Il
museo di apicoltura di Radovljica
Note
della traduzione
One-shot
parte dell'universo di Nature
& Nurture, ambientata alcuni anni dopo la storia
principale.
Sherlock era
tranquillo, cosa che John si era aspettato
e per cui s'era preparato, e, tuttavia, anche dopo tutti quegli anni,
odiava vederlo
così. John sapeva che la sua spalla avrebbe dovuto far male
con la pioggia,
l'umidità o cose del genere, ma gli faceva veramente male
quando Sherlock se ne
stava tranquillo, e John girava teso e rigido per tutto l'appartamento,
pensando a un qualche modo per tirare l'altro fuori da quella
situazione.
John s'era anche
abituato al fatto che
l'appartamento non fosse mai tranquillo. Da ormai molti anni c'era
Oliver, né
lui né Sherlock la smettevano mai di parlare, quindi John
era raramente
riuscito a infilarsi nella loro conversazione. Oliver e Sherlock
parlavano a
raffica tra loro mentre facevano esperimenti insieme al tavolo della
cucina, o
si urlavano contro in spettacolari esplosioni di rabbia quando non
erano
d'accordo su qualcosa. Comunque fosse, John si sedeva in poltrona,
sorseggiava
il suo tè e ascoltava uno dei due lamentarsi dell'altro;
poi, magicamente,
venti minuti dopo erano di nuovo amici per la pelle e perfettamente
incomprensibili
per chiunque non fosse loro.
John voleva bene
a Oliver con una profondità e
un'intensità che non sarebbe mai stato in grado di concepire
prima che gli
portassero un bimbo, ma Sherlock gli voleva bene in modo diverso, con
quel
sentimento di deliberata totalità con cui faceva tutto, il
che significava che
Sherlock, in un 221B senza Oliver, non riusciva nemmeno ad abbandonarsi
a un
broncio come si deve. Sedeva svogliato vicino alla finestra con il
violino in
grembo, e John, che si era aspettato tutto questo, rovistò
tra le scatole di tè
nella credenza alla ricerca della sorpresa che vi aveva nascosto.
"Sherlock,"
disse, una volta che la ebbe
trovata, andando in soggiorno. La stanza pareva spaventosamente vuota
visto che
Oliver aveva portato la gran parte delle sue cose con sé a
scuola, sebbene John
non lo ritenesse necessario. Sherlock non aveva espresso alcun parere
al
riguardo, poiché disapprovava l'intera faccenda di
"Oliver-va-via-per-la-scuola" e s'era rifiutato di accettare che
stesse accadendo. John aveva quasi temuto che Sherlock non sarebbe
venuto a
Eton con loro. Invece, lo aveva fatto. Poi, aveva
temuto che Sherlock avrebbe riservato il
suo atteggiamento di scherno a qualunque cosa avesse visto a Eton e che
Oliver avrebbe
alzato gli occhi al cielo e l'avrebbe ignorato (Oliver era anche
più bravo di
John a ignorare Sherlock quando si comportava in maniera ridicola).
Invece,
Sherlock non aveva detto nulla e non gli aveva mai levato gli occhi di
dosso,
osservandolo come se stesse facendo il pieno per tutti i giorni a
venire in cui
non l'avrebbe visto, e quella era stata la cosa peggiore di tutte. John
capiva
che anche Oliver l'aveva pensato; imbarazzato, aveva detto qualcosa
riguardo
all'esperimento che aveva lasciato nel frigo, e cosa Sherlock dovesse
farne, e
Sherlock, invece di sbottare, impaziente, Certo
che lo so, so tutto, perché ti ripeti e mi annoi? l'aveva
fissato, assorto
in silenziosa meraviglia, e aveva semplicemente annuito. John allora
l'aveva
stretto in un abbraccio forte e gli aveva scompigliato i riccioli scuri
con un bacio,
cosa cui Oliver solitamente accondiscendeva quando si trattava di John,
in
quanto la tendenza degli Sherlock Holmes ad assecondare John in tutto
pareva
scritta nei geni. Tuttavia, Sherlock non aveva detto una parola che
fosse una
per tutto il viaggio di ritorno da Eton.
