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Autore: Astrid    31/08/2008    1 recensioni
« Mi chiamo Sebastian, e ti avverto, tu non ucciderai il mio mondo! »
« Il tuo mondo? Non so di cosa parli! Io non ho mai ucciso nessuno, né mai lo farò! »
Sebastian puntò la spada in direzione del petto di Modestia, o almeno quello che immaginava fosse il suo petto. L’essenza indietreggiò spaventata.
« Bugiarda! Guardati, come sei inutile, come sei poco interessante! Mi prenderei del tempo per farmi beffe di te, noiosa e stolta come sei, che non conosci le gioie della Bellezza e della Vanità! Ma devo ucciderti, adesso, immediatamente! » […]
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo che voleva uccidere la Modestia

 

Erano giorni che Sebastian si comportava in modo strano. Chi lo conosceva bene avrebbe detto che c’era qualcosa che non andava nel suo sguardo incredibilmente assente. Non capitava che fosse semplicemente distante come in certi giorni, quando si fermava a fantasticare sulle bellezze del mondo e la sua mente ne veniva rapita per ore; quando sognava di attraversare i paesi d’Oriente, immaginava di tastare sete preziose provenienti dall’India, di trovarsi nella Roma antica, con i suoi Vizi e le sue Virtù, di assaporare i vini francesi e lasciarsi trasportare davanti a un grande focolare ardente ad una di quelle danze tribali, che possiedono il fascino primordiale di tutte quelle arti la cui nascita si perde nella notte dei tempi, e di cui niente del mondo moderno è ancora riuscito a scalfire.

Questi istanti di intense fantasie, che lo facevano avvampare di amore verso quella forma intrinseca di Bellezza presente in ognuna di esse, erano da sempre molto frequenti in lui. Amava perdersi nei sogni, annegare quasi al loro interno; e in questi momenti il suo sguardo si smarrivo, assorto e contemplativo, in un mondo parallelo le cui forme erano visibili soltanto ai suoi occhi ma di cui diveniva ogni giorno più desideroso di far partecipe il mondo comune, in cui nessuno sembrava fare tanto caso alle Bellezze che lo abitavano né le celebrava in alcun modo. Sebastian aveva un modo tutto suo di farlo, e d’altro canto certe volte il suo amore verso la Bellezza e verso tutto ciò che di artistico esisteva gli sembrava così incontenibile da apparirgli visibile proprio dovunque, tanto in un fiore appena sbocciato quanto in un istante di vita e, particolarmente, nella propria. Quanta Arte, e quanta Bellezza c’era nell’amore verso se stessi! Un idillio meraviglioso, destinato a durare per sempre. Perché nessuno è davvero in grado di amare qualcun altro più di quanto ama se stesso, anche se lo fa segretamente – di nascosto, a volte, persino alla propria persona. Gli riusciva così di celebrare tanto splendore attraverso la Vanità, che definiva “il fiore all’occhiello della Bellezza”. Quante giornate trascorreva ad amare la propria immagine riflessa in uno specchio! E quanto tempo rimaneva ad osservarsi nella superficie del lago vicino alla sua casa! Ma non si limitava a guardare, no; perché il modo in cui lo faceva rifletteva quel piacere incondizionato che c’è in quel sentimento   profondo che è l’amor proprio: si adorava.

Tuttavia negli ultimi tempi era facile scorgere in Sebastian un’espressione cupa e spenta, spesso irritata e come disgustata nei confronti del mondo esterno. Egli temeva, infatti, che con il corso dei secoli la gente, con la sua Modestia, si sarebbe dimenticata di rendere omaggio alla Bellezza e questa sarebbe scomparsa per sempre dal mondo. Quante persone avevano criticato la sua forte Vanità! Quanti dei suoi vecchi amici continuavano a ripetergli che la Vanità non era un’Arte, ma solo il capriccio della sua giovinezza! Quando sarebbe invecchiato avrebbe smesso di amarsi, anzi; si sarebbe odiato per ciò che si era fatto rubare, nello schivo silenzio degli anni, dal tempo, senza dire una parola, troppo concentrato a vivere e a consumare, anche lui, la propria gioventù. Al solo pensiero si sentiva invadere dalla tristezza ed offuscare dalla rabbia, inorridiva perché sentiva che nessuna forma d’Arte avrebbe mai dovuto essere distrutta, tanto meno la sua Vanità sarebbe dovuta scomparire così, senza emettere un fiato, un grido d’aiuto per l’azione di quel tempo maligno che nel silenzio degli istanti di vita, come un orrendo ladruncolo dai piedi di piuma, s’impegnava a succhiare il sangue della Giovinezza. E come potevano, i suoi conoscenti, affermare che tutto quel amore che provava verso se stesso, la felicità che sentiva nel guardarsi allo specchio, nel possedere tanta bellezza, non era vera Arte? L’Arte era da sempre ciò che più lo aveva reso felice nella sua vita, e gli regalava istanti di vero e intenso piacere. E la stessa Arte, come tutte le forme di Bellezza, era allo stesso tempo l’unica cosa di cui poteva davvero fidarsi, per il semplice fatto che non esprimeva nulla e non aveva bisogno di alcuna spiegazione. Bisognava, soltanto, aprire gli occhi e guardare. Che cosa avrebbe mai potuto guardare, se la Modestia avesse ucciso, nel corso degli anni, la Vanità? Morendo la Vanità si sarebbe sminuita la Bellezza, e con questo ogni forma d’Arte non sarebbe più stata la stessa: tutto avrebbe perso l’armonia. No, non poteva accadere una cosa del genere. La Vanità non sarebbe mai morta, perché non ci sarebbe più stato alcun pericolo per lei. Sebastian, avrebbe ucciso la Modestia.

Ma se da una parte l’essenza della Vanità abitava in una della case più vicine all’olimpo dei sette peccati capitali, Modestia era un’essenza mite, silenziosa, sempre intenta a non dar fastidio e a non fare il minimo rumore. La sua casa era l’ultima nella via dei Vizi, e non era affatto sfarzosa come quella di Vanità o Crimine – questo ultimo aveva riempito la propria dimora di trofei rubati, spacciandoli per propri ai suoi ospiti – , ma era una piccola capanna, priva di letti e divani. Vi era solo una vecchia poltrona, e su un lungo mobile vi erano poggiati numerosi oggettini, simili a piccole anfore, contenenti piccole parti di Consapevolezza, di cui spesso Modestia dimenticava di fare uso. Per questo, era così imperterrita nell’essere, appunto, modesta: delle volte non aveva neppure la consapevolezza delle grandi cose che aveva fatto.

Sebastian, del resto, era ancora nella sua casa, e progettava il modo migliore per commettere l’omicidio. Avrebbe preparato una pozione con del veleno, e l’avrebbe offerta a Modestia? No; non avrebbe funzionato. Modestia, che rifiutava sempre di ricevere anche il minimo complimento, non avrebbe mai accettato di bere in solitudine di fronte a Sebastian, avrebbe dovuto offrirgliene un po’, e, cosa ancor peggiore, lo avrebbe lasciato bere per primo, in segno di educazione. Il pensiero di inconvenienti come questi, che rendevano sempre più difficile il delitto, irritavano a tal punto Sebastian da accrescere la voglia di commettere l’uccisione. Com’era noiosa e fastidiosa, un’essenza del genere! La Modestia era sicuramente un’essenza limitata. Così terribilmente limitata, che per riuscire davvero ad eliminarla avrebbe dovuto giocare con il fattore che è per eccellenza l’opposto della limitatezza: l’immaginazione. Per capire bene le cose è necessario non avere alcun ostacolo mentale che impedisca il processo: essere in grado di immaginare, così come riusciva bene a fare Sebastian, significa avere una mente libera e, soprattutto, pericolosa, perché può, in ogni momento, essere capace di tutto.

Elaborò così il suo piano: sarebbe riuscito ad entrare in casa di Modestia fingendosi Umiltà, giunta per fare dono di modesti abiti, perché certamente avrebbe voluto regalare qualcosa che, seppur tanto semplice sarebbe stato per lei frivolo e contro lo stesso concetto d’umiltà. Modestia non avrebbe mai potuto accettare degli abiti sfarzosi simili a quelli di Vanità, ma i vestiti portati da Umiltà sarebbero stati così modesti, appunto, da risultare adatti alla sua essenza. Inoltre, Modestia non avrebbe mai voluto rischiare di essere accusata di maleducazione, perciò si sarebbe ritrovata costretta ad accettare gli abiti, e ad aprire quindi la porta di casa per farlo entrare. Solo a quel punto Sebastian avrebbe estratto la spada dall’elsa d’oro dal suo fodero cesellato di rubini e zaffiri, e l’avrebbe piantata dritta nel cuore di Modestia: l’avrebbe uccisa.

Così, a notte fonda, cominciò a prepararsi: prese un sacco consunto, lo riempì di semplici maglie, che non avevano alcunché di particolare o fantasioso: non ispiravano davvero nulla. Anzi, ai suoi occhi, vista l’assente eccentricità a cui invece era abituato, risultavano addirittura irritanti, proprio come le persone troppo noiose. Lui del resto si vestì con magnifici abiti dorati, indossò persino un mantello pesante e costellato di rubini, i boccoli d’oro dei suoi capelli pettinati perfettamente, le labbra rosse pronte a proferir menzogne secondo il piano dell’omicidio. Legò il fodero della spada alla cintura, sistemò al suo interno la preziosa arma e si avviò verso l’olimpo dei vizi capitali. La strada non era affatto difficile, esattamente come è facile abbandonarsi alle tentazioni e cadere nelle trappole dei vizi; la cosa strana, però, era che al ritorno secondo voci sapienti, seppur la strada fosse esattamente la stessa, il sentiero risultava improvvisamente tortuoso e articolato, e tornare a casa era estremamente difficile. Ma di questo, Sebastian si sarebbe preoccupato al momento opportuno.

Dopo qualche chilometro la strada si divideva in un bivio: la via di destra conduceva all’olimpo dei Vizi Capitali, ed era in una discesa sempre più ripida man mano che i vizi diventavano peggiori. La via di sinistra, invece, poteva essere paragonata ad una qualsiasi strada comune, ferma in pianura, semplicemente perché i vizi come quelli della Vanità, del Crimine, della Modestia, della Bontà e della Cattiveria, sono relativi da persona a persona, e finiscono col catturare ognuno in maniera e con forza diverse.

La prima cosa che notò Sebastian durante il cammino lungo la via di sinistra, furono le villette a schiera di Vanità, Eccentricità e Stravaganza, che si vociferava fossero cugine. La prima, lo si vedeva facilmente anche dall’esterno, era un’abitazione sfarzosa, più che nella costruzione in sé – aveva, tra l’altro, soltanto due piani come ogni normalissima villa - , nei materiali di cui era composta: le cornici delle finestre erano fatte d’oro, e i vetri erano specchi. Ve ne erano moltissime, così che per qualsiasi passante che, per puro caso o appositamente, guardava la villetta, era impossibile non riuscire a specchiarsi. Le rifiniture erano fatte tutte d’oro e d’avorio, e in certi punti, ai lati degli specchi, erano incastonati dei diamanti.

La seconda villa, quella di Eccentricità, era a dispetto di Stravaganza e Vanità, quella che riusciva a farsi notare maggiormente. I colori di porte e finestre erano psichedelici, di un verde abbagliante e di rosa shocking. Nel complesso, compresi gli eccentrici colori del legno che componeva il resto dell’abitazione, sarebbe potuta sembrare molto simile ad una discoteca appena uscita da un cartone animato.

Infine, la villetta di Stravaganza, che era la più strana di tutte: i colori erano mescolati in modo strano, tanto che sembrava fatta di caramelle colorate. Comunque, i colori non erano così vivi come quelli psichedelici della casa di Eccentricità. Piuttosto, questa si distingueva per la costruzione, a differenza delle altre due: sul tetto, al secondo piano, una scala a chiocciola saliva verso l’alto, priva di alcuna protezione da parte di mura: chiunque fosse salito su per quelle scale, lo si sarebbe visto scomparire verso le nuvole del cielo di un azzurro sempre intenso. Sebastian si chiese dove portassero.

Non c’era tempo, però, per le domande. Lo avrebbe visto con i suoi occhi al ritorno, ora davanti a sé c’era solo la missione. Proseguì rapidamente, senza fermarsi ad osservare nei dettagli la casa piena di cose rubate di Crimine, e nemmeno l’abitazione circondata da nuvole e sanguisughe di Bontà. Si sarebbe preso più tardi tutto il tempo per curiosare.

Il sentiero cominciava a diradarsi, le ultime case sembravano proprio quella di Umiltà, laggiù in fondo, e quella di Modestia, sempre più vicina. Sul fondo delle montagne, in cima, si avvistava l’affascinante e scuro castello di Cattiveria, che rappresentava, a parere di Sebastian, un vero e proprio vizio proprio come la troppa Bontà. Scosse il capo giungendo di fronte alla capanna di Modestia; tutta l’abitazione dava la netta impressione che potesse cadere a pezzi da un momento all’altro, e rovinare al suolo. Ma ciò non accadde, nemmeno quando bussò alla porta di legno di abete.

« Chi è? »

Sentì dire dall’interno. Si preparò a camuffare la voce, estraendo dal sacco logoro i vestiti per pararseli davanti. Quando Modestia avrebbe aperto la porta, non si sarebbe accorta dei suoi vestiti sfarzosi e Sebastian avrebbe avuto tutto il tempo di entrare e richiudersi la porta alle spalle per commettere il delitto in tutta tranquillità, lontano da occhi indiscreti.

« Sono Umiltà. Vengo per fare dono di alcuni abiti. Sono semplici e modesti, sono proprio adatti a te. Ti prego di aprirmi, così potrai guardarli, Modestia. » disse.

« Abiti? Per me? Amica mia, c’è tanta gente molto più bisognosa di me! Non merito io questi abiti. Và da Bontà, lei, con la sua dolcezza, saprà sicuramente indossarli meglio di me. »

Sebastian, avendo immaginato una risposta del genere, si preparò al contrattacco.

« Ma ti prego, Modestia, ho fatto tanta strada per portarti questi vestiti. Vorrei che li indossasti tu, per favore, non avere la maleducazione di lasciarmi qui fuori la porta, con questo freddo… »

Sebastian sapeva davvero cosa dire e quale tono usare. Parlò con dolcezza e umiltà, senza rischiare di cadere nell’arroganza alle sue ultime parole.

Così Modestia aprì, e con un sorriso timido lasciò che il ragazzo entrasse, col volto e il busto nascosti dietro i vestiti. Non era come lui se l’aspettava: nonostante tutto si era immaginato un essere dalle sembianze umane. Un volto di donna, probabilmente. Invece quella di Modestia era un’essenza, come tutte le altre, soltanto che la sua aveva un colore bianco-giallastro, di un giallo splendente che disegnava solo i contorni di una sagoma simile a quella umana.

Sebastian sentì il cuore battergli forte nel petto; non aveva mai dubitato di avere il coraggio per commettere un omicidio, sapeva che avrebbe fatto di tutto per preservare per sempre il proprio mondo. Lo avrebbe chiesto persino al diavolo, nelle notti di pallido plenilunio. Prese aria con la bocca, poi non respirò più per una manciata di secondi. Era stranamente agitato, una mano lasciò gli abiti che si inclinarono scoprendogli volto e corpo, e Modestia sussultò dalla sorpresa e dalla paura quando la mano libera di Sebastian volò sulla porta, chiudendola con un tonfo sonoro. Modestia gemette inorridita quando il ragazzo parlò, sfoderando la preziosa spada.

« Non te lo aspettavi, di la verità! Mi chiamo Sebastian, e ti avverto, tu non ucciderai il mio mondo! »

« Il tuo mondo? Non so di cosa parli! Io non ho mai ucciso nessuno, né mai lo farò! »

Sebastian puntò la spada in direzione del petto di Modestia, o almeno quello che immaginava fosse il suo petto. L’essenza indietreggiò spaventata.

« Bugiarda! Guardati, come sei inutile, come sei poco interessante! Mi prenderei del tempo per farmi beffe di te, noiosa e stolta come sei, che non conosci le gioie della Bellezza e della Vanità! Ma devo ucciderti, adesso, immediatamente! »

« No!  Aspetta, Sabastian. Davvero vuoi uccidermi? Pensaci bene, non sono forse anche io necessaria nella tua vita? »

« Nella mia vita?! » Sebastian si avvicinò minaccioso, la spada sempre più vicina all’essenza         « Cosa sei tu, nella mia vita? Un’ombra, un’ombra continua che incombe sulla mia testa, una spada di Damocle inutile, tu che vuoi distruggere il mio mondo, i miei desideri di Bellezza, di Giovinezza, tu con la tua miseria, che critichi tanto la mia Vanità! Tu un giorno condurrai gli uomini a strangolarla nel sonno, e anch’io morrò perché il tempo consumerà il mio volto, il mio corpo, che senza la bellezza della Vanità, non sarà più nulla! »

Più andava avanti a parlare, e più gli sembrava che le sue stesse parole alimentassero la sua ira, tanto che Modestia cominciò a dire qualcosa, ma non ebbe il tempo di finire.

« Il tempo consuma ogni cosa, Sebastian! Rifletti! Guarda il terreno qui intorno lì ha la sua dimora il tempo! Non vedi come lentamente riesce a risucchiare, nel corso dei millenni, anche le nostre case? Con il tempo anche noi spariremo, e così tutto il mondo! Per voi è solo un processo più rapido, ma senza di-- »

« Taci, bugiarda! »

Sebastian agitò la propria spada, scosso dall’ira, e in una manciata di secondi si ritrovò ad affondarla nel centro dell’essenza di Modestia, e una luce scura, come densa all’apparenza, cominciò a colare lungo la lama, e a gocciare in terra.

Sorrise trionfale. Ce l’aveva fatta, a sconfiggere la Modestia. Lui era il ragazzo, l’unico ragazzo che era riuscito ad ucciderla. E sarebbe vissuto per sempre, insieme a ogni cosa bella, nell’amore verso l’Arte e la Bellezza. Com’era felice, e come era radioso il futuro che lo aspettava!

Modestia crollò in terra, la luce che emanava si faceva sempre più flebile. Lei rideva, e sembrava, addirittura, più felice di Sebastian.

« Oh, Sebastian, Sebastian… » mormorò. Al suo tono, come quello di chi ha pietà, nonostante tutto, verso qualcuno, egli rimase stupito, tanto che gli cadde la spada di mano, rovinando in terra con un gran fracasso. La voce di Modestia divenne amplificata, come se circondasse improvvisamente tutta l’aria.

« Tu non ascolti mai nessuno che non abbia le tue stesse idee, vero? Avresti dovuto ascoltare me… avresti dovuto davvero, Sebastian… »

Sebastian sentì la terra cominciare a tremare sotto i suoi piedi, le mura delle pareti cominciare a creparsi. Era talmente stupito e spaventato assieme dalla situazione, che non rispose nulla. Si guardava attorno, gli occhi sgranati, osservando impaurito attraverso la piccola finestra grigia le altre case cominciare a tremare e a spaccarsi, come in preda ad un fortissimo terremoto.

« Che diavolo… » mormorò, sentendo la propria voce spezzarsi.

« Sebastian… »

Al nuovo sussurro di Modestia, la sua essenza che diveniva sempre più trasparente lì sul pavimento, Sebastian si voltò, appigliandosi alla sua immagine e alla sua voce come se fossero l’ultima speranza di salvezza.

« Come pensi che possa esistere il tuo mondo, la tua Vanità, se non ha il suo opposto che ne determina la stessa essenza? »

Ma la domanda di Modestia fu retorica, perché il soffitto cominciò a crollare. Se solo Sebastian non fosse rimasto schiacciato sotto di esso, avrebbe potuto osservare bene anche le altre case crollare, il grande castello oscuro di Cattiveria, la casa di Bontà con le sue sanguisughe, le villette di Vanità, Eccentricità e Stravaganza frantumarsi al suolo. Avrebbe visto anche la luce delle essenze farsi sempre più flebile fino a scomparire, e le loro voci divenire un’eco sempre più lontana, e il suo mondo, un mondo che si era immaginato pieno di Arte e Bellezza, con esseri umani vanitosi e bellissimi, sparire per sempre.

  
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