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Ricorda la storia  |      
Autore: Wendy96    14/07/2014    3 recensioni
Il tempo passa per tutti, e Alison decide di ricordare i dettagli più importanti della sua prima vera storia d'amore scrivendoli tra le pagine di un diario che poi aggiorna una volta tornata a Sydney dove tutto e cominciato.
Purtroppo, per quanto lei sia speranzosa di coronare il suo sogno d'amore con Ashton, il ragazzo australiano conosciuto durante un periodo passato in Australia, dieci anni sono comunque tanti per entrambi.
Ma quanto è cambiata la vita dei due? E Ashton è stato in grado di voltare pagina?
L'amore è davvero così forte da persistere nonostante il tempo e la distanza?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ogni istante dell’estate in cui conobbi Ashton Irwin.
Era fine maggio quando i miei genitori mi annunciarono che avrei finito la scuola un paio di settimane in anticipo per trasferirci temporaneamente a Sydney, in Australia, perché lì avevamo ereditato una vecchia proprietà di una qualche zia o cugina lontana e decrepita e ci dovevamo spostare, appunto, per motivi legati all’eredità.
Ricordo le litigate con i miei perché “per nessuna ragione al mondo passerò la mia estate con un branco di zoticoni cavalca canguri”, dicevo, ma loro erano di certo più irremovibili di me, e così mi ritrovai su un aereo diretto verso quella “terra dimenticata persino da Dio in cui anche le stagioni si rifiutano ad andare come in tutto il resto del mondo che conta” il giorno successivo.
California-Sydney: dieci ore e mezza di volo sopra un oceano, lo stesso che per tutta la durata del periodo estivo mi avrebbe tenuta lontana dai miei amici, dalla mia vita.
Ricordo che passai tutta la prima settimana chiusa tra le mura domestiche di quella che sembrava più una reggia che una casa, ma totalmente fuori dal centro della città, e questo non fece altro che farmi montare ancora di più l’odio nei confronti di quel posto.
Una mattina, dopo essermi resa conto aprendo il frigorifero che il latte era finito, mi lamentai di questa apparente “disgrazia” con mia madre.
«Allora esci e va’ a comprarlo. E magari fatti qualche amico, sono già stanca di vederti gozzovigliare per casa.»
“Se mi avessi lasciata in America avrei fatto di tutto meno che gozzovigliare, cara mammina” pensai sbattendo la porta d’ingresso e avviandomi a piedi verso il centro della città.
“Cosa c’entra tutto questo?” vi chiederete voi, ma vi assicuro che tutto ciò è importante per la nostra storia. Infatti è proprio a questo punto che si segna il passo decisivo che mi ha portata a lui.
Feci appena un paio di metri prima di sentire una voce dietro di me chiamare “Miss!” a pieni polmoni.
Ignorai il richiamo continuando ad avanzare silenziosa, e poi un ragazzo mi si parò davanti. Caleb Growding fu la prima persona che, effettivamente, conobbi lì a Sydney, e l’unica sgradevole persona che continuasse a chiamarmi “Miss” riferito al mio atteggiamento da bambina viziata e lamentosa, quella che ero stata dal momento in cui avevo messo piede in Australia.
Si offrì di accompagnarmi ad un alimentare in città dandomi un passaggio sul manubrio della sua bicicletta e continuò a farmi domande su domande incuriosito da me e da dove venissi per cercare di capirmi in qualche modo. Cercava di essermi amico.
Accettai il suo invito ad andare in un luna park lì vicino quella sera stessa. Non che ne fossi davvero entusiasta, ma mia madre era uscita nel giardino davanti casa vedendomi parlare con un ragazzo del posto e accettai l’invito più che altro per farla felice.
E così, in una nottata non proprio voluta, diedi un’importante scossa alla mia vita.
Ricordo ogni dettaglio del mio primo incontro con Ashton: raggiunto il luna park, Caleb mi guidò verso un gruppo di ragazzi tutti con all’incirca la nostra stessa età che da subito mi guardarono straniti. Lui era tra loro.
Al mio arrivo mi dava le spalle, fu un ragazzo biondo di fronte a lui a fargli un cenno invitandolo a voltarsi, e quando lo fece m’inchiodò con lo sguardo.
Passò l’intera serata in mia compagnia seduti su una panchina accanto alle montagne russe in disparte rispetto agli altri del gruppo, e parlammo di ogni cosa; riuscì persino a strapparmi sorrisi per tutto il tempo, cosa che ero convinta non avrei fatto in quell’estate.
Mi chiese di vederci ancora e io accettai lasciandogli il mio nuovo numero australiano di cellulare.
