La
casa che abbiamo comprato
circa sei o sette anni fa, è poco fuori città,
circondata da un piccolo
giardino in cui ho sempre raccomandato a Roy di coltivargli qualcosa. E’ inutile avere un piccolo terreno per
se
visto che non lo si sfrutterebbe, gli avevo detto il giorno
in cui l’avevo
vista ancora spoglia delle nostre cose e dei nostri mobili.
“Che ci importa? Ho soldi abbastanza da potermi permettere un
giardino
assolutamente inutile!” mi disse portando le mani ai fianchi
e gonfiando il
petto fingendosi orgoglioso. La giacca invernale nascondeva la divisa
militare
che indossava sotto. Mi aveva trascinato fuori dall’ufficio,
entusiasta di
avere trovato tra gli articoli del giornale quella inserzione.
Lasciando
intendere che tutt’altro faceva a lavoro tranne che lavorare
davvero. Non che
la cosa mi dispiacesse, visto che il firmare scartoffie
lo lasciava sempre stanco e spossato alla
sera. Ma sorbirmi Riza presentarsi dopo cena con tra le mani tutti
documenti
non firmati, mi mandava in bestia. Addirittura me l’ero
ritrovata comparire dalla
finestra della nostra stanza mentre eravamo intenti a questioni da
letto.
Ricordo l’aria mortificata di Roy. E quella fintamente fredda
di Riza, che
lasciava le carte sul letto e se ne andava lanciandosi dalla finestra
come se
non fosse successo nulla.
“Questa casa è troppo grande!”
Sentenziò Ed arricciando il naso con fare per
nulla convinto mentre si addentrava nella cucina. Dentro essa
c’erano i segni
ancora della famiglia che anni prima ci doveva avere vissuto. Tacche
sulla
porta a segnare l’altezza di un bambino. Una cucina macchiata
di svariati cibi.
Dal caffè probabilmente sino alla salsa. Un vecchio tappeto
pieno di peli di
gatto. Una mensola traballante su cui stavano ancora due piccoli
vasetti in
ceramica su cui svettavano raffigurati sgargianti cavallini. Si rese
conto
Edward, che per quanto fossero impresse le tracce di una vita vissuta
allegramente. Adesso quei resti mettevano un estrema angoscia.
“Ci sono tre camere da letto! Il salotto è
gigante! Quasi sei bagni! Mi spieghi
a che ci serve tutto questo spazio?” Si voltò
gesticolando animatamente il più
giovane, mentre Roy curiosava verso le camere da letto al piano di
sopra.
“Ma la casa ti piace si o no?” Domandò
il moro affacciandosi dalla scala. Un
lembo di sciarpa che teneva al collo prese a penzolare come un orologio
a
dondolo verso il piano di sotto.
“Si che mi piace!” Annuì scrollando le
spalle Ed. “Però.. “ Infilò
le mani
nelle tasche del cappotto scuro stringendosi dentro esso.
“Insomma.. è grande, tutto
qui.. Ed io e te non siamo gente che sta, 24h su 24h a casa.. per cui..
non so
quanto possa servire una casa simile.. A volte io parto pure per
giorni.. non
ti sentirai troppo solo?” Domandò salendo in punta
di piedi per le scale e
scacciando con una mano il lembo di sciarpa penzolante.
“Oh povero piccolo Roy Mustang..” Rise il
più grande “.. non sarà che invece tu
hai paura ad aspettarmi da solo qui la sera?”
Domandò prendendolo in giro il
generale, aspettando il biondo alla fine delle scale ed acchiappandolo
per un
braccio stringendoselo addosso con un che di eccessivamente forzato ed
appiccicaticcio, per enfatizzare la beffa.
