Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Bereunacocaconte    14/07/2014    2 recensioni
Restava la sua armatura accanto alla parete, la spada, la lancia. Ed era per questo forse che quando tornava a casa, Helene gli lavava le mani. Quelle mani forti che avevano armeggiato con lance e spade, quelle mani assassine che avevano ucciso migliaia di uomini, le stesse che si posavano sulla sua pelle, sulle sue curve e che la facevano sussultare.
-Non è paura- gli sussurrava però, tra un bacio e l'altro, mentre i brividi iniziavano a riempirla.
Genere: Fluff, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Oblivion:
Demetrios indossò l'armatura argentea: le gambiere, la corazza sul petto, l'elmo scintillante col pennacchio rosso fuoco, che oscillava ad ogni movimento della testa e incuteva terrore. Con sé aveva la spada di bronzo, lo scudo ampio e pesante per proteggerlo dalle punte aguzze delle lance. Era un guerriero valoroso, Demetrios, con il contrasto tra la pelle chiara delle cicatrici, laddove l'armatura non riusciva a coprirlo, e quella scura e abbronzata a causa delle molteplici battaglie sotto la luce del sole ardente. Alto, spalle ampie e possenti, braccia forti. I capelli scuri, lunghi fino al collo, erano nascosti dall'elmo, i ricci che spesso si impigliavano nel copricapo, rimbalzavano sulle sue spalle quando si aggirava per le strade di Sparta provocando bisbigli e mormorii soffusi tra le persone. Un profondo cipiglio sul volto mentre affondava i colpi, gli occhi di un verde scuro, assottigliati in un'espressione truce mentre guardava i nemici cadere sotto la sua spada e raggiungere l'Ade, le labbra carnose incurvate in un ghigno. Demetrios, abile e spietato guerriero, strinse le fibbie delle gambiere, rafforzò la presa sulla spada e scese in campo. Il terreno sotto i loro piedi sembrava tremare, mentre gli schieramenti avanzavano, agguerriti. Come i tuoni mandati da Zeus, come un temporale, come un terremoto, con lo stesso rumore avanzavano le due schiere, marciavano, impavidi. Le lance sollevate verso l'alto, gli scudi saldi tra le mani, sicuri di sé e brutali, mentre andavano incontro al proprio destino senza nessuna traccia di timore. Non c'era spazio a Sparta per i deboli, per i codardi e questo Demetrios l'aveva capito ormai bene, durante gli anni di addestramento. Solamente il più forte aveva diritto alla sopravvivenza, solo il più sano, il più combattente, il più resistente. Era questo ciò che ti insegnavano a Sparta, fin dall'età di sette anni, a prevalere sui più fragili, a morire in battaglia perché solo così un eroe poteva avere la sua gloria.
Torna col tuo scudo o sopra di esso.
L'aveva ormai capito Demetrios, aveva pulito il sangue dal suo corpo, medicato le ferite e stretto i denti quando bruciavano. Aveva combattuto, aveva sacrificato i suoi compagni, prevalso su di loro, ucciso un ilota senza batter ciglio. Si era acquisito il titolo di guerriero, se l'era guadagnato, tra gocce di sudore e sangue, e adesso, procedeva, freddo e crudele, tra l'esercito di soldati.
La seconda cosa che ti insegnavano a Sparta era di non abbandonare mai le tue armi, il campo, la battaglia.
E così era mentre non cedevano, mentre restavano a combattere fino all'ultimo uomo. La lancia di Demetrios si conficcò nello scudo del nemico che aveva difronte, squarciò il bronzo ma non riuscì a perforare l'armatura. Allora armeggiò con la spada, proteggendosi con lo scudo e schivando i colpi, fino a ferire l'uomo al fianco, dove lo scudo non riuscì a coprirlo. E così via, un colpo al petto, nella morbida carne del collo, sotto la mascella trapassando il cranio. Uno dopo l'altro gli uomini abbandonavano il campo e scendevano negli Inferi sotto i colpi mortali della sua spada. Era un combattente audace Demetrios, ed era ostinato a tornare in patria con il suo scudo.