Da quella sera diventammo inseparabili, due grandi amici che se ne stavano bene anche solo tra di loro giù in spiaggia.
Con lui scoprii ogni dettaglio di Sydney, mi portò a vedere alcuni degli animali che si trovano solo lì in una riserva naturale, si offrì d’insegnarmi a fare due accordi in croce con la chitarra e, come spesso accade tra amici, mi fece anche innamorare.
Ci misi circa un mese per rendermene conto, ma quando lo realizzai non volli assolutamente tenerlo per me, dovevo gridarlo al mondo intero.
E così aspettai il momento giusto.
«Oggi facciamo lezione all’aperto» esordì un pomeriggio quando uscii di casa pronta a dedicarmi alla solita lezione di musica.
Mi portò fin sulla punta di uno degli alti pontili in legno della baia vicina a casa dove ci sedemmo con le gambe a penzoloni l’uno accanto all’altra. Mi mise la sua chitarra sulle gambe e m’invitò a provare per la millesima volta “Wonderwall” degli Oasis, la canzone a detta sua «con gli accordi più facili della storia. Qualsiasi coglione parte con quella.»
Forse è stato il tramonto, forse il continuo sfiorarsi delle nostre gambe dondolanti, o forse solo la sua vicinanza a me dopo aver realizzato quali fossero i miei effettivi sentimenti nei suoi confronti, ma quel giorno le mie dita si muovevano indipendenti dai miei comandi facendomi sbagliare ogni tre per due, e lui rideva nel vedermi inceppare e arrossire per l’imbarazzo.
Ad un certo punto, quando si rese conto che mi stessi innervosendo e, un po’ per aiutarmi e un po’ per salvare la sua chitarra da un tuffo in mezzo ai pesci causato da un mio scatto d’ira, si sporse ancora più vicino a me appoggiando la grossa mano sinistra sulla mia modificando la posizione delle mie dita mettendole al posto giusto per produrre l’accordo corretto.
«Visto? Non è difficile» mi derise scherzoso guardandomi con un sorriso.
Mi persi nelle sue iridi in quel momento color nocciola rendendomi conto di quanto fossero belle ora che le vedevo da così vicino, di quanto lui fosse bello ai miei occhi. Fu veloce e immediato il momento in cui distrussi la distanza tra di noi premendo le labbra sulle sue in quello che risultò essere un bacio casto, giusto per capire quale sarebbe stata la sua reazione.
La cosa che più mi stupì fu il fatto che quando feci scivolare via le labbra dalle sue, lui mi attirò di nuovo a sé in un secondo e più duraturo bacio sussurrandomi anche un impercettibile «Era ora che ti decidessi, Allie» sorridendomi sulle labbra.
Da quel giorno diventammo ben più che amici, e a lui donai tutta me stessa: gli diedi la mia amicizia, fiducia, il mio amore e persino la mia verginità, tutte cose che lui accolse e seppe ricambiare rendendomi quella che era cominciata come la peggiore delle estati la migliore che abbia mai passato in tutta la mia vita.
Ashton era ciò di cui avessi più bisogno, e non seppe deludere le aspettative.
Purtroppo come in ogni bel sogno prima o poi si deve ritornare alla realtà, e con realtà intendo la California dove ad inizio settembre mi attendeva un nuovo anno di università e il resto della vita che avevo lasciato laggiù mesi addietro.
Ricordo i pianti tra le braccia di Ashton durante la nostra ultima notte insieme stesi sulla fredda sabbia della baia in cui avevamo passato la maggior parte del nostro tempo; ricordo le sue incessanti carezze lungo la mia schiena coperta solo da un leggerissimo vestito in sangallo bianco, le sue labbra che sfioravano ogni centimetro dei miei viso, collo e spalle rese nude dalla mancanza di spalline dell’abito, e le parole che mi sussurrò quando gli urlai tra un singhiozzo e l’altro che non ero intenzionata ad andarmene da lì.
«Preferisco morire stasera sbranata da uno squalo piuttosto che tonare in un posto dove tu non ci sei» gli avevo detto alzandomi dal nostro giaciglio in sabbia e cominciando a camminare in direzione dell’oceano. Ero così sconsolata e sconvolta che i miei passi si mossero svelti.
Le mie parole erano pura follia.
L’acqua mi arrivava a malapena al polpaccio quando sentii il suono prodotto da quest’ultima alle mie spalle incresparsi rapidamente e, poco dopo, le sue braccia stringermi le scapole.
«Preferisco saperti a chilometri da me che a pezzi per l’oceano, almeno avrei la certezza che tu sia viva anche se lontana.»
