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Autore: Mirokia    14/07/2014    1 recensioni
Momotarou non aveva più avuto novità da Nitori, ma quando aveva provato a chiedergli se andasse tutto bene, l’altro aveva risposto che andava alla grande e che era così felice anche solo di essere in grado di tenere Rin per mano. Era raggiante, si diceva così tante bugie.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Nitori Aiichirou, Rin Matsuoka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mai

 

 

 

 

 

 

Ho incontrato una persona sulla strada per tornare al dormitorio. Con una scusa ha attirato la mia attenzione, cercava di attaccare bottone, in maniera quasi insistente. Non ci ha messo molto a dirmi che gli esseri umani, per natura, quando stanno per tanto tempo con una persona, e poi quella persona viene a mancare, si mettono subito in cerca di qualcuno che possa riempire il vuoto creato da quella persona, che possa dare il calore che quella persona si è portato via. Mi ha chiesto indirettamente se anche per me è la stessa cosa, e io le ho detto che sono sempre stato solo e che non c’è nessuno da rimpiazzare. Quando non hai nessuno impari a bastarti. Non so chi dei due avesse la disperazione negli occhi, se io o lei. A quel punto, la donna si è scusata per il disturbo, mi ha salutato e ci siamo allontanati, lei in cerca di qualcun altro, io in cerca di me stesso.

Il nuovo diario di Nitori iniziava e finiva così. Momotarou giurò di non volerne spiare il contenuto, ma nel momento in cui lo stava giurando era già lì a leggere. La data all’inizio della pagina indicava che quelle poche righe erano state scritte una settimana prima. Controllò che davvero non ci fosse scritto altro, ma le pagine seguenti avevano segni di sbianchettature e cancellature, quasi il proprietario si fosse pentito di aver scritto qualcosa. L’unica frase in più che trovò era all’interno della copertina scura del diario, scritta in nero così che risultasse complicata la lettura. Ma Momotarou non ci mise molto a mettersi in controluce e leggere “Rin mi ha lasciato”.
Richiuse il diario guardando nel vuoto e finalmente diede una spiegazione al comportamento di Nitori dell’ultima settimana: era un corpo senza vita, svuotato di qualunque emozione che potesse accostarlo a un essere umano, si presentava in piscina anche due volte al giorno e nuotava, nuotava senza mai stancarsi. Momotarou ripensò a tutte le volte in cui Nitori se ne tornava stanco e felice al dormitorio, molto spesso dopo il calar del sole, ancora più spesso il giorno dopo, e gli raccontava senza riuscire a darsi un freno ogni minimo istante passato con quello che ancora chiamava “Senpai”, che ancora elogiava e impreziosiva con innumerevoli aggettivi qualificativi, che ancora amava alla follia. Momotarou era spettatore lontano della storia che a quanto pareva stava nascendo tra il suo compagno di stanza e l’ex capitano della squadra di nuoto della Samezuka Academy. Aveva ascoltato di malavoglia anche il racconto di quando finalmente Nitori aveva trovato il coraggio di baciare Rin, ma il fatto che quest’ultimo avesse ricambiato aveva lasciato in Ai una sensazione di inquietudine che non riusciva a strapparsi via dal petto. C’era qualcosa che non andava nei comportamenti di Rin, diceva, era spesso distratto, e non faceva quasi mai il primo passo quando uscivano insieme: era sempre Nitori ad afferrargli la mano, sempre lui a proporre un luogo in cui passare la serata, sempre lui ad autoinvitarsi a cena. E Rin a volte si perdeva a guardare il mare e probabilmente neanche si accorgeva di come Nitori stesse crescendo accanto a lui, a vista d’occhio. Era ormai alto e robusto quanto Rin quando Momotarou lo aveva sentito piangere in bagno, in un momento in cui tutti gli altri erano ancora in vasca. I suoi lamenti avrebbero svegliato i morti, i singhiozzi entravano nell’anima e te la facevano singhiozzare in sincrono con lui. Ma Momotarou aveva fatto finta di non aver sentito quando il compagno li aveva raggiunti a cena, un sorriso sulle labbra e gli occhi troppo poco gonfi perché qualcuno potesse accorgersene. Chissà quante altre volte aveva pianto in quel modo e poi nascosto l’accaduto nel migliore dei modi. Momotarou non aveva più avuto novità da Nitori, ma quando aveva provato a chiedergli se andasse tutto bene, l’altro rispondeva che andava alla grande e che era così felice anche solo di essere in grado di tenere Rin per mano. Era raggiante, si diceva così tante bugie.

