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Autore: supersara    13/07/2014    2 recensioni
[Quinta classificata al contest "Blackout Slash Contest - Chiusi nell'ascensore" indetto da PurpleMally]
Un litigio fra due ragazzi innamorati :) slash
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Chi cazzo è questa “Katia”? Vi siete incontrati? Ci hai fatto sesso?- la voce rabbiosa di Riky riecheggiò per tutto lo studio, sollevando non poca curiosità fra i pazienti.

Leonard si passò la mano fra i capelli esasperato. Non era la prima volta che succedeva, ma dall’ultima scenata erano passati mesi, pensava quasi che gli fosse passata del tutto. Invece lui non cambiava mai, era sempre il solito ragazzino viziato.

Riky Ollisan. Lo aveva conosciuto cinque anni prima. Non aveva ancora vent’anni ed era un giovane complessato ed etichettato dalla società come un soggetto da evitare. Un ragazzo omosessuale cresciuto in una famiglia di quelle che vengono definite “vecchio stampo”, quindi si può immaginare la situazione. Rissoso e poco socievole, non aveva amici e spesso si ritrovava coinvolto in situazioni spiacevoli.

Era un ragazzo dal fisico atletico, non molto alto, dai capelli e gli occhi castani e la carnagione olivastra. Un bel tipetto.

Dopo aver mandato un suo ex compagno di liceo in ospedale, era stato obbligato a sottoporsi ad una terapia psichiatrica.

E qui era entrato in gioco lui, Leonard Myer. Si era laureato da appena un anno quando gli fu affidato Riky come paziente, ma nonostante la giovane età, era già un medico affermato, sia per merito che per lo studio di famiglia. Leonard aveva un fisico che poteva definirsi statuario, molto alto. I capelli erano neri e gli occhi scuri, sembrava uscito da una pubblicità di Dolce e Gabbana.

Doveva occuparsi di quel ragazzo soltanto per “beneficenza”, ma si sa, l’amore colpisce quando meno te lo aspetti. Così, dopo circa un anno di “terapia e coccole”, si erano ritrovati a vivere insieme.

Riky era sempre stato geloso, morboso fino all’inverosimile. Leonard, dal canto suo, sapeva come comportarsi con lui, in ogni situazione. A lungo andare il loro rapporto era migliorato, si amavano, e su questo era inutile sindacare.

Tuttavia, un lavoro come quello di Leonard poteva comportare dei rischi, come pazienti disperati che chiamano alle quattro di notte per dire: “mi viene da piangere”.

Era questo che Riky non sopportava, si fidava del suo compagno, ma era geloso di quella sua posizione di pilastro a cui appigliarsi, non poteva sopportare che lui fosse la spalla su cui piangere o l’uomo con cui confidarsi, di qualcun altro. Lo era stato per lui in un momento difficile, e si ricordava bene di come si fosse sentito ad avere qualcuno accanto. Perché doveva essere la stessa cosa anche per gli altri?

Leonard aveva cercato più volte di insegnargli la differenza fra lavoro e vita privata, ma la verità era che Riky non voleva capire, perché semplicemente gli faceva comodo così. Aveva bisogno di attirare l’attenzione, per lui era come se il tempo che Leonard dedicava altri gli venisse sottratto.

-È una mia paziente, te l’ho già detto- ripeté per l’ennesima volta.

-Certo, e tu ti diverti a portarti a letto le pazienti!- aveva urlato quell’ultima frase, e Leonard sapeva che il suo intento era quello di far scappare tutti. Si alzò dalla sedia e si avvicinò al ragazzo, che indietreggiò istintivamente.

Si guardarono negli occhi per qualche secondo, era una procedura che Leonard adottava spesso con lui, perché si sa, quello che è in torto abbassa lo sguardo per primo. E come al solito, fu Riky ad abbassarlo.

-Vai a casa- concluse il medico.

Il ragazzo tirò un calcio alla poltrona che aveva vicino e gridò: -Non ci torno più! Vaffanculo Leonard!-

E detto questo scappò fuori dalla stanza, sbattendo forte la porta alle sue spalle. Attraversò la sala d’attesa, dove tutti lo guardavano come una bestia rara ed uscì.

Il compagno si era di nuovo seduto, poggiando i gomiti alla scrivania e sostenendosi la testa con la mani. Era proprio un caso disperato.

Lucas, il fratello più giovane di Leonard, entrò nello studio quasi subito.

-Che gli è preso stavolta?- chiese.