Sentii la sua voce tremare e il suo torace stretto alla mia schiena venir scosso da un fremito, e poi una goccia calda cadermi sulla spalla nuda scivolando lungo il mio braccio.
Mi voltai ancora stretta nelle sue braccia incrociando i suoi occhi: anche nell’oscurità riuscivo a distinguerne le diverse tonalità andanti dal verde muschio al grano maturo, ma questa volta era la lucidità causata da quel pianto che tanto avrebbe voluto nascondermi a renderli ancora più belli.
Ancora oggi, ripensando a quel giorno, ho in mente il suo viso e quello sguardo che riuscì a penetrarmi così a fondo da scavarmi un buco nel petto per portarmi via il cuore.
Passammo quell’ultima notte insieme così, due anime solitarie pronte ad essere disciolte a passeggio tra le strade di quella città che le aveva unite, silenziosi ma inconsciamente felici, perché nonostante la tristezza di quelle nostre ultime ore insieme c’erano dietro tre mesi di felicità incontrollata e l’amore più puro che abbia mai vissuto anni dopo.
Alle 7 di quella stessa mattina fu lui ad accompagnarmi all’aeroporto principale di Sydney e non mi lasciò mai andare la mano finché non fu costretto a farlo una volta raggiunto il punto d’inizio del check-in.
Un “ti amo” suggellato in quel nostro ultimo dolce bacio fu l’ultima cosa che le mie orecchie udirono della sua voce prima che ci separassimo per sempre, poi presi a camminare guardandolo fisso negli occhi mentre, lentamente, mi allontanavo da lui continuando a mantenerlo nel mio campo visivo per quanto mi fosse possibile farlo.
 
Come ogni amore a distanza, anche il nostro si spense nel giro di alcuni mesi passati fingendo di stare bene per far sentire alla persona dall’altro capo del telefono che realmente fosse così, e poi sotto Natale decidemmo di farla finita per il bene di entrambi, perché era palese che non ci saremo più rivisti se non attraverso lo schermo di un computer.
 
Sono passati dieci anni dal nostro ultimo incontro, e finalmente ho trovato il tempo e la voglia di tornare là, a Sydney, e starci per sempre perché mai in nessun’altro posto sono stata felice come in quel posto, il mio “vero paradiso in Terra”.
Come una stupida ero convinta che una volta arrivata lì avrei rivisto Ashton e avremmo ricominciato la nostra vita nello stesso punto in cui l’avevamo lasciata anni addietro, e credetemi se dico che è stata veramente dura convincermi a contattarlo per un incontro, ma ottenni ciò che volevo anche se questo compromise ogni cosa…
Quando raggiunsi il parco in cui ci eravamo dati appuntamento lo riconobbi subito: alto come anni prima, stesse spalle large e braccia toniche, stessa chioma ribelle nonostante ora non fosse più solito indossare la consueta bandana sulla fronte per tenere gli occhi liberi dai ricci schiariti dal incessante sole, il sorriso ampio contornato da due solchi sui lati delle labbra, e i suoi occhi ancora con lo stesso bagliore di fanciullezza di allora.
Avrei voluto prendere la rincorsa e stringermi a lui in quell’abbraccio tanto agognato, ma respinsi l’impulso e mantenni l’atteggiamento decoroso plasmato in anni a spasso tra le redazioni e gli affollati uffici californiani e mi avvicinai pacata a quell’uomo con il quale avevo condiviso alcuni dei momenti più importanti della mia intera vita.
Fu lui quello che prese l’iniziativa stringendomi a sé facendomi completamente sciogliere.
Quella magia però, tutti quei castelli di cristallo che inconsciamente avevo già costruito nella mia testa, andarono in mille pezzi quando una bambina si mise tra di noi trinando un lembo dei pantaloni di Ashton distraendo l’attenzione di entrambi.
“Non può essere…” fu il primo pensiero che mi balenò per la mente quando fissai gli occhi sul viso della bambina dai capelli ricci e gli occhi dello stesso colore del ragazzo.
«Papà, chi è lei?» chiese con innocenza la bambina guardandomi curiosa.
In quel momento il mio cuore andò in frantumi. Pensavo che anche lui avesse aspettato, che mi avesse pensato per anni, ma a quanto pareva lui era andato avanti. Io no.
«È una mia amica che viene dall’America, si chiama Alison. Va’ a giocare, tesoro.» Si abbassò all’altezza della bambina dandole un leggero colpetto sulla schiena invitandola a continuare a giocare.
«I-io… scusa, non dovrei essere qui. È giusto che tu stia con tua figlia» riuscii a dire cercando di regolare il respiro diventato affannoso per lo shock.
