8. Il figlio di un altro
- Fai schifo,
mezzo-demone! –
Quanti
anni erano passati?
- Sparisci e
non provare mai più a
passare davanti la mia casa, sei disgustoso! -
Troppo
tempo.
- Lo sanno
tutti che neppure i
tuoi genitori ti volevano! Tua madre si è uccisa
perché non sopportava una
simile vergogna e anche tuo padre ti ha gettato via come un rifiuto!
–
Cinque
anni…
- Dovresti
andartene una volta per
tutte dal nostro villaggio. Noi non ti vogliamo qui, nessuno ti vuole
qui, è
chiaro?! –
- Dovrebbe davvero sparire dalla
faccia della terra. Farebbe un favore al mondo, se si uccidesse. -
Cinque
maledetti anni, in cui il suo mondo era crollato. Disintegrato in
minuscoli
frammenti, che si erano dissolti rapidamente, trasformandosi in una
polvere
talmente leggera che era bastata una singola folata di vento per farla
scomparire.
Di lui,
della sua vita, del suo intero mondo non era rimasto che cenere.
All’inizio
aveva pregato che qualcuno lo aiutasse, che lo salvasse
dall’oscurità che lo stava
inghiottendo. Aveva sperato, con tutto se stesso, che accadesse
qualcosa di
bello, anche solo una qualsiasi cosa bella, che lo rendesse ancora
felice di
essere vivo, anche se per pochi secondi appena. Purtroppo, aveva capito
fin
troppo presto che non sarebbe successo niente del genere: non esisteva
nessuno in
tutto l’universo in grado di fare qualcosa, di porre un
rimedio e far tornare
le cose al loro posto. Nonostante gli incredibili sforzi di
quell’unica
famiglia che gli era rimasta, nonostante l’amore e la
sicurezza che cercavano di
trasmettergli, lui continuava a rimanere solo in
quell’oscurità opprimente, che
lo intrappolava gelosamente a sé.
Se non
avesse avuto ancora un briciolo della sua sanità mentale,
sarebbe stato quasi
spronato a pensare che quell’oscurità si
comportava con lui come una seconda
madre. Lei c’era sempre, in ogni momento. Lo proteggeva,
isolandolo dalle
cattiverie e dalle crudeltà della vita, costruendogli
intorno un mondo di
illusioni, dove avrebbe potuto essere chiunque avesse voluto e
realizzare
qualsiasi suo desiderio.
L’oscurità
lo amava incondizionatamente e possessivamente, più di
chiunque altro. Certo, teneva
legata a sé la sua anima e si cibava della sua stessa
energia vitale, ma in
cambio gli dava tutto ciò che aveva: la sicurezza, la
serenità, l’illusione che
il presente fosse come lo desiderava e che tutto nel futuro sarebbe
andato
bene, finché fosse rimasto con lei.
L’oscurità
era la trappola più seducente che Keiichi avesse mai
affrontato. Era testarda,
non si arrendeva mai e colpiva nei momenti in cui era più
vulnerabile, ammaliandolo
con le sue promesse e con le sue illusioni, costruite ad arte.
Ogni
giorno che passava, Keiichi sentiva di abbandonarsi a lei sempre un
po’ di più.
Ogni frecciata, ogni parola malevola, ogni singolo insulto non era
altro che un
nuovo frammento di sé che scivolava nelle
profondità più oscure. Ed erano
cinque maledetti anni ormai che non vedeva la luce. Continuando in quel
modo,
presto o tardi sarebbe scomparso completamente, non lasciando altra
traccia di
sé che non fosse un’eco indistinta di urla di
dolore soffocate.
Razionalmente,
sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, ma era stanco, davvero troppo
stanco.
Di dover
mentire, indossando decine di maschere, per celare a tutti il vero se
stesso:
quello apatico e deluso dall’intero universo. Stanco di
fingere di stare bene,
solo per non far preoccupare tutti, per non creare problemi, per avere
la
possibilità di non fare niente e continuare a nascondersi in
ogni momento
libero. Era stanco di passare le giornate facendosi trascinare dalla
vita ed era
stanco di viverla, quella maledetta vita.
Forse
avrebbe dovuto seguire l’adorabile consiglio dei ragazzi del
villaggio, ponendo
una volta per tutte fine alla sua inutile e miserabile esistenza di
disgustoso
mezzo-demone.
Lo aveva
desiderato. Oh se lo aveva desiderato! Quante volte ormai? Infinite,
forse. Ma
alla fine non aveva fatto niente e si era anche dato del codardo per
questo. Perché
era per codardia se continuava a vivere, nonostante non avesse ragioni
per
farlo.
Era un
codardo, perché aveva paura di deluderla. Perché
ogni volta che pensava alla
morte, davanti ai suoi occhi si presentava l’immagine
sorridente della donna
che più di tutti l’aveva amato. E allora poteva
ingannarsi quanto voleva,
dicendosi che la sua vita era inutile, che gli abitanti del villaggio
avevano
ragione, che non esisteva significato dietro quell’immenso
dolore, ma nel profondo
del suo cuore, lui aveva l’assoluta certezza che sua madre
l’avesse amato
infinitamente, che l’avesse voluto con tutta se stessa, non
preoccupandosi
minimamente della sua natura di mezzo-demone.
E allora
non poteva deluderla. Non riusciva a deluderla, privando se stesso
della cosa
che per lei era la più importante di tutte: la sua vita.
Così
niente cambiava e ogni giorno trascorreva uguale al precedente. Tra gli
insulti
dei suoi coetanei, sui quali passava sopra, fingendo di non sentire;
tra i
pranzi e le cene in famiglia, ai quali partecipava con un sorriso di
circostanza
e un finto entusiasmo; tra gli allenamenti con Inuyasha, durante i
quali
sfogava, almeno in parte, la frustrazione che si portava dietro e che
lo
divorava lentamente.
E poi
c’era Daisuke. Aveva finto anche con lui,
all’inizio, mostrandosi forte e
sorridente, cercando di sembrare il Keiichi di sempre, celando il fatto
che in
realtà il vero Keiichi fosse morto quel giorno di cinque
anni prima, insieme
alla donna che gli aveva dato la vita.
Daisuke,
però, era intelligente e perspicace o forse, più
semplicemente, era la persona
che lo conosceva meglio e che gli era stata più accanto. Lui
sapeva
perfettamente che quel sorriso era una maschera – e neppure
una di quelle buone,
a giudicare dal poco tempo che ci aveva messo per accorgersene
– così gli aveva
chiesto di non mentirgli più, di non sforzarsi ad essere
qualcun altro in sua
presenza, ma di essere chi e come desiderava, a prescindere da tutto.
In quel
momento, Keiichi gli era stato grato per esser stato capace di vedere
dietro la
maschera. Esattamente come gli era stato grato tutte le volte in cui si
era seduto
con lui, in riva al fiume, a guardare l’acqua scorrere per
ore e ore, rimanendo
perfettamente immobili, senza dire una sola parola.
Non
glielo aveva mai detto, ma era sicuro che in parte fosse merito suo, se
ancora non
si era totalmente arreso all’oscurità che lo
circondava. Peccato che invece di
fargli sapere quanto gli fosse riconoscente e quanto apprezzasse il suo
aiuto,
continuasse a trattarlo come la persona peggiore
dell’universo, finendo poi per
odiarsi e sentirsi uno schifo per tutto il giorno.
Se Daisuke
si fosse stancato di stargli dietro e fargli da balia, sarebbe stato
perfettamente comprensibile e non avrebbe potuto fare niente per porre
rimedio,
perché sarebbe stata tutta unicamente colpa sua.
Ma in fondo,
quella era la sua più grande capacità, no?
Sì, senza alcun dubbio: negli ultimi
anni, era diventato davvero bravissimo ad allontanare le persone.
Ma dopotutto
che male c’era ad
allontanarlo? Sarebbe stato meglio se non l’avesse avuto
più fra i piedi. Una
persona in meno, costretta a compatirlo per il miserabile essere quale
era. No,
decisamente non ne aveva bisogno. Lui sarebbe stato bene da solo,
avrebbe fatto
quello che più desiderava e non si sarebbe più
dovuto preoccupare di cosa dire
o non dire, di come comportarsi o di ferire qualcuno.
Sarebbe stato
bene, da solo…
nell’oscurità.
- Davvero
bene… - sussurrò al vento in una smorfia
malcelata, chiudendo gli occhi e
poggiando la schiena contro il tronco di un grande albero, imponendosi
di non
pensare più a niente, almeno per qualche ora soltanto.
***
Inuyasha
girava per le vie del villaggio ormai da venti minuti, non potendo fare
a meno
di sbuffare ripetutamente e sbattere i piedi ogniqualvolta non
riuscisse a
trovare ciò che desiderava. Ormai aveva fatto il giro del
villaggio per ben due
volte: aveva controllato la foresta, il corso del fiume, era poi andato
nella
piazza principale, aveva girovagato nei dintorni e infine era tornato
al punto
di partenza, senza aver trovato neppure una misera pista da seguire.
Keiichi
era scomparso nel nulla.
Non era
strano che il nipote si allontanasse, evitando di farsi trovare,
desideroso di
starsene per qualche ora per conto suo, senza avere la costante
presenza dei
familiari che gli alitavano sul collo. In genere, però,
quando accadeva, faceva
sempre in modo di far sapere dove fosse diretto o quantomeno si rendeva
rintracciabile in qualche modo, per non farli preoccupare.
Quel giorno, invece, Keiichi sembrava essere completamente scomparso e per quanto Inuyasha continuasse a cercarlo, sforzando i suoi sensi e annusando l’aria circostante, non riusciva proprio a percepirlo da nessuna parte.
Normalmente
avrebbe fatto finta di niente, aspettando pazientemente, preoccupandosi
di
sgridarlo una volta che fosse tornato a casa, ma quel giorno era
diverso. Lui
si sentiva diverso. Da un po’ di tempo a quella parte aveva
uno strano
presentimento: come se stesse accadendo qualcosa che avrebbe dovuto
sapere, ma
della quale, per qualche ragione sconosciuta, era totalmente ignaro.
