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Autore: HermClary    13/07/2014    4 recensioni
"[...] desiderava unicamente il sonno e sapere che non l’avrebbe sognata, perché il pensier di lei, che spariva tra le sue mani, lo logorava. E respirava a fatica, quasi non ci riusciva. Clary, la sua Clary, penetrava i suoi pensieri come se fosse stata sempre parte di essi."
La one shot è ambientata ai tempi di The Mortal Instruments - The City of Fallen Angels ed auspico che sia di vostro gradimento. :)
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    Hai pensato bene di disgregare te stesso.                                                        

Jace se ne stava lì, rannicchiato tra i cuscini neri e bianchi. Il luogo in cui si trovava era un mistero anche per lui. Non gli interessava, desiderava unicamente il sonno e sapere che non l’avrebbe sognata, perché il pensier di lei, che spariva tra le sue mani, lo logorava. E respirava a fatica, quasi non ci riusciva. Clary, la sua Clary, penetrava i suoi pensieri come se fosse stata sempre parte di essi. Non trascorreva giorno che non la pensasse, notte che non la sognasse e perderla, ormai, significa davvero troppo. Si portò la coperta alle labbra, in modo da lasciare che il naso fosse libero e potesse offrirgli una respirazione migliore. Azione vana, d’altronde. Il suo tormento non aveva nulla a che vedere con quel che accadeva all’esterno. Non era nulla che avrebbe potuto controllare, gestire come meglio credeva. Una luce balenò nella lugubre stanza e si chiese cos’altro l’Angelo pretendesse da lui… stava forse mettendo alla prova la sua pazienza? Jace non era mai stato incline alla sopportazione, bensì alle missioni suicide, che apparivano provocargli grande eccitamento. Quanto ci si potesse concitare dinanzi alla morte, ahimè, non l’ho mai compreso. Sfidava, sorrideva, esortava l’oblio, probabilmente la sua unica fonte di piacere e di evacuazione. Quel ragazzo aveva fascino, ma non quanto il suo antenato, si disse l’uomo avvolto dalle ombre. Jace fu in procinto di alzarsi e massacrare quello che pensava fosse un demone, sino a quando quest’ultimo si rivelò, allontanandosi dal pomello della porta.

« Ma chi diavolo… Magnus? » chiese, tentando di occultare la sua incredulità.

Lo stregone fece un lieve cenno col capo e si guardò attorno, rilevando col suo sguardo l’impudico stato in cui erano tenuti i libri, seppur dubitasse che fossero suoi. Jace non avrebbe mai letto “Come divenire un’ottima casalinga” o “L’amore ha il sapore di fragole”, ma non poteva in egual misura accettare che fossero stati ordinati con tanta negligenza. Riuscì a sorvolarci, solo dopo aver sfoggiato le sue scarpe a forma d'anatra, provocando in Jace spavento ed orrore. Appariva sul serio intimorito da loro, ma si persuase che stesse solo scherzando, finché la sua convinzione cessò quando Jace gridò: « Dannate anatre! » e in quel momento non potette far altro che rimpiangere i tempi in cui le anatre non erano inveite da Shadowhunters scontrosi e avvenenti. Avendo degli infradito a sua disposizione, scelse di denudarsi delle sue carine e simpatiche scarpe, seppur le adorasse. Guardando Jace con quell’aria irriverente, si chiese perché mai ci tenesse tanto. Era il Parabatai del suo ragazzo, ma per lui le convenzioni degli Shadowhunters non erano importanti, e poi, Alec non sapeva neanche che fosse lì. E allora… quale motivo l’aveva spinto a lasciarlo a Parigi, mentre dormiva e a correre dietro al suo migliore amico, a suo fratello? Rivedeva in lui l’anima tormentata di Will, ma non era sicuro che potesse amare come Will…

« Non dovresti portare ai piedi quelle anatre cannibali; tutti sanno che sono pericolose. »  si lamentò  Jace, riuscendo a rianimare il suo volto cereo.

« Dimenticavo quanto poco fossi avvezzo al pericolo. » ironizzò Bane, suscitando in Jace un assetato e consueto desiderio di controbattere. In altre occasioni avrebbe dato libero sfogo al suo sarcasmo, ma malgrado la battuta di Magnus avesse alimentato la voglia di compierlo, lo represse. Con un ghigno annoiato, scelse di stendersi sul materasso duro e sottile. Era una tortura per la sua schiena, ma data la prostrazione che albergava in lui, anche un tavolo avrebbe potuto soddisfare i suoi bisogni. La stanza era talmente tetra da poter fare invidia ad una prigione della Città Silente, ma era presente Magnus ad illuminarla coi suoi glitter. E lui non era uno sciocco, aveva vissuto abbastanza da comprendere che Jace non stava bene. Herondale, Lightwood o come aveva deciso di chiamarsi, non aveva voglia di irriderlo, di vantarsi, di farsi beffe di qualsiasi altro essere animato e non che non fosse lui ed aveva una cera orrenda. Lo stregone si domandò perché mai dovesse farsi carico di tutti i problemi degli Shadowhunters, ma ne trasse che avrebbe dovuto smetterla di porgersi domande alle quali neanche l’eternità avrebbe dato risposta.