“Tua figlia”: parole troppo dure da pronunciare se riferite a lui.
«Allie, aspetta.» Mi prese un polso obbligandomi a fermarmi. «Forse questo non è il momento giusto per parlarne. Vediamoci stasera» insistette, e io accettai.
In fondo, dovevo sapere.
 
E così, eccomi qui: sono pronta ad affrontare la realtà faccia a faccia con l’uomo con il quale avevo pensato di passare un’intera vita insieme, di tornare ragazzini per riscrivere la nostra storia nello stesso punto in cui l’avevamo lasciata. L’uomo che avevo continuato ad amare.
Lo raggiungo al ristorante in cui ci eravamo dati appuntamento quel pomeriggio, un luogo tranquillo costruito da poco sulla stessa baia in cui noi passavamo le giornate. Addirittura da dov’ero seduta io si vedeva il pontile sul quale ci eravamo scambiati il nostro primo bacio.
Lui è rimasto lo stesso di dieci anni fa: riesce a farmi ridere con nulla, increspa le labbra in modo particolare quando parla, non riesce a stare fermo con le mani e spesso tiene un tempo tutto suo picchiettando il piede a terra forse perché anche lui è nervoso, e non ha perso quel suo accento del sud che anche io avevo preso stando lì quell’estate e che mi era costato prese in giro da parte dei miei amici al ritorno.
Mi racconta cosa ne è stata della sua vita, mi dice che ha trovato lavoro in uno studio di registrazione e che presto ne aprirà uno tutto suo. Non si stupisce che anche io abbia fatto carriera nel mondo del marketing.
«Hai sempre avuto un bel paio di palle» dice ridendo riferito al mio lavoro.
«E la bambina di oggi? Ti sei sposato?» domando. È arrivato il momento della verità.
Lo vedo in imbarazzo, abbassa lo sguardo ingollando un groppo di saliva. Devo averlo spiazzato.
«Ecco…» comincia dopo un lungo sospiro, «ho avuto altre relazioni dopo di te, e lei è nata in una di queste, una storia finita per me e sua madre, ma che persiste nell’amore che mettiamo per quella bambina.»
«Quindi hai voltato pagina…»
«Sì.»
Mi alzo dalla sedia. Ero venuta lì per una ragione, e non stavo ottenendo gli esisti sparati, anzi, tutt’altro, che senso ha restare?
Poso un pezzo da cento sul pianale del tavolo ed esco rapida dal ristorante dirigendomi sulla spiaggia tenendo le decolté in vernice nera tra le mani.
«Sei una stupida, solo una stupida, Alison Fringe» continuo a ripetermi.
Sono avvolta da un turbinio di emozioni contrastanti tra loro: tristezza, collera, disperazione, confusione, …
Non avrei mai immaginato di sentirmi stringere le spalle da dietro come quella notte, sulla stessa sabbia che ci aveva coccolati per giorni interi.
«Lasciami finire» intima parlandomi all’orecchio sinistro. «Ci ho provato, ad andare avanti intendo, ma nessun’altra era come te. Ora ho solo una donna nella mia vita, Alison, è porta il tuo stesso nome.»
Sono paralizzata, ferma come uno stoccafisso.
Mi si sposta davanti inchiodandomi con lo sguardo. I suoi occhi… mi hanno perseguitata per anni, e ora posso finalmente vederli di nuovo in tutto il loro splendore.
Come quando ero ragazza il mio cuore perde un battito e sento ogni mio sentimento rinascere come un fiore dentro di me. Quando provi quel tipo di amore, quello che sentivo io per lui, è impossibile dimenticarsene.
«Avete lo stesso nome perché speravo che così sarei riuscito a tenerti con me. Non ti ho mai dimenticata, Miss.»
Sorrido incurante del mascara colatomi sulle guance, e lui fa lo stesso prendendomi il viso tra le mani e facendo combaciare le sue labbra sulle mie.
In fin dei conti, quel lungo viaggio non è stato poi tanto stupido: stavamo rincominciando tutto da capo.


Grazie mille per essere passata/o di qui,
è la prima OS che scrivo sui 5SOS e spero di non averti delusa/o :)
Se ti va, lasciami una recensione qui ---> così potrò sapere cosa effettivamente ne pensi!
Non mi dilungherò ancora, ma ti ringrazio infinitamente per averla letta ed esserti anche soffermata su queste righe^^
                                                                                                                   Wendy

P.s.: se ti piace il mio modo di scrivere, ho pubblicato altre Os o fanfic,
ma sono su tema "Leo Di caprio" e "One Direction".
Nel caso non avessi nulla di meglio da fare.... ti aspetto!
  
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