"Non voglio il
tè," disse Sherlock in quel
momento, il che non era male come inizio, per rompere il silenzio.
"Bene,
perché non ne ho fatto."
Sherlock fu
abbastanza sorpreso da distogliere lo
sguardo dalla finestra e fissarlo su John. "Stavi frugando nella
credenza."
"Era
perché stavo cercando questo." Gli
passò un pezzo di carta più volte ripiegato.
"Hai l'abitudine
di archiviare documenti nella
credenza del tè?"
"Solo quando
cerco di nasconderli, perché Dio
non voglia che uno di voi prepari il tè."
Sherlock stava
aprendo il pezzo di carta. "È una
conferma per dei biglietti d'aereo."
"Sì."
"Per la
Slovenia."
"Sì."
Sherlock
guardò John a sopracciglia inarcate.
"Credi che andremo in Slovenia stasera?"
"So
che andremo in Slovenia stasera."
Sherlock strinse
gli occhi a fessura. "Sei
soddisfatto di te stesso."
"Sì,
perché ho una sorpresa per te."
"Una sorpresa
per me? In Slovenia?"
"Ti
piacerà tantissimo."
"Non voglio
andare in Slovenia."
"Ed è
esattamente per questo che ci andremo.
Tieni." John gli passò un altro pezzo di carta.
Sherlock lesse
il messaggio con uno sbuffo. Papà
- Va' in Slovenia. Con affetto, O.
"Hai ottenuto l'appoggio di Oliver, eh?"
"Gli ho detto,
giustamente, che è un po' che
non andiamo in vacanza. Gli ho detto qual è la sorpresa, lui
concorda che ti
piacerà molto e lui è te, quindi non
può sbagliarsi. Pertanto, andiamo."
"John," disse
Sherlock, guardando i fogli
di carta che aveva in mano e facendo un respiro profondo.
John era esperto
nel cogliere tutte le parole che
Sherlock Holmes poteva trasmettere con un respiro profondo. "Lo so,"
disse, e si chinò per dargli un bacio sulla fronte, dove i
capelli erano un po'
più grigi, ma ancora folti come quelli di Oliver.
Lasciò che la sua bocca vi
indugiasse per un attimo. "Ascoltami. Gli ho promesso che non avrei
lasciato che tu lo chiamassi a meno che non fosse dall'aeroporto.
Quindi vieni,
andiamo, ho già fatto i bagagli."
Dopo una pausa
di silenzio, Sherlock si allontanò da
lui. "Hai fatto
i bagagli?"
"Sono giorni che
li faccio. Non hai fatto
attenzione a cosa stessi mettendo in valigia, ricordi?"
***
Oliver aveva
detto a John di voler andare a Eton
prima di farne parola con Sherlock. Questi era a New Scotland Yard a
svolgere
lavoro d'ufficio, e mandava messaggi a John e a Oliver con una
frequenza di 20
secondi per dire loro quanto si stesse annoiando. Oliver era seduto in
mezzo al
soggiorno, con tutti i vecchi libri di medicina di John aperti
contemporaneamente, impegnato nel suo eterno progetto di aggiornamento
delle
informazioni in essi contenute, e disse, in quel modo brusco con cui
sia lui
che Sherlock comunicavano ciò che stava loro più
a cuore: "Voglio andare a
Eton."
John, che stava
preparando la cena e che sapeva che
avrebbe dovuto adoperare mille moine per costringere Sherlock e Oliver
a
mangiarla, rimase per un momento a fissare la carota che stava
affettando. Poi,
andò in soggiorno, sempre con la carota in mano, e si
sedette sulla poltrona di
Sherlock, che gli offriva una migliore visuale su Oliver. Il ragazzo
stava
postillando un libro e non lo guardava.
John non chiese
perché, gli sembrava ovvio: Oliver
aveva un'insaziabile curiosità e tutti i suoi compagni di
classe parlavano di
andare via per la scuola. Da qualche tempo, John aveva preso a
controllare gli
estratti conto bancari con un crescente senso di terrore, preoccupato
per il
costo dell'educazione che Oliver avrebbe potuto volere e che meritava.
