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Autore: Allegra_    13/07/2014    7 recensioni
Manhattan, New York.
Lucinda Price è tutt’altro che una semplice diciassettenne in cerca del vero amore: lei è una vera e propria barbie programmata per aspirare sempre e comunque alla perfezione
La sua vita procede tranquilla e monotona tra premi di concorsi di bellezza, lodi scolastiche per il suo andamento, una famiglia più che ricca, un gruppo di amici alquanto popolare in tutta la città, il ragazzo dei suoi sogni e gli ideali principeschi a cui aspira perennemente.
Ma la sua routine subirà un vero e proprio sconvolgimento quando, a causa di una banalissimo progetto di letteratura, verrà a conoscenza dell’esistenza nella sua stessa classe dell’individuo più diverso da lei presente nel mondo.
Christopher Anderson è la reincarnazione del mistero.
Se ne sta sempre in disparte, non parla quasi mai con nessuno, vive in una famiglia che sembra non appartenergli per nulla, in quanto sprizza energia e vitalità da tutti i pori, mentre lui sembra quanto di più spento possa esserci.
Ma che cosa succede quando luce e buio si fondono?
Uno scoppio.
Oppure una meravigliosa storia d’amore.
Leggete per scoprirlo
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Mi rendo conto di essere assolutamente imperdonabile.
L’ultimo aggiornamento della storia risale a Dicembre e avevo promesso che ci sarebbero stati al più presto dei nuovi capitoli, invece ho lasciato perdere tutto e ho aspettato Luglio per aggiornare nuovamente questa storia.
Vi dirò che in questi mesi me ne sono successe veramente veramente tante, del tipo che ho concluso il primo anno di liceo, ho sostenuto l’esame per un certificato Cambridge, ho vissuto la mia prima vera storia d’amore, sono stata male, ho fatto nuove amicizie, ne ho perse alcune..insomma, la mia vita è esattamente come quella di ognuna di voi e quella di qualsiasi adolescente, se non per un piccolo dettaglio.
Un paio di giorni fa, rientrando nel sito dopo tanto tempo, ho deciso di visualizzare le persone che seguivano questa storia.
Ne siete in 124, un numero che non ho mai raggiunto prima d’ora, e mi sono sentita in dovere, almeno per voi, di continuare a scrivere questa storia.
Così ho preso coraggio e le parole mi sono uscite da sé.
So di essere ancora un po’ arrugginita e che questo capitolo non è granchè, ma prendetelo come un piccolo assaggio dell’impegno che d’ora in poi impiegherò per portare a termine questa storia.
Detto questo, volevo dedicare questo capitolo a tutti voi e ringraziarvi dal profondo del cuore per essere riusciti – ancora una volta – ad essere la mia forza.
Spero continuerete a seguirmi, grazie in anticipo.

 
 
Piccolo Riassunto (giusto per ricordarci che cosa stiamo leggendo):

Luinda Price è da considerarsi la principessa della Liberty High School di Manhattan e non solo: è una leader nata, capitano delle cheerleader, barbie in carne e lucidalabbra, diva per eccellenza.
Possiede una miriade di seguaci, ma le uniche persone che per lei contano davvero qualcosa sono davvero poche.
I suoi migliori amici sono infatti: Amanda, la sua fotocopia mora; Samantha, che tutti ricordiamo per le sue battute fuori luogo e il suo atteggiamento da maschiaccio; Charlotte, la bellissima ragazza che ha sofferto di anoressia apparentemente senza motivo; Danielle, che è dolce e timida; Mike, fratello maggiore di Amy, simpatico e bambinone ed Harry, dongiovanni spiritoso.
Poi c’è Jazmin, la sua cameriera che l’ha praticamente cresciuta, visti i rapporti quasi inesistenti che Luce ha con i suoi genitori; e infine Mattew, il suo perfetto fidanzato.
La vita di Luce subisce però un radicale cambiamento nel momento in cui Christopher Anderson, fratello di Dan, Charlie ed Harry, entra nella sua vita.
Chris è tutto ciò che Luce non riesce ad essere, ma più che altro è assolutamente lunatico e sembra detestarla.
La ragazza però avverte in sé fortissimo il desiderio di conoscerlo e, grazie ad un progetto di letteratura che devono eseguire insieme, sembra averne l’opportunità.
Tra battute di scherno e abbracci improvvisi arriviamo alla sera del compleanno di Luce, dove Chris – lontano da tutto e tutti – la bacia dolcemente, allontanandosi poi inspiegabilmente da lei per un paio di giorni.
Un pomeriggio poi, mentre i due stanno lavorando al progetto, un litigio porta Christopher a lasciare casa Price e Luce a seguirlo fino alla periferia di Brooklyn, dove vedrà il ragazzo entrare nel carcere della zona.
Detto questo, buona lettura a tutti voi ;)


