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Autore: Rosalie97    13/07/2014    2 recensioni
Stava cadendo a pezzi.
Letteralmente.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove si trovava?
 
Si guardò attorno, in cerca della risposta a quella domanda.
La stanza che lo circondava era buia, non riusciva a vedere le pareti, c’erano solo pozzi infiniti, neri più del nero, come se i muri fossero stati ricoperti di catrame. C’era soltanto una luce, posta sul soffitto e davanti a lui. Era accecante, e guardarla era come posare gli occhi sul sole: se la fissava per più di due secondi, gli occhi cominciavano a lacrimargli e a bruciargli. Il problema consisteva nel fatto che, anche se abbassava le palpebre per un po’ di sollievo, la luce inondava la sua vista comunque.
Aveva notato, una o due volte, la presenza di qualche mobile, posto qui e lì, quando il lampadario traballava di qua e di là.
Vicino a lui c’era la costante presenza di un piccolo carrellino di metallo da laboratorio o da medico, non riusciva a capirlo con certezza, e sopra di esso erano posti molti attrezzi, ed ognuno di essi aveva uno scopo ben preciso: infliggere dolore.
Per il resto, non aveva notato nessun particolare nella stanza, niente che potesse essere un indizio sul luogo in cui si trovava, niente che potesse aiutarlo ad uscire.
 
Come ci era arrivato lì?
 
Non sapeva come esattamente fosse successo, ricordava solamente il momento in cui aveva aperto gli occhi e quella luce li aveva feriti.
 
Era vivo?
 
Si, lo era, lo poteva determinare dal dolore che riempiva completamente il suo mondo, dalla sofferenza che incendiava i suoi arti ed il suo corpo.
 
Era solo?
No, non era solo: più di una volta, quando si risvegliava dal sonno pesante che lo prendeva all’improvviso, trovava accanto a sé figure nere o vestite con camici color verde acqua, camici da laboratorio o da medico. Ma lui non si trovava in ospedale, oh no, ne era sicuro.
Sentiva le loro voci, ma gli sembrava parlassero in una lingua completamente diversa dalla sua, come se fossero stati stranieri. In realtà avrebbe facilmente potuto capirli, recepire i messaggi di ciò che dicevano, gli orrori che pianificavano ed il destino che toccava a lui ed al suo corpo essendo caduto nelle loro mani, ma la sua mente adombrata dalle droghe con cui lo sedavano non gli permetteva di pensare con lucidità.
Sentiva le loro mani premere sulla sua carne, sentiva le lame inciderla e tagliarla, sentiva i rumori della sega elettrica e sentiva le sue urla. Il dolore del corpo era insopportabile, e lui se ne rendeva conto, ma era come se la sua mente cieca fluttuasse sopra il suo involucro mortale e sopra i suoi aguzzini.
Si sentiva uno spettatore esterno costretto a provare il dolore del protagonista di quella vicenda, come quando si impersonava nei personaggi dei libri che leggeva. Soffriva con loro ma non era veramente nessuno di loro.
In questo caso, beh, una volta che per il corpo fosse stato troppo, anche lui se ne sarebbe andato.
 
Conosceva i suoi aguzzini?
 
No, indossavano sempre delle maschere, ed in ogni caso, lui non riusciva mai a fissare lo sguardo sui loro volti per colpa della luce accecante del lampadario, e non riconosceva le loro voci.
Sospettava avessero sistemato di proposito quel lampadario dalla luce fortissima solo per rendergli impossibile vederli in viso.
 
Quanto tempo era passato?
 
A questa domanda, apparentemente non c’era risposta.
Gli pareva fossero passati secoli, chiuso in quella stanza, legato per la mano destra alla catena che pendeva dal soffitto e lo teneva sospeso in aria. Non c’era una finestra, la luce del giorno non entrava in quella stanza degli orrori, e per questo non capiva più nulla.
Lo scorrere dei secondi, dei minuti e delle ore era estraneo per lui, ogni dieci secondi potevano essere passati due mesi, oppure, viceversa, due mesi potevano sembrargli dieci secondi.
Non pensava sarebbe mai più uscito di lì.
 
Sperava di potersene andare?
 
No, la speranza lo aveva abbandonato da tempo, oramai.
 