Inutile
dire che era una sensazione a dir poco orribile. Come se si trovasse
davanti un
ostacolo gigante, ma invisibile e per quanto lui continuasse a
camminare, alla
ricerca del modo per oltrepassarlo, quello continuava a rimanere
celato. Così
non faceva altro che sbattere ripetutamente la testa contro quella
parete, ma
non arrivava mai a vederla. Si sentiva debole. Ed era assurdo e
frustrante che
un ostacolo che, probabilmente, neppure esisteva lo facesse sentire in
quel
modo. Insomma, se non esisteva nessun ostacolo, perché mai
avrebbe dovuto avere
quella sensazione di impotenza che gli opprimeva il petto, rendendo
ogni giorno
che passava così pieno d’angoscia?
Qualsiasi
cosa fosse – e non aveva la minima idea di cosa fosse
– era sicuro che riguardasse
Keiichi o comunque, che in qualche modo il nipote ne fosse una parte
rilevante.
Per
questo, quel giorno si era messo a cercarlo disperatamente. Per questo,
non
riusciva a fare finta di niente.
Cosa gli
stava sfuggendo?
- Hei,
avete visto Keiichi? – fece improvvisamente irruzione nella
casa di Sango e Miroku,
spalancando la porta senza un minimo di grazia, guardandoli come se
niente
fosse.
I due
sobbalzarono sorpresi, limitandosi a rivolgergli subito dopo
un’occhiata di
rimprovero. Ancora una volta non poterono fare a meno di chiedersi
perché
Inuyasha dovesse sempre irrompere in casa loro con la grazia di un
elefante. Furono
quasi tentati di ripetergli per l’ennesima volta il
discorsetto sulla
delicatezza e sui comportamenti più consoni da tenere con le
altre persone, ma
lo sguardo preoccupato dell’amico li fece desistere.
- No, non
mi pare. – rispose pensierosa Sango, - Era con noi ieri sera,
ma poi è tornato
a casa. – concluse cercando conferma nel marito, che subito
annuì.
- Dove
diavolo è finito… - sussurrò poi
distrattamente Inuyasha, sforzando al massimo ancora
una volta i suoi sensi, in un ultimo inutile tentativo.
-
È forse
successo qualcosa? – chiese ad un tratto Miroku, iniziando,
forse per empatia,
ad avvertire il medesimo brutto presentimento.
Era raro
che Inuyasha si preoccupasse per qualcosa. In genere aveva
l’abitudine di
sminuire e prendere troppo sotto gamba ogni problema che si presentasse
ai loro
occhi. Se era arrivato a preoccuparsi in quel modo, probabilmente la
questione
era più grave di quanto si potesse ipotizzare.
- Non ne
sono sicuro… potrebbe semplicemente aver scelto di non farsi
trovare. Ha
imparato piuttosto bene ad occultare la sua presenza in
allenamento… -
- Non
sembri molto convinto però. – lo istigò
ancora una volta il monaco.
-
È solo
che… - iniziò a dire, ma fu interrotto
dall’improvviso cigolio della porta d’ingresso.
- Sono a
casa. – sentirono ad un tratto una voce provenire dal fondo
del corridoio e
contemporaneamente tutti si voltarono in quella direzione, pronti ad
accogliere
il nuovo arrivato.
- Ciao
Daisuke, bentornato. – lo accolse Sango con un sorriso un
po’ troppo forzato.
- Che
facce che avete! È successo qualcosa? – chiese
immediatamente il ragazzo,
notando gli sguardi pensierosi dei genitori e la strana atmosfera che
si
respirava in casa.
- No, non
è successo nulla. Piuttosto dove sei stato finora?
– mentì rapidamente la madre,
cercando di saperne qualcosa di più, senza allarmarlo
inutilmente.
- La
vecchia Umeko mi ha tenuto di nuovo bloccato tutto il pomeriggio.
È la terza
volta questo mese! Era convinta che ci fosse uno spirito maligno
all’interno
delle sue riserve di riso, così sono andato a dare
un’occhiata per sicurezza e
alla fine, con il pretesto di controllare se ci fossero altre presenze,
mi ha
costretto a pulire ogni centimetro della sua casa. La prossima volta
lascerò
che lo spirito se la mangi. Non sarebbe poi una gran perdita, no?
– concluse
cercando di alleggerire la tensione, ma in cambio ricevette solo
sospiri e
occhiate preoccupate.
- Hei
stavo scherzando! Non c’è bisogno di essere
così seri! –
- No, non
è questo… - rispose Sango, per poi cambiare
discorso e strategia, andando
dritta al punto della questione, - Sei stato impegnato tutto il giorno?
Non sei
stato con Keiichi oggi? –
Daisuke
sussultò, dando loro le spalle e prendendo qualcosa da
mangiare, cercando di
sembrare naturale.
- No, oggi
non l’ho visto. – rispose addentando una mela,
sforzandosi per mantenere un
tono di voce normale, ma nessuno dei presenti si fece ingannare.
-
È
strano, eppure vi vedete sempre. –
-
Sì,
beh, oggi avevo da fare, tutto qua. –
- E non
sai dove possa essere? – chiese ad un tratto Miroku.
Daisuke
si voltò di scatto, sgranando gli occhi, iniziando a
preoccuparsi per
quell’interrogatorio improvviso.
-
Perché
mi state chiedendo di Keiichi? Gli è successo qualcosa?
–
- No, non
è successo nulla, ma… -
- Ora
basta, fatela finita! – li zittì Inuyasha,
frapponendosi fra loro e Daisuke,
guardando quest’ultimo con aria minacciosa, - Keiichi
è sparito e non riesco a
percepire la sua presenza da nessuna parte. Ora, parla. –
- Inuyasha
sei il solito esagerato. Hai detto anche tu che il fatto che non riesci
a
percepirlo potrebbe non significare niente, no? Siamo solo in pensiero
per lui.
– aggiunse poi Sango, ricambiando il demone con la medesima
occhiataccia. – Per
questo ti stiamo chiedendo se sai dove sia andato o se, magari, gli
è successo
qualcosa che lo ha spinto ad allontanarsi. –
- Non so
niente. – rispose infine Keiichi, abbassando il capo e
scuotendo la testa, - A
dire la verità, oggi… abbiamo litigato.
–
I tre si
scambiarono occhiate confuse e preoccupate, tornando poi ad
interrogarlo.
- Non
è
stato un vero e proprio litigio, più
un’incomprensione… I ragazzi del
villaggio… - tentò di continuare, ma
improvvisamente si fermò, mordendosi il labbro
per impedirsi di parlare troppo.
Aveva
passato gli ultimi cinque anni a mantenere quel segreto e ogni volta
aveva
finito con l’odiarsi sempre di più,
perché Keiichi non era più la stessa
persona che era all’epoca di quella promessa. Si era chiuso
in se stesso,
allontanando tutti e anche se diceva di poter affrontare tutto da solo,
Daisuke,
da un po’ di tempo a quella parte, aveva iniziato seriamente
a dubitare di tale
capacità.
Sango si
limitò a guardare dubbiosa il figlio, aspettandosi che
Inuyasha dicesse
qualcosa, ma il demone per qualche ragione sembrava essersi paralizzato
sul
posto.
-
Dais’ke,
se c’è qualcosa che non va, puoi dircelo, lo sai
vero? Qualsiasi cosa sia, ne
possiamo parlare insieme e trovare una soluzione. Non ha senso tenersi
tutto
dentro, non ti pare? – tentò di convincerlo Sango,
mentre Inuyasha con gli
occhi sgranati continuava a fissare un punto davanti a sé.
Quello
strano presentimento si era fatto di colpo più intenso.
L’ostacolo invisibile
si stava richiudendo su se stesso, accartocciandosi sempre di
più e
intrappolandolo. Non poteva più ignorarlo in alcun modo. Era
invisibile, ma
esisteva, esisteva eccome! E lo stava schiacciando.
Dannazione,
imprecò mordendosi l’interno
della guancia fino a sanguinare. Era qualcosa di davvero importante e
di
un’ovvietà disarmante, ma allora
perché, perché non riusciva a capire?!
- Ho promesso
a Keiichi che avrei mantenuto il segreto… -
sussurrò ad un tratto Daisuke,
fortemente indeciso su come comportarsi.
- Anche
se glielo hai promesso, se Keiichi sta male per qualcosa, forse il modo
migliore per aiutarlo non è mantenere il segreto.
– lo esortò ancora Sango e
quando lo vide abbassare lo sguardo e sospirare, capì di
essere riuscita a
convincerlo.
- Avrei
voluto parlarvene prima… so che sembra una scusa, ma non lo
è: avrei davvero
voluto parlarvene prima, ma lui non voleva farlo sapere. –
iniziò a dire
caoticamente, mangiandosi qualche parola e sentendo
l’agitazione crescere ogni
secondo di più. Era stato davvero uno stupido a non dire
nulla, non avrebbe mai
dovuto mantenere quel segreto. - Non gli importava di ciò
che dicevano gli
altri, non gli importava niente, perché stava bene, me lo
aveva giurato! Essere
un mezzo-demone non era un problema… -
Inuyasha
sussultò, sgranando gli occhi.
Mezzo-demone… la parola
gli risuonò a lungo
nella testa, risvegliando una moltitudine di spiacevoli ricordi ad essa
legati.
- Poi
però, la zia Rin è morta e Sesshomaru se ne
è andato e tutto è diventato
così…
complicato. – continuò a dire mestamente, mentre
le espressioni dei tre
divenivano sempre più consapevoli e addolorati.
- Scusa
Daisuke, ma da quanto tempo sai questa storia? – lo
interruppe Miroku,
rivolgendo un’occhiata preoccupata all’aura omicida
che Inuyasha, forse
inconsciamente, aveva iniziato ad emanare.