 
Capitolo 13 : Tu Non Cambierai Mai
 
Se la mia vita fosse stata un cartone probabilmente in quel momento a Chris sarebbero usciti nuvoloni di fumo nero dalle orecchie e dal naso, mentre i suoi occhi sarebbero diventati color rosso fuoco, accecati dalla rabbia.
E probabilmente io sarei stata disegnata come un palloncino, gonfia di orgoglio e di curiosità, ma in realtà resa piccola ed insignificante da quella sua aria così dura.
Forse avevo sbagliato a seguirlo fin lì, ma ora che c’ero era inutile tormentarmi e tanto valeva arrivare fino in fondo alla faccenda.
<< Sto aspettando >> mormorai battendo spasmodicamente il piede contro il pavimento sconnesso al di fuori del carcere.
Poco più in la il taxi mi aspettava, ben serrato e con i finestrini chiusi per evitare di avere nulla a che fare con quell’ambiente tetro e spaventoso.
<< Vattene >>
E non disse altro.
Si limitò a guardarmi con sguardo furioso, tentando palesemente di contenersi.
Ma io non ero fatta per scappare dalle cose e dalle persone di cui mi importava.
<< No >> mi imputai << Prima dimmi che cosa ci fai qui >>
<< Ti ho detto di andare via >> digrignò tra i denti.
<< Ed io ti ho detto che non lo farò prima di ricevere una risposta >> ribattei decisa.
Chris mi guardò allora con la stessa aria che si usa d’estate per fissare una mosca appoggiata sul tavolo di un pic-nic: come se fossi indubbiamente fuori luogo e totalmente inutile.
Ma non mi sentivo affatto così.
Se io, Lucinda Price, persona più mentalmente limitata al quartiere di Manhattan dell’intera popolazione di New York, gli ero andata dietro fino alla più squallida periferia di Brooklyn, era per tutt’altro che curiosità.
Era per amore.
Era per qualcosa che in quel momento non riuscivo a spiegare neppure a me stessa.
Come se avessi avuto il presentimento che il luogo in cui stava per recarsi mi avrebbe fatto scoprire qualcosa in più su quel ragazzo che tanto nascondeva al mondo la sua vera essenza.
E quindi non aveva il diritto di trattarmi in quel modo, come se fossi l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Anche perché dopotutto, nonostante tentasse perennemente di nasconderlo, si percepiva dal suo sguardo che mi voleva almeno un po’ del bene che io stavo scoprendo di provare per lui.
<< Non hai motivo di essere qui, né di chiedermi alcuna spiegazione >> scandì freddo parola per parola << Quindi vattene, Lucinda >>
Sentir pronunciare il mio nome per intero e con quel tono mi fece per un secondo rabbrividire, mentre prendevo coscienza di ciò che aveva appena detto.
Io non avevo motivi per stare lì e avere spiegazioni?
E che motivi aveva invece lui per rispondermi in quel modo?
<< Non ti rendi conto che se sono qui è perché mi importa di te? >> buttai giù con tanta sincerità quanta con lui non ne avevo mai avuta, sperando vivamente che servisse a qualcosa.
Ma fu del tutto inutile, anzi peggio.
<< E tu non ti rendi conto del fatto che io non voglio che t’importi di me? >> strillò lui in risposta.
Lo guardai stranita, cercando nei suoi occhi almeno un po’ della dolcezza che vi avevo visto quella famosa sera, alla festa del mio compleanno.
<< Chiamiamola indifferenza, anzi meglio, intolleranza. >> mi guardò freddamente negli occhi << Ti sono intollerante, Lucinda >>
Un fortissimo scoppio mi rimbombò nel petto.
Ma non era una bomba né nulla del genere.
Si trattava semplicemente del mio cuore e, si aggiungiamolo, del mio orgoglio andato in frantumi.
Deglutii più e più volte cercando a vuoto di ragionare su ciò che avevo appena ascoltato, mentre sentivo le gambe reggermi sempre meno.
<< E adesso vattene >> decretò con voce sicura e tagliente.
Com’era possibile che non ci fosse nemmeno la minima inclinazione nel suo tono?
Come poteva dirmi quelle cose senza provare nemmeno un briciolo di tristezza o, per quanto mi costasse pensarlo, pena?
Con un gesto tutto meno che involontario sollevai a mezz’aria il braccio e lo colpii con la mano destra, lasciandogli ben visibili sulla guancia i contorni delle mie dita.
Chris si portò la mano sulla pelle arrossata guardandomi duro e vergognandosi per aver subito quel mio gesto.
Ma il suo era soltanto un briciolo dell’umiliazione che provavo io in quel momento.
Non poteva nemmeno immaginare quanto mi sentissi stupida e presa in giro.
E neppure voi che state leggendo adesso potete.
Nessuno poteva saperlo.
Perché forse, in fondo, neppure io lo sapevo poi così bene.
 