Che cosa gli stava succedendo?
 
Aprì piano gli occhi, cercando di mettere a fuoco ciò che lo circondava. Intorno a lui c’erano quegli uomini, vestiti con quei grembiuli color verde acqua. Ogni volta rimanevano intatti, come se il sangue che schizzava dai suoi arti, tagliati volta per volta dai suoi aguzzini, non potesse macchiare il tessuto delle loro divise.
Si sentì afferrare, e presto la mano gli fu liberata dalle catene. Lo fecero sedere su una sedia, dove legarono il suo corpo al quale restavano attaccate sono una gamba, priva della parte inferiore al ginocchio ed il braccio destro, oltre che la testa.
<< Questa volta, è l’ultima >> sentì dire, ma non capì le parole.
<< Si, ti liberiamo >> aggiunse la voce di un altro, ma per l’ennesima volta, lui non capì nulla.
Legato alla sedia, il capo poggiato allo schienale di pelle nera, sentì d’un tratto un dolore lancinante a ciò che restava della sua gamba destra. Ogni volta cicatrizzavano bene le ferite, come fossero esperti, per fare in modo che il suo dolore fosse prolungato il più possibile, non volevano lasciarlo andare, questo era ciò che credeva.
Improvvisamente, come dal nulla, ogni cosa ridiventò vivida. Lanciò un urlo e si chinò in avanti, spalancando gli occhi. Cosa era successo?
Abbassò lo sguardo sul suo corpo. Si, era come temeva, ciò che aveva vissuto era reale. Gli aguzzini neanche parvero rendersi conto di lui, troppo occupati a tenerlo fermo e a ferirlo mortalmente.
La gamba, con un ultimo colpo secco da parte di uno dei suoi rapitori ed assalitori, si staccò, e cadde a terra con un rumore flaccido, come un sacco di carne cruda.
<< La fine è quasi arrivata, Jacob >> rassicurò uno di loro, e lui riconobbe la voce: era stato il primo a parlare, qualche secondo prima.
Senza dir nulla, l’uomo che teneva in mano la grande arma, un machete dalla lama affilatissima e sporca di sangue, gli afferrò il braccio, per poi consegnarlo alle mani di uno dei compagni. Dopodiché, alzò il coltello mortale, per poi calarlo con una forza sovraumana e staccare con un colpo netto l’arto, dalla spalla, che restò in mano all’uomo che in seguito lo buttò a terra.
Jacob lanciò un urlo acuto e pieno di dolore.
<< Shh, il lavoro è quasi finito >> l’aguzzino gli carezzò la guancia, per poi sorridergli. Ora che la sua stazza copriva la luce, Jacob poteva vedere il suo volto. Era vecchio, sui sessant’anni, ma aveva la forza bruta di un gigante, i capelli grigiastri striati di bianco ed occhi porcini neri come catrame.
Si voltò di lato e poggiò con precisione la lama sul collo della sua vittima.
<< No, ti prego, non farlo! >> urlò Jacob, pregando il suo assalitore di lasciarlo in vita, anche se, che razza di vita sarebbe stata? Era senza braccia e gambe, ed il sangue scorreva dalle sue ferite a fiotti. La testa cominciava già a girargli.
<< No, devo farlo >> rispose l’altro sorridendo ancora, quasi in modo gentile e bonario.
<< Ma… No, perché? Perché mi fate questo? >> le lacrime cominciarono a scendere sul suo volto, mentre tratteneva a stento le urla di dolore. Non sapeva nemmeno come ne fosse capace, forse, dopo tutta la sofferenza che aveva dovuto sopportare, il suo corpo si era abituato.
L’altro sorrise per l’ennesima volta. << Ma è chiaro amico mio >> fece una pausa, in cui strinse più forte la presa sul manico del machete, << devo salvare la tua anima dal peccato >> e detto questo, senza più aggiungere altro, premette con incredibile forza l’arma contro il collo. La testa si staccò con un rumore secco e rotolò giù, fino al pavimento.
L’uomo la guardò sorridendo, convinto d’aver fatto un buon lavoro, e senza dir niente, alzò un piede e colpì il centro di ciò che tempo prima era stato il volto di Jacob.
  
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