-
L’ho
scoperto per caso sei anni fa, ma credo che andasse avanti
già da prima: per
Keiichi non sembrava una novità. Era come se
fosse… infastidito dal fatto che
avessi scoperto tutto. Mi ha fatto promettere di non farne mai parola
con
nessuno… -
- Prima
hai nominato i ragazzi del villaggio… -
- Lo
trattano male, continuamente! – esclamò, iniziando
a tremare di rabbia al solo
pensiero, - Lo prendono in giro, lo accusano per il fatto di essere un
mezzo-demone e gli dicono cose terribili… dicono che
è colpa sua se sua madre è
morta… che si è uccisa per la vergogna di avere
un mezzo-demone come figlio e
che suo padre... lo ha abbandonato.-
Tutti
rimasero ammutoliti e sconvolti da quella verità che troppo
a lungo avevano
ignorato.
- Keiichi
non risponde mai. Mai, neppure una volta. Non si difende, non gli dice
niente
contro. Resta in silenzio ad ascoltare a testa bassa, aspetta che se ne
vadano,
che lo lascino in pace e se provo io a difenderlo, se la prende con me
e
scompare per tutto il giorno. Non capisco perché lo faccia e
non so come
risolvere la situazione. Ci ho provato un’infinità
di volte, a farli smettere,
ad aiutarlo, ma quelli… quelli non la smettono mai! -
Poi
sentì
solo la mano amorevole di Sango che gli accarezzava i capelli e quando
Daisuke
incrociò il suo sguardo, seppe con certezza che in un modo o
nell’altro tutto
sarebbe finito bene.
- Mi
dispiace… - sussurrò, prima che un rumore
attirasse completamente la loro
attenzione.
-
Inuyasha aspetta! Che vuoi fare?! – lo fermò
Miroku, prima che uscisse,
consumato da una rabbia che non gli vedeva negli occhi dai tempi di
Naraku.
-
Tranquillo, non vado di certo ad uccidere quei mocciosi, se
è questo che ti
preoccupa. – gli rispose, ma con quel suo tono, non
c’era da stare affatto
tranquilli.
Miroku
sospirò lasciandolo andare, sperando che fosse la decisione
giusta e che non si
ritrovasse poi con dei cadaveri tra le mani da dover spiegare. In
fondo, il
vecchio Inuyasha non ci avrebbe pensato neppure un secondo prima di
dare una
bella lezione a quei ragazzi; anche se era un po’ strano da
ammettere, forse
almeno un po’, quel demone testardo e scorbutico era
cresciuto.
***
Inuyasha
uscì dalla casa, diretto verso i confini del villaggio.
Viste le ultime informazioni,
era piuttosto sicuro che non avrebbe mai trovato il nipote in un luogo
pieno di
gente, ma in ogni caso sperava che, conoscendo la verità,
fosse più semplice
riuscire a rintracciarlo. Purtroppo per lui, continuò a
girare a vuoto per
diverse decine di minuti.
Almeno
poteva essere soddisfatto di come gli aveva insegnato a mascherare la
sua
presenza, dal momento che sul resto aveva fallito miseramente,
pensò
ironicamente sentendo una stretta al cuore.
Era
consapevole del fatto che il nipote fosse un mezzo-demone e ricordava
perfettamente quell’orribile sensazione, come se la provasse
ancora, nonostante
tutto il tempo passato e i cambiamenti avvenuti. Anche tenendo conto
ciò, non
una sola volta, il pensiero che Keiichi stesse passando ciò
che secoli prima
aveva affrontato lui, l’aveva sfiorato.
Forse
perché credeva che i tempi fossero cambiati, rispetto a
quando lui era bambino
o forse perché non aveva avuto la minima avvisaglia di
ciò che stava avvenendo…
No, a pensarci bene, era stato davvero uno stupido: di avvertimenti ce
ne erano
stati eccome!, ma lui non ne aveva visto neppure uno, giustificandoli
con altri
pretesti, passandoci sopra senza riflettere accuratamente.
Aveva
dimenticato una verità fondamentale, che sin da bambino
aveva continuato a
ripetersi: per quanto tempo potesse passare, gli umani non sarebbero
mai
cambiati. Avrebbero continuato ad essere ciechi, egoisti e crudeli,
esattamente
come lo erano il primo giorno in cui la loro specie era nata, come se
esistessero dei ruoli prestabiliti che li definivano e che loro non
potevano
assolutamente abbandonare. Non era forse questo a mantenerli ancora in
vita, in
fondo?
Senza
queste caratteristiche si sarebbero probabilmente estinti da tempo.
Ad un
tratto, improvvisamente, l’odore di Keiichi gli
arrivò con estrema chiarezza,
prima di scomparire nuovamente. Era stato solo un secondo o poco
più, ma era
riuscito comunque ad individuarlo. Pensò che probabilmente
il ragazzo doveva
essersi distratto di colpo, a giudicare dalla pronta reazione nel
mascherare
nuovamente la propria presenza.
Seguì
la
traccia per qualche metro, quando con enorme disappunto
realizzò dove fosse
diretto. Quello era forse l’ultimo posto dove si aspettava di
trovarlo,
sicuramente l’ultimo dove pensava di tornare.
Entrò
in
quella piccola radura che tanti anni prima era stato uno dei suoi
luoghi
preferiti, ma dove, dopo la scomparsa di Kagome, non vi aveva
più messo piede.
Aveva
protetto quella zona, impedendo che la gente del villaggio vi
costruisse delle
abitazioni, ma poi anche lui aveva smesso di andarci. Ogni cosa
ricordava lei
in modo estremamente vivido e in quel luogo, il confronto con la
realtà
iniziava a fare troppo male.
Camminò
lentamente, guardandosi intorno con tristezza e nostalgia.
Era
rimasto tutto uguale, come se il tempo lì si fosse fermato.
C’era ancora la
fossa dove Kagome lo aveva mandato a cuccia tutte quelle volte e dove
lui si
era distrutto la schiena, a causa di quell’enorme masso che
voleva usare per
impedirle di andar via.
Stranamente,
in quel punto, l’erba non era mai ricresciuta.
Guardò
poi il pozzo, che per un crudele miracolo gli aveva portato
l’amore. Ai suoi
piedi, l’aveva abbracciata per la prima volta e da quel
momento aveva cercato
spesso e con insistenza di ricreare un contatto simile. La sensazione
di averla
tra le braccia si era impressa a fuoco nella sua anima, come se in quel
semplice gesto si trovasse la ragione di tutta la sua vita.
Il pensiero
che a quel tempo l’avesse abbracciata solo per rubarle la
sfera e farla andar
via gli procurò una nuova stretta al cuore, anche se, si
ripeté, l’aveva fatto
solo per proteggerla.
Era vero:
il tutto era avvenuto a seguito di uno scontro con Sesshomaru. Quella
volta si
era davvero preoccupato per le sorti di quella strana ragazza, venuta
dal futuro.
In quel
periodo Sesshomaru era davvero spietato e senza riguardi per nessuno.
Sembrava
folle e incredibile il pensiero che proprio lui si fosse innamorato di
un’umana
e che avesse avuto da lei un mezzosangue. Proprio lui che a quel tempo
aveva in
mente solo Tessaiga e l’affronto che suo padre gli aveva
arrecato, lasciando la
sua eredità più importante ad un misero
mezzo-demone che ne rappresentava il
più grande disonore.
Il Sesshomaru
di allora non avrebbe avuto pietà per nessuno: per questo,
mandar via Kagome gli
era sembrata la scelta migliore. Nonostante ciò, anche se
aveva voluto solo
proteggerla, nel momento in cui lei era tornata, si era sentito davvero
felice,
come non gli capitava da troppo tempo.
Ogni
volta che ripensava a quei momenti, sentiva solo la nostalgia e un
vuoto enorme
che lo lasciava senza forze. Gli mancavano più di quanto
fosse in grado di
esprimere.
Per
questo motivo aveva smesso di andare in quella radura, per non dover
più essere
costretto a rivivere quei dolorosi ricordi, ma in quel momento la
necessità lo
aveva portato fin là e lui non poteva permettersi di restare
con la mente nel
passato.
Improvvisamente,
vide Keiichi uscire dal folto degli alberi, prima ancora che lo
chiamasse.
Evidentemente si era reso conto che, una volta scoperto, non aveva
più senso
restarsene nascosti. Lo vide camminargli incontro e per la prima volta
Inuyasha
si rese davvero conto di quanto fosse triste il suo sguardo. La
maschera che si
ostinava a portare non impediva più di scorgere la
verità. E anche Keiichi, in
qualche modo, sembrò capirlo, tanto che si fermò
di colpo, in attesa della
noiosa ramanzina che si sarebbe sorbito di lì a poco.
- Daisuke
ci ha detto di te e dei ragazzi del villaggio. -
Ed eccola
arrivare. Il mezzo-demone sbuffò, assottigliando lo sguardo,
infastidito da
quella situazione. Si sedette poi sul bordo del pozzo e strinse le
braccia al
petto.
- Non
avrebbe dovuto. -
- Certo,
perché avresti dovuto parlarcene tu. –
Vedendo
che il ragazzo non accennava a volersi spiegare, Inuyasha prese posto
accanto a
lui, guardando il cielo sereno con aria pensierosa. Se lo avesse
incalzato a
parlare, attaccandolo bruscamente, sicuramente Keiichi si sarebbe
rinchiuso
ancora di più e lui non ne avrebbe ricavato niente.
Sospirò profondamente, imponendosi
di stare calmo. Sicuramente, era l’unico modo per riuscire a
parlare con il
ragazzo.
-
Perché
non ti difendi? – domandò ad un tratto,
ricordandosi di quel comportamento
particolare che da subito lo aveva confuso.
-
Perché
hanno ragione. – ammise infine Keiichi con un sospiro,
guardando anche lui il
cielo.