Non
avevano mai avuto ripensamenti per quanto riguardava il denaro in casa,
ne avevano
guadagnato un decoroso quantitativo per anni e continuavano a farlo, ma
non
avevano messo da parte nulla per questo. John sapeva che avrebbero
dovuto ed
era una leggerezza per cui si stava mangiando le mani. Sherlock aveva
notato
l'inquietudine di John per le loro finanze e ne era rimasto perplesso;
John,
restio a intavolare questa conversazione prima del necessario, aveva
borbottato
qualcosa riguardo alla pensione. La cosa aveva fatto piegare Sherlock
in due
dalle risate e, per provare che non erano neanche lontanamente vecchi
abbastanza da pensare alla pensione, l'aveva portato di sopra a letto.
Inoltre,
aveva aggiunto che, quando fossero davvero andati in pensione, avrebbe
guadagnato di che vivere per loro vendendo miele.
John
osservò Oliver, lì per terra con la testa scura
piegata sui suoi libri, e si domandò quando fosse successo
che era cresciuto,
dove fosse volato quel tempo e quanto più velocemente tutto
il resto sarebbe
passato. Pensò alla conversazione che avrebbe dovuto
affrontare con Sherlock.
"Va bene,"
disse, conscio di quanto strana
suonasse la sua voce.
Se anche Oliver
si era accorto di qualcosa - e a
Oliver non sfuggiva mai nulla -, non disse niente finché non
alzò lo sguardo su
John, ancora lì seduto con la carota stretta in pugno, e
commentò:
"Qualunque cosa tu stia cucinando, credo stia bruciando."
***
"Odio tutto
della Slovenia," annunciò
Sherlock in tono piatto quando arrivarono all'autonoleggio.
"Non
è vero," rispose John, calmo.
"Tieni. Ti lascerò persino guidare." Gli lanciò
le chiavi.
Sherlock si
accigliò, perché non voleva sembrare
soddisfatto per questo quando, in realtà, lo era eccome.
John si infilò in
macchina.
Sherlock lo
seguì dopo qualche istante e accese il
motore. "Dove stiamo andando?"
"Abbiamo una
stanza in un hotel di
Dvorska."
"E che cosa
c'è a Dvorska?"
"Non la tua
sorpresa."
Sherlock,
brontolando, si inserì con la macchina nel
flusso del traffico. "Perché mai Oliver ha pensato che mi
sarebbe piaciuto, qui?"
"Non
c'è niente che non vada in questo posto. È
discretamente bello."
"Sì.
E tutti sappiamo quanto m'incantino laghi
incontaminati e fogliame mozzafiato."
John
ridacchiò. "Ti piacerà la sorpresa, te lo prometto."
"È
una scena del crimine?"
"No."
"Una scena del
crimine famosa," specificò
Sherlock, in caso John non avesse afferrato.
"No, non ha
niente a che vedere col
crimine."
"Un qualche
… omicidio?"
"Che cosa ho
appena finito di dire?"
Sherlock si
accigliò. "Non c'è nulla che ami al
di fuori del crimine."
"Ami me."
"Sarei potuto
stare con te a Londra. E dubito
grandemente che Ollie sia in Slovenia, giacché l'abbiamo
mollato a Eton, e lui
è l'unica altra persona cui voglia bene."
"Vuoi bene alla
signora Hudson."
"Oh, quindi lei
è qui?" chiese Sherlock,
allegro, e John rise.
"Penso che
dovresti fidarti di me."
"Mi fido di te.
Sempre. Dovrebbe essere
dannatamente palese quanto mi fidi
di
te." Ci fu una pausa di silenzio; John sapeva che Sherlock stava
pensando
a Eton e al fatto che John aveva insistito molto con lui sulla
questione. John
pensava che Sherlock gli desse la colpa per l'intera faccenda di Eton e
cercò
di pensare a cosa dire. Poi Sherlock fece: "Dopotutto, sono salito su
un
aereo e ti ho seguito senza obiettare fino in Slovenia.