***
 
Destra, sinistra, destra, sinistra.
Perché tutt’ad un tratto camminare era diventata una cosa così difficile?
Perché anche solo respirare sembrava farmi male?
Le vie del centro venivano completamente inondate dall’acqua piovana, mentre le mie gote ricevevano lo stesso trattamento a causa delle lacrime.
Odiavo piangere, odiavo sentirmi così debole e ferita; ma più di ogni cosa odiavo lui.
E no, non ce l’avevo per ciò che mi aveva urlato contro – non da starci così male almeno – ma perché, nonostante quel comportamento da lunatico e menefreghista, Chris mi era entrato dentro più di quanto chiunque avesse mai fatto fino ad allora.
Nessuno riusciva a capirmi come lui che, per quanto cercassi di nascondergli la vera me, mi aveva conosciuta e mi aveva spogliata di qualsiasi maschera.
Nessuno poteva giocare ad allontanarsi e a riavvicinarsi come lui che, sebbene non ne potessi più di quello strazio, alla fine riaccoglievo sempre tra le mie braccia.
Nessuno riusciva a ferirmi in quel modo e forse era proprio questa la cosa peggiore.
Christopher non solo era in grado di darmi vita, ma anche di uccidermi con delle semplici parole.
Da quando ero diventata così debole?
<< Signorina, stia più attenta! >> mi urlò contro un uomo che dovevo aver urtato per sbaglio, troppo presa dai miei pensieri e dalle mie emozioni.
Un brivido mi percorse la schiena.
Faceva dannatamente freddo e non avevo nulla a coprirmi se non i miei abiti completamente inzuppati di pioggia e così aderenti da far male.
L’inverno si faceva sentire pungente e sadico, proprio come quella dannata sensazione di ripetuti colpi scagliati contro il cuore.
Non ne potevo più di sentirmi così piccola, dipendente da un ragazzo, in sua balia.
Dovevo riprendere in mano la mia vita.
E dovevo cominciare subito.
Sospirai.
Non era semplice, non lo era mai stato, ma Lucinda Price non era il tipo di persona da arrendersi, non era il tipo di persona da considerare qualcosa impossibile.
Lucinda Price otteneva sempre ciò che voleva.
Lucinda Price avrebbe abbattuto un muro con la sola forza del pensiero: perché era forte, tenace, e soprattutto perché sapeva bene di cosa era capace.
Ma ero davvero sicura di essere ancora io Lucinda Price?
Potevo essere io quella ragazza che correva sotto la pioggia scrosciante, gli abiti bagnati, le scarpe con il tacco a spillo rovinate e il trucco completamente sciolto?
Potevo essere io quella ragazza che piangeva?
Ero davvero in grado di piangere, di innamorarmi, di star male per un ragazzo?
Per Matt non avevo mai neppure fatto una smorfia, mentre per Chris ero disperata e stavo arrivando addirittura a mettere in discussione me stessa.
Ma forse una spiegazione a quell’assurdità esisteva.
Forse sarebbe stata necessaria soltanto una parola per mettere fine a quei dannati dubbi e fare ordine in quel casino che era diventata la mia vita.
Ma non riuscivo a credere di essere pronta per affrontare quella parola: una delle mie paure più grandi, la peggiore forse.
Amore.
Rimbombava nella mia testa come un inno al suicidio, come se potesse allo stesso tempo farmi bene e male, uccidermi e farmi rinascere dalle mie ceneri.
Come una fenice.
Come poteva fare soltanto una persona.
Chris.
 