- Hanno
ragione su cosa? –
- Su
tutto! Ho sentito le storie che raccontano su mio padre, su quante
persone
abbia ucciso e su quanto disprezzi umani e mezzi-demoni. Forse si
sarà anche
innamorato di mia madre, ma evidentemente, il pensiero di avere un
inutile
mezzo-demone come figlio per lui è insopportabile, tanto che
non si è fatto il
minimo scrupolo ad abbandonarmi. –
- Ma si
può sapere da chi hai sentito tutte queste cavolate?!
– domandò Inuyasha
arrabbiato, non potendo credere a ciò che stava ascoltando.
Avrebbe
tanto voluto avere sottomano quegli idioti che andavano in giro a
parlare degli
altri come se fosse affar loro. Il fatto di essere crudeli ed egoisti a
loro
non bastava! No, dovevano essere anche impiccioni e pettegoli oltre
ogni
limite.
- Dagli
anziani del villaggio, li ho sentiti che parlavano tra di loro. -
-
Tzè!
Non dovresti ascoltare i discorsi di quegli stupidi! Tuo padre non ti
ha
abbandonato e posso assicurarti che il fatto che tu sia un mezzo-demone
non
c’entra minimamente con il motivo per cui ora lui non
è qui con te. –
- Che ne
sai tu? Non mi pare che in tutto questo tempo si sia fatto vedere, o
sbaglio?!
Non è venuto neppure una volta per sapere se stessi bene.
Potrei essere morto e
lui non lo saprebbe! Come puoi dire che gli importa qualcosa di me?! -
-
Perché…
perché lo so e basta! – esclamò,
tornando poi a parlargli con più calma, - Tu
non hai idea di come fosse tuo padre in passato, ma lui è
cambiato tantissimo
grazie alla vicinanza di tua madre e ora… ascolta Keiichi,
sono bene come ti
senti, però… -
- No, non
lo sai! – lo interruppe il mezzo-demone, alzandosi di scatto
e guardandolo con
occhi pieni di rabbia e rancore, - Tu non sai un bel niente su come ci
si
sente! Sei un demone proprio come mio padre! Vi importa solo di voi
stessi! Tu
non hai la minima idea di cosa significhi essere come me, un qualcosa
di
sbagliato, che non sarebbe mai dovuto venire al mondo! Non sai cosa si
prova ad
essere guardato con disprezzo o paura, ad essere odiato e allontanato
da tutti.
Non sai che vuol… –
-
Sì che
lo so invece, razza di stupido! – urlò, colpendolo
con forza sulla testa e al
diavolo la calma.
- Hei! Mi
hai fatto male! –
- Ti sta
bene! E ora vuoi farmi finire di parlare, ragazzino!? –
Keiichi
annuì imbronciandosi appena e massaggiandosi la testa
dolorante, preparandosi
ad ascoltare la predica, con un’attenzione decisamente scarsa.
-
Perché
credi che tuo padre ce l’avesse tanto con i mezzi-demoni,
eh?! -
-
Perché
sono esseri inferiori. –
-
Sbagliato, moccioso, non è per questo. - sospirò
Inuyasha prima di continuare,
- È a causa mia. –
Keiichi
lo guardò sbalordito, chiedendosi se lo stesse prendendo in
giro o se fosse
impazzito del tutto. Cosa poteva mai avere a che fare suo zio con il
comportamento di suo padre?
-
Perché
io sono un mezzo-demone… lo ero. – lo
anticipò Inuyasha, immaginando
chiaramente la domanda.
Keiichi
lo fissò con gli occhi spalancati per qualche istante,
sforzandosi di mettere
insieme quelle informazioni appena apprese. Suo padre odiava i
mezzi-demoni, a
causa di suo fratello che era un mezzo-demone. Sembrava tornare
tutto… o quasi.
- Che
cosa?! – urlò improvvisamente guardando con
estrema incredulità quegli stessi
occhi ambrati così simili ai suoi. Inuyasha
un mezzo-demone?!, si limitò a pensare, sconvolto
da quell’affermazione.
-
Tzè!
Finalmente ho la tua attenzione. –
-
È uno
scherzo vero? Come è possibile? –
- Ti
sembra che stia scherzando, moccioso?! –
- Ma sei
un demone completo, come è possibile? –
- Hai mai
sentito parlare della sfera dei quattro spiriti? –
-
Sì, mi
sembra che uno degli anziani del villaggio ne abbia parlato una volta.
–
- Era un
oggetto potente, in grado di accrescere il potere di chi la utilizzava.
Inoltre,
poteva esaudire i desideri e… -
- Aspetta!
– lo fermò, anticipando da solo la fine del
discorso, - Le hai chiesto di
trasformarti in un demone completo? –
-
Sì, ma…
-
-
Perché
l’hai fatto? – chiese ancora con insistenza,
faticando a trattenere l’enorme
curiosità che lo divorava.
- Moccioso,
la smetti di interrompermi!? Non ho la minima intenzione di rivelarti
il… -
-
Perché
non vuoi dirmelo? –
-
Perché
no, non mi va di dirtelo! – lo picchiò di nuovo al
culmine dell’esasperazione.
Aveva
sempre odiato la miriade di domande a raffica che Keiichi era in grado
di fare,
sin da quando era piccolo. Non aspettava neppure le risposte, faceva
domande e
basta. E starlo a sentire era decisamente estenuante.
- Ora
piantala con tutti questi perché e taci. L’unica
cosa che ti dirò è che l’ho
fatto per un motivo più che valido e su questa storia non
aggiungerò altro. E
poi, fammi capire, non ti interessava sapere di tuo padre? –
-
D’accordo…
- sbuffò Keiichi, tornando a sedersi, leggermente deluso, -
quindi eri un
mezzo-demone, eh? –
-
Sì,
sono nato come mezzo-demone, mia madre era umana. Io e tuo padre in
realtà siamo…
fratellastri. Lui ha sempre incolpato nostro padre per essersi
innamorato di
un’umana. Lo ha visto come una debolezza, credo. E quando poi
lui è morto in
combattimento per proteggerla, per proteggere anche me… il
suo odio è cresciuto
a dismisura. Ha cercato di uccidermi non so neppure quante
volte… - sussurrò
preso dai ricordi e si rese conto di ciò che stava dicendo
solo quando vide
Keiichi sussultare.
-
Lui…
lui ha davvero cercato di ucciderti? –
-
Sì,
beh, non è poi così drammatico. Anche io ho
cercato di ucciderlo spesso.
Suppongo che si possa dire che semplicemente non ci sopportavamo.
–
-
Accidenti…
ho sempre pensato che aveste un pessimo rapporto, ma non avrei mai
pensato che
fosse così brutto. –
-
Già,
decisamente non era il massimo, però…
è successo anni fa. Con l’arrivo di tua
madre le cose hanno iniziato pian piano a cambiare e puoi credermi se
ti dico
che tuo padre era davvero felice e orgoglioso di avere un figlio, a
prescindere
dal fatto che fosse un mezzo-demone. Non gli importava affatto! Ne sono
più che
sicuro, anche perché in caso contrario, sicuramente non gli
avrei permesso di
rimanere accanto a te e a tua madre, ma l’avrei ucciso il
giorno stesso in cui
Rin è tornata al villaggio incinta di te. –
Keiichi
abbassò lo sguardo sentendo solo una grande confusione nella
testa. Voleva
credere alle parole di Inuyasha, lo voleva con tutto il cuore, ma la
verità era
che negli ultimi anni suo padre non aveva fatto niente per dimostrare
che le
cose stessero davvero così.
- Quel
giorno, quando li ho visti tornare al villaggio e lei era incinta, -
continuò a
raccontare Inuyasha, - ho davvero creduto che lui la stesse
abbandonando. Prima
di quel momento, io non mi ero reso conto di quanto Sesshomaru fosse
realmente
cambiato. Lo vedevo ancora come il fratello che desiderava la mia
morte, quello
che odiava umani e mezzi-demoni. Prima di quel momento, non ho mai
capito cosa
lo legasse veramente a tua madre. Credevo che per lui fosse un gioco,
che si
stesse divertendo, ma non era così. La amava davvero.
–
-
D’accordo,
ma… te l’ho già detto: forse amava lei,
ma io… -
- Ah!
Piantala di pensare alle parole di quegli idioti e pensa piuttosto agli
anni
che hai passato con lui, a quando vi allenavate insieme, a quando ti
facevi
male, a quando tornava a casa ogni sera per stare con te e tua madre,
anche
quando diversi impegni richiedevano la sua presenza altrove. Keiichi,
credi
davvero che lui non ti voglia bene? – concluse guardandolo
dritto negli occhi,
aspettando di vedervi impressa quella consapevolezza che, lo sapeva,
sarebbe
presto arrivata.
“E
per quanto riguarda tuo padre…
lo sai anche tu com’è fatto, lui si
chiuderà completamente, ma non pensare mai
che non ti voglia bene. Ricordati solo che lui ti adora. Ti ha sempre
adorato e
anche se non sa dimostrarlo, ti vorrà bene per
sempre.”
Quelle
erano state le ultime parole che sua madre gli aveva rivolto. Possibile
che lei
stessa, in punto di morte, avesse ipotizzato una simile svolta per il
loro
futuro. Possibile che, per tutto quel tempo, avesse frainteso le
motivazione di
suo padre?
- Quel
giorno, pensando che vi stesse abbandonando, io l’ho
attaccato e vuoi sapere
cosa mi ha risposto? –
- Cosa?
–
chiese Keiichi confuso e curioso.
Improvvisamente
voleva sapere di più. Voleva sapere tutto su suo padre.
Conoscere i suoi
pensieri e che cosa lo muoveva. Per la prima volta dalla morte di Rin,
voleva
conoscere la verità.
-
È di
mio figlio che stai parlando. Lui non sarà mai un essere
inferiore. –
Keiichi
sussultò, sentendo il suo cuore accelerare i battiti, mentre
una sensazione di
calore si faceva strada dentro di lui, riscaldandolo completamente.