Potresti uccidermi qui fuori in mezzo al nulla e nessuno
se ne accorgerebbe." Sherlock all'improvviso s'illuminò. "Mi
hai davvero portato qui per
uccidermi?"
John lo
guardò serio. "Questo ti farebbe
felice, vero?"
"Beh, sarebbe
assai ingegnoso da parte tua,
John. Se dovessi morire assassinato, vorrei che fosse fatto con ingegno."
"Questa
è una conversazione malata e non
proseguirà oltre. E niente del nostro viaggio in Slovenia ha
a che vedere col crimine."
"Non capisco
allora come farà a piacermi,"
disse Sherlock.
"Quanto bene ti
conosco, ormai?"
Sherlock non
disse niente, il che per John
equivaleva a un assenso.
"Se dico che
qualcosa ti piacerà, vuol dire che
so che sarà così. Non ti costringerei a fare
qualcosa che odi."
"Davvero?"
chiese Sherlock, con un tono
tanto pacato da fendere l'aria nell'abitacolo.
***
Sherlock era di
pessimo umore al ritorno da New
Scotland Yard, pertanto John evitò di menzionare Eton. Il
giorno successivo,
era di ottimo umore, quindi John evitò di nuovo l'argomento.
Non lo affrontò
per così tanto tempo che, alla fine, Sherlock lo
svegliò nel cuore della notte
e disse: "Cosa c'è che non va?", che era poi il modo in cui
agiva
quando voleva affrontare una questione seria.
E John,
assonnato, le difese abbassate, dal momento
che non aveva mai imparato a bloccare questo particolare trucchetto di
Sherlock, disse sbadigliando: "Ollie vuole andare a Eton."
All'improvviso,
si accesero le luci in camera e
Sherlock, con aria sinceramente scioccata, esclamò: "Che?"
"Vuole andare a
Eton," disse John, ora
completamente sveglio. "Me l'ha detto qualche giorno fa. Stavo pensando
a
come dirtelo."
Sherlock rimase
in piedi vicino al letto e guardò
fisso John. "È questo
che ti ha
fatto preoccupare per tutta la settimana?"
"Sì."
"Oddio, pensavo
che non fosse che una sciocchezza,
come al solito. Un niente
che nella tua testa tu avessi ingigantito." Sherlock misurò
a grandi passi
la stanza, accompagnando le parole con ampi gesti. "Che so, che ti
fossi
fatto qualcun altro o roba del genere."
John si
puntellò sui gomiti. "Ok. Sherlock, se
l'avessi fatto, quella non sarebbe una sciocchezza."
"Ma potrei comprendere,
perché sono una persona incredibilmente fastidiosa con cui
convivere e da avere
per marito, non potrei biasimarti. Ma Eton!"
"Torneremo al
fatto che pensi che avrei delle
giustificazioni nel tradirti non appena la questione di Eton
sarà
archiviata," disse John.
"Non
andrà a Eton," sentenziò Sherlock.
"Ecco. Punto. Bene. Fatto. Stimolante conversazione. Passiamo al punto
del
farsi altre persone?"
"No. Lui vuole
andare. E io penso che dovrebbe
farlo."
John seppe
all'istante che era quanto di più
doloroso potesse dire a Sherlock. Se gli avesse detto, come Sherlock
aveva in
qualche modo pensato, sono andato a letto
con un altro, non gli sarebbe sembrato tanto tradito quanto
appariva in
quel momento.
"Tu…"
esalò Sherlock. Pareva che non
riuscisse neanche a trovare l'ossigeno necessario a finire la frase.
"Sherlock,"
esordì John, allungando la
mano verso di lui.
Sherlock si
tirò fuori dalla sua portata.
"Credi che debba andare? Credi che debba lasciarci e andare in
quell'infame, orribile posto dove la gente è orrenda
e terribile?
Pensi che sia questo che dobbiamo infliggergli?"
"Sherlock, non
è detto che sia così per-"
"Non ci
andrà. Non posso credere che tu gli
abbia messo una simile idea in testa. Ne abbiamo parlato
di questo, del non mandarlo via per la scuola."