“Paura?! Io?!” Sbottò Ed spingendo
l’altro lontano da se ed infilandosi nella
prima stanza alla destra del corridoio illuminato. Nella stanza appena
capitata, sulla parete centrale svettava un rosone di media grandezza
in
direzione della punta del tetto spiovente. Alcuni vetri erano ancora
integri, e
fasci di luce colorati presero a ferirgli gli occhi con dolcezza,
lasciando intravedere
la polvere nell’aria vecchia. Un odore stantio serpeggiava
per tutta la casa
silenziosa ed allo stesso tempo come piena delle risate della famiglia
che
doveva averci vissuto. Riusciva a vederli. I bambini giocare a guardia
e ladri.
Una bambina dai capelli neri stare legata in angolo fingendosi la bella
principessa da salvare, o una strega malvagia che creava pozioni
d’amore e di
morte. Sorrise tra se mentre Roy lo coglieva da dietro acciuffandolo
con la
sciarpa come fosse una corda di un Cowboy.
“Pensavo di trasformarla, questa, nel tuo studio, o nella
camera da letto …”
Sussurrò all’orecchio del biondo che chiuse appena
gli occhi rimanendo voltato
di spalle.”Sarebbe divertente farlo qui con quelle luci
colorate.. tu.. nel
letto … nudo..” Azzardò frasi audaci il
moro ridendo sotto i baffi con tono
mandrillo.
“Posso ricordarti che sono state più le volte in
cui l’abbiamo fatto sul tavolo
dello studio di casa tua, che in un letto vero?”
Puntualizzò Edward ridendo.
“Allora potrebbero essere entrambe le cose..”
Ipotizzò il moro mordendogli
appena un orecchio, ma non sembrò destare le giuste
sensazioni, anzi: Ed si
voltò adirato verso l’altro rimanendo comunque
ingabbiato dalla sciarpa.
“Già ci sono duecento stanze! E tu ne vuoi unire
due?! Non se ne parla!”
“D’accordo, d’accordo! Stavo
scherzando!” Si difese Roy. “Ora ce le facciamo un
po’ di coccole?” Grugnì esageratamente
smielato.
“Non ti sono bastate in macchina?”
Domandò con un che di scandalizzato nella
voce.
“Ma quelle non erano coccole! E poi ti ho detto mille volte
che in macchina è
pericoloso.. io non guido concentrato!”
“Dettagli..” Minimizzò il biondo ridendo
prima di portare le braccia dietro il
collo di lui allungando la testa per un bacio il quale venne ricambiato
subito,
senza esitazione.
“Roy..” borbottò Ed sentendosi spingere
verso un materasso lasciato per terra
senza rete metallica.
“Voglio questa casa.. e la voglio con te..”
“Aspetta.. vuoi farlo qui? Ma è tutto
sporco..” Fece notare Edward mentre
cadeva malamente sui materasso con il moro che lo invitava gentilmente
a
togliere il cappotto.
“Non mi importa..”
“No.. Roy..” Tremò il biondo sotto i
baci caldi premuti sul collo.
“Si.. Ed.. “ Rispose fintamente criminale usando la
sciarpa per legargli i
polsi.
“Ah!” Gemette il biondo alzando il capo per vedersi
legare le mani e quindi
qualsiasi via di fuga. “Ma se entrasse qualcuno?!”
Domandò allarmato cercando
di guardare anche oltre la spalla di Roy, per avere un idea di quanto
fosse
distante la porta in caso di rumori e quindi via di fuga.
“Non verrà nessuno..” Si morse il labbro
inferiore il moro slacciandosi
impaziente la cintura della divisa ed aprendo la cerniera.
“Roy!” Lo rimproverò l’altro
aggrottando le sopracciglia ed arrossendo
vistosamente nel vedere il compagno così invogliato.
“Faccio presto.. te lo giuro..” Mormorò
il moro sofferente per l’amico urlante
di dolore dentro i boxer.