                                                                                        ***
 
Un uomo sulla cinquantina spalancò il portone di scatto guardandomi ferma lì davanti, tremante per il freddo e con lo sguardo implorante.
<< Signorina, prenderà una bronchite così! >> mi disse preoccupato prendendomi per un braccio e trascinandomi all’interno dell’immenso grattacielo.
<< Abita qui? >> mi domandò poi, guardandomi mentre mi avvicinavo all’ascensore.
<< No >> risposi secca << Sono venuta a trovare una persona >>
L’uomo mi squadrò da capo a piedi sorridendo appena.
<< Deve essere molto impaziente di vedere questa persona, deduco >>
Mi sforzai di sorridere, ma l’unica cosa che riuscii a mostrargli fu una tirata ed innaturale smorfia.
Per fortuna l’ascensore arrivò proprio in quel momento, salvandomi da ulteriori domande e curiosità del mio interlocutore.
Lo salutai con un cenno del capo premendo poi il bottone con su inciso in oro l’enorme numero 25.
Aggiustai come potevo i capelli nello specchio, tentai inutilmente di nascondere il trucco colato con un po’ di correttore e constatai amaramente che per i vestiti e le scarpe non avrei potuto fare assolutamente nulla.
Pregai mentalmente che non fosse la signora Dawson a venirmi ad aprire la porta, altrimenti non avrei davvero sopportato l’umiliazione.
Dopotutto, nonostante qualcosa possa essere l’ultima delle tue preoccupazioni, è comunque nella lista.
Il tintinnio metallico mi indicò che era arrivato il momento di scendere, così camminai fino alla terza porta sulla destra, premendo il campanello con poca energia.
Tempo di un secondo e una versione più realistica di Ken mi si presentò davanti in tutta la sua compostezza e il suo splendore.
Mattew indossava un pantalone scuro e una camicia scozzese: abbigliamento decisamente insolito per una persona che sta passando una semplice giornata di pioggia in casa.
Ma del resto io e lui ci somigliavamo molto più di quanto in quel momento mi rifiutassi di ammettere.
<< Amore! >> esclamò scioccato << Che ti è successo? >>
<< Ho corso sotto la pioggia >> mi affrettai a rispondere.
Matt mi guardò stranito, inclinando il capo con fare allibito.
<< Sei forse impazzita? >>
<< Avevo bisogno di parlarti e subito >> esclamai decisa << Non volevo e non voglio perdere altro tempo >>
Mi fece cenno di entrare in casa, ma subito scossi la testa.
Non avrei retto un altro contatto con il suo mondo perfetto a cui sentivo ormai di non voler più appartenere.
Ma era anche il tuo, Luce.
Beh, a quello avrei pensato in seguito.
<< Non vorrei prendessi una bronchite >> mormorò stranito.
<< Non te n’è mai importato, a meno che non capitasse durante un evento mondano >> gli sputai contro << Quindi smettiamola di fingere, almeno per una volta >>
Sbuffò.
<< Vuoi dirmi che ti prende? >> sbottò irritato.
<< Mi prende che non ne posso più! >>
I nostri sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, ma fui quasi certa che avesse capito esattamente l’immensa rabbia che mi stava invadendo.