"Non gli ho
messo quell'idea in testa,"
ribatté John, offeso. "Credi che ci sia qualcuno capace di
mettergli delle
idee in testa? Gesù, ma l'hai visto?"
"Non ci
andrà," disse Sherlock in tono
piatto. "Ecco. Chiuso l'argomento."
"Bene,"
sbottò John, spegnendo la luce.
"Ma sarai tu a dirglielo."
***
John aveva
sperato che, al mattino, Sherlock gradisse
la Slovenia un po' di più. Invece, ostentava un'aria
indifferente quando John
si svegliò, tanto fargli dubitare che avesse dormito. A John
venne l'improvviso
timore che portarlo via da Baker Street per metabolizzare quanto era
appena
accaduto fosse stato un grosso passo falso da parte sua: Sherlock aveva
bisogno
di tenersi occupato e John l'aveva portato via da tutto ciò
che sarebbe servito
a questo scopo, tutti gli esperimenti e i crimini, tutto.
"Ehi," disse a
mo' di saluto, e Sherlock,
in piedi vicino alla finestra, riuscì a tirar fuori un
sorriso per lui. Poi, si
avvicinò al letto, cadde sopra di lui e, essenzialmente, lo
divorò.
John non era
certo che si trattasse di sesso quanto,
piuttosto, di distrazione, ma andava bene lo stesso, lo accettava,
perché
sentiva Sherlock vivo e partecipe sopra di lui. Il tutto
durò una discreta
quantità di tempo e, poi, ovviamente, Sherlock si
addormentò.
John scosse la
testa e lo lasciò lì a letto a
ronfare mentre faceva la doccia. Poi gli lasciò un
bigliettino - Vado a prendere la colazione
- prima di
andare nella sala da pranzo dello château in cui alloggiavano
e riempire un
piatto di pane e formaggio. Portò tutto in camera, dove
Sherlock stava a sua
volta facendo la doccia. John, pertanto, si sedette alla piccola
scrivania
della loro stanza e sgranocchiò il cibo.
Sherlock alla
fine emerse dalla doccia e si
afflosciò di schiena sul letto, guardando con scarso
interesse le cibarie che
John gli mostrava.
"Niente
caffè?" chiese.
"Non potevo
trasportarlo. Ci fermeremo da
qualche parte uscendo."
Sherlock
annuì con aria assai arrendevole e docile,
il contrario di quel che era di solito. John fu quasi sul punto di
suggerire di
fare sesso di nuovo, solo per tirar fuori Sherlock dal malumore in cui
era
sprofondato.
Sentirono
vibrare il cellulare di Sherlock, poggiato
sul comodino, e Sherlock lo guardò. John stava per dirgli
che non sarebbero
volati indietro a Londra, non importa quanto interessante potesse
essere il
crimine proposto, ma Sherlock sorrise quando lesse il messaggio e
passò il
telefono all'altro.
Per
favore, non
mettere il muso per la Slovenia. Il babbo era molto eccitato per questo
viaggio. I toast che hanno servito qui a colazione non erano bruciati,
quasi
non credevo che fosse possibile. OWH
"Che monello che
è," disse John
bonariamente, ripassando il cellulare a Sherlock.
"È
me," disse Sherlock. Le sue labbra si
curvarono in un sorriso e John tirò un sospiro di sollievo.
***
Sarah aveva
bisogno di una mano in clinica e, alla
fine della giornata, John tornò a casa dopo molte visite a
pazienti malati d'influenza
per trovare Sherlock seduto, in silenzio, nel soggiorno vuoto.
"Dov'è
Ollie?" chiese.
"Molly ha
telefonato per riferirgli di un
cadavere che credeva potesse interessargli. Linfoma
angioimmunoblastico a
cellule T. Sai com'è
tutto preso dai linfomi dopo quel capitolo di quel libro."
"Ah,"
disse John, togliendosi il cappotto e andando in cucina a preparare il
tè. Poi,
però, si fermò un attimo e ritornò in
soggiorno. Sherlock era ancora lì dove
l'aveva lasciato, silenzioso e immobile. "Stai bene?"
