Elsa e si limitò a
vivere la sua vita. Non che non amasse la sorella, ma semplicemente non
vedeva
interesse da parte sua, in fondo, se Elsa era completamente asociale e
si
dimostrava ogni giorno più apatica, e per certi versi
scontrosa, nei confronti
di qualsiasi creatura vivente e non, lei non poteva farci nulla,
purtroppo.
Mangiavano insieme, la osservava distrattamente tra i corridoi di
scuola, a
volte appoggiava l’orecchio sulla porta della sua camera e la
sentiva parlare
da sola,
Un giorno di Ottobre Anna, ormai
quattordicenne, bussò alla
porta di Elsa con le lacrime agli occhi.
La ragazza aprì dopo
alcuni minuti e rimase sulla soglia a
guardare la sorella, impassibile.
-Elsa…- la
chiamò con voce flebilissima e le si gettò al
collo avvolgendola in un abbraccio.
L’altra rimase immobile con
le braccia lungo i fianchi
mentre la sorella continuava a piangere disperata
–Mamma
e Papà…non ci
sono più-
Solo a quel punto, Elsa
alzò un braccio e posò una mano sui
capelli rossicci della sorella, e solo allora si accorse che per lei
quella
frase significava ben poco, era da così tanto che non
passava del tempo con la
sua famiglia, che i volti dei genitori erano completamente sbiaditi
nella sua
mente. Lasciò cadere di nuovo il braccio lungo il fianco e
con un passo
indietro chiuse la porta lasciando Anna fuori, da sola, come sempre.
La cosa che
più la
divertiva era guardare come quella soffice sostanza bianca si creasse
dal nulla
tra le sue manine. Non sapeva gestirla ancora, ma era una cosa di cui
non
poteva fare a meno. Anche Anna la amava e a volte tirava giù
Elsa dal letto e
la portava in giardino –Fai la magia! Fai la magia! -
esclamava saltellando qua
e là con la sua vocina, ed Elsa lasciava
che il ghiaccio la guidasse, facendo
trasformare, in men che non si dica, il giardino in un piccolo paradiso
bianco.
A volte si
chiedeva
come mai fosse capitato proprio a lei, solo
a lei.
E anche se
per lei non
era ancora
un problema essere così, avrebbe voluto sapere
perché…
A volte
doveva stare
attenta, era così abituata a giocare con la neve che anche
quando camminava per
strada, si doveva trattenere dal far nevicare improvvisamente e dal
ghiacciare
qualsiasi cosa vedesse.
-E’
il nostro piccolo,
grande segreto, Elsa – le diceva la mamma con voce
rassicurante – Quando siamo
fra la gente è meglio se indossi questi- e le porgeva dei
guanti - possono
fermare il ghiaccio, almeno per il tempo che basta- continuava
sorridendo, ed Elsa
ubbidiva, anche controvoglia.
Un giorno
Anna corse a
svegliarla prestissimo –Elsa, Elsa!
–trillò e iniziò a saltellarle attorno
al
letto incitandole di svegliarsi. Elsa si stropicciò gli
occhi e fece un
grandissimo sbadiglio scostando le coperte –Cosa
c’è Anna? ...mi hai
svegliato…è…prestissimo!
- disse con voce impastata dal sonno.
-Chiuso per neve!
La scuola è chiusa, e c’è la neve! Tu
ami la neve! – disse con la
voce ancora più squillante, Elsa parve illuminarsi e si
decise a poggiare i
piedini nudi sul parquet, e anche se il letto la chiamava ancora
disperatamente
corse a vestirsi seguita da Anna. Scese le scale di fretta e furia e
sotto lo
sguardo allibito dei genitori uscì dalla casa urlando
–Neve! Chiuso per neve! -. Corse fin quando non arrivò di
fronte al viale imbiancato e si gettò
a terra per fare un angelo di neve, Anna la imitò, poco
dopo. Muovevano mani e
piedi all’unisono e ridevano, Anna si voltò verso
Elsa –Ora puoi fare la magia,
nessuno se ne accorgerà! – disse a bassa voce per
paura che qualcuno la sentisse
-lo so! E’ per questo che sono felice-.