<< Ma di cosa? >> strillò esasperato.
<< Di me, di te, di tutta questa farsa che siamo noi! >> una lacrima mi scese per la frustrazione, ma non dovevo farmi vincere dalle emozioni, non in quel momento.
<< Diciamoci la verità Matt: tu mi ami? >>
<< Io...certo che si, Luce. >> rispose subito << Ma che domande fai? >>
<< Allora te ne porgo un’altra, Matt >> lo guardai decisa << Tu sai cosa significa amare? >>
Persi un battito, fiera di essere finalmente riuscita a dire quelle parole.
<< E tu? >> mi sfidò << Tu lo sai? >>
<< Adesso si. >>
Una scarica d’adrenalina mi percorse la schiena: finalmente stavo ammettendo la verità e non soltanto a lui, quanto a me stessa.
<< L’amore non siamo noi, anzi >> mi corressi << Non so neppure se un noi è mai esistito al di fuori del contesto pubblico. Siamo così dannatamente finti e costruiti, non c’è mai stato nulla di vero in niente che abbiamo fatto o detto >>
Lo squadrai con quella che parve scambiare con un’aria accusatoria: << Non ti senti vuoto a pensare che non c’è niente di reale nella tua vita? >>
 << E tu invece? >> sputò con cattiveria.
<< Si, sono dannatamente vuota, ma ho trovato il modo per cambiare >> ammisi sincera.
E, per quanto non volessi, i miei pensieri si diressero subito verso quel volto.
Quel volto così perfetto da sembrare irreale, così duro da far paura, ma allo stesso tempo così dolce da scaldare il cuore.
Chris era la mia unica possibilità di redenzione, o almeno avrebbe potuto esserlo se solo l’avesse desiderato almeno un po’.
Ma, con o senza di lui, ormai avevo capito qual’era la strada da percorrere, bisognava soltanto che mi decidessi a farlo nella giusta maniera.
E dirlo a Matt rappresentava già uno dei passi più importanti e complicati.
<< È proprio questo il problema, Lucinda >> scandì freddo il mio nome << Tu stai cambiando, non sei più la ragazza che mi piaceva, quella perfetta, quella che puntava sempre in alto, quella sicura di sé, invincibile. Sei diventata una qualunque ragazzetta di città senza nulla di speciale; aspetta che i tuoi genitori ti vedano: non saranno affatto fieri di te  >>
E, per quanto mi fossi imposta di essere tranquilla e paziente, quell’ultima frase bruciò i miei freni inibitori e subito la mia mano partì veloce a schiaffeggiargli una gota.
<< Non permetterti mai più di nominare i miei genitori, né me >> calcai bene quelle parole perché potessero restargli impresse nella mente, proprio come le mie cinque dita sulla sua pelle.
Mi guardò gelido, con l’aria di chi avrebbe potuto ucciderti con uno sguardo, ma io ero troppo presa a dirigermi verso l’ascensore per regalargli anche il solo minimo briciolo dell’attenzione che non meritava.
<< Hai ragione: io sto cambiando >> gli dissi mentre le porte si spalancavano e io afferravo la fedina d’oro stretta attorno al mio anulare per lanciargliela contro << Ma ritieniti fortunato Matt, perché tu invece non cambierai mai. >>
   
 
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