"Vuole
andare a Eton." Sherlock guardò John con espressione
stupefatta, senza
riuscire a capire. "Io… gliel'ho chiesto e lui era
fermamente convinto. È
la sola cosa che desideri. La vuole disperatamente. Ha letto tutto
della
scuola. Ha fatto della ricerche. Ha
imparato a memoria il loro dannato
calendario!"
John
entrò nella stanza, si sedette in poltrona e rivolse a
Sherlock un sorrisetto
triste. "Lui è te."
"Tu
sapevi che sarebbe successo. È per questo che continuavi a
lamentarti degli
estratti conto. Sapevi che sarebbe voluto andare."
"Sapevo
che sarebbe voluto andare da qualche parte. Dal punto di vista del
denaro, già
la scuola diurna è cara, ma sospettavo che sarebbe voluto
andare via, e se
avesse deciso di farlo, avrei voluto che andasse in un posto che
pensavo
costituisse una sfida per lui, che lo rendesse felice. Anche tu sei
andato a
Eton, e lui ha sempre voluto essere esattamente come te." L'ironia
della
sorte, naturalmente, era che Oliver era
esattamente come Sherlock, e che questi aveva impiegato molto tempo ed
energie
per assicurarsi che Oliver non divenisse proprio
come lui.
"Io
odiavo Eton."
"Ma
lui non lo sa. E anche se adesso glielo dicessi, non ci crederebbe. Non
crederebbe mai che tu non eri il re di Eton, che non ti sei conquistato
le
simpatie di tutti i ragazzi e non li hai guidati a una qualche sorta di
vittoria."
"Una
vittoria su che? Non ha minimamente senso. E poi, lui mi conosce.
È intelligente. Che cosa mai potrebbe portarlo a pensare
che ero il re di Eton?"
"Perché
sei il suo papà e la persona migliore del mondo, per quanto
gli concerne. Credi
davvero che Oliver ti veda in maniera così chiara,
così logica?"
"Vorrei
piuttosto risparmiargli le cose che detestavo, John."
"Lui
non è te in molti piccoli modi che portano, credo, a molti
grandi modi quando
si tratta di Eton. Tu volevi andare in quella scuola?"
"No?
Sì? Non me lo ricordo neanche più." Sherlock
sembrava confuso e perplesso.
John sapeva che detestava fare errori, specialmente quando si trattava
di
Oliver.
"Se
non gli piace, lo riporteremo a casa. Anche il giorno dopo, se vuole.
Non lo
costringeremmo mai a stare lì e a farsela passare."
Sherlock
pareva scandalizzato. "Certo che no!"
"Comunque,
non importa," disse John dopo una breve pausa. "A meno che tu non
stia pianificando di non dormire per i prossimi, diciamo, dieci anni,
non vedo
come possiamo permettercelo. Anche a vendere tutto quel che abbiamo,
anche se
io ritornassi a lavorare alla clinica a tempo pieno, anche in quel caso
non so
da dove spunterebbe fuori il denaro."
Sherlock,
lo sguardo fisso sul caminetto, rispose: "Mycroft. Gliel'ho
già chiesto e
lui è d'accordo."
***
Sherlock era di
umore migliore dopo il messaggio di
Oliver, e d'umore straordinariamente buono mentre andavano verso la sua
sorpresa. John si mise alla guida e Sherlock, seduto sul sedile del
passeggero,
passò il tempo a tirare a indovinare, sebbene tutti i suoi
tentativi avessero a
che fare col crimine, e John non faceva che ripetere, con affettuosa
esasperazione: "Non c'entra niente
col crimine."
C'entrava,
invece, con lei api. Sherlock se ne
stette a lungo ad occhi spalancati di fronte al museo di apicoltura,
mentre
John si godeva il piacere e lo stupore dipingersi sul suo viso, e poi
corse
dentro a una velocità che si confaceva più a
Oliver che a lui. Sherlock passò
oltre i pannelli d'alveare dipinti per soffermarsi con avido interesse,
invece,
sui reperti che documentavano il percorso storico dell'apicoltura;
rimase poi a
lungo di fronte all'alveare da osservazione vero e proprio, intento a
contemplare il viavai delle api. Se ne stava ancora lì
davanti, completamente
assorbito dalle proprie osservazioni, quando la gentile custode del
museo venne
da loro per informarli che si avvicinava l'orario di chiusura.