L'agorà era la parte bassa, il centro della città. Era utilizzata per le riunioni degli eserciti, per i giochi e per le orazioni pubbliche, ma ciò che Helene preferiva in assoluto era il mercato. Perciò girovagava tra le varie bancarelle stracolme di oggetti, stretta nella sua veste preferita, il peplo bianco, che sua madre le aveva ricamato per il suo compleanno, rimboccato al di sopra della cintura dorata. Aveva con sé il cestino intrecciato, quello chiaro, che le serviva per aiutarla a portare a casa ciò che la madre le aveva chiesto di comprare ma che in gran parte si era già dimenticata. I bei vasi di ceramica rilucevano sotto i raggi del sole caldo di quella mattina, che splendeva in cielo senza nessuna nuvola a minacciare di oscurarlo. Intravide le ghirlande, create con vari tipi di fiori colorati e qualche bacca, i bracciali a spirali, con le estremità decorate da disegni geometrici, i medaglioni lavorati a sbalzi con immagini di uomini o dei sopra e infine gli anelli nei quali era incastonata qualche pietra variopinta. Helene continuò il suo giro tra i banchi, passò accanto a quello dei fiori che la inondarono con il loro profumo, accarezzò qualche foglia per poi dirigersi verso quello del cibo. L'odore delle verdure si mischiava a quello salmastro del pesce che sembrava ancora muoversi sui banconi. L'uva dai grandi chicchi dolci sembrava così invitante che Helene non si fece pregare due volte, ne prese un grappolo infilandolo nel cestino e la pagò con le dracme d'argento. Ne aveva appena preso un chicco tra le dita quando, voltandosi, un ragazzo che correva la travolse, facendola cadere per terra. Il contenuto del cestino si riversò sul pavimento, la ragazza guardò l'uva, schiacciata dalle persone e ormai non più commestibile e sospirò. Poi alzò lo sguardo, verso l'uomo che era stato la causa della sua caduta e il sangue le si gelò nelle vene. Quegli occhi, che avevano fissato milioni di pupille di uomini moribondi, stavano scrutando i suoi, nel più dolce dei modi.
Helene però indietreggiò, spaventata, cercando di farsi il più piccola possibile e nascondersi sotto i teli dei banconi, ma Demetrios le porse una mano. Quella mano forte, grande, ruvida a causa di qualche callo strinse la sua, piccola, liscia e candida. Sussultò leggermente al contatto ma si lasciò issare, Demetrios raccolse il cestino nel quale rimaneva qualche granello scuro, poi glielo porse, con gentilezza. Helene tirò le labbra in un accenno di sorriso, poi, a bassa voce -Sono infinitamente desolata, davvero, cercherò di essere più attenta la prossima volta- un leggero rossore le colorò le gote, il suo sguardo si fissò sul pavimento.
Ma Demetrios non sbuffò, non la rimproverò, né la guardò di sbieco, al contrario, afferrò un altro grappolo d'uva, lo pagò e lo ripose nel cestino della ragazza.
-Non si deve scusare, è stata colpa mia, stavo correndo e non l'ho vista, ecco a lei, la prenda.-
Helene scosse il capo, i lunghi capelli biondi oscillarono prima a destra e poi a sinistra, seguendo i movimenti della sua testa.
-Insisto, la prenda.-
-Grazie mille, ma non avrebbe dovuto.-
-Era un dovere, quella che aveva appena comprato non è più mangiabile.-
Stavolta Helene sorrise spontaneamente, le sue labbra sottili e rosee si aprirono lasciando scoprire i denti bianchi e Demetrios si ritrovò a ricambiare.
Si soffermò sul suo volto dai tratti dolci, gli occhi piccoli con le iridi azzurre, il naso all'insù, la spruzzata di lentiggini sul naso e sulle gote, la carnagione chiara. Era avvolta in un peplo bianco che sembrava confondersi con la sua pelle, sembrava essere ormai diventato un tutt'uno.
-Se non sono indiscreto, potrei chiederle il suo nome?-
Helene annuì, c'era ancora un lieve strato di timore sotto pelle, sapeva che dietro quella gentilezza si nascondevano anni ed anni di combattimenti, che quei limpidi occhi verdi avevano osservato la terra polverosa impregnata di sangue scarlatto esattamente nello stesso modo in cui stava guardando lei adesso.
-Mi chiamo Helene- sussurrò.
-Demetrios.-
Le sollevò con delicatezza la mano destra, ne baciò il dorso e -Incantato- disse.
Helene arrossì di nuovo -Mi dispiace ma adesso dovrei andare, devo ancora comperare alcune cose e riportarle a casa per il pranzo, è stato piacevole fare la sua conoscenza e la ringrazio per l'uva- fece un leggero inchino, chinando il capo verso il basso, ma Demetrios la fermò, le prese il mento tra le dita, incastonando di nuovo lo sguardo in quello della ragazza, come un bisogno necessario di guardare in quelle pozze chiare.
-E' stato un immenso onore incontrarla, Helene, spero di rivederla al più presto.-
Quando si allontanò Helene aveva il cuore che continuava a battere incessantemente, ad un ritmo più accelerato del normale, ed era più che sicura che stavolta, la paura, non avesse nulla a che fare con ciò.