***
Quando
torno a casa, mi immagino
di dover subire qualche avventato litigio da parte di Edward, il quale
si era
premurato di raccomandarmi di non fare tardi. E invece ho fatto
più tardi di
quanto potessi credere. Le luci sono addirittura già spente,
soltanto all’ingresso,
vicino la scala che manda al piano di sopra, l’albero di
natale si spegne e si
accende debolmente. Devo avere fatto estremamente tardi, di parenti ed
amici
nemmeno l’ombra. Do un occhiata all’orologio a
pendolo. Le tre di notte.
Sospirando maledico il mio lavoro. Nemmeno per la notte di Natale mi
hanno
lasciato tornare a casa a festeggiare con la mia famiglia.
Dovrò rifarmi con il
pranzo a Resembool
e quanto meno un regalo decente. L’occhio mi cade sotto
l’albero. Un pacchetto
di carta colorata rettangolare sta lì quasi lanciato per
terra. Chinandomi ne
leggo il biglietto che sta poco più lontano.
“A Roy, per la nostra nuova casa..” Leggo ad alta
voce. E mi rendo conto di
odiarmi.
Lascio
scivolare il cappotto dalle spalle e lo lascio sul corrimano
delle
scale, mentre raggiungo il piano superiore nel completo buio pesto ed
entro
nella camera da letto in punta di piedi. La luna illumina parte della
stanza.
Di Ed s’intuisce soltanto la massa nascosta sotto le coperte
pesanti di lana.
Abbiamo avuto problemi con il riscaldamento che è ancora da
revisionare, per
cui per il momento lo teniamo nelle stanze di giù, ed a
letto ci si arrangia
con le coperte e qualche coccola piacevole, ma credo che per questa
sera mi
toccherà dormire all’addiaccio.
Spogliandomi della divisa, mi infilo cercando di non fare rumore dentro
le
coperte. Lo so che comunque non sta dormendo, perché non ha
il respiro pesante.
Lo cingo con un braccio posandogli un bacio sui capelli e lui sta
immobile.
Forse non è davvero arrabbiato come penso.
“Ed..” Gli sussurro ad un orecchio con il tono
più rammaricato che conosco,
nella vana speranza del perdono.
“Sei svegl.. Agh!” Altro che arrabbiato.
E’ inferocito, a giudicare dalla
gomitata che mi sono appena beccato tra i gingilli. E lo vedo girarsi
furibondo, mettendosi seduto ed acchiappando il cuscino che teneva
sotto la
testa. Prende a darmi cuscinate in qualsiasi punto gli capiti a vista.
Ma non
dice nulla. E cerco in un modo o nell’altro di ripararmi.
Perché, cuscino
morbido o meno, rimane un alchimista di stato. E mi sta facendo
seriamente
male.
“Ed! Ferm.. Aspet..! Ed!” Sento il suo respiro
gonfiarsi di rabbia ad ogni
cuscinata che mi becco. Cerco di fermare la sua furia omicida
lanciandomi
contro di lui come fossi un giocatore di Football ed è
così che voliamo a terra
entrambi, fuori da letto, lui sotto di me che continua a scalciare ed a
mollarmi pugni, ed a mordermi dove può.
“Edward!” Urlo coprendomi il volto come posso e
finalmente riuscendo a
bloccargli le mani a lati del suo volto.
“Ti avevo chiesto di non fare tardi soltanto per
oggi!” Sbotta ringhiando
mentre i capelli biondi gli nascondono a tratti gli occhi e a tratti le
guance
rosse per lo sforzo di lottare e di liberarsi.
“Lo so, e mi dispiace! Ma non sono
riuscito a liberarmi da una
riunione.. e.. “
“C’erano tutti! Tutti! Mezzo quartier generale in
casa nostra, e tu?! Tu! Tu
non c’eri!” Sbraita mollandomi un calcio nuovamente
tra le cosce che mi lascia
mezzo vivo e mezzo morto, mentre lui riesce a svincolare da me,
rotolando di
lato sino sotto la finestra. Lo guardo rimettersi in piedi ed il dolore
è
ancora troppo per riuscire ad avvertirlo dell’anta aperta e
dello spigolo
proprio sopra la sua testa.