Sherlock assunse
per un istante un'aria abbattuta a
quell'annuncio, ma i suoi occhi brillavano di gioia quando
seguì John fuori,
verso la macchina.
"Per quanto
staremo qui?" chiese.
"Possiamo
tornare domani," gli disse John
sorridendo. Si era aspettato quella domanda.
"Come sapevi
di questo posto?"
John gli
lanciò un'occhiata mentre apriva la
macchina. Sherlock lo fissava pieno di meraviglia ed entusiasmo, come
se il
sole sorgesse e tramontasse su di lui, e John gradì assai
quello sguardo.
"Avevo letto qualcosa al riguardo anni fa, e ho pensato
che sarebbe stato
molto utile, un giorno, se avessi avuto bisogno di tirarti su il
morale."
John
salì in
macchina e vide che, quando Sherlock si infilò nel sedile
accanto a lui, il suo
umore era passato da allegro a meditabondo. Rimase tranquillo per tutto
il
viaggio fino all'albergo e John si mangiò mentalmente le
mani per aver
riportato la conversazione su Oliver, seppur in maniera indiretta.
Oliver
telefonò loro quella sera e misero il
cellulare di Sherlock in vivavoce, posandolo sul letto tra loro. Il
ragazzo
chiacchierava entusiasta e, sebbene non avesse che disprezzo per le
facoltà
intellettive di chiunque altro a scuola, l'attrezzatura dei laboratori
scientifici lo rincuorava. La sua voce era il riflesso di se stesso in
quel
momento, felice e allegramente sicuro di sé, e Sherlock,
tutto preso ad
ascoltarlo, sorrideva e pareva più contento, tanto da
interloquire persino con
qualche domanda su quanto Oliver stava dicendo.
Una volta
terminato il suo flusso di notizie, che
aveva proferito senza prendere fiato, Oliver chiese a Sherlock se gli
fosse
piaciuto il museo di apicoltura (nei loro preparativi, John l'aveva
sempre
chiamato "il museo delle api", mentre Oliver aveva sempre utilizzato
la dicitura corretta).
"È
stato molto interessante," disse
Sherlock.
"Non farti
ingannare. Ha passato sei ore a
guardare le api negli alveari," disse John. "E poi ha chiesto se
possiamo tornarci, domani."
"Il babbo non
comprende la genialità
insita nelle api," disse Sherlock a Oliver con
sussiego.
"Sapevo che ti
sarebbe piaciuto," disse
Oliver in un tono di disinvolta soddisfazione di sé. "L'ho
detto al babbo
che ti sarebbe piaciuto. Hai preso appunti?"
"No, il babbo
non mi ha detto dove saremmo
andati, quindi non mi sono portato dietro dei fogli."
"Non ti sei
portato dietro dei fogli? Avresti
dovuto semplicemente pensarci su,"
si lamentò Oliver.
"Me ne
porterò dietro un po' domani e prenderò
molti appunti," promise Sherlock.
"Bene.
Convincerò chi di dovere qui a far
installare un alveare. Zio Mycroft dice che dovrei imparare a farmi un
nome,
quindi inizierò da quello."
"Oddio,"
mormorò Sherlock.
"Per favore,
comportati bene!" disse John,
pensando che fosse una raccomandazione inutile.
"Lo
chiederò gentilmente,"
disse Oliver. "Zio Mycroft mi ha insegnato
come si fa."
"D'ora in poi tu
non passerai più neanche un
minuto con tuo zio Mycroft, assolutamente no," disse Sherlock severo.
"Quando tornate
a casa?" chiese Oliver,
fingendo di non sentirlo.
"Dopodomani,"
rispose John.