La sera in cui Momotarou osò sbirciare nel diario personale di Nitori, quest’ultimo tornò in stanza mentre ancora si frizionava i capelli bagnati con un asciugamano chiaro, poi sbadigliò e si arrampicò sul letto di sopra senza nemmeno togliersi i vestiti.
«Che stanchezza…» mormorò in uno sbadiglio e Momotarou, a sua volta disteso nel letto di sotto, provò ad attaccare discorso.
«Ehi, Ai-san. Mi piace una persona. Che faccio?»
Nitori sopra di lui rise piano e si girò, forse verso il muro come suo solito.
«Beh, dipende. Tu le piaci?»
«Non lo so… esce da poco da una relazione, quindi-»
«Non farti usare come rimpiazzo.»
La reazione era stata immediata, il tono duro ma la voce tremolante.
«Cosa?»
«Nulla, nulla. Secondo me dovresti prima vedere se tu le piaci, poi assicurarti che non stia pensando ancora al suo ex… dài tempo al tempo.»
Momotarou aspettò prima di rispondere, perché le sue, di risposte, le aveva già ottenute. Per quanto si atteggiasse da uomo fatto e compiuto, il vecchio Nitori, quello ingenuo e che parlava a sproposito, veniva sempre fuori prima di ogni alter ego che si era creato in quei mesi. Era ormai diventato bravo in tutto: a nuotare, a mettere in ordine la camera, a mascherare i sentimenti, ma non avrebbe potuto mai, mai superare Nanase.


Il giorno dopo Momotarou aiutò Nitori ad uscire dalla vasca dopo i suoi soliti 100 metri cronometrati, e un ragazzino del primo anno, capelli neri a caschetto e grandi occhi scuri, fu il primo ad avvicinarsi e ad elogiare e impreziosire Nitori con innumerevoli aggettivi qualificativi, per poi concludere con: “Sei il migliore, senpai!” Momotaru alzò gli occhi al cielo e per poco non si accorse che anche Nitori li stava alzando, ma non nello stesso suo modo: sembrava stesse tentando di ricacciare indietro le lacrime che lottavano per fare capolino. Si tolse la cuffia e scosse i capelli, poi si stropicciò gli occhi con due dita fingendo probabilmente di riprendersi dal cloro aggressivo. A quel punto sorrise al ragazzo del primo anno e gli scompigliò i capelli, «Mi raccomando, allenati con serietà e costanza!»
«Sì!»
«Possiamo venire ad allenarci insieme da ora in poi, se ti va.»
La punta delle orecchie del ragazzo del primo anno si imporporarono di colpo e le labbra gli si incurvarono in un sorriso raggiante. Momotarou guardò Nitori con la morte nel cuore ed era sul punto di prenderlo dal braccio e di parlargli in disparte, di dirgli che da quel momento ci sarebbe stato lui, di dirgli che poteva sfogarsi quanto voleva, di assicurargli che lui mai, mai l’avrebbe messo da parte, mai l’avrebbe usato come rimpiazzo, mai l’avrebbe abbandonato. Ma lasciò che se ne andasse seguito dal ragazzo del primo anno, e si sentì così inutile.
Nitori era sempre stato solo, quindi non c’era nessuno che dovesse rimpiazzare. Ma a quanto pare i suoi occhi erano più colmi di dolore rispetto a quelli della donna incontrata la settimana prima sulla strada verso il dormitorio. Per illudersi di non essere solo, sarebbe stato disposto ad impersonare la causa del suo dolore.
Cercava se stesso in qualcun altro, e tendeva a farlo soffrire per alleviare la sua, di sofferenza. Cercava se stesso, e il se stesso non sarebbe mai più tornato.

 

 

 

 

 

 

 

Chi l’avrebbe detto che avrei buttato angst anche sulla Rintori? Era nata come una coppia felice nella mia testa…

 

 



Mirokia

   
 
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