Jack Frost
sarebbe
potuto essere un ragazzo qualunque, magari uno di quelli che a scuola
fa ridere
tutti con le proprie stupidaggini, anche se lui, in realtà,
non aveva ancora
ben capito a cosa servisse esattamente una scuola. L’unica
cosa che sapeva era
che quando appariva il cartello CHIUSO
PER NEVE i bambini uscivano
letteralmente pazzi, e lui adorava vederli sorridere. Ma, in tutta
questa
spensieratezza, c’era un problema, nessuno sapeva che
l’artefice di tanta
felicità era proprio Jack, perché nessuno credeva
in lui, nessuno riusciva a
vederlo.
Ma lui non
si
scoraggiava mai, e continuava a portare neve in ogni singolo posto
cercando
sempre di farsi notare.
Quel giorno
era
arrivato in un paese molto vicino al mare di cui non ricordava
assolutamente il
nome, anche lì la gente sembrava felice di vedere fiocchi di
neve dappertutto,
i bimbetti scorrazzavano di qua e di là lanciandosi palle di
neve e due bambine
facevano gli angeli di neve vicino alla strada principale, si sedette
sull’orlo
di una staccionata e prese ad osservarli divertito, ogni tanto creava
una palla
di neve e lanciandola faceva cominciare un’altra battaglia.
All’improvviso
sentì qualcosa muoversi al suo fianco, si girò,
una bambina lo stava osservando
attentamente, rimase interdetto. Come faceva a vederlo?
–
A cosa ti serve
questo? – chiese la piccola con la sua flebile vocina. Il suo
cuore mancò un
battito –Tu…mi vedi? -
-Certo che
ti vedo,
perché non dovrei? – chiese ancora mostrando un
sorriso a trentadue denti
–P…perché io sono…Jack
Frost…e…nessuno riesce a vedermi
perché…nessuno crede…in
me - si fermava ad ogni parola guardando nel vuoto non riuscendo a
credere che
stesse intrattenendo quella conversazione
-E che
significa che
sei Jack Frost? –
-Che…che
porto il
ghiaccio…la neve- la bambina sussultò
–Anche tu fai la magia?-
Jack scosse
la testa
–Che magia? - lei gli si avvicinò togliendosi i
guanti e roteando le mani creò
una pallina di neve sotto lo sguardo sbigottito di Jack che rimase
ammutolito
per qualche secondo rigirandosi la pallina tra le mani –Sei
uguale a me? Da…da
quanto tempo hai quest’età? -
-Mi sembra
che ho 6
anni da 6 anni…- Jack sembrava sempre più confuso
–Vuoi dire che tu cresci? -
-Così
dice mamma…-
-Perché
io allora ho
20 anni da più di un secolo?! – sbottò
quasi tra se e se, la bambina
indietreggiò e Jack capendo il suo errore le si
avvicinò rassicurante
–
Scusa non volevo
spaventarti-
-Sei arrabbiato con me? -
-No, certo
che no…come
ti chiami? – disse abbassandosi alla sua altezza
-Io mi
chiamo Elsa-
-Ciao
Elsa…- non finì
neanche di pronunciare la frase che una signora dall’altra
parte della strada
iniziò a chiamarla insistentemente, la bambina si
girò verso la donna, poi di
nuovo verso Jack –Ma noi ci vediamo dopo vero?-
–Elsa…io
devo… non
posso restare qui-
-Dove vai? -
-In un altro
posto…-
-Ma se te ne
vai io
resto sola-
-…ma
tu non sei sola, hai
la tua mamma, la tua famiglia- disse accarezzandole una guancia
-Ma tu sei
l’unico
uguale a me, per questo se te ne vai resto sola- la bambina sembrava
quasi sul
punto di piangere, Jack fece un forte sospiro
–Tu sei uguale
agli altri bambini, sei solo…un
po’ più speciale, non ti devi sentire esclusa, il
tuo è un dono.-
-Ma tu sei
più uguale
di tutti a me, non puoi andare via-
-Se io ti
prometto che
un giorno tornerò tu mi prometti che d’ora in poi
non sarai più triste? - Elsa
annuì decisa e poi lo abbracciò forte come se lo
conoscesse da sempre.