-Lasciamo stare!-

-Raggiungilo prima che scappi in Tibet!- dopo quella frase il più grande lo guardò con fare interrogativo.

-Era un po’ di tempo che parlava dei monaci shaolin, vai a capire che gli dice la testa! Magari tenta un ritiro spirituale! Vai, qui ci penso io!-

Leonard sbuffò, il suo lato professionale gli diceva di lasciarlo stare, mentre il suo lato umano gli urlava di andare a riprenderselo. Alla fine vinse il secondo.

Mentre usciva dallo studio pensò che probabilmente era nel parcheggio a prendergli a calci la macchina oppure a piangere su un marciapiede.

Beh, per quanto riguarda il piangere ci aveva azzeccato, perché aveva gli occhi lucidi, ma era rimasto addirittura fuori dalla porta. Si asciugò immediatamente le lacrime, sperando che non lo avesse visto, poi entrò nell’ascensore, che per sua fortuna era fermo a quel piano. La porta stava per chiudersi, ma Leonard prontamente la fermò ed entrò dentro.

Erano al sesto piano e dovevano scendere. Riky non prendeva quasi mai l’ascensore, perché oltre ai suoi mille complessi, soffriva anche di claustrofobia. Lo aveva fatto soltanto perché sperava che il compagno non lo raggiungesse. L’ufficio di Leonard era in un palazzo di lusso, quindi quell’ascensore era bello grande, con le pareti color pesco ed un grande specchio frontale. Profumava anche di lavanda.

-Avevi così tanta fretta da rinunciare alle scale- commentò Leonard.

-Sono cazzi miei- rispose Riky appoggiandosi all’angolo con le braccia incrociate.

Ad un tratto le luci si spensero e l’ascensore si bloccò. Il più giovane lanciò un urlo involontario. Pochi secondi dopo la luce tornò, ma l’ascensore era ancora fermo.

I due si guardarono negli occhi, uno per cercare una soluzione, l’altro per assicurarsi di evitare un inizio di attacco di panico.

Leonard suonò il campanello di emergenza mentre Riky cominciò a gridare cose come “qualcuno mi sente?” o “c’è qualcuno?”. Alla fine arrivarono delle voci da fuori, e fra le tante riconobbero quella di Lucas.

-Ho chiamato un tecnico! Arriverà fra poco!-

Intanto Riky si era seduto a terra mormorando con rabbia -che giornata di merda!-

-Stai facendo tutto da solo. Calmati un attimo- il tono di Leonard era diventato “professionale”, e Riky odiava sentirsi psicoanalizzato da lui, specialmente quando litigavano.

La vece di Lucas arrivò come una pugnalata al cuore del ragazzo: -Ci vorrà un po’! È impegnato in altri palazzi!-

Leonard osservava il compagno, che sembrava essersi innervosito.

-Stai bene?- chiese.

-…Si- fece l’altro prendendo un pacchetto di sigarette dalle tasche. Ovviamente era vietato accenderle in ascensore, ma quello era il più grande vizio di Riky, e specialmente in momenti di stress, Leonard evitava di dirgli di non fumare.

Quando aprì il pacchetto, il moro notò che era rimasta solo una sigaretta. Le mani del ragazzo cominciarono a tremare.

-Cazzo- mormorò con voce quasi spaventata.

-Riky, basta e avanza, non staremo qui tutta la sera- lo rassicurò Leonard.

-Ho l’accendino in macchina- l’ultima frase l’aveva detta quasi piangendo.

Il compagno gli si accuccio davanti, prendendogli il mento con le mani. Il respiro di Riky si faceva sempre più affannato.

-Respira lentamente. Non puoi già essere in crisi d’astinenza- quel tono freddo lo faceva innervosire ancora di più.

-Ti odio quando fai così- disse mentre le lacrime cominciavano a scendergli inesorabilmente.

Leonard si addolcì e gli sorrise. Poi gli mise una mano dietro le spalle e gli fece portare la testa fra le gambe mentre gli massaggiava la schiena. Era una procedura per farlo respirare regolarmente.

-Io invece ti amo- ammise senza smettere di massaggiarlo.

Riky sembrò rilassarsi. Dopo un paio di minuti aveva ripreso colore.

-Va meglio?-

-…Mi ami davvero?-

-Ma serve che te lo dica dopo quattro anni?-

Il ragazzo annuì testardo.

-Certo che ti amo-

Dieci minuti dopo l’ascensore si aprì.
  
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