-
Lui…
lui ha davvero detto questo? –
-
Sì. E
puoi credermi se ti dico che neppure per un secondo Sesshomaru si
è pentito di
te. –
Era stato
stupido. Avrebbe dovuto avere più fiducia nelle parole di
sua madre e avrebbe
dovuto avere più fiducia anche in suo padre. Inuyasha aveva
ragione, non
avrebbe mai dovuto dare ascolto alle dicerie degli abitanti del
villaggio,
perché loro non sapevano la verità, loro non
avevano vissuto con la sua
famiglia.
- Io
credevo… credevo davvero che lui mi… odiasse.
– iniziò a dire, sentendosi però
incredibilmente più leggero, - Sentivo continuamente quelli
del villaggio parlarne
male, di lui, di mia madre, di me. All’inizio non ci facevo
caso, cercavo di
ignorarli, ma poi… non lo so, sono cinque anni che non si fa
vivo e allora ho
iniziato a pensare che forse in quelle voci potesse esserci un fondo di
verità.
-
- Ma
perché non ne hai parlato con qualcuno? Con me, per esempio?
–
Ancora
una volta, Inuyasha aveva ragione. Avrebbe dovuto farlo subito, invece
di
distruggersi in quel modo, però…
- Volevo
cavarmela da solo, non volevo preoccuparvi. - sussurrò, per
poi scuotere energicamente
la testa, - No, non è solo questo: forse avevo solo paura
che fosse tutto vero.
Finché fosse rimasto tutto nella mia testa, avrei potuto
credere quel che mi
pareva senza averne la certezza, ma se parlandone, avessi scoperto che
era
tutto vero, se mi aveste detto che mio padre non mi voleva…
preferivo non
averne la conferma, tutto qua. –
- Sei
davvero un caso perso, non c’è che dire.
– ghignò Inuyasha, scompigliandogli
appena i capelli in un gesto che Keiichi aveva sempre odiato sin da
bambino.
- Hei!
–
-
Keiichi, essere un mezzo-demone è orribile. –
tornò immediatamente serio,
mentre il ragazzo sbuffava riabbassandosi i ciuffi scompigliati.
- Sai che
scoperta! –
- Lo era
trecento anni fa e lo è anche oggi. Sembra assurdo, ma da
allora non è cambiato
assolutamente nulla. La gente ti odierà e avrà
paura di te a prescindere da chi
sei e da cosa fai. Cercheranno continuamente di escluderti e sminuirti,
ti
porteranno a mettere in dubbio ogni cosa, alimentando dentro di te un
vuoto
immenso, finché non ti trasformerai in un concentrato
d’odio che desidera
unicamente portare la morte. –
- Che
prospettiva divertente… -
- Comunque,
sono sicuro che te ne sei già accorto da solo, del modo per
resistere a tutto
questo. –
Keiichi
lo guardò pensieroso, per poi annuire debolmente. Era solo
una sensazione, ma
sentiva di conoscere il significato di quelle parole.
- Devi
avere delle certezze, qualcosa che non vacilli mai, nonostante
ciò che ti
possano dire o fare. Qualcosa in grado di riempire quel vuoto e farti
pensare
che le cose andranno meglio, anche nei momenti peggiori. –
-
Sì, me
ne ero accorto… beh, più o meno. Anche quando
ascoltavo gli insulti dei ragazzi
del villaggio, mi ritrovavo a pensare al fatto che mia madre mi avesse
amato
immensamente e che per questo motivo non avrei dovuto arrendermi.
Questa è una
certezza? – domandò poi con aria quasi smarrita e
Inuyasha annuì incoraggiante.
- Allora
non sei poi così idiota. – lo derise, pensando
ancora una volta a quanto quel
moccioso gli somigliasse e a quante volte, da piccolo, era stato
salvato dalla
medesima e incrollabile convinzione.
- Ma
piantala! –
-
Tzè.
Piuttosto, - continuò poi, cambiando radicalmente
espressione e scrocchiandosi le
dita con aria minacciosa, - Vedi di farti entrare in quella testa vuota
che hai
anche altre certezze nella tua vita. A differenza mia, hai la fortuna
di essere
circondato da persone che ti amano e farebbero di tutto per aiutarti.
–
Keiichi
sussultò sorpreso e Inuyasha capì che non era
necessario aggiungere altro: suo
nipote aveva capito perfettamente e sicuramente non l’avrebbe
più dimenticato.
I
successivi minuti li passarono in completo silenzio, impegnati a
guardare
semplicemente il cielo e le nuvole che si alternavano sopra le loro
teste.
Tutto sembrava essere stranamente in pace, eppure Inuyasha non poteva
fare a
meno di avere un pensiero a tormentarlo.
A dire la
verità, non era una novità che quel pensiero lo
tormentasse. Ci pensava già da
diverso tempo, ma ogni volta aveva finito con l’accantonarlo.
Stava solamente
rimandando l’inevitabile, lo sapeva bene. E ormai era
arrivato il momento di
farci i conti: non poteva più far finta di niente.
Abbassò
lo sguardo tristemente, alzandosi dal pozzo e incamminandosi verso
casa. Era la
cosa giusta da fare, continuava a ripeterselo come una cantilena,
nonostante
quel peso sul petto lo opprimesse.
-
Keiichi…
- sussurrò, continuando a dargli le spalle. Era la cosa
giusta ed era
inevitabile.
- Cosa
c’è? –
- Stasera
prepara le tue cose e saluta tutti. Domani mattina all’alba
partiamo. - disse
dopo un tempo infinito.
Pronunciare
quelle poche parole gli era costato uno sforzo immenso, ma non avrebbe
permesso
che Keiichi crescesse come era cresciuto lui, non quando esisteva un
modo per evitarlo.
- Che
cosa?! Perché? Che ti stai inventando? Vuoi andartene anche
tu adesso? – lo
tartassò Keiichi, non prestando attenzione più di
tante alle sue parole, ma
sentendo il panico impossessarsi di lui all’idea di restare
solo.
- Razza
di idiota, non ho intenzione di sparire da nessuna parte, ficcatelo in
testa! Io
ci sarò sempre per te. – si voltò a
fronteggiarlo furioso.
- E
allora… -
-
Tzè, mi
pare ovvio… ti riporto da tuo padre. –
sussurrò poi andandosene e lasciandolo
solo, confuso su ciò che avrebbe dovuto provare in quel
momento.
Sesshomaru
avrebbe capito o lo avrebbe costretto ad aprire gli occhi, in qualche
modo,
perché quella era l’unica cosa giusta.
Inuyasha
tornò sui suoi passi, per poi salire su uno degli alberi
vicini alla sua casa,
su uno dei rami più alti, da dove avrebbe potuto tenere
d’occhio la sua
famiglia e allo stesso tempo rimanere da solo con i suoi pensieri.
Appoggiò
la schiena contro il tronco e guardò nuovamente il cielo.
Era
davvero dolorosa quella decisione, più di quanto avesse
pensato. Quando
Sesshomaru se ne era andato affidandogli suo figlio, Inuyasha era ben
consapevole che prima o poi sarebbe tornato a prenderlo. Sapeva che era
solo
questione di tempo prima che i due si riunissero e che il suo ruolo
nella vita
del ragazzo terminasse. Lo sapeva benissimo, per questo si era
impegnato ogni
singolo giorno per prepararsi a quel momento e invece,
l’unico risultato che
aveva raggiunto era stato quello di affezionarsi a Keiichi sempre di
più. Fino
a che, un giorno, si era reso conto, quasi con stupore, di considerarlo
come un
figlio.
Era stata
una bella sensazione sentirsi padre. E forse era stato proprio per
questo
motivo che non si era più preoccupato del momento in cui
avrebbe dovuto dirgli
addio. Aveva deciso che si sarebbe goduto quel tempo con lui a
prescindere dal
futuro, ma la consapevolezza che per niente al mondo sarebbe mai
riuscito a
prendere il posto di Sesshomaru, era rimasta sempre presente in un
angolino
della sua testa. Era consapevole del fatto che avrebbe potuto smuovere
mari e
monti, ma quello di cui Keiichi aveva realmente bisogno era la presenza
di suo
padre e Inuyasha non era minimamente compreso in quella
necessità.
Sarebbe
arrivato il giorno in cui avrebbe avuto un figlio, un figlio suo e di
Kagome,
frutto del loro amore, che avrebbe tenuto con sé il
più possibile e che non
avrebbe allontanato per niente al mondo, ma non era ancora arrivato
quel
momento. Ed ora, doveva fare ciò che era meglio per Keiichi,
anche se era una
scelta dolorosa.
Per tutta
la notte rimase su quell’albero, a riflettere e dormire. Non
scese neppure
quando sentì Miroku chiamarlo per chiedergli di andare a
cena da loro. Ascoltò
distrattamente le parole del nipote mentre spiegava la sua decisione di
riportarlo dal padre e quando l’immagine dei volti dei suoi
amici, pieni di
tristezza e preoccupazione, gli invase la mente, sbuffò
seccato, sforzandosi di
non ascoltare più.
Sarebbe
stato bene. Infondo aveva passato gran parte della sua vita da solo. Il
fatto
che Keiichi se ne andasse non cambiava proprio nulla. Non aveva bisogno
che
qualcuno gli dimostrasse compassione. Sarebbe senz’altro
stato bene.
Quando i
primi raggi del sole filtrarono attraverso i rami
dell’albero, colpendolo
dritto sul volto, si rese conto di essersi addormentato. Il sole non
era molto
alto, segno che l’alba doveva essere passato da poco. Senza
aspettare oltre si
lasciò cadere, atterrando ai piedi del tronco con estrema
grazia, nonostante il
volo di svariati metri.
Seguì
l’odore di Keiichi fino alla capanna, stupendosi di vedere
già tutti in piedi,
ad aspettarlo.
- Sono
pronto. – lo sentì dire, non appena si accorse
della sua presenza.