« Dimmi… dov’è Clary? » chiese Magnus e al che Jace si portò un cuscino all’orecchio. Non voleva ascoltarlo, ma non riusciva nemmeno ad illudersi che così avrebbe fatto desistere lo stregone.

« Ergo è lei la causa della tua angoscia. Ma perché il più grande problema degli Herondale è sempre l’amore? » si chiese ad alta voce, provocando finalmente Jace.

« Se per problema d’amore intendi “sognare di uccidere la persona a cui tieni di più”, sì, ho un problema e sono un pericolo pubblico. » sbottò il ragazzo, i cui occhi color ambra balenavano nell’oscurità.

« Suppongo che ti sia tenuto alla larga da lei, dato che a quest’ora avresti dovuto trovarti all’Istituto e non qui, in codesto tugurio. » commentò Magnus, roteando gli occhi tirati. Più guardava quel luogo e più gli provocava ribrezzo, indi per cui scelse di rivolgere la sua completa attenzione a Jace che, seppur –a parer suo- non fosse bello quanto Alec, era un bel vedere. E un bel vedere, per Magnus, era motivo di grande contemplazione artistica. Alec, ad esempio, era uno dei più bei ragazzi che Magnus avesse mai visto: alto, dal fisico atletico e il miglior abbinamento possibile di occhi e capelli: iridi cerulee e chioma corvina. Non era quello il momento di pensare ad Alec, ma forse un pochino avrebbe dovuto, visto che il giorno dopo si sarebbe svegliato senza di lui…

« No, Clary non vive all’Istituto. La madre si preoccupa che possa restare sola con me di notte e mi preoccuperei anch’io, al suo posto. Che mi odi, questo è certo e non che me ne vanti, ma tutte le persone sane di mente mi odiano.  » confessò, in modo così malinconico che Magnus avrebbe preferito rivedere Camille.

« Sua madre non ti odia, Jace. Magari non le piaci, ma quale fidanzato piace ai genitori dell’altro? » domandò retoricamente Bane, schiaffandosi una mano sul volto e si chiese mentalmente, ancora una volta, cosa ci facesse in quell’abituro.

« E comunque… se Clary non vive all’Istituto, perché sei qui? » fece Magnus, costringendosi a non guardare la pila di libri sparsi per terra e quelli ordinati alla bell’e meglio.

« Te l’ho detto: sono un pericolo pubblico e non voglio scalfire chi amo. Amare significa distruggere ed essere amati significa essere distrutti. » recitò Jace, più fermo che mai sulla sua decisione.

« Ed ergo, saggiamente, hai pensato bene di disgregare te stesso. Non è così? Pensi che lei non soffra quando la tua anima si lacera, quando il tuo spirito si corrode? Non credi che lei sappia, in cuor suo, che sei tu ad infliggerti il male che provi? E no, non esordire col dire che vuoi proteggerla, perché sei solo un egoista. Se avessi pensato veramente a lei, anche un solo momento, sapresti che i tuoi sogni non sono che l’ultimo pensiero della notte e che quello del giorno, quello che lascia respirare il suo animo, sei tu  e sa che non le potresti mai recar danno. Jace, quante possibilità ci sono che tu le faccia del male? Il sol pensiero ti lascia privo di vita e, allora, come puoi pensare che ne saresti capace? » era Magnus a parlare, a lasciar fluire come l’acqua tutti i pensieri tersi e genuini che aveva nutrito sino ad allora per loro, che in un modo o nell’altro, partecipavano alla sua vita. Non si pentiva di averlo rimproverato, sapeva che sarebbe stato l’unico modo per farlo rinsavire.

« Buonanotte. » sibilò Jace, non dando parvenza che ci fosse altro da dire. Magnus non pensò che le sue proposizione fossero state gettate al vento, era risoluto che il ragazzo l’avesse compreso e che simulasse solo di dormire per non rispondere. Jace, difatti, prediligeva il silenzio al convenire con l’altrui, motivo per il quale continuò a pensare a Clary, al fatto che l’avesse sempre compiuto, ma che non si fosse mai curato di ciò che pensava lei. Rivolse un pensiero anche a Magnus, il quale si era addormentato seduto su una sedia e con la testa appoggiata alla spalla. Sembrava un gattino e –poverino!- solo l’Angelo sapeva come avrebbe spiegato ad Alec la sua assenza e -non per cortesia, né per ospitalità- Jace si alzò e lo distese sul letto, addormentandosi poco dopo sulla sedia.

 

   
 
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