Quando sento il botto, sono convinto che sia del tutto morto, visto
anche dalle
sue successive imprecazioni biascicate come dopo una lobotomia. Mi
rimetto in
piedi comunque preoccupato seppure i miei testicoli chiedano indulgenza
e lo
affianco dando un occhiata subito alla testa e me ne frego se lui cerca
di
cacciarmi debolmente. E’ tanto rincoglionito in questo
momento che non saprebbe
nemmeno distinguere la destra dalla sinistra. Ma non
c’è nessuna ferita.
Soltanto la botta ed il dolore, e lo acchiappo per un braccio,
tirandomelo sino
al piano di sotto, in cucina, dove si siede sul tavolo e io gli metto
sulla sua
bella chioma bionda un barattolo con della salsa congelata.
Ha ancora il fiatone mentre mi guarda arrabbiato e sofferente tenendosi
il
barattolo sulla testa ed io lo guardo con la stessa rabbia. Un conto
è
litigare, un conto è prendersi a pugni nel cuore della notte.
“Edward..” Comincio in tono calmo ma deciso tenendo
il sedere appoggiato sugli
sportelli sotto il lavello, di fronte a lui. “Mi dispiace..
lo sai che per ora
sono stato impegnato, ma ho cercato di venire il prima possibile.. sono
le tre
di notte, è vero, ma ti assicuro che avrei avuto da lavorare
ancora per molto..
Mi dispiace, davvero.. ma.. “ Mi fermo senza sapere davvero
come scusarmi e mi
mordo appena il labbro inferiore guardandolo mentre lui va a tastarsi
con un
dito il leggero rigonfiamento che gli si sta creando sotto i capelli.
Continua a non rispondermi e sbuffando accendo la luce della cucina,
guardandolo soltanto adesso in volto. Ha le guance ed il naso rosso
paonazzo ed
uno strano luccichio negli occhi che inizialmente non riesco ad
identificare.
“Ed.. ma.. tu sei.. ubriaco?” Mormoro scrutandolo
da vicino.
“Si!” Sbotta. “Sono ubriaco, e allora?!
Solo tu puoi bere?!”
Lo guardo stralunato prima di scoppiare a ridere. Davvero non me lo
sarei mai
aspettato. Sta a dire sempre che non è bene rimpiangere con
una bottiglia di
Gin e tu guarda come lo trovo appena ne sgarro una. E rido tenendomi lo
stomaco, rendendomi conto che solo uno stupido fagiolo come lui poteva
attaccarsi alla bottiglia la sera di natale.
“Non ridere!” Mi urla scendendo dal tavolo con un
salto e tornando a
tempestarmi di pugni ma questa volta senza volermi fare male e io mi
difendo
continuando a ridere, non potendone sul serio farne a meno. Non potendo
davvero
immaginarmelo, sdraiato a letto a tracannare Gin.
***
Era
bello che fuori
piovesse. Era bello vedere la pioggia battere sui vetri.
Perché pure se la casa
era ancora vuota dei mobili, della carta da parati e
dell’arredo. Era piena di
noi. Piena dei nostri respiri. Piena della nostra voglia di creare
qualcosa di
nuovo. Innamorati dell’inizio. Innamorati l’uno
dell’altro e pronti a cominciare
a creare questa casa che già ci faceva da tetto. Non avevamo
nulla. Soltanto un
tetto. E la pioggia fuori a dirci che non dovevamo temerla.
Perché eravamo
nella nostra casa.
***
mm..
Diciamo che questo è
venuto fuori dopo avere avuto finalmente una domenica di pausa..
signore ti
ringrazio XD.. in realtà è che sto cercando di
casa e visto che prima che la
riesca a trovare passeranno anni.. mi sfogo così
^^…
Spero possa essere gradevole come lettura.