Annuì
semplicemente, rivolgendo poi un’occhiata a Sango e Miroku.
Sui volti di
entrambi si leggeva una grande incertezza, ma nessuno dei due diede
voce a quei
dubbi. Sapevano che, anche se era doloroso, era lui a dover decidere e
che in
quel momento stava facendo la cosa migliore per il giovane mezzo-demone.
Tutti lo
salutarono con le lacrime agli occhi e Inuyasha quasi si
divertì nel notare
l’imbarazzo che il ragazzo stava man mano accumulando. Fu
quando poi Sango lo
abbracciò che lo vide arrossire a dismisura e
pensò che forse era arrivato il
momento di salvarlo.
- Ah, ma
quanto la state facendo lunga! Non vi state mica dicendo addio!
Tornerà a
trovarci spesso, non se ne sta andando via per sempre! –
protestò Inuyasha
infastidito, ricevendo un’occhiata di gratitudine dal nipote,
ancora stretto
dall’abbraccio stritolante della sterminatrice.
- Promettilo!
– gli chiese Sango, allontanandolo leggermente, - Prometti
che tornerai a trovarci!
–
E Keiichi annuì con convinzione, guardando prima lei e poi il suo migliore amico, che gli sorrise di rimando.
Avevano
passato tutta la notte a parlare, dopo essersi chiesti scusa a vicenda
ed
essere scoppiati a ridere insieme, come quando erano piccoli.
L’idea di doversi
separare non era andata particolarmente a genio a nessuno dei due, ma
entrambi
l’avevano accettata pensando che fosse la cosa migliore e il
fatto di essere
ancora legati da quella promessa stipulata anni prima, li rese
stranamente
fiduciosi ed entusiasti per il prossimo futuro.
- Lo
prometto. – sussurrò Keiichi sorridendo.
In fondo,
era cresciuto con quella strana, caotica e numerosa famiglia. Loro si
erano
presi cura di lui quando sua madre era morta e quando suo padre se ne
era andato.
Lo amavano incondizionatamente. Erano la sua famiglia a tutti gli
effetti e non
avrebbe mai permesso che quello fosse un addio. Inuyasha aveva ragione:
ognuno
di loro rappresentava una certezza.
Fu con
questi pensieri per la testa che Keiichi e Inuyasha si misero in
viaggio,
diretti ad ovest.
***
Per
diversi giorni i due camminarono spediti, fermandosi la notte per
riposare
qualche ora, scontrandosi solo raramente con demoni di rango inferiore
e
fermandosi nei villaggi che incontravano lungo la strada, unicamente in
caso di
necessità.
Più
si
avvicinavano ai confini con il grande regno dell’ovest,
destinazione finale del
loro viaggio, più il nervosismo di Keiichi diventava palese
e difficile da
ignorare.
Per tutto
il tempo Inuyasha aveva fatto finta di niente, ignorandolo o cercando
di
distrarlo, ma la situazione continuava a peggiorare ed evitare di
parlarne
aveva avuto l’unico effetto di innervosire anche lui.
Così entrambi si erano
ritrovati di punto in bianco con i nervi a fior di pelle, pronti a
scattare
alla minima parola storta che si sentivano rivolgere.
Fu per
questo che un giorno Inuyasha prese la drastica decisione di fermarsi
di colpo
nel bel mezzo della strada, con le mani tremanti stese lungo i fianchi
e il
fumo che gli usciva dalla testa. Si girò verso il nipote,
confuso per
quell’imprevisto e gli assestò un poderoso pugno
in testa.
- Si
può
sapere qual è il problema?! – gli urlò
prima che il ragazzo avesse modo di
lamentarsi.
L’occhiataccia
che Keiichi gli lanciò di rimando fu così gelida
che per un momento in essa riconobbe
l’espressione di Sesshomaru, ma immediatamente lo vide
abbassare lo sguardo,
come se ci avesse ripensato.
- Non ti
leggo nel pensiero. – protestò poi indignato,
senza tanti giri di parole, - Uffa,
quando fai così sei peggio di tuo padre! -
Notò
un
lampo di soddisfazione e di entusiasmo attraversargli il volto e si
ritrovò a
pensare, con un moto di stizza, che somigliare a Sesshomaru non era
certo una
cosa di cui andare così tanto fieri. Stava quasi per
andarsene, più infastidito
di prima, quando finalmente Keiichi parlò:
-
Zio… -
lo chiamò e Inuyasha seppe con certezza che in quel momento
il nipote era più
fragile del solito, dal momento che solo in pochi casi si era sentito
chiamare
in quel modo e tutte le volte era stato guidato dal bisogno di avere
delle
rassicurazioni, - non pensi che lui non vorrà saperne di me?
Sì, insomma,
potrebbe anche mandarmi via… -
Inuyasha
si ritrovò spiazzato da quel pensiero. In effetti non sapeva
se Sesshomaru
l’avrebbe tenuto con sé, aveva semplicemente dato
per scontato che l’avrebbe
fatto.
- In un
modo o nell’altro, lo farà. – gli disse
semplicemente, riprendendo a camminare.
Forse ci
avrebbe messo del tempo per accettare la sua presenza, forse
all’inizio lo
avrebbe ritenuto un peso, ma alla fine, ne era certo, si sarebbe
abituato alla
sua presenza, esattamente come era accaduto con Rin.
Keiichi
non riprese più il discorso, sapeva che Inuyasha non
l’avrebbe mai ingannato,
dicendogli che sarebbe andato tutto bene, con il rischio magari di
dargli false
speranze, ma in un certo senso, anche se non aveva avuto
rassicurazioni, si
sentì più tranquillo. Inuyasha avrebbe provato
con tutto se stesso a convincere
suo padre e questo per il momento gli bastava.
Una volta
arrivati sufficientemente vicini alle terre dell’ovest,
iniziarono ad
informarsi e a chiedere notizie di demoni presenti in zona, sicuri che
la
presenza di Sesshomaru o i suoi spostamenti non passassero
completamente
inosservati.
Fu
proprio in uno dei villaggi più vicini al confine che un
gruppo di uomini,
guidati da un anziano fin troppo in là con
l’età, si avvicinò a loro, dopo aver
sentito una descrizione di Sesshomaru.
- Anche
voi fate parte di quel grande gruppo di demoni venuto qui tre giorni
fa? –
domandò il vecchio, ricevendo in cambio solo sguardi
confusi.
- Un
gruppo di demoni? Chi erano? – domandò Inuyasha
incuriosito.
- Non lo
sappiamo. – parlò un altro, - Saranno stati una
cinquantina, demoni di ogni
specie, ma molto simili a voi. Anche loro avevano sembianze simili a
quelle
umane. –
- A me hanno
dato l’impressione di provenire da molto lontano e inoltre,
non sembravano
conoscersi bene: a dire la verità, era come se si fossero
trovati insieme per
caso. – aggiunse un altro, ricevendo cenni di approvazione.
- Cosa
volevano? Vi hanno attaccati? – domandò Keiichi,
scambiandosi un’occhiata
perplessa con Inuyasha.
- No,
hanno solo chiesto informazioni, proprio come voi, su quel demone di
cui
stavate parlando. –
-
Chiedevano informazioni su mio padre?! – fece eco Keiichi.
- Cosa
volevano da lui? – si intromise nuovamente Inuyasha,
rivolgendosi direttamente
al vecchio, - Hanno detto qualcosa a riguardo? –
- No,
volevano soltanto sapere quanto fosse forte e hanno chiesto quali
fossero i
confini del suo regno. –
- Hanno
domandato anche quell’altra cosa. – gli
ricordò poi un ragazzo forse poco più
grande di Keiichi.
-
Già, è
vero. Hanno anche chiesto se negli ultimi tempi fosse mai accaduto
qualcosa di
strano ai demoni di questa zona. –
-
Qualcosa di strano? Di che tipo? – domandò ancora
Inuyasha.
- Abbiamo
provato a domandarglielo, ma quelli hanno risposto che se fosse
accaduto
qualcosa ce ne saremmo sicuramente accorti. –
Inuyasha
e Keiichi li ringraziarono per l’aiuto, allontanandosi e
proseguendo nella
direzione che quegli uomini avevano indicato loro, la stessa dove erano
diretti
quei demoni.
- Che
significa secondo te? – domandò ad un tratto
Keiichi, rompendo quel silenzio
ormai divenuto insopportabile.
- Non ne
ho idea. –
-
Volevano sapere di mio padre e probabilmente si staranno dirigendo da
lui in
questo momento. E poi quella strana domanda… che dovrebbe
essere successo ai
demoni della zona? Inoltre, non è strano che viaggiassero
insieme? Per quanto
ne so, è quasi impossibile che demoni di quel tipo si
uniscano in gruppi. -
- Sono
d’accordo con te. Non è affatto
normale… -
In tutta
la sua vita Inuyasha aveva osservato i comportamenti dei demoni nei
confronti
dei loro simili e del resto del mondo. Non era raro che dei demoni si
unissero
in gruppi, ma questo riguardava soltanto quelli di rango inferiore,
dall’aspetto di animali o demoni appartenenti ad una stessa
specie, come quelli
delle tribù. Mai nella storia aveva visto demoni dalle
sembianze umane e di
specie diverse unirsi in un gruppo tanto grande. Il naturale istinto
alla
supremazia e ad accumulare più forza avrebbe dovuto impedire
ogni eventuale
collaborazione.
Che cosa
stava succedendo?
***
Fu dopo
dieci giorni esatti dalla loro partenza che finalmente oltrepassarono
il
confine con le terre dell’ovest e la presenza di Sesshomaru
iniziò a farsi
sempre più forte. Per qualche ragione, nel giro di pochi
passi soltanto, l’aria
cambiò radicalmente e un vento gelido si alzò,
portando con sé odore di sangue
e disperazione.
Inuyasha
iniziò a correre ancora prima di capire cosa fosse. Sentiva
solo che doveva
sbrigarsi. Qualsiasi cosa stesse accadendo doveva essere sicuramente
collegata
con Sesshomaru e per qualche ragione, non era niente di buono.