L'aveva rivisto, nello stesso luogo, e le aveva sorriso. Aveva poi preso un grappolo d'uva e l'aveva infilato nel cestino chiaro che la ragazza portava sempre con se.
-Non deve farlo ogni volta, sa.-
-Lo so, ma lo faccio con piacere.-
Helene ormai ne era più che certa, che quella scarica elettrica che le faceva battere il cuore in modo così veloce, non era dettata dalla paura; ed era ormai abituata, a sfiorare la sua mano ogni volta che le portava un rametto d'uva, bussando alla porta di casa sua quasi tutte le mattine. E quasi ogni giorno passeggiavano per le vie della città, con sua sorella minore che saltellava per le stradine, inciampando a volte tra i dossi dell'asfalto, perché suo padre ancora non si fidava a lasciarli completamente soli. Si era ormai innamorata del suono della sua voce roca, del suo sorriso ampio, della sua risata bassa, del modo in cui sbadigliava, aprendo tutta la bocca e somigliando ad una di quelle maschere per il teatro, del modo in cui le raccontava le sue imprese, risparmiando i dettagli più forti, della trasformazione che aveva con lei, da guerriero spietato a semplice ragazzo dal dolce sorriso.
Era per questo forse che a tavola, contraddiceva mentalmente i genitori mentre elogiavano le sue abilità guerriere, perché era l'unica che sapeva che c'era qualcosa di più, qualcosa che andava oltre ad una lancia ed una spada.


Rimaneva però, quella consapevolezza, rimanevano i suoi incubi di notte, che lo svegliavano facendolo ansimare, contorcere e gridare tra le lenzuola. Restava la sua armatura accanto alla parete, la spada, la lancia. Ed era per questo forse che quando tornava a casa, Helene gli lavava le mani. Quelle mani forti che avevano armeggiato con lance e spade, quelle mani assassine che avevano ucciso migliaia di uomini, le stesse che si posavano sulla sua pelle, sulle sue curve e che la facevano sussultare.
-Non è paura- gli sussurrava però, tra un bacio e l'altro, mentre i brividi iniziavano a riempirla.
Perché poi Demetrios la guardava con quello sguardo dolce, con quel sorriso che poteva essere paragonato solamente ad un arcobaleno e allora il sangue scivolava via dalle sue mani, veniva lavato via e sostituito dal corpo di Helene che stringeva delicatamente, con cura.


Helene si accarezzò la pancia, che ancora era piccola ma che sarebbe cresciuta piano piano, lentamente, giorno per giorno. Guardò Demetrios aggiustare la lancia tra le sue dita, le stesse dita che poco fa avevano dolcemente sfiorato il suo viso e la sua pancia, proprio lì dove una nuova vita stava nascendo. Si guardarono entrambi, occhi negli occhi, senza parlare, mentre lo schieramento era pronto per andare nuovamente in battaglia. C'erano tante cose che avrebbero voluto dire, non lo fecero. Non c'era spazio per la debolezza, per la tristezza, non in quel momento.
Demetrios allora le rivolse un'ultima occhiata, a lei, al piccolo esserino che nella sua pancia continuava a crescere.
Solamente un bacio a stampo fu lasciato sulle loro labbra, un ultimo bacio prima della lunga attesa e della lunga battaglia. Infine, in fretta, si allontanò.
Torna col tuo scudo o sopra di esso.


ANGOLO AUTRICE:
Salve! Non so perché sto pubblicando questa... Uhm... Cosa.
Stavo leggendo Omero, Iliade di Baricco e mi è venuta fuori questa one-shot ispirata un po' al personaggio di Diomede e al film 300.
Scegliere il titolo è stata la cosa più difficile al mondo, sul serio, perciò ho scelto quello della canzone che stavo ascoltando (Oblivion dei Bastille) che più o meno mi ricordava anche la storia.
Spero vi sia piaciuta, la mia intenzione era quella di far vedere anche il lato meno crudo dei guerrieri, quello un po' più dolce che sono costretti ad abbandonare anche perché nell'Iliade è presente solamente con la scena di Ettore e Andromaca che in poche parole adoro. E' la mia prima storia originale e oddio, mi fa strano, perciò siate gentili per favore e se vi va lasciate una piccola recensione :)
Spero di non aver sparato cretinate con ciò che ho scritto riguardo all'agorà ma ho provato a fare le mie ricerche, accomunando anche quello che mi ricordavo sull'antica Grecia e tutto ciò che è uscito fuori è stato quello. Bacioni
Atelophobic.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Bereunacocaconte