"Verrete a
trovarmi questo finesettimana? Hanno
detto che i genitori possono, e vorrei farvi vedere dove penso che
debba andare
l'alveare. E i laboratori scientifici. E la mia stanza. L'ho sistemata
in
maniera fantastica, aspettate e
vedrete!"
John poteva ben
immaginare il casino che Oliver
aveva già seminato in camera.
Prima che John
potesse dire alcunché, Sherlock
disse: "Certo che verremo questo finesettimana."
"Ottimo. Vi
chiamerò domani sera. Magari prima,
se le lezioni sono di nuovo mortalmente noiose."
"Non telefonare
alla gente quando dovresti
essere in classe, Oliver," disse John.
"Chiama quando
vuoi," disse Sherlock con
noncuranza.
John scosse la
testa sospirando e si rivolse al
telefono: "Ti vogliamo bene, ci manchi."
"Ti porteremo in
Slovenia per le prossime
vacanze," aggiunse Sherlock.
"Forte," disse
Oliver, contento. "Vi
voglio bene anch'io. Ciao!"
E con questo
attaccò.
John avrebbe
voluto chiedere a Sherlock se stesse
meglio ora che aveva sentito che Oliver stava bene, ma poi
pensò che, forse,
ora che l'aveva sentito dalla sua bocca, fosse ancora peggio.
Spostò il
cellulare di Sherlock sul comodino e si girò su un fianco
per guardarlo.
Sherlock fece
altrettanto per poterlo guardare
dritto negli occhi, poi disse: "Tu sapevi che questo momento sarebbe
arrivato. Avevi letto di un museo di apicoltura anni fa e hai messo da
parte l'idea
per il viaggio che avresti organizzato per me quando Oliver fosse
andato via
per la scuola."
"Sarebbe
comunque arrivato un giorno in cui se
ne sarebbe andato, Sherlock. Non avremmo fatto le cose a dovere, con
lui,
altrimenti."
"Non me
l'aspettavo. Mi ha completamente preso
alla sprovvista. E guardati, così…
così… rilassato,
all'idea, quasi che non l'avessimo appena lasciato da solo in mezzo a
una
foresta, a badare a se stesso."
John
accennò un sorrisetto. "È un po' meglio di
così."
"Ma come fai a
farlo?" chiese Sherlock,
stupito.
John lo
guardò e disse con sincerità: "Ho fatto
molta pratica. Perché lui è te. Lui
è… esattamente
come te. So che è giusto che lo sia, so che lo
è, ma dimentico che tu non
ti vedi in maniera così nitida da comprendere quanto
incredibilmente… Tu vuoi berti
tutto il mondo in un solo, gigantesco sorso, e lui è proprio
come te. Non ci
sarà mai abbastanza tempo per lui di vedere tutto
ciò che vuole vedere, di fare
tutto ciò che vuol fare. Tu pensi che il mondo sia
mortalmente noioso, ma in
realtà non potresti farne a meno, è per questo
che sei così turbato quando ti
delude. Ho avuto così tanti anni per fare pratica, anni
passati a vedere l'uomo
che più amavo al mondo buttarsi a capofitto nelle cose e
divertirsi un sacco a
farne di pazze e ridicole, sorridendo quando stavo al passo con lui. Mi
chiedi
come faccia a farlo con Oliver? Perché ho fatto pratica per
anni con te."
Lungo momento di
silenzio.
John non si
aspettava che Sherlock rispondesse - non
era sicuro che sapesse come fare -, quindi disse: "Ritorneremo al museo
domani e-"
"Grazie," lo
interruppe Sherlock. John tacque
e lo guardò, sorpreso. "Per tutto. Per me e per lui.
Davvero.
Grazie."
E Sherlock lo
diceva così di rado, e così di rado
con tanto significato dietro, che
John rimase lì a bocca aperta, senza riuscire a trovare una
risposta. Un po'
goffamente, disse: "Prego."
Sherlock gli
sorrise radioso, come se quella fosse proprio
la risposta che si aspettava, e disse: "Credi che Mycroft passi troppo
tempo con Oliver?"
E, dopo qualche
istante, John rise.