Keiichi
lo seguì in silenzio tenendo il passo, immaginandone i
pensieri e sentendo una
morsa serrargli la gola. Poi improvvisamente una grande radura si
spalancò
davanti ai loro occhi e Inuyasha si fermò di colpo,
impedendogli di proseguire.
- Vai
lì
e non muoverti finché non te lo dico io. – gli
ordinò, indicandogli un punto
dietro gli alberi.
- No,
aspetta, io… -
- Vai
lì!
È un ordine! –
Keiichi
annuì arrabbiato, guardandolo allontanarsi rapidamente. Non
capiva. Perché
doveva nascondersi? Non riuscì a pensare altro che subito
una dirompente folata
di vento lo costrinse a serrare gli occhi. Fece appena in tempo a
collegare
quel vento con la tecnica di Tessaiga, quando l’impatto di
due spade che
cozzavano ripetutamente fra di loro attirò la sua
attenzione. E fu lì che lo
vide. Uguale a quando se ne era andato. Lo stesso portamento fiero, la
stessa
rigidità nell’espressione.
-
Padre…
- sussurrò e non riuscì ad elaborare altro che
non fosse l’immagine del
genitore e di suo zio che combattevano.
Inuyasha
aveva visto distrattamente Bakusaiga prepararsi a scagliare il suo
attacco e
decine di demoni, chiaramente non interessati ad un combattimento, sul
punto di
morire. Non aveva capito niente, né si era preoccupato di
dover capire. Aveva
lanciato la cicatrice del vento e si era scagliato con violenza su
Sesshomaru
quasi contemporaneamente, non lasciandogli il tempo di riprendersi per
la
sorpresa.
- Ma hai
perso completamente il cervello?! – gli urlò,
cercando di disarmarlo.
- Che ci
fai tu qui? – rispose gelidamente Sesshomaru assottigliando
lo sguardo.
- Non
provare a cambiare discorso! Che diavolo ti sei messo in testa, si
può sapere!?
Cosa c’è, stai progettando uno sterminio di massa
per passare il tuo tempo
libero?! –
- Non
è
affare che ti riguarda quello che faccio nel mio tempo libero.
–
Poi
contemporaneamente i due si fermarono, limitandosi a squadrarsi, pronti
ad un
nuovo attacco.
- Hei
voi! – urlò Inuyasha non distogliendo
l’attenzione dal fratellastro, ma facendo
solo un cenno con la coda dell’occhio al numeroso gruppo di
demoni dietro di
lui, - Sì, dico proprio a voi! Se ci tenete alla vostra
pellaccia, cercate di
sparire e in fretta. -
- Tu non
devi intrometterti. – sibilò minaccioso
Sesshomaru, ma i demoni avevano
iniziato già a dileguarsi.
- Peccato.
– ghignò Inuyasha, - Chissà, magari se
me l’avessi detto prima… Mi dispiace
Sesshomaru, ma almeno per oggi dovrai vivere senza il tuo omicidio
quotidiano. –
Il demone
si limitò ad un’espressione seccata, prima di
riporre nel fodero la sua spada e
voltarsi.
- Non
pensare di andartene così! Non ho fatto tutta questa strada
solo per prendere
un po’ d’aria fresca. Ho una faccenda importante da
discutere con te, ma prima
voglio assolutamente sapere cosa ti passa per la testa! Chi diavolo
erano
quelli? –
- Nemici.
–
- Non
dire assurdità, Sesshomaru! C’erano dei bambini in
quel gruppo! Non credo che
un nemico si porti appresso dei cuccioli! –
- Forse.
– rispose in modo enigmatico, guardandolo con
quell’aria di superiorità che
riusciva a mandare Inuyasha letteralmente fuori di testa.
Ora ne
era davvero sicuro: lo avrebbe ucciso. All’istante. In modo
veloce e indolore.
Non gli interessava che soffrisse, non era importante vederlo steso a
terra,
agonizzante, nell’ultimo superfluo tentativo di implorare
pietà. Nonostante una
simile scena fosse il suo sogno segreto da secoli, avrebbe anche potuto
rinunciarvi in quel momento. Tutto, pur di ucciderlo davvero.
- Che
diavolo vuol dire forse?! Volevi ucciderli! Pensavi fossero nemici!?
Che ti è
successo? -
- Sai
mezzo-demone… - e il diretto interessato
sussultò, perché per quanto ne potesse
dire, erano anni che Sesshomaru non lo chiamava in quel modo, - non
importa
quanto tempo possa passare, tu resti sempre il più grande
fra gli ottusi. –
-
Bastardo, che cosa hai detto?! –
Inuyasha
si mise in posizione d’attacco, guardandolo minaccioso, ma
Sesshomaru agitò
appena una mano, invitandolo a calmarsi.
- Non te
lo consiglio. Attaccarmi, intendo. Ora come ora, non hai nessun valore
per me.
La tua esistenza, mezzo-demone, è inutile. Non esiterei un
solo istante a farti
fuori e credimi, non riusciresti neppure a difenderti.
Perciò, non attaccarmi,
se non vuoi morire. –
Inuyasha
sussultò, finendo inevitabilmente con il seguire il
consiglio. Non sapeva per
quale ragione, ma solo guardandolo negli occhi, era sicuro che
Sesshomaru non
stesse affatto mentendo. Se avesse fatto qualcosa di sbagliato, lui
l’avrebbe
attaccato senza esitare, e probabilmente, a differenza dei loro ultimi
scontri,
questa volta sarebbe riuscito ad ucciderlo davvero.
Possibile
che fosse cambiato così tanto?
- Ti fidi
sempre troppo, mezzo-demone. Di me, di quei demoni, degli
umani… Quegli inutili
esseri pretendevano il mio territorio e che io sprecassi energie per
difenderli.
Non meritavano di vivere. E per quanto riguarda te, pensavi forse che
le cose
fra noi fossero cambiate? Che ti considerassi… mio fratello?
-
Inuyasha
sentì il suo cuore colmarsi di delusione e improvvisamente
si rese conto che,
anche se poteva sembrare strano, la risposta a quella domanda era molto
diversa
da quella che avrebbe dato in passato.
Sì,
lo aveva
pensato. Inconsciamente, negli ultimi anni, aveva iniziato a vedere
Sesshomaru
non per il demone bastardo, assetato di sangue, che voleva la sua
morte, ma
come il fratello antipatico che comunque tollerava la sua presenza.
Nella sua
mente, la sua immagine era cambiata a poco a poco ed era vero quello
che
Sesshomaru diceva: alla fine aveva iniziato a fidarsi di lui. Non era
stato un
percorso immediato, anzi, tutto il contrario, eppure ogni volta sempre
di più
aveva finito con l’abbassare la guardia in sua presenza, a
credere che non
fosse in pericolo, perché dopotutto. per la prima volta,
erano dalla stessa
parte e condividevano qualcosa.
Inuyasha
si fidava di Sesshomaru.
-
Vedrò
di non dimenticarlo più. – disse solo, sostenendo
il suo stesso sguardo, separando
l’immagine del vecchio Sesshomaru da quella
dell’individuo che si trovava
davanti, trattandolo nuovamente per quello che era: un estraneo, un
nemico.
Improvvisamente
fu solo il vento a fare da testimone a quello scontro silenzioso,
mettendo a
tacere domande che non avrebbero mai avuto risposta e dolorosi rimorsi
che
avrebbero continuato a crescere ed intensificarsi, fino a trasformarsi
in urla
strazianti di disperazione. Poi ad un tratto ci fu un cambiamento
nell’aria ed
entrambi lo notarono, sussultando.
- Portalo
via. – disse lapidario Sesshomaru ed Inuyasha strinse i
pugni, fremendo di
rabbia.
Non lo
avrebbe considerato suo fratello. Non lo avrebbe considerato un
alleato.
Avrebbe fatto in modo di non rivederlo mai più, per tutto il
tempo che gli
restava da vivere, ma Keiichi… lui non avrebbe avuto quel
trattamento, ad ogni
costo.
- Non lo
farò. –
-
Mezzo-demone,
pensi che mi farò forse problemi ad abbandonarlo a se
stesso? – lo sfidò
Sesshomaru, mentre un nuovo grido nella sua testa veniva soppresso con
forza.
Inuyasha
dovette impegnarsi con tutto se stesso, per evitare che la rabbia
incontrollata
che provava esplodesse.
- Anni fa
hai detto che io e Keiichi siamo diversi. – disse, mentre un
lampo d’odio gli
infiammava lo sguardo, - Hai detto che Keiichi non sarà mai
come me. Che vuoi
fare ora?! Vuoi che lui diventi come me? Senza una madre e senza un
padre, solo
al mondo, costretto a dover sopportare l’odio di chiunque
incontrerà sul suo
cammino?! È questo che vuoi?! –
- Se la
caverà da solo. –
- Se la
caverà da solo!? È tutto qui quello che sai
dire?! Pensi che Rin sarebbe felice
di questo?! –
E fu solo
un attimo, prima che si ritrovasse ad annaspare disperatamente in cerca
d’aria.
- Non
osare nominarla. –
Inuyasha
si ritrovò steso a terra a tossire convulsamente, nel
tentativo di tornare a
respirare normalmente.
- Se sei
così preoccupato per lui, continua ad occupartene come hai
fatto finora e non
venire più ad importunare me. –
-
Dannazione, Sesshomaru… - sussurrò, spingendo con
forza i pugni contro la
terra, rialzandosi lentamente, - lo vuoi capire che io… io
non vado bene… io non
sono suo padre! – urlò improvvisamente e in quella
frase, lasciò trapelare
tutto il dolore che provava, per quella separazione che si stava
costringendo a
fare, - Per quanto possa vederlo come un figlio, per quanto possa
prendermi
cura di lui, io non sono suo padre… non è di me
che ha bisogno! Keiichi è tuo
figlio, tuo figlio, maledizione! Tuo e di Rin! Perciò
smettila di fare la vittima
incompresa e prenditi cura di lui come avrebbe voluto lei, come avrebbe
fatto
lei! E non mi importa se ora mi ucciderai, ma devi aprire gli occhi!
Perché Rin
lo amava più di ogni altra cosa e se ora lo lasci andare, se
lo abbandoni a se
stesso, devi essere consapevole del fatto che stai gettando via
ciò che lei più
amava! Te ne rendi conto, Sesshomaru!? –
Il demone
non rispose. Rimase immobile e impassibile come sempre. Poi si
voltò
semplicemente verso gli alberi, dove poco prima aveva sentito la
presenza di
suo figlio.
Era
cresciuto così tanto… pensò, non
staccando gli occhi da lui. Gli somigliava,
gli somigliava in un modo incredibile: i capelli, gli occhi, quei segni
demoniaci sulle guance, l’espressione e
l’atteggiamento inconsapevolmente
fiero, ma dietro a tutto quello che si vedeva in apparenza, Sesshomaru
riuscì a
scorgere chiaramente l’immagine di Rin. Nei lineamenti fini
del volto, nella
dolcezza che esprimevano i suoi occhi, nell’impazienza che
sembrava torturarlo.
Quello
era… il loro bambino. Lo stesso che lo aveva chiamato
papà a tre anni suonati e
lo aveva abbracciato inondandogli il cuore d’amore, lo stesso
che aveva
espresso il desiderio, a cinque anni, di voler essere un demone forte
come lui,
così da renderlo orgoglioso; lo stesso che, a sette anni,
aveva giurato
vendetta ad un demone ormai morto stecchito solo per aver osato fare un
graffio
sul bracciò del suo papà; lo stesso che
Sesshomaru aveva abbandonato, perché
guardarlo negli occhi era diventato improvvisamente troppo doloroso.
Ma ora,
quelle
urla… quel rimorso… dovevano assolutamente
smettere di esistere.
Inuyasha
si allontanò da lui senza aspettare una risposta, positiva o
negativa che
fosse. Dopotutto, aveva una buona sensazione, o quantomeno, era
abbastanza
sicuro che in caso contrario non sarebbe stato ancora in vita per
formulare
quei pensieri.
Così gli
voltò le spalle. Aveva fatto tutto il possibile, il resto
spettava unicamente a
Sesshomaru e alla presenza di Keiichi. Continuò a camminare
verso il nipote,
con un accenno di sorriso sulle labbra e quando lo vide corrergli
incontro con
lo sguardo preoccupato e speranzoso, mise su la migliore delle
espressioni
vittoriose, scompigliandogli poi i capelli, nascondendo la nostalgia e
il
dolore che già avevano preso in ostaggio il suo cuore.
-
È
andata bene? Che ha detto? Lui… ? -
- Idiota.
– lo interruppe con un leggero pugno sulla testa, meritandosi
un’occhiata di
rimprovero e un broncio profondamente offeso, - Te l’avevo
detto che si sarebbe
preso cura di te, a prescindere che lo volesse o meno, no? Non
sarà per niente
facile, ma la tua presenza lo aiuterà a tornare quello di
prima. Devi solo
avere un po’ di pazienza. – lo
incoraggiò poi, pensando che per fortuna aveva
avuto l’idea di farlo nascondere in un punto sottovento, in
modo che non
ascoltasse la loro conversazione.
- Lo
aveva detto anche la mamma… - sussurrò Keiichi
sorridendo appena.
- Ora vai
moccioso, muoviti, prima che se ne vada e ti lasci qui. – lo
spinse
improvvisamente, riprendendo a camminare nella direzione opposta, senza
voltarsi indietro.
Quel momento
era fin troppo doloroso di per sé, non avrebbe contribuito a
renderlo ancora
più straziante, riempiendolo di parole smielate e
raccomandazioni superflue.
Improvvisamente
si ritrovò a constatare che anche quella storia era finita.
Era finita davvero.
Un altro nome si era aggiunto alla lista delle persone che avevano
fatto parte
della sua vita e che l’avevano abbandonato, ma andava bene
così, era la cosa
più giusta.
Avrebbe
riscoperto cosa si provava a starsene da soli, senza nessuno a cui
dover badare,
senza nessuno di cui doversi preoccupare. Avrebbe riscoperto il
silenzio.
Beh,
almeno per il tempo del viaggio di ritorno. Una volta al villaggio
sarebbe
ripiombato nel folle caos, generato da poppanti urlanti e adulti fuori
di
testa, che era la famiglia di Sango e Miroku. Avrebbe davvero dovuto
impegnarsi
per non mostrare loro il dolore che la separazione con Keiichi gli
stava
procurando e se li conosceva almeno un po’, era sicuro che
sarebbe stato tutto
inutile. Lo avrebbero tartassato e trattato con mille e più
premure, proprio
come quando se ne era andata via Kagome.
Forse
avrebbe fatto meglio a godersi la poca tranquillità durante
quel breve viaggio
di ritorno.
-
Inuyasha! – si sentì chiamare improvvisamente e
tremò all’eventualità che tutto
il discorso di poco prima non avesse avuto il minimo effetto su
Sesshomaru.
Vide
Keiichi corrergli incontro, fermandosi proprio davanti a lui. Sembrava
vagamente pensieroso e titubante, mentre spostava il peso da una gamba
all’altra. Poi ad un tratto lo guardò dritto negli
occhi con rinnovata
decisione.
- Non
andare a sud. –
Inuyasha
sgranò gli occhi, sbattendoli ripetutamente. Avrebbe voluto
chiedere cosa
volesse dire quella frase, ma tutto quello che riuscì a dire
fu:
- Eh?
–
- Non
guardare me! Io non ne ho proprio idea. Parla ancora meno di prima!
Sarà una
fatica enorme riuscire a capirlo! – cercò di
lamentarsi Keiichi, ma dal sorriso
che affiorava spontaneamente sul suo volto non sembrava essere poi
tanto
disturbato da quella nuova scoperta, - Ha detto solo: non andare a sud.
Quindi,
beh, suppongo che non dovresti andarci. Tutto qui. –
Inuyasha
lo voleva uccidere. Kami-sama se lo voleva uccidere!
-
Tzè.
Poteva anche risparmiarselo. – borbottò,
voltandosi arrabbiato, ma ancora una
volta Keiichi lo fermò.
- Che
c’è
ancora?! –
Il
mezzo-demone abbassò lo sguardo imbarazzato, torturandosi
appena le mani.
- Ecco,
io… volevo dirti… grazie…
sì, insomma, per tutto quello che hai fatto. Grazie.
–
-
Tzè! Ma
senti che moccioso idiota. – arrossì a dismisura,
sforzandosi di non sorridere,
– Ritiro quello che ho detto prima: non gli assomigli
proprio. Piuttosto… vedi
di non sparire e fatti vivo ogni tanto. -
- Lo
farò. È una promessa! –
***
Quanto tempo
era passato?, si chiese
Inuyasha ripercorrendo
la strada verso casa.
Trentatré
anni…
Poco,
troppo poco. Un tempo infinitamente breve.
Il
momento del suo ricongiungimento con Kagome gli sembrava lontano come
un
miraggio e ogni giorno che passava, invece di essere un ulteriore
scalino che
lo avrebbe portato in cima, non era altro che un nuovo peso che si
posava sulle
sue spalle, complicandogli il già difficile cammino.
Tutte le
persone più importanti della sua vita continuavano a morire
o a scomparire nel
nulla. Suo padre e sua madre, Kikyo, Kagome, Rin, Keiichi e Sesshomaru.
Tra non
molto tempo era sicuro che avrebbe dovuto dire definitivamente addio
anche a
Sango e Miroku.
Tutti se
ne andavano e lui continuava a vivere. Che avrebbe fatto quando anche
loro lo
avrebbero lasciato?
Rimanere
completamente solo… sarebbe stato in grado di sopportarlo?
Angolino
di Aredhel
No, non
sono un miraggio, ma quasi. :P
Nuovamente
(sì, lo so, sto diventando ripetitiva) vi chiedo
immensamente scusa per il
ritardo. Credevo che sarei stata un po’ più libera
con la fine dell’università
e invece ho avuto diversi imprevisti. :P Comunque, spero di essermi
fatta
perdonare con questo capitolo lungo quasi quanto il precedente. A me,
personalmente, non fa impazzire, quindi vi chiedo un giudizio brutale e
sincero: che ne pensate?
Sono molto
tentata di lasciarvi il solito siparietto-lezioncina di storia, (anche
una di
geografia inizia ad essere necessaria) ma temo proprio che stavolta
dovrò
trattenermi per non anticipare troppo ciò che
avverrà effettivamente nel
prossimo capitolo. In ogni caso, vi ho lasciate qualche indizio sparso
nel
capitolo. Qualcuno vuole fare delle ipotesi? Che cosa pensate che
accadrà?
Il
prossimo capitolo, che spero arrivi presto, ma non prometto niente,
perché a
quanto pare mi porto sfortuna da sola, si
intitolerà… eheh… no facciamo
così,
vi do due indizi perché sono tanto buona: il primo titolo
che avevo messo al
capitolo, ma che ho recentemente scartato, era Un
incontro inaspettato (chi indovina di chi si parla?), ma il
nuovo e decisamente più sadico titolo
è… Preludio
di una tragedia… muahahah. Sì, ci
saranno tanto amore e risate. :P
Un bacio
grande a tutti e un grazie infinito a chi continua a seguirmi
nonostante i
tremendi ritardi. Vi adoro!
Aredhel
PS. Se
qualcuno di voi ricorda ancora l’altra mia storia…
bravi, quella piena di
rapimenti e follie :P non ho idea di quando la aggiornerò.
Sono bloccata, ma
bloccata che non potrei essere più bloccata, quindi non so,
armatevi di tanta
pazienza e perdonatemi. Prometto che ritornerò anche con
quella. ;)