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Autore: DK in a Madow    13/07/2014    5 recensioni
Uno "straniero" e i suoi pensieri nella Capitale dei sogni.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Robert Plant
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The voyage shall not weary.



A Irene,

che dice di “avermi pensata”,
 portandomi in qualche modo con sé sotto quel palco.
Sappi che ci credo.
Ti voglio bene!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

City of a million moonlit places.
City of a million warm embraces.
Where I found the one of all the faces,
Far from home.

 

 

 

 

 

 

- Justin?

Si volta, passandosi stancamente l’asciugamano sul volto e la testa. Questo caldo ci sta soffocando.

- Sì?

- Vado a fare un giro.

Da una controllata all’orologio e poi torna a guardarmi incredulo.

- A quest’ora? – chiede, attirando l’attenzione degli altri presenti – Da solo?

Annuisco, dando l’ultimo sorso alla mia birra: - Sì, ho bisogno di pensare.

 

 

*

 

 

Il rumore dei tacchi dei miei stivali rompe il silenzio surreale intorno a me.

Mani cacciate nei pantaloni, libero di sbottonare ancora un po’ la camicia, di offrirmi all’aria umida e silenziosa di Roma. Non c’è nessuno da queste parti, ormai è notte fonda, ma questa città mi ha rubato anche il sonno con una quiete e solitudine che non mi aspettavo.

Nemmeno Pistoia, figuriamoci Milano. Le altre quasi non le ricordo.

Nessuna città di questo paese a me ancora sconosciuto è riuscita a rapirmi come lei.

Se fosse una donna, sarebbe una di quelle che ancora ricordo e porto in qualche angolo del cuore.

Mi fermo, prendo un respiro e l’aria che attraversa la gola profuma ancora di pioggia, di fronte a me i Fori Imperiali, la religiosità delle rovine, i contorni delineati dalle luci calde che sembrano rughe disegnate dal tempo, non solo quello passato, ma quello che verrà. C’è magia, come un incantesimo scagliato su questa città costretta a far sognare chiunque la visiti, innamorandosene.

Chiudo gli occhi, quei contorni restano per qualche secondo illuminati sul retro delle mie palpebre, poi il buio. Ascolto. Un concerto di grilli, sicuramente nascosti tra gli alberi, l’eco del traffico in lontananza, un portone che si chiude. Una folata di vento e un ricciolo si poggia sul mio naso, il mio udito che si fa ancora più acuto.

Le sento ancora, quelle voci. Si amplificano nella mia testa come se stessi ancora nell’Auditorium.

Ad ogni voce un volto diverso, che scandisce il passare del tempo esattamente come queste rovine. I miei coetanei, alcuni rimasti seduti fino alla fine del concerto, lo sguardo sognante, perso nell’epoca in cui avevamo oro o petrolio tra i capelli. I “miei figli”, i quarantenni tornati adolescenti per un giorno. I “miei nipoti”, quei ragazzini fiondatisi sotto al palco non appena è partita Whole Lotta Love, sollevando gambe e urla. In quel preciso istante, il tempo è tornato indietro. Quelle facce fresche e lontane dagli attacchi del tempo, sorridevano esattamente come quarant’anni fa, cantando le parole quasi come se fosse la loro lingua, ricordando a me stesso che, se ancora oggi calpesto i palchi di tutto il mondo, il merito è ancora di una magia che si chiamava Led Zeppelin, non antica come quella di Roma, ma così potente da poter fare innamorare e sognare le persone anche ora che ne rimangono solo le rovine e i ricordi.

Sento una risata.

Apro gli occhi, voltandomi con una morsa piacevole allo stomaco. Dall’altra parte della strada, sul marciapiede, due ragazzi. La risata era di lei. Si tengono per mano, camminando fianco a fianco, le fronti una contro l’altra, ridendo e parlando sotto voce. Poi lei guarda il cielo, indica qualcosa. Lui segue il suo dito e poi le fa fare una giravolta continuando a camminare, la gonna del vestito rosa di lei che si apre a ruota. Ride ancora, avvicina lui che le sussurra qualcosa nell’orecchio. Si baciano e poi spariscono imboccando una strada.

Sollevo lo sguardo, nel cielo nero una luna come mai l’avevo vista, così vicina da darti la sensazione di poterla sfiorare. Un po’ come quel pubblico sotto di me, stasera. Tra un ragazzo che mi urla “you’re God!” e un altro che rimane con gli occhi sgranati e immobile, incapace anche di cantare, ormai perso chissà dove, trascinato dalla musica; tra una signora che ballava e cantava ad occhi chiusi e una ragazza ansiosa di scattarmi una foto ma che, tanto per non smentirmi, glielo impedisco fingendo di nascondermi la faccia con una mano. Il suo sorriso era vivo come questa luna quando poi gliel’ho lasciato fare, gli occhi, che da lontano sembravano azzurri come i miei, brillavano di felicità pura. Ho immaginato il pensiero che è passato per la sua testa e quella degli altri presenti.

Sono felice. L’essere più felice della terra.

Per qualcuno sarà stata la sera più bella della sua vita, per qualcun altro una da aggiungere alle altre.

Per me, ogni sera, ogni notte è un mondo a sé.

Questa, così lontana dalle pazzie e le stronzate fatte in gioventù, conserva nel mio cuore e in questa città un suono mistico.

Un suono felpato, una specie di tonfo leggero.

Abbasso lo sguardo a terra e ne trovo la fonte. Un gattino nero, prudentemente, si avvicina ai miei piedi. Si siede, arricciando elegantemente la coda attorno alle zampe. Gli occhi che mi guardano con un verde intenso e felino. Mi abbasso sulle ginocchia, si lascia accarezzare con la punta delle dita.

- Grazie della compagnia, amico. – gli sussurro sorridendo, poi lui si alza con calma, dirigendosi verso le rovine.

Guardo l’orologio al polso. Sono le tre e il tempo di partire si avvicina.

 

Chissà perché, sulla strada di ritorno, mi ritrovo a cantare un vecchio motivetto di Sam Cooke.

 

 

 

Goodbye, goodbye to Rome…


Angolo della pazza.
Salve *singhiozza*
Inutile dirvi che non ero al concerto e non sarò nemmeno a quello di Padova.
Maledetta miseria, dico io! ù_ù
In compenso ci è stata la mia caVa MoreUmmagumma! ^^
Mi è piaciuto immaginare Robert che visita i fori imperiali, forse perché somiglia a Zeus (?).
Ok, sto delirando. :'D
E' solo una piccola immaginazione, quindi prendete questa storia per quello che è.
Un abbraccio,